Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo XI

Capitolo XI

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CAPITOLO XI.

[Anno 1848]


Conseguenze dell’allocuzione del 29 aprile 1848. — Torbidi in Roma il 30 aprile, 1 e 2 maggio. — Riunione di tutti i circoli. — La civica s’impossessa delle porte, del castello, e della polveriera della città. — Si sequestrano le lettere ai cardinali. — Tentativi per comporre un ministero Ferretti, riusciti infruttuosi. — Alcuni cardinali insultati, altri guardati a vista. — Progetto di un governo provvisorio, sventato dal conte Mamiani. — Questi è chiamato da Sua Santità per comporre un nuovo ministero. — Atto del papa del 1 maggio pubblicato la mattina del 2 e lacerato per le pubbliche vie. — Indirizzo del municipio al Santo Padre. — Lettera di Pio IX all’imperatore d’Austria. — Formazione del ministero Mamiani. — Adesione della civica al suo programma. — Apologia della fermezza del papa.


Fin dal 30 di aprile gli animi di molti tra i Romani esterrefatti e concitati, non sapevano a qual partito appigliarsi: tanto la lettura dell’allocuzione pontificia aveali perturbati. Molti altri però dieronsi subito a ricercare consiglio ed appoggio sul da farsi in una cosa di così grave momento.

E già fino dalle dieci antimeridiane vedevasi il Corso brulicar di gente, intanto che i vari circoli e casini di Roma, non che il comitato di guerra il quale si era testè formato, riunivansi nel casino dei commercianti al palazzo Theodoli. Il ministero poi diceva apertamente di voler essere autorizzato ad emettere una dichiarazione di guerra, senza di che avrebbe persistito nell’offerta in massa della propria, dimissione.

Il pontefice fece chiamare a sè i due generali della civica principe Rospigliosi e duca di Rignano, i quali esposto lo stato di fermento della città, scongiurarono il Santo Padre a provvedervi con una determinazione che soddisfacesse al voto universale.

[p. 261 modifica] Vi fu quindi riunione al palazzo Doria; vi si elesse una deputazione da inviarsi al pontefice composta del principe Doria, principe Corsini, conte Terenzio Mamiani; e intanto si seppe che il papa aveva accettata la dimissione del ministero, volendone uno col Cardinal Ferretti alla testa.

Il ministro di Toscana e quel di Piemonte alle quattro e mezzo recaronsi dal Santo Padre onde perorare per la sua adesione nel senso voluto dal popolo: ma nulla ottennero. Allora la guardia civica occupò le porte della città.

Giunge alle sette e mezzo la deputazione di ritorno. Il pontefice era fermo nella presa deliberazione, ma richiedeva la notte per aver tempo a deliberare sul da farsi.

I circoli si pongono in permanenza; il castello sant’Angelo è occupato dalle milizie cittadine; si convoca pèr la sera una riunione al circolo dei commercianti, e si disse che vi concorresse un 1500 persone. Ciceruacchio era nella sala alla testa di un distaccamento di guardia civica. Molti furono gli oratori, fra i quali il Mamiani, l’Orioli, lo Sterbini e il napolitano Pier Angelo Fiorentino si segnalarono. Intanto si venne a conoscere che il papa resisteva e non poteva persuadersi del motivo di tariti scompigli, e li attribuiva o ad ingratitudine per parte del popolo o alle arti subdole dei mestatori che tanto poterono su questo, da rattiepidirne la devozione verso il pontefice.

Il giorno seguente 1 di maggio riunisconsi i circoli di nuovo alle ore 7 antimeridiane. Vi si formula un indirizzo al papa, col quale viene esonerato dal dichiarar la guerra, ma si domanda bensì un ministero cui ne deleghi le facoltà. Mamiani in nome del papa chiede tempo a deliberare, e fa sperare che otterrassi un ministero liberale.

Nuova riunione dei circoli a mezzo giorno. Vi si legge l’articolo da inserirsi nella Gazzetta di Roma, che doveva pubblicarsi nella sera stessa, il quale diceva presso a poco così:

[p. 262 modifica]«Avere il papa accettato la sera del 29 aprile la demissione dei ministri, ed avendo invano tentato ogni altra combinazione ministeriale, aver richiamato i ministri dimessi conservando ai medesimi le facoltà fino ad ora avute.»

Non essendo piaciuto l’articolo, s’impegnò una discussione violenta nel circolo. Si parla col pubblico, ch’era nella strada, dal balcone del palazzo Theodoli, e il pubblico grida, schiamazza, chiama Mamiani al ministero, impreca al governo e ai cardinali ministri,1 e grida pure il non più preti. Si annunzia al popolo che le lettere ai cardinali giunte per la posta erano state sequestrate dal Ciceruacchio e suoi, e fu vero: e molto si dovette al coraggio civile dei principi Corsini e Simonetti, e si disse pure anco di un dei Borghese, se non si apersero. Furono portate al municipio, e sulle rimostranze del principe Corsini venner mandate al loro destino. Così si rispiarmò al mondo questo scandalo, coll’esser giunti in tempo, di vedere infranta una delle più sacrosante leggi de’ popoli civili, il segreto postale.2

Il corriere che partiva alle 6 fu arrestato per qualche tempo, ma le preghiere del duca di Rignano prevalsero, e finalmente gli agitatori desistettero e lo lasciaron partire. Intanto anche la polveriera a san Paolo veniva occupata dalle guardie cittadine.

Ma queste illegalità, questa intrusione tumultuaria dello elemento popolare, questo assorbimento violento del potere per parte della civica, miravano evidentemente ad uno scopo, e questo scopo era la distruzione del governo. Al conseguimento di tal fine una nuova convocazione di tutt’i circoli (e sempre nel palazzo Theodoli) venne intimata per le ore sette e mezzo pomeridiane: e questa fu di tutte la più procellosa perchè vi si trattò nientemeno che d’istituire un governo provvisorio e di far reggere Roma dal [p. 263 modifica]popolo. Ma questo estremo progetto non fu adottato stante gli sforzi del Mamiani.3

Parecchi cardinali intanto venivano insultati, e fra questi più acerbamente il cardinale Della Genga. Il duca Salviati però, che era colonnello del 4° battaglione civico, si mosse co’ suoi militi per proteggerlo.

Altri cardinali eran guardati a vista dai civici, e fra questi citeremo Ostini, Ugolini, Gazzoli; parecchi altri fra i quali Antonelli, Lambruschini, Gizzi, Patrizi, Ferretti e Mattei eransi rifugiati presso il Santo Padre al Quirinale.

Nella sera il papa commise al principe Rospigliosi, generale della guardia civica, di prendere con sè il Cardinal Bernetti che era nel palazzo della Cancelleria; ma i civici di guardia, infranta la militar disciplina, e dimenticando ad un tempò che il Rospigliosi era loro capo e oltre a ciò messo speciale del loro padre e sovrano, non solamente vi si opposero, ma (sentiamo ribrezzo nel riferirlo) fecer mostra di spianare contro il medesimo i fucili. Bella riconoscenza fu questa della guardia cittadina verso il pontefice che aveala generosamente istituita!

Le cose per noi accennate fin qui possono dare una idea, ma neppur chiara abbastanza, dello stato di sbigottimento e di perturbazione in cui Roma versava in quel giorno terribile. Circa poi all’utilità della guardia civica, o meglio al danno della sua esistenza, basta aver letto quanto precede per farne giudizio.

Verso la sera si pubblicò al solito la Gazzetta di Roma, nella prima pagina della quale leggevasi quanto segue:

«Il ministero ha umiliato la sera del 29 aprile la sua dimissione al trono di Sua Santità.

