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noto al mondo soltanto quale poeta illustre e per aver servito da giovane il regno italiano sotto il ministro Aldini.

Si raccontava perfino che tanto poco amavasi la presenza del Marchetti in palazzo,1 che quando trattossi del porlo in officio, non se gli fece trovare preparata neppure una camera, nè le suppellettili necessarie all’esercizio del carico assunto. 2

La quasi certezza poi che da un momento all’altro germi di collisione e di conflitto dovessero svilupparsi fra i due poteri spirituale e temporale riconcentrati nel capo supremo dello stato ch’era il papa, circondato da un ministero prettamente laicale, teneva gli animi delle persone temperate è riflessive, e che amavan sinceramente il bene del proprio paese, in uno stato di freddezza e perplessità, che male sapevasi dissimulare.

Era noto inoltre e andavasi ripetendo essere massima indeclinabile della corte di Roma, che gli affari del ministero degli esteri eran tutti tali da includere il giudizio e l’assentimento papale, e che ove fossevi pericolo di vedere introdursi nello stato pontificio ciò che in altri stati erasi altre volte proibito o avversato dalla curia romana, meglio stato sarebbe perdere il principato, direm meglio l’esercizio del potere sovrano, di quello che permettere ciò ostensibilmente. Pareva in somma a molti che una separazione del potere fosse incompatibile colla essenza del pontificio governo. Perduto il regno, dicevasi, sarebbe rimasto intatto ed invulnerato il buon diritto; laddove se si fosse venuta introducendo sotto la dizione pontificia una divisione così importante, sarebbesi il governo con un fatto suo proprio suicidato, ed avrebbe inceppato la libertà ed autorità propria, legalizzando in certo modo il principio che la direzione delle cose temporali esser dovesse

  1. S’intende il palazzo pontificio ov’era il ministero.
  2. Vedi il Labaro del 9 giugno 1848.