Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VIII/Libro II/Capo I

Capo I – Studi sacri

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Capo I.

Studi sacri.

I. Quel metodo stesso che nel ragionare degli studi sacri ho tenuto in addietro, nella Storia di questo secolo ancora seguirò io a tenere. Ed esso anzi diviene ora tanto più necessario, quanto maggiore è il numero degli scrittori che ci si richiederebbe innanzi, se di tutti si volesse tenere ragionamento. I soli scrittori di teologia morale quanto ci occuperebbero essi! Ma io tutti li lascio in disparte, perchè tra gl’italiani non ne ritrovo alcuno il quale illustrasse in modo questa vastissima scienza, che ei possa additarsi come scrittore classico e originale1. Lo stesso io farò riguardo agli [p. 152 modifica]lf»2 LIBRO interpreti e a’ coraentatori del Maestro delle Sentenze, di S. Tommaso, dello Scoto e agli altri teologi scolastici, perchè essi altro non fecero comunemente che ripetere ciò che mille altri già aveauo detto, o aggiugncre ad essi uuove speculazioni, che forse parvcr loro più ingegnose, ma perciò appunto furon più inutili (a). special menzione per l’elogio fatto da Benedetto XIV delle Decisioni sacramentali da lui pubblicate (Notific. 32, n. 6). Il sig. dottor Antonio Bonaventura Sberici ci ha date di fresco le Memorie della A ita e delle opere di questo dotto scrittore, stampate in Padova l’anno 1790. (al Uno de’ migliori e de’ più accreditati teologi di questo secolo fu il cardinale Agostino Oregio nato di poveri genitori in Santa Sofia, ove la Toscana confina colla Romagna. Ei dovette i suoi primi cominciamenti alla sua virtù, e al suo sapere le dignità a cui fu sollevato. Perciocchè mandato ancor giovinetto a Roma per attendervi agli studi, ed ivi tentato, come già il patriarca Giuseppe in Egitto, ne imitò il nobile esempio, e fuggendo di casa di notte tempo, nel crudo inverno, e senz’abiti, fu costretto a giacersi tutta la notte in una strada. Di che avvertito il cardmal Bellarmino, mosso a maraviglia insieme e a pietà dell’ottimo giovane, il fece ricevere in un convitto a Roma, e vel mantenne più anni. Uscitone, continuò ad esercitarsi ne’" sacri studi , e per opera del cardiuat Barberino pubblicò nel 1631 un Trattato, in cui prese ad esaminare le sentenze d’Aristotele sull’immortalità dell’anima. Scrisse poi parecchi trattati teologici sulla Trinità, sugli angeli, sulla Creazione del mondo, ec., i quali però non furono pubblicati che nel 1637, due anni dopo la sua morte, per opera di Niccolò Oregio suo nipote. La stima che col suo sapere ottenne, fu tale che il cardinale suddetto, fatto poi papa col nome di Urbano VIII, soleva chiamarlo il suo Bellarmino. Da lui ebbe prima un canonicato in Faenza, e poi fu sollevato all’onore [p. 153 modifica]SECONDO A 53 Due famose contese al principio di questo secolo esercitarono molto i teologi, e risvegliarono la curiosità e l’aspettazione de’ dotti, quella delle congregazioni, cominciate già sotto Clemente VIII, e finite sotto Paolo V, sugli aiuti della Divina Grazia, e quella del famoso Interdetto della Repubblica veneta. Ma nella prima i più illustri teologi che venner tra loro a battaglia, quasi tutti furono oltramonti, e a me perciò non appartiene il ragionare. Nella seconda i più celebri combattenti furono per la parte del papa i cardinali Bellarmino e Baronio, per quella della Repubblica F. Paolo Sarpi, scrittori tutti de’ quali si è già detto non brevemente nella Storia del secolo precedente, perchè non faccia d’uopo il ragionarne di nuovo. Aggiugnerò solo che tra’ teologi i quali sostennero le parti pontificie, fu uno de’ più valorosi il P. Giannantonio