» La Santità di Nostro Signore ha accettato questa dimissione, ed ha date disposizioni per la formazione di [p. 264 modifica]un nuovo ministero. Ma siccome queste pratiche non sono fino ad ora riescite, Sua Santità ha significato ai ministri dimissionari il suo intendimento, che essi rimangano al loro ufficio, autorizzandoli a continuare francamente nell’esercizio delle loro attribuzioni.

» Il sostituto del ministro dell’interno, che aveva egli pure data la sua dimissione, rimane in ufficio col ministero.

» Il ministero col suo presidente, unanimi oggi come in passato in tutte le questioni, sta occupandosi con animo italiano di que’ provvedimenti, i quali nello stato attuale delle cose sono dalla sua coscienza tenuti necessarî ed utili al bene dello stato e della causa italiana.»

Il principale di questi provvedimenti ed il più urgente in quel momento tremendo, si fu di spedire il sostituto del ministro dell’interno dottore Carlo Luigi Farini al campo di Carlo Alberto.4 L’oggetto della sua missione fu di ottenere che tanto le soldatesche regolari, quanto i volontari pontifici, fosser presi sotto la sua protezione e considerati come se facessero parte dell’armata piemontese, e così provvedere che fosser trattati dal nemico, se caduti in suo potere, secondo le regole militari in tempo di guerra. Oltre a ciò altra cosa di grave momento accadde in quel tempo.

La mattina del 2 maggio trovossi affisso per le vie di Roma l’atto seguente del pontefice, diretto ai Romani, colla data del primo.


PIUS PP. IX.


«Quando Iddio con una disposizione mirabile ci chiamò a succedere, immeritamente, a tanti sommi pontefici illustri per santità, per dottrina, per prudenza e per altre virtù, noi [p. 265 modifica]conoscemmo all’istante l’importanza, il sommo peso, e le difficoltà gravissime del grande incarico che Dio ci affidava; e alzati a Lui gli sguardi della nostra mente, lo diremo francamente, scoraggiati ed oppressi, lo pregammo ad assisterci con una abbondanza straordinaria di lumi, e di grazie di ogni maniera. Non ignoravamo la posizione sotto tutti i rapporti difficile nella quale ci trovavamo, per cui fu un vero prodigio del Signore, se nei primi mesi dei pontificato noi non soccombemmo alla sola considerazione di tanti mali, che ci pareva venisse logorandoci sensibilmente la vita. Non bastavano a calmare le nostre apprensioni le dimostrazioni di affetto che ci prodigava un popolo, che avevamo tutta la ragione di credere affezionato al proprio padre e sovrano, per cui ci volgemmo con maggiore efficacia ad implorare i soccorsi da Dio per la intercessione della sua Madre santissima, dei santi Apostoli protettori di Roma, e degli altri beati abitatori del cielo. Con queste premesse esaminammo la rettitudine delle nostre intenzioni, e quindi dopo aver preso i consigli di alcuni, e talvolta di tutti i cardinali nostri fratelli, emanammo tutte quelle disposizioni relative all’ordinamento dello stato, che a mano a mano sono comparse fin qui. Furono queste accolte con quel contentamento, e quel plauso che tutti conoscono, e che servivano di abbondante compenso al nostrcr cuore. Intanto sopravvenivano i grandi avvenimenti non solo d’Italia, ma di quasi tutta l’Europa, i quali riscaldando gli animi fecero concepire il disegno di formare dell’Italia una nazione più unita e compatta, da potersi mettere a livello delle altre primarie. Questo sentimento fece insorgere una parte d’Italia anelante di emanciparsi. Corsero i popoli alle armi, e colle armi si stanno ancora misurando i contendenti. Non si ristette una parte dei nostri sudditi dall’accorrere spontaneamente a formarsi in ordine di milizia; ma organizzati, e provveduti di capi, ebbero istruzione di arrestarsi ai confini dello stato. E a queste istruzioni concordavano le spiegazioni [p. 266 modifica]che demmo a’ rappresentanti di estere nazioni, e persino le più calde esortazioni a que’ militi stessi, che a noi vollero presentarsi prima della loro sortita. Nessuno ignora le parole da noi pronunziate nell1 ultima allocuzione, cioè che noi siamo alieni dal dichiarare una guerra, ma nel tempo smesso ci protestiamo incapaci d’infrenare l’ardore di quella parte di sudditi che è animata dallo stesso spirito di nazionalità degli altri Italiani. E qui non vogliamo tacervi di non aver dimenticato anche in. tal circostanza le cure di padre e sovrano provvedendo, ne’ modi che reputammo più efficaci, alla maggiore incolumità possibile di que’ figli e sudditi che già si trovano senza nostro volere esposti alle vicende della guerra. Le nostre parole di sopra accennate hanno destato una commozione che minaccia d’irrompere ad atti violenti, e non rispettando nemmen le persone, calpestando ogni diritto, tenta (o gran Dio, ci si gela il cuore nel pronunziarlo!) di tingere le vie della capitale del mondo cattolico col sangue di venerande persone, designate vittime innocenti per saziare le volontà sfrenate di chi non vuol ragionare. E sarà questo il compenso che si attendeva un pontefice sovrano ai moltiplicati tratti dell’amor suo verso il popolo? Popule meus quid feci tibi? Non si avveggono questi infelici, che oltre l’enorme eccesso del quale si macchierebbero, e lo scandalo incalcolabile che darebbero a tutto il mondo, non farebbero che oltraggiare la causa che pretendono di trattare, riempiendo Roma, lo stato, e l’Italia tutta di una serie infinita di mali? E in questo, o simili casi (che Dio tenga lontani) potrebbe mai rimanere ozioso nelle nostre mani il potere spirituale che Dio ci ha dato? Conoscano tutti una volta che noi sentiamo la grandezza della nostra dignità e la forza del nostro potere.

» Salvate, o Signore, la vostra Roma da tanti mali, illuminate coloro che non vogliono ascoltare la voce del [p. 267 modifica]vostro vicario, riconducete tutti a più sani consigli, sicchè obbedienti a chi li governa, passino men tristi i loro giorni nell’esercizio dei doveri di buoni cristiani, senza di che non si può essere, nè buoni sudditi, nè buoni cittadini.

» Datum Romæ apud Sanctam Mariam Majorem die prima maii MDCCCXLVIII, Pontificatus nostri anno secundo

Pius PP. IX.5


Quest’atto diretto ai Romani dal loro padre e sovrano Pio IX, da quel padre e sovrano ch’erasi portato al sommo della glorificazione, quest’atto, diciamo, venne, appena affisso in alcuni punti della città, lacerato sfrontatamente e impunemente dagli uomini della rivoluzione; cosicchè pochissimi fra i Romani lo conobbero, tanto più che neppure venne inserito nella Gazzetta di Roma. Questa era la vantata libertà della stampa di quei tempi!.... E siccome non fu stampato nella tipografia camerale, sibbene nella stamperia segreta della segreteria di stato, cosi non se n’ebbe copia e non n’esiste esemplare veruno nell’archivio della tipografia della Camera apostolica. L’Epoca ed il Labaro lo riportarono per intero. Il Contemporaneo non ne dette che un cenno.6

La enormità dei fatti del 30 di aprile e del 1 di maggio fu tale, che lo stesso direttore di polizia, avvocato Giuseppe Galletti, richiamandosene, emise il 2 un indirizzo ai Romani, ove fra le altre cose leggevasi:

«Le temenze, le speranze, gli affetti che ingombrarono gli animi di questa città nei due giorni trascorsi, la commossero a molti atti, che comunque dettati da mire di cautela e di pubblica sicurezza, pure hanno nota di arbitrio: [p. 268 modifica]perocchè operati senza l’intervento del mio ministero, cui è dato dalla legge il vegliare sull’ordine pubblico, ed il provvedere. Io cesserei di fatto dai miei poteri per opera vostra, o cittadini, quando proseguiste a fare voi quello che spetta a me.»7

Si ebbe così per parte di uno degli uomini più segnalati della romana rivoluzione la prova incontestabile che Roma era caduta nell’anarchia, e che il popolò sotto il comando dei circoli si era abbandonato ad ogni sorta d’illegalità.