Bovio natio di della porpora l’anno iG34, e all’arcivescovado di Benevento..Ma poco tempo godette di questi onori, rapito dalla morte l’anno seguente in elà di r>8 anni. Di lui parla, oltre I*Oldoino nella Serie de’ cardinali, e più altri scrittoli , anche il P. abate Miltarelli nel suo opuscolo sugli Scrittori faentini, ove dice che gli eruditi di Lipsia hanno avvertilo credersi da ah uni clic il I*. Petuvio dall’opere dell’Orcgio tiacsse quasi interamente la sua opera de’ Donimi teologici..Ma dovessi anzi dire che nel passo da lui citato degli Atti di Lipsia (an. 1718, p- 491) s* ha l’estratto di una Dissertazione dd P. Oudm gesuita, inserita nelle Memorie di Trevoux, in cui rihattc la vergognosa calunnia apposta al Petavio, mostrando che l’opera di esso e quanto allo stde e quanto alla sostanza e quanto al metodo e quanto all erudizione è cosa interamente e tolaUnente diversa da quella del Cardinal Orcgiu. [p. 154 modifica]154 LIBRO Bellinzago sul Novarese, religioso carmelitano, fatto vescovo di Molfetta da Paolo V nel 1607, ed ivi morto nel 1622 , di cui e delle opere da lui composte si può vedere l’articolo che ce ne ha dato il co. Mazzucchelli (Scritt. it t 2, par. 3, p. 1923); e che tra quelli che sostenner le parti della Repubblica , dee annoverarsi il P. Marcantonio Cappello da Este Minor conventuale, autore ancora di alcune opere teologiche in difesa del romano pontefice, intorno al quale più copiose notizie somministrerà a chi le brami il P. Franchini (Bibl. di Scritt. convent. p. 414> ec-)- Di tutte queste materie ci basti f aver dato un cenno*; e volgiamoci ad altri scrittori, de’ quali con piacere e con frutto maggiore si potrà da noi ragionare. II. Pochi scrittori adunque tra quelli che sotto il nome di teologi vengono comunemente compresi, produrrò in questo capo, il quale si chiuderebbe assai presto, se altri generi di studi sacri non fossero per somministrarci più copiosa materia. E il primo di cui prendo a parlare, appena può in questa Storia aver luogo, perciocchè fu greco di nascita, cioè dell isola di Corfu; ma poichè condotto in età giovanile a Roma, visse poscia sempre tra’ nostri, possiamo qui non senza qualche ragione parlarne. Ei fu Pietro Arcudio, che venne allevato e istruito nel collegio de’ Greci, e avendo date felici pruove del suo talento non meno che della sua prudenza, fu due volte dal pontefice Clemente VIII mandato in Moscovia, perchè si adoperasse alla riunione degli scismatici; ed egli non poco frutto raccolse da questi suoi « [p. 155 modifica]SECONDO 155 •viaggi. Fu poscia chiamato alla sua corte dal Cardinal Scipione Borghese nipote di Paolo V. Ma egli, a cui era più cara la quiete de’ sui studi che gli onori della corte. ottenne di ritirarsi di nuovo nel suo collegio de’ Greci. Circa tre anni innanzi alla morte, gittato a terra da un cavallo carico di vino, che lo urtò con grand’impeto, ne fu malconcio per modo, che non potea muovere un passo. E nondimeno facevasi ogni mattina portare nella libreria del detto collegio, nè volea essere riportato nelle sue stanze se non dopo in tramontar del sole. Così narra l’Eritreo, a cui dobbiam le notizie finora indicate (Pinacoth. pars 1, p. 225, ec.). Il Dupin dice ch’ei morì verso il 1621 (Bibl. des Aut. eccles. t. 17, p. 56 ed. A insterà. 