Il principe Rospigliosi poi, quello stesso al quale disobbedirono i civici impedendogli di prendere con sè il Cardinal Bernetti, emise un ordine del giorno cui appose la firma anche il duca di Rignano. Detto ordine del giorno era in questi termini:


«Alla milizia cittadina,


«Voi, o militi cittadini di Roma, avete dato le più grandi prove dell’amore, dell’ordine e della pubblica sicurezza, avete in mille occasioni ben meritato della patria vostra. Ora voi siete di nuovo chiamati a farlo colla vostra persona. Non si tratta che di serbare l’ordine, di mantenere la libertà a tutti i cittadini, di lasciare che il governo a scanso di mali maggiori prenda le sue deliberazioni senza fretta e senza coazione.

»La guardia civica riceverà gli ordini dai suoi capi, i quali sono in continuo rapporto col ministero. È questa ancora una prova di liberalismo e di civiltà che da voi si richiede. Voi, o generosi Romani, per questi pregi [p. 269 modifica]maste già, e in ispecie poi da due anni, l’ammirazione d’Italia; nè certo vorrete sminuire minimamente la vostra bella fama in questo incontro.

» Li 2 maggio 1848.»

Il tenente generale

Principe Rospigliosi.

Per copia conforme all’originale ec.

Il generale di brigata, capo dello stato maggiore

Duca di Rignano.8



Anche il municipio emise un atto nel detto giorno, che non è riportato nella gazzetta, e che noi riporteremo in sommario.9 Esso è diretto al comando generale ed ai tenenti colonnelli della civica. Convien credere però che i temperamenti proposti dal senato non ottenesser la sanzione di Sua Santità, perchè non ci costa affatto che venissero posti in esecuzione. A ciò deve attribuirsi il non esser questo atto inserito nella Gazzetta di Roma. L’atto però esiste, e quindi è nostro dovere di riferirlo siccome faremo.

Con quanto abbiamo narrato si viene a conoscere come passaronsi le cose il giorno 2 nel qual$ l’agitazione pareva giunta al suo colmo, perchè nella mattina si fece batter la generale, e poco dopo la civica si trovò tutta sotto le armi nei rispettivi quartieri. Il duca di Rignano intanto visitavala, encomiavala, ed istigavala a rimanere quale baluardo dell’ordine pubblico.

Intanto osservavansi in molte parti della città riunioni dì cittadini; lo sbigottimento leggevasi in tutti i volti; e da ogni lato sorger vedevi oratori che sugli eventi del giorno concionavano, e i partiti più estremi sfacciatamente proponevano. E fra questi non un solo tu udivi che assumesse le difese del papa, e si sforzasse di lenire gli animi concitati.

[p. 270 modifica]In tali emergenze il conte Mamiani venne chiamato dal pontefice per comporre il nuovo ministero. Ebbe luogo l’abboccamento, ma nulla si penetrò sui risultati. Gl’inviati napolitani imprecavano al loro governo che avesseli mandati in Roma, ove in vece di un Giulio II avevan trovato un papa mansueto e pacifico, e di ciò far fede i sentimenti nell’allocuzione espressi.

Allora come se poche fossero state le illegalità commesse , ne venne proposta un’altra, e fu quella di far compilare dalla civica un indirizzo al conte Mamiani in senso di adesione al suo famoso programma.

Ciò venne consentito all’istante. Ma siccome era impossibile in tanta strettezza di tempo consultar legalmente un corpo sì numeroso, si andò per le brevi, e si scelsero alcuni deputati che rappresentasserlo. L’indirizzo fu approvato: e così non solo si commise la massima delle illegalità, perchè si convertì la guardia civica in un corpo deliberante, ma si fecer votare taluni deputati che a caso si rinvennero, per fare dir loro il proprio sentimento in nome di tutti, ingannando così e compromettendo un corpo di nove o diecimila cittadini. Tali enormità non solo passavano inosservate, ma se qualche voce udivasi, era per encomiarle. Tanto erano i Romani per la massima parte ignari ed inesperti di cose politiche, che il costituire un corpo armato in potere politico deliberante, a foggia degli antichi pretoriani, parve un nonnulla, mentre avrebbe dovuto apertamente respingersi e riprovarsi.

Questo indirizzo però venne sottoscritto il 3 maggio, e pubblicato il 4. Noi sotto il giorno 4 di maggio lo riporteremo.

Siam sempre al 3, e in detto giorno non fu stampato il solito foglio della Gazzetta di Roma. In vece, nelle ore pomeridiane, fu pubblicato un foglietto sotto il titolo di Supplemento officiale alla Gazzetta di Roma'', e diceva così:

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«Roma, 3 maggio 1848.


»La tranquillità della città non fu ieri turbata. La guardia civica era sotto le armi a tutela dell’ordine pubblico. In questo stato di cose, ed essendosi provveduto alla situazione ed incolumità delle truppe, delle guardie civiche e de’ volontari pontifici che si trovano di là dal Po, mediante la missione speciale del signor Carlo Luigi Farini sostituto del ministro dell’interno, il ministero pregò Sua Santità a volergli permettere di cessare dalle funzioni che provvisoriamente aveva riassunto.

»Sua Santità, mentre si è degnata di aderire a questa dimanda, ha incaricato il signor conte Terenzio Mamiani della formazione del nuovo ministero: il quale, con quel patrio interessamento che a tutti è noto, ha accettato senza indugio l’importantissima commissione. Intanto la stessa Santità Sua ha dato l’incarico ad interim ai sostituti dei suddetti ministri, supplendo ai mancanti con provvisoria destinazione, di spedire gli affari sotto la presidenza del sostituto del ministro degli affari esteri, finchè sia composto il nuovo ministero.

»Alla guardia civica è affidata, ora come sempre, la tutela e la sicurezza pubblica.»10

Eran le cose in questo stato, che il papa, ad onta degli sforzi molteplici che da ogni parte facevansi per rimuoverlo, non recedeva dalla presa risoluzione. E i circoli e gli uomini del movimento non desistevano dal volere ad ogni costo che si discacciasser gli Austriaci dal suolo italiano.

In tale condizione di cose conveniva adottare qualche temperamento, e si pensò quindi a mettere in azione il municipio che come rappresentante la città di Roma, esercitasse ogni sua possa per consigliare al pontefice non più di dichiarar la guerra all’Austria, sibbene d’invitarla alla pace col ritirarsi spontaneamente dall’Italia.

[p. 272 modifica]Riunitisi pertanto il 3 di maggio il senato ed il Consiglio di Roma, fu decretato il seguente


Indirizzo a Suà Santità.


«Beatissimo Padre,

»Altre volte accoglieste con benignità il romano senato all orchè adempiva al dovere che Voi gl’imponeste, di esporvi lealmente i voti dei cittadini. Non vi sarà oggi molesto sa nella gravezza delle attuali circostanze, e fra le agitazioni del popolo, prostrasi innanzi a Voi per confermarvi in iscritto, colla stessa lealtà, i motivi di tali agitazioni ed il convicimento comune dei Romani, quale nei passati giorni stimò opportuno farvi noto con particolari discorsi.

»L’affetto, la riverenza di tutti verso la sacra persona di vostra Santità era non più un dovere, ma un bisogno per gustare ogni allegrezza, per alleviare la tristezza di ogni infortunio. E se pubblica calamità ne sovrastasse, non altro pensiero angustiava i vostri sudditi, tranne quello che a Voi potesse venirne afflizione. Il perchè l’attentato degli Austriaci di occupare militarmente Ferrara, ed il rammarico che Voi provaste per tale violenza, eccitò nei vostri sudditi così profonda indignazione, che se poterono per vostra opera frenarsene i momentanei effetti, non ne fu però estinta la memoria e l’ardore. E poiché l’attentato mirava ad impedire i miglioramenti che Voi stimaste opportuni al vantaggio dei vostri popoli, dovea necessariamente derivarne sdegno agli altri popoli d’Italia, ed a quelli specialmente che gemevano sotto il dominio austriaco, e vedeano tolta loro anche la speranza di ottenere ciò che reclamava il bisogno universale e la conservazione della umana dignità. In tal guisa i popoli d’Italia sentirono tutti in un punto il medesimo impulso, e la necessità [p. 273 modifica]a tutti comune di liberarsi dalla straniera influenza. La mano di Dio secondò il voto dei popoli. Numerosi eserciti fuggirono a fronte di cittadini inermi, e si fu subito in istato di combattere la causa italiana. Voi permetteste alle vostre truppe di marciare alla difesa dello stato, e con esse accorsero volenterose le milizie cittadine infiammate da venerazione per Voi, dal desiderio di vendicare un attentato di recente ricordanza, e rimuovere il pericolo che altri potessero rinnovarsi.

»In questo stato di comune entusiasmo, Voi nel concistoro del 29 aprile pronunciaste solenni parole. Narraste e confutaste le calunnie artificiose degli Austriaci nel designarvi autore dei movimenti italiani, non che le minaccie di religiose dissensioni. E ciò commosse sempre più i cittadini per unirsi con maggiore ardore ai vicini popoli, ed agire operosamente nella causa comune. Imperciocchè dovettero attribuire le calunnie e le minaccie a meschino e corrotto artificio per indurre titubanza nel vostro animo. Ma queste arti non potranno mai prevalere al confronto della verità da tutte le nazioni conosciuta, che cioè il movimento italiano, da lungo tempo radicato negli animi, ebbe decisivo impulso dagli attentati dell’Austria stessa in Italia, nè può da compri calunniatori rovesciarsi in alcun modo su Voi.

»Nonostante voleste Voi temperare il risentimento per così orrendi attentati, e profferendo la parola del sommo sacerdote, dichiaraste non essere del vostro consiglio, perchè vicario del Dio di pace, intraprendere con gli altri principi italiani la guerra contro l’Austria. Ed a questa dichiarazione deesi attribuire la universale agitazione. Si credette ravvisarvi un colpo fatale alla causa italiana sentita profondamente da tutti. Si stimò che Voi abbandonaste i vostri sudditi alle conseguenze più tremende di un loro capriccio. Si pensò che il giudicio solenne del pontefice avesse dichiarata ingiusta la guerra che tutti gl’italiani con la stessa fermezza guerreggiano.

[p. 274 modifica]»E qui non dobbiamo occultarvi come ad un tratto si ridestarono alcune opinioni delle quali avevate Voi riportato illustre e compiuto trionfò. Pur troppo, Padre Santo, all’agitazione politica vedemmo associarsi altre idee, che per quanto svaniscano in un popolo religioso al primo tornare della calma, dee però procurarsi che mai non si possano riprodurre.

»Accennati i motivi di agitazione, il Senato vuol noto a Voi l’universale convincimento, che necessaria e giusta è l’unione di armi con gli altri popoli italiani. Non può frenarsi, e lo diceste Voi medesimo, l’impeto de’ vostri sudditi per tale unione. Non può un popolo condannarsi a perpetuo disprezzo, perchè solo non abbia contribuito alla salvezza della famiglia italiana, della quale non crede essere infima parte. Nè ciò forse può vedersi con indifferenza dai vicini popoli. Quindi il pericolo, o di mostruosa anarchia, o di altra dominazione. Mali così gravi possono per sempre allontanarsi con prender parte alla guerra. Chi dunque non la riterrebbe politicamente necessaria?

»E la stessa necessità ne include la giustizia. È sempre giusto che un popolo provveda alla propria salvezza. È sempre giusto che un sovrano assicuri la incolumità del suo stato. È sempre giusta una guerra che allontana l’anarchia o l’invasione. Oltre di che non è egli forse di stretta giustizia combattere una nazione che occupi fortezze e paesi appartenenti al pontefice? Fino ad ora nella mancanza di forze materiali si contennero i pontefici a protestare di tali usurpazioni, che avrebbero dovuto rivendicare, potendolo, colle armi, per non mancare al debito di conservare intatto lo stato dal dominio straniero. Ora che si ha la forza congiunta di tutta l’Italia non può credersi ingiusto che le sterili proteste siano convertite nell’azione. Onde i vostri sudditi sono convinti della necessità e giustizia della guerra italiana. Nè la ritengono disdicevole al pontificato. Le crudeltà delle [p. 275 modifica]milizie austriache, gli attentati più sacrileghi alla santità dei tempi, le calunnie che si vomitarono contro il pontefice senza che ne fosse represso l’abuso, sono tali atti da non lasciarsi impuniti. Se nella immensa carità del vostro animo inalzate a Dio la preghiera anche pel nemico, questa sublimità di evangelica perfezione giustifica bastevolmente il vostro desiderio per la pace,l’abborrimento da voi dichiarato per la guerra con ogni nazione; ma non V’impedisce l’uso dei legittimi mezzi per reprimerne l’audacia. I vostri sudditi ascoltano riverentemente la parola del pontefice; ma non possono dimenticare in Voi la qualifica di sovrano temporale. Dopo che dunque manifestaste i consigli del sacerdote, il vostro popolo raccomanda a Voi sovrauo la salvezza, il decoro, la propria dignità. Non chiede che Voi, nunzio di pace, lo provochiate alla guerra; ma che non impediate di provvedere alla guerra col mezzo di coloro ai quali voleste affidate le cose temporali. Non chiede che abbiate a sopprimere il consiglio del vostro animo, e l’abborrimento sacerdotale da una guerra fra credenti; ma solo che provvediate alla tranquillità d’Italia tutta, ed allontaniate anche il sospetto che un vostro solenne giudizio abbia dichiarata ingiusta la guerra che gl’italiani congiuntamente combattono per la salvezza della patria comune. Proclamate Padre Santo, la giustizia ed il diritto dell’Italia intera per rivendicare la propria indipendenza e nazionalità. Questa parola sarà bastevole a ricondurre nei popoli la tranquillità, ed impedire le interpretazioni con cui lo straniero vorrebbe far credere pronunciata da Voi l’ingiustizia della nostra causa. Dopo ciò vi saranno tutti riconoscenti se nella mitezza del vostro animo, e senza sospendere le operazioni militari, riuscirete con consigli di pace a finire la quistione sulla base del totale sgombramento degli Austriaci, e della piena indipendenza e nazionalità dell’Italia. Saranno a Voi riconoscenti se giungerete a presiedere una Dieta italiana per regolarne l’interno [p. 276 modifica]andamento. Benediranno sempre il nome del grande pontetefice, che benedisse e salvò la patria comune. Questi voti, Padre Santo, vi attestino che noi attendiamo da Voi solo la nostra felicità, mentre ne imploriamo riverenti su noi stessi, su le milizie cittadine, sopra la città tutta l’apostolica benedizione.

» Tommaso Corsini senatore   conservatori.
» Marc’Antonio Borghese
» Filippo Andrea Doria
» Clemente Laval della Fargna
» Carlo Armellini
» Vincenzo Colonna
» Francesco Sturbinetti
» Antonio Bianchini
» Ottavio Scaramucci
» Giuseppe Rossi segretario11


E in seguito di questo indirizzo il Santo Padre diresse all’imperatore di Austria la lettera seguente la quale per altro non ebbe corso che ventiquattro giorni dopo, come meglio si dirà in appresso.

«Maestà!

» Fu sempre consueto che da questa Santa Sede si prònunciasse una parola di pace in mezzo alle guerre che insaguinavano il suolo cristiano; e nella nostra allocuzione dei 29 decorso, mentre abbiamo detto che rifugge il nostro cuore paterno di dichiarare una guerra, abbiamo espressamente annunziato l’ardente nostro desiderio di contribuire alla pace. Non sia dunque discaro alla Maestà vostra che noi ci rivolgiamo alla sua pietà e religione, esortandola con paterno affetto a far cessare le sue armi da [p. 277 modifica]una guerra, che senza potere riconquistare all’Impero gli animi dei Lombardi e dei Veneti, trae con sè la funesta serie di calamità che sogliono accompagnarla e che sono da Lei certamente aborrite e detestate.

»Non sia discaro alla generosa nazione tedesca che noi la invitiamo a deporre gli odii, ed a convertire in utili relazioni di amichevole vicinato una dominazione che non sarebbe nobile nè felice, quando sul ferro unicamente posasse.

»Così noi confidiamo che la nazione stessa, onestamente altera della nazionalità propria, non metterà l’onor suo in sanguinosi tentativi contro la nazione italiana: ma lo metterà piuttosto nel riconoscerla nobilmente per sorella, come entrambe sono figliuole nostre e al cuor nostro carissime; riducendosi ad abitare ciascuna i naturali confini con onorevoli patti, e con la benedizione del Signore.

»Preghiamo intanto il Datore d’ogni lume e l’Autore di ogni bene, che inspiri la Maestà vostra di santi consigli; mentre dall’intimo del cuore diamo a Lei, a sua Maestà l’imperatrice, e all’imperiale famiglia l’apostolica benedizione.

»Datum Romæ apud Sanctam Mariam Majorem, die tertia maii anno MDGCCXLVIII, Pontificatus nostri anno secundo


Pius PP. IX.


Questa lettera per verità non fu inserita nella Gazzetta di Roma, ma venne tre settimane dopo stampata e circolò pubblicamente. Il governo non la smentì, anzi quella gazzetta ne parlò il 29 maggio,12 ed il Farini più tardi la riportò per intero nella sua storia.13

[p. 278 modifica]La sua esistenza pertanto è certa; ma siccome eccitò in seguito molti clamori ed osservazioni a carico del Santo Padre che la scrisse tutta di proprio pugno, vogliamo dire alcun che in sua difesa.

Egli è incontestabile che la parte più intelligente e vivace de’ popoli italiani non amasse gli Austriaci e li volesse fuori dall’Italia; è incontestabile del pari che il pontefice non amasse la guerra e desiderasse anzi la tranquillità di Italia: ed appunto per ciò, penetrato e convinto che la presenza degli Austriaci fosse causa o pretesto di perturbazioni e di guerre, credette di adottare un espediente che senza metterlo in contradizione colla sua missione tutta pacifica e conciliatrice, gli facesse raggiunger lo scopo.

La lettera summenzionata poi o l’eccitamento a scriverla venne piuttosto dal detto indirizzo del municipio romano; cosicchè può dirsi che la prima ressa venne esercitata dal laicato civile.

Ma il mettersi in opposizione col municipio che in quei giorni rappresentava lo spirito del movimento suscitatosi in Roma ed ove figuravano tanti nomi rispettabilissimi, sarebbe stata cosa imprudente e pericolosa: imperocchè quegli agitatori stessi che, come abbiamo raccontato, avevano spinto Roma sull’orlo del precipizio, e cui a gran fatica era riuscito di calmare per mezzo della famosa allocuzione, dicevan pubblicamente: «Che voi, Padre Santo, non vogliate pronunziare la parola di guerra sta bene: ma ciò non esclude che voi possiate pronunciare quella di pace mediante una esortazione agli Austriaci di ritirarsi dal suolo d’Italia. La vostra voce oggi è onnipotente, e sol che voi vogliate farla sentire, l’Italia sarà salva.»

Queste voci è vero eran per la massima parte non romane, ma eran voci potentissime perchè allucinavano e trascinavano gran parte dei Romani a ripeterle e rafforzarle colla loro adesione. I Mamiani, i Farini, i d’Azeglio, gli Sterbini, i Fiorentino, i Galletti erano i primi a pronunziarle e questi non eran romani; ma i Romani venivano in [p. 279 modifica]seconda linea ed ai primi si univano. Abbiamo aggiuntò questa avvertenza per meglio chiarire il naturale andamento delle cose in allora.

Nè valga il dire che un semplice invito del papa in quei frangenti fosse inopportuno e inefficace. Certo che in oggi ritornato l’impero austriaco in tutta la sua possanza, una lettera simile a quella diretta all’imperatore avrebbe potuto eccitar le risa; ma in quel tempo anche l’Austria vacillava, perchè anche là era il tarlo cui forse le leggi giuseppine avean dato origine ed alimento, e con tutte le sue armate, i suoi rigori e la sua solerte polizia non seppe andare immune dalla procella che tutto sconvolse e la pose in tal pericolo, che mesi dopo, per ischermirsi dai colpi gagliardi degli Ungheresi, le fu d’uopo avere ricorso alle armate dell’autocrate russo. Questi son fatti e fatti significantissimi, perchè provano fino all’ultima evidenza che senza il soccorso altrui che lo sorreggesse, l’impero austriaco era in tale decadimento da non potersi rialzare colle proprie forze soltanto.14

Che se avesse durato il prestigio del viva Pio IX e fosse stato sincero quel che era falsità e tradimento, e se i rivoluzionari non l’avessero per le loro esorbitanze rotta col papato, non sarebbe stato improbabile che ciò che in oggi sembra ridicolo all’Austria ed a’ suoi aderenti, un giorno non fosse riuscito per essi lacrimevole e fatale: imperocchè dovrassi pur convenirne che nella sua debolezza fisica la forza e il prestigio morale di Roma sono tuttavia onnipossenti.

E quantunque anche prima del 1846 molto fuoco ardesse sotto la cenere, tuttavia il movimento romano, il quale sebbene capitanato da individui a Roma estranei, ebbe da Roma il suo incominciamento, fu quello che diè impulso e vita al movimento italiano, e questo a quelli di Francia e di tutta l’Europa. Ed in proposito di quel [p. 280 modifica]di Francia disse il Gioberti che la rivoluzione di febbraio fu la vendetta d’Italia tradita dall’Orleanese.15

Ma ricordiamoci pur anco che la rivoluzione nella sua scaltrezza, vista la propria insufficienza e la impossibilità di sommuovere il mondo da per se sola, introdusse per divisa ed insegna il Viva Pio IX, ammantandosi sotto questo nome venerando per riuscir nell’intento.

E questa verità non venne forse proclamata da uno dei campioni del movimento italiano Carlo Bonaparte principe di Canino, quando nel suo discorso al Consiglio dei deputati il 7 agosto 1848 disse le parole seguenti?

«Pio IX fu l’iniziatore del movimento italiano. Egli solo potè muovere le masse, che nè il carbonarismo, nè la giovane Italia avevano potuto trascinare alla sacra causa italiana! Al grido di viva Pio IX liberavasila magnanima Palermo. Al grido di Pio IX rispondeva la generosa Milano!...16

Nè con questo intendiamo che il papato avesse dovuto gittare un guanto di sfida all’Austria. Ciò ripugna troppo all’indole pacifica e mansueta del medesimo ed ai principi di rispetto ai diritti internazionali, che animano il suo governo. Bensì diciamo e sosteniamo che in quei momenti di fanatismo irrefrenabile per gli uni e di sbalordimento per gli altri, se il papa avesse capitanato realmente il movimento italiano, la Lombardia sfuggiva assolutamente di mano agli Austriaci. Dio solo sa se variate le vicende, l’avrebbero poi ricuperata un giorno.

Nè monta che il duce sostenitore del governo austriaco in Italia generale Radetzky, posto al cimento in campo aperto, vincesse gli assalitori, poichè quando vinse pesava già nella bilancia a favore dell’Austria l’effetto dell’allocuzione pontificia del 29 di aprile, e quel pondo che passò a gravitare in pro della bilancia austriaca fu sottratto da quella degl’italiani e quindi fu doppio, perchè [p. 281 modifica]tanto accrebbe di fidanza nell’oste nemica, quanto ne scemò nelle italiche falangi.

Ma ove le antiche illusioni avesser retto, resterà per 10 meno sempre problematico se il valore e la disciplina delle armate austriache state fossero equipollenti a bilanciare gli effetti di tali illusioni o speranze degl’italiani credenti o fingenti di credere nell’appoggio del papa.

Son queste pertanto le considerazioni che giustificano 11 Santo Padre dell’essersi indotto a scrivere quella famosa lettera, la quale recata all’imperatore molto più tardi di quel che volevasi, incontrò difficoltà per essere ricevuta dal medesimo, stantechè alcuni giornali prima che fosse presentata, ne avevan già fatto la pubblicazione. Si dovette agli sforzi di monsignor Viale-Prelà nunzio apostolico in Vienna, se l’imperatore volle finalmente a riceverla. Ma di ciò tratteremo più ampiamente nel capitolo seguente.

Il pontefice poi, il quale coll’atto del 29 aprile adempiva il dover suo di dichiarare al cospetto del mondo tutto il suo abborrimento della guerra, intese di provvedere con la lettera di sopra memorata alla salvezza de’ suoi figli che, quantunque contro il suo volere, eran corsi sul campo, e sedare per sempre la concitazione degli animi rimovendone la causa, cioè gli Austriaci dal suolo italiano.

Qualche espediente per fermo rendevasi necessario, perchè Roma era in sommossa non solo, ma in perfetto stato di anarchia, come di sopra abbiam raccontato. Si ritorni col pensiero a quei tristi momenti, e si converrà che il proposto temperamento sembrar dovesse il migliore Mentre però sosteniamo che tale fu ed è la forza del papato, che se in allora il Santo Padre si fosse posto realmente, come da molti volevasi, a capo del movimento per allontanar gli Austriaci dall’Italia, vi sarebbe riuscito; non possiamo non estollere a cielo la sua condotta in quei terribili momenti perchè esso, a costo di perdere la popolarità di cui godeva e che tanto lusingar doveva l’amor [p. 282 modifica]proprio di un essere mortale, a costo d’incontrare ’mille disgusti e amarezze, scelse piuttosto di pubblicare l’allocuzione per dire al mondo: «No, non è vero che io sono alla testa del movimento italiano, come si è voluto far credere; non cerco e non voglio ingrandimento di territorio; abborrisco dalla guerra e dal sangue; e per me, Italiani o Austriaci, Francesi o Spagnoli, son tutti figli egualmente, e tutti devo amare come padre amoroso

No non volle il pontefice postergar la giustizia e il diritto alle grandezze di terrena dominazione, o meglio al primato d’Italia che forse sarebbesi procacciato; respinse una occasione, che sì propizia non tornerà giammai; e con ciò venne a provare al mondo intero quanto si rispettino da Roma i trattati esistenti ed i diritti acquisiti, e quanto ingiuste e calunniose fosser le insinuazioni che nello scorso secolo sopra tutto si fecero correre contro l’ambizione dei papi, e che allora allucinarono e intimorirono presso che tutte le corti di Europa, quasi che il papato ove non fosse infrenato a tempo, aspirasse niente meno che alla dominazione universale.

Ripetiamo che occasione più favorevole di quella del 1848 non tornerà giammai, e il papato non l’afferrò perchè il pontificio governo non è informato da principi di ambizione e di dominazione terrena, ma da quelli di mansuetudine, di ordine, di giustizia e di rispetto pei diritti dagli altri acquisiti.

Avendo detto della lettera all’imperatore d’Austria quanto occorre per ora, torniamo ad altre cose avvenute il 3 di maggio.

Diremo quindi che il pubblico fu avvisato come nella sera alle ore 8 ½ vi sarebbe stata riunione in casa del principe Doria delle persone designate a far parte del nuovo ministero, alle quali il conte Mamiani avrebbe letto il suo programma politico, sulle basi del quale era già d’accordo con Sua Santità.17

[p. 283 modifica]Da ciò si comprese che il Mamiani era riuscito di formare il suo ministero; e questo bastò perchè l’agitazione che teneva gli spiriti tutti trepidanti, cessasse, ed ai commovimenti sottentrasse la calma.

Il 4 di maggio pertanto annunziossi nel giornale officiale, ch’era la Gazzetta di Roma, la composizione del nuovo ministero nel modo seguente:


Presidente del Consiglio dei ministri.

Il cardinale Ciacchi, e per interim il cardinale Orioli.


Ministro degli affari esteri secolari

Il conte Giovanni Marchetti.


Ministro dell’interno

Il conte Terenzio Mamiani.


Ministro di grazia e giustizia

L’avvocato Pasquale De Rossi, consultore.


Ministro delle finanze

L’avvocato Giuseppe Lunati, consultore.


Ministro delle armi

Il principe Don Filippo Doria Pamphily.


Ministro del commercio e de’ lavori pubblici

Don Mario Massimo duca di Rignano.


Ministro di polizia

L’avvocato Giuseppe Galletti. 18


Saputosi appena che il ministero Mamiani era costituito, l’indirizzo della guardia civica di cui parlammo più sopra venne presentato al conte Mamiani, il quale, come ministro dell’interno, dava nome e colore al ministero.

Anche questo atto che è l’ultimo di quelli che cagionò l’insurrezione suscitata in Roma dall’allocuzione del 29 di aprile, è meritevole di essere riportato; diceva così:

[p. 284 modifica]

«Indirizzo


»della guardia civica di Roma a sua eccellenza il signor conte Terenzio Mamiani presidente (sic) del Consiglio dei ministri.


»Eccellenza!


»La guardia civica di Roma concorde alla volontà universale del popolo, lieta oltremodo della nomina di lei, signor conte, alla presidenza del ministero, e riponendo in lei tutta la sua fiducia viene ad appoggiare colla sua unanime adesione i principi politici da lei sempre professati, ch’ella ha ultimamente dichiarato nel programma pubblicato nell’Epoca n. 35 perchè servisse di norma alle future elezioni dei deputati. Fra i principi ivi emessi la guardia civica di Roma, per ciò che risguarda la gran questione della indipendenza italiana, desidera che lealmente e francamente si eseguiscano per via di fatto quelli indicati nei §§ 9 e 10 che qui si trascrivono.

»§ 9. Procurare per prima cosa di aiutare la guerra santa con ogni maniera ed efficacia di mezzi; nè fermarsi agli effetti del primo ardore, ma ripeterli ed aumentarli via via con infaticabile zelo.

»Dee poi procurarsi che in essa guerra sia mantenuta l’unità di comando e di azione, senza la quale ogni cooperazione diventa vana, e non può sussistere vero esercito nazionale.

»Similmente si dee volere che allato all’esercito nazionale compongasi subito una marineria pur nazionale con altrettanta unità di comando e di azione.

»Secondamente dee procacciarsi con ogni studio la pronta convocazione d’una Dieta italiana composta di rappresentanti eletti popolarmente e investita di [p. 285 modifica]amplissime facoltà per deliberare e decretare intorno agl’interessi comuni della nazione.

»In generale poi si dee procacciare che le relazioni di fratellanza e di unione fra i diversi stati italiani aumentino di giorno in giorno siffattamente, che tutti essi confondano ognora più l’autonomia propria nella comune, e giungasi infine al temperamento migliore della varietà con l’unità e dell’azione libera individuale con l’azione omogenea e disciplinata delle moltitudini.

»§ 10. Per ultimo circa alla politica nostra per rispetto alle altre nazioni, si desidera che sì ogni governo particolare e sì la Dieta italiana vogliano

»1.° Concorrere alla ricognizione e ricostruzione delle nazionalità conculcate e smembrate.

»2.° Stringersi d’amicizia sincera coi popoli liberi e serbare coi govetni assoluti le relazioni sole che la pace universale e gl’interessi del commercio richieggono.

»3.° Confidare in se medesimi e- non negli aiuti e promesse d’alcuno straniero.

»4.° Promuovere un patto nuovo e un nuovo solenne trattato fra i popoli conforme ai veri interessi di ciascheduno di loro e ai principi naturali e perpetui del diritto internazionale.

»5.° Con l’Austria non transigere mai e non fermare la pace finchè le Alpi non segnino da ogni banda i confini d’Italia dal Varo al Brennero, e da questo al Quarnero.

»Infine la diplomazia nostra divenga degna di una nazione libera e grande e che ricordi la romana magnanimità. Fugga le dissimulazioni e gl’inganni, mostrisi tanto moderata quanto risoluta e animosa, così franca ed aperta,, così popolare e generosa come avveduta, pronta ed imperturbata.

»La guarda civica in fine desidera che il nuovo ministero faccia conoscere al pubblico di qual natura siano i provvedimenti presi dal governo per mettere i nostri [p. 286 modifica]fratelli combattenti sotto la tutela del diritto delle genti in istato di guerra.

»Chiamati i militi della civica di Roma nei diversi battaglioni hanno unanimemente convenuto nel presente indirizzo, autorizzando alla firma i sottoscritti, deputati che avevano eletti per la redazione del medesimo.

Sottoscritti all’indirizzo:

Battne 7 capitani e 2 tenenti.
id. 1 capitano e 2 comuni.
id. 2 capitani e 2 comuni.
id. 3 capitani e 3 comuni cioè dottor Pietro Guerrini, Pietro Sterbini ed Angelo Brunetti detto Ciceruacchio.
id. 1 tenente colonnello, 1 capitano e 1 sotto tenente.
id. 1 tenente e 1 comune.
id. 1 maggiore, 1 capitano e 2 comuni.
id. 1 tenente, 1 sotto tenente, 3 sergenti e 1 comune, Sisto Vinciguerra.
id. 2 capitani 1 tenente, 1 sotto tenente, 1 sormonta e 1 comune.
10° 11° 12° id. 1 capitano, 1 tenente, 1 sergente, 1 capitano e 1 comune.
13° id. (Trastevere) non volle sottoscrivere limitandosi ad approvare quello che avrebbe fatto il Santo Padre.
14° id. (Borgo) 2 tenenti, ed 1 caporale.19


L’indirizzo che abbiamo trascritto fu illegale da cima a fondo perchè non fu vero quello che in esso si asserisce, cioè che i militi chiamati convennero unanimemente: poichè non vi fu nè chiamata nè convocazione dei militi, e tutto si limitò ad un concerto preso tumultuariamente e privatamente fra i [p. 287 modifica]soli soscrittori dell’atto senza che l’universalità dei civici ne avesse conoscenza.

In prova di che l’Epoca stessa, che pure era il giornale del Mamiani, nella narrazione che ci dette dei fatti dei primi di maggio dice che i battaglioni civici non furon chiamati in massa a dare il loro voto, ma che invece eransi riuniti alcuni individui come deputati dei medesimi per formare l’indirizzo.20

La Pallade in un articolo intitolato Non vogliamo partiti disapprova l’indirizzo della civica e lo chiama illegale.21

E se irregolare ed illegale fu chiamato detto atto dagli stessi organi della rivoluzione, male non ci apponemmo noi riprovandolo in tutta la sua estensione.

Ma la ressa che facevasi al Santo Padre per indurlo a dichiarare la guerra all’Austria, non si limitò al ministero, al municipio, alla civica, ed ai circoli, perchè vi si associarono i commissari de’ governi di Sicilia, di Lombardia e di Venezia, i quali ciò fecero non a voce, ma ancor essi mediante un indirizzo che porta la data del 2 maggio22 — Ecco i loro nomi:

per la Sicilia Padre Gioachino Ventura pari del regno.
Emerico de’ conti Amari vice-presidente della Camera dei Comuni.
Barone Casimiro Pisani segretario della Camera dei Comuni.
Giuseppe La Farina membro della Camera dei Comuni.
per la Lombardia Tommaso Piazzoni.
Alberto Quinterio.
per Venezia Castellani Giovan Battista.
Delfin-Boldù.

[p. 288 modifica]Oltracciò l’avvocato Petrocchi romano pubblicò un opuscolo nel quale sosteneva potere il Santo Padre dichiarar la guerra;23 ed il prete Carenzi, genovese, sostenne la stessa opinione con uno scritto dato alle stampe, e che portava il titolo seguente: «Se il governo pontificio possa e debba dichiarare la guerra — Lettera di un sacerdote24 Il Carenzi era amico dello Sterbini.25

Finalmente il letterato napolitano e scrittore di giornali Pier Angelo Fiorentino, il quale ebbe una parte primaria nelle discussioni al casino dei commercianti, pubblicò altro opuscolo ove si concludeva che, poichè il papa non voleva o non poteva dichiarare la guerra, gl’Italiani avrebber saputo fare da sè.26

L’opinione pubblica pertanto non veniva eccitata ed infervorata che per la guerra, perchè i discorsi e gli scritti che esercitavan sul pubblico la loro influenza, non erano che. in detto senso; dal che consegue che non pochi Romani fosser per la guerra, come conducente alla liberazione del suolo d’Italia dagli Austriaci, e che questo quasi generalmente fosse il desiderio che sentivasi manifestare all’aperto e senza reticenza veruna.

L’allocuzione pertanto restò come un atto isolato, chiaramente in opposizione con ciò che figurava come un desiderio comune, e quindi niuno sentivasi che alla medesima facesse plauso.

Bastò questo perchè molti e molti che pur professavano sentimenti caldissimi verso il pontefice, divenissero in un subito freddi come il ghiaccio. Quelli poi la cui tenerezza pel papato non riposava se non che sulla finzione, gridavano apertamente che i preti eran sempre preti, e che nulla di buono, di grande, di generoso era da sperarsi dai medesimi.

[p. 289 modifica]La lettera all’imperatore d’Austria non dispiacque, ma non bastò a calmare gli animi esacerbati. Essa fu presa siccome un correttivo, quasi che il papa, pentito da un lato, e dall’altro non potendo retrocedere, si fosse appigliato a quell’unico temperamento, come il solo mezzo termine che se gli offeriva. Ciò dette coraggio a taluno di riassumerne le difese, ma gli eccessivi che in quel momento prevalevano per operosità ed energia, serravano loro la bocca dicendo che per discacciare i barbari non vi volevan nè lettere nè allocuzioni, ma cannoni. I partigiani di Pio IX ammutolivansi ed ecclissavansi, mentre i suoi avversari sfolgoravan di nuova luce: sicchè l’astro fulgido del pontefice cominciò a precipitare per l’orbita del tramonto.

Il principio che ogni nazione appartenga a se stessa è professato generalmente, e lo professiamo ancor noi; e quindi il desiderio di vedere eliminato l’elemento straniero può considerarsi come un sentimento universale, precipuamente nella parte colta ed intelligente. Avremmo amato le cento volte che le popolazioni di teutonica origine non avesser giammai predominato nella nostra bella penisola, e che, avuto un dì questo malaugurato predominio, lo avesser perduto nell’ultima circoscrizione territoriale dell’anno 1815.

Ma poichè così volle la forza del destino, molti avrebbero amato nel 1848 che si lasciasse nei Germani la persuasione in cui erano, che il papa non li volesse più in Italia.

Forse le cose avrebber preso in tal caso un altro indirizzo.

Ma lo spingerlo a dichiarare la guerra rovinò tutto, e lo costrinse, come padre comune di tutti i fedeli, a protestarsi di amarli tutti indistintamente come suoi figli, e quindi a non potere approvare quella guerra che nell’impeto delle passioni era stata già iniziata.

Ben a ragione pertanto dovemmo allora e dobbiamo ora biasimare coloro che sconsigliatamente spingevano il Santo Padre a questo passo che rovinò tutto l’edificio il [p. 290 modifica]quale non riposava che sopra una falsa persuasione. Ma se questa giovava, e se il disinganno riuscir doveva fatale, perchè mai provocarlo? Perchè spingere la nave su cui accoglievansi i tesori della bramata indipendenza, ad infrangersi allo scoglio incrollabile della coscienza del pontefice?

Nel ricordare poi il desiderio di molti perchè gli Austriaci fosser partiti e per sempre dall’Italia, dobbiamo pur dire che altri non pochi sostenevano non essere poi come un quattro e quattro otto dimostrato che il loro allontanamento perpetuo dall’Italia ne avrebbe formato la felicità, e citavan fra questi il conte Ferdinando Dal Pozzo, già referendario del Consiglio di stato di Napoleone I, primo presidente della Corte imperiale di Genova, e di poi come uno dei capi dell’insurrezione del 1821 in Piemonte costretto di esulare all’estero.27

Essi la ragionavan così:

L’Austria come potenza forte e rispettabile preserva i varî stati italiani dalle prepotenti ambizioni che susciterebbonsi dagli uni a danno degli altri, risparmia quindi ai vari stati la guerra civile peggiore di tutti i flagelli, e giova a conservare l’indipendenza. Aggiungevano ancora che siccome ogni stato preso isolatamente potrebbe essere minacciato dallo stato vicino ed esser causa di dissidi e di guerre, la sola presenza dell’Austria tenere tutti in rispetto. Altri poi andando più innanzi premunivano esser tutti e singoli gli stati minacciati da un nemico comune di un altro genere, l’unitarismo repubblicano italiano, al quale tendevano tutti i liberali esagerati della penisola sotto l’influenza del Mazzini: quindi giovare, per opporvisi, la dominazione austriaca in Italia.

[p. 291 modifica] Comunque si voglia, poichè il pontefice dichiarava che nella sua coscienza non poteva romper la guerra agli Austriaci e perseverava costante nel suo proposito, non ci si negherà che, vedute le cose senza passione, esso fu sublime in questa sua resistenza.

Sostenne egli assalti poderosissimi per disviarlo dallo adottato proposito e non piegò giammai. Giammai ressa più impetuosa e pervicace non si fece sull’animo di un uomo come quella contro la quale ebbe a lottare: perchè prima il ministero tutto, poi il municipio, quindi la civica, i circoli, la stampa, i parlari domestici, le grida della piazza, le minaccie dei furibondi, le lacrime vere o false dei paurosi e dei traditori, tutti, in fine esortavano per la guerra.

E come non fosser bastati sì svariati e potenti elementi, vi si unirono pur anche a fargli forza i commissari della Lombardia, di Venezia e della Sicilia, e tutti patrocinavan la guerra, mentre i deputati napoletani lo spingevano per capitanare la Dieta italiana. A questi poi si aggiunsero per soprassello e l’opuscolo del Fiorentino e quello del Petrocchi e la lettera del prete Carenzi, ai quali si dette contestualmente tale una diffusione, che la città tutta in quel momento non leggendo che scritti dello stesso colore, e non ascoltando che voci nello stesso senso, era divenuta quasi unanime nello stesso pensare.

Pur non ostante il papa, fermo come roccia granitica, resiste contro gli urti iterati di tanti e sì svariati elementi, e resiste solo senza conforto, senza consiglio, senza neppure la speranza di essere ascoltato efficacemente. Esso ne vedeva tutte le conseguenze, presentiva gli scompigli che avrebbe recato la perdita della sua popolarità, l’odio del partito che aveva creduto col perdono di disarmare e ammansire, lo scoraggimento de’ suoi stessi devoti. In una parola vedeva tutti i pericoli d’ogni genere che sovrastavangli, e che minacciavano di una repentina rovina quell’edificio stesso ch’erasi innalzato alle stelle.

[p. 292 modifica]Eppure un esempio simile di costanza e fermezza cui la storia non ce ne addita l’eguale, dovrà attendere che le generazioni future ne parlino e io esaltino, perchè le contemporanee, sia per la confusione dell’idee, sia per lo scadimento del senso morale, sia per gli artifici di setta, o per prudenza codarda degli scrittori, finora se ne astennero. Ciò non ostante solo con questi esempi memorandi di resistenza passiva e d’incrollabil fermezza fondansi e mantengonsi i principi morali, alterati i quali, crollano non solo gl’imperi, ma la società umana tutta intiera rovina.






Note

  1. L’Antonelli, Mezzofante.
  2. Vedi la Gazzetta di Roma del 2 maggio 1848.
  3. Vedi nel giornaletto intitolato il Casotto dei burattini del 1 maggio 1848, una litografia rappresentante detta celebre riunione ove i ritratti dello Sterbini proponente, e del Mamiani ed Orioli avversanti il progetto di un governo provvisorio, chiarissimamente distinguonsi.
  4. Vedi la Gazzetta di Roma del 2 maggio 1848.
  5. Vedi il vol. I Motu-propri ec. n. 49. — V. Documenti vol. V, n. 78 A.
  6. Vedi l’Epoca, n. 40. — Vedi il Labaro del 3 maggio. — Vedi il Contemporaneo del 4 maggio pag. 210.
  7. Vedi Atti ufficiali vol. I n. 69. — Vedi l’Epoca del 3 maggio, n. 89. — Vedi la Gazzetta di Roma del 2 detto.
  8. Vedi Atti officiali vol. I, n. 69.
  9. Vedi il Sommario, n. 21. — Vedi il V vol. Documenti, n. 82.
  10. Vedi il vol. V Documenti, n. 88.
  11. Vedi vol. V, Documenti, n. 90.
  12. Vedi la Gazzetta di Roma del 29 maggio 1848, n. 97. — Vedi il documento, n. 91 del vol. V.
  13. Vedi Farini, vol. II, pag. 120, terza edizione di Firenze.
  14. Vedi il Monitore romano, pag. 591. — Vedi Farini, Lo stato romano, vol. IV, pag. 289.
  15. Vedi Gioberti, Operette politiche, vol. II, pag. 247.
  16. Vedi il supplemento al n. 153 della Gazzetta di Roma, pag. 5.
  17. Vedi il n. 93 del V vol. Documenti.
  18. Vedi la Gazzetta di Roma del 4 maggio 1848, n. 77.
  19. Vedi il n. 95 del vol. V Documenti.
  20. Vedi l’Epoca del 3 maggio terza colonna.
  21. Vedi la Pallade del 9 maggio 1848, pag. 3.
  22. Vedi l’indirizzo nell’Epoca dell’8 maggio 1848.
  23. Vedilo fra i Documenti del vol. V, n. 77 A.
  24. Vedilo fra i Documenti del vol. V, n. 78.
  25. Vedi il vol. Autografi di personaggi politici n. 15.
  26. Vedilo fra i Doc.ti del vol. V, n. 77, non che nel vol. IX, Miscellanee n. 6.
  27. Vedi l’opera di Dal Pozzo così intitolata: Della felicità che gli Italiani possono e debbono dal governo austriaco procacciarsi, col piano di un’associazione per tutta Italia, avente per oggetto la diffusione della pura lingua italiana, e la contemporanca soppressione de’ dialetti che si parlano ne’ vari paesi della penisola ec. Parigi presso Ab. Cherbuliea, libraio, 1833, un volume in-8.