1711). Ma l’Allacci ci mostra ch’ei viveva ancora nel 1632 (Apes urban.). L’opera più pregiata di questo dotto scrittore è quella intitolata De concordia Ecclesiæ Occidentalis et Orientalis in septem Sacramentorum administratione, stampata in Parigi nel 1619, nella quale si fa con molta erudizione a provare che la Chiesa greca e latina non solo nella dottrina, ma anche nell’amministrazione de’ sagramenti, quanto alla sostanza, sono sempre state concordi, ribattendo con ciò f argomento che dalla pretesa loro diversità traevano i novatori. Ne abbiamo ancora due Trattati sul Purgatorio contro i Greci moderni, e una raccolta di diversi opuscoli di teologi greci degli ultimi secoli intorno alla Processione dello Spirito Santo da lui tradotti in latino. In tutte queste opere si scuopre l’Arcudio dotto ed erudito teologo f ma sembra ad alcuni eli’ egli [p. 156 modifica]ni. Vicende e opere di Marcantonio de Domini». l56 LIBRO inveisca troppo contro de’ suoi avversarii, e* che troppo stia attaccato al metodo degli scolastici. Alla conversione degli Orientali diresse parimente le sue fatiche Pietro Strozzi nobile fiorentino, uom dotto non solo nelle scienze più gravi, ma ancora nelle belle arti, che essendosi adoperato nel ridurre al grembo della romana Chiesa il patriarca di Babilonia co’ suoi Caldei, scrisse e di volgo le dispute con lui tenute nella sua opera De Dogmatibus Chaldaeorum. Di questo scrittore parla non brevemente ne’ suoi elogi l’Eritreo (Pinacoth. pars 2, n. i5’. 111. Una famosa opera contro l’autorità del romano pontefice, stampata l’an 1617 in Londra, e ristampata poscia in Eidelberga e Francfort, eccitò il zelo di molti teologi cattolici a confutarla. Parlo de’ celebri libri De Republica ecclesiastica di Marcantonio de I)o~ xninis, già arcivescovo di Spalatro, uomo di grande ingegno, e meritevole d’imniortal fama, se ne avesse usato più saggiamente. Fra i molti scrittori che ragionan di lui, merita d’esser letto singolarmente il P. Daniello Farlati della Compagnia di Gesù, che più a lungo e colla scorta di autentici monumenti ne spone la Vita e le diverse vicende (Illyr. sacr. t. 3,p. 481, ec.). Egli era nato di antica e illustre famiglia in Arbe città ed isola presso le coste della Dalmazia nel dominio della Repubblica veneta. In età fanciullesca fu inviato a Loreto, perchè ivi fosse educato nel collegio illirico, ove diede sì buon saggio di se medesimo, che avendo chiesto di essere ammesso tra’ Gesuiti, vi fu ricevuto. Prima però fu ancor qualche tempo alle [p. 157 modifica]SECONDO J 5^7 scuole dell’università di Padova, come pruova il Papadopoli (Hist Gymn. patav. t. 2, p. 120), singolarmente colf autorità di Antonio Riccoboni che lo ebbe scolaro. Qual corso di studi e di occupazioni avesse egli, mentre fu Gesuita , il narra egli stesso, dicendo che ancor novizio in età giovanile fu mandato a tenere scuola di belle lettere in Verona; che, prima ancora di essere sacerdote, lesse con gran concorso le matematiche in Padova; che in Brescia fu professore prima di rettorica, poi di logica e di filosofia 5 che spesso ne’ dì festivi si fece udire a predicare dal pergamo; e che di più altri 11011 lievi affari fu incaricato (Consil, suae profect. ex Ital.). Ma in mezzo ai lieti saggi ch’ei dava del suo talento, scorgevasi in lui uno spirito torbido, ambizioso, inquieto e insofferente di giogo. Quindi si adoperò in modo, che vacando la vescovil chiesa di Senia nella Dalmazia , egli ottenne di esserne eletto vescovo, e di uscire in tal modo dalla Compagnia. Perciocchè a me sembra di’ egli stesso indichi chiaramente che allor solo ne depose egli l’abito, e non prima, come altri hanno detto: Ad regimen tandem Ecclesiae sum jam ante viginti annos promotus, etfactns episcopus Segniensis, mcis Patribns Jesuitis id satis aegre ferentibus, queni nimimm non ociosum, non societati ip~ sorum inutilem et agnoscebant et experiebantur. Dopo due anni da quella sede fu trasferito all’arcivescovile di Spalatro, ove parve dapprima che ei volesse rinnovare gli esempii degli antichi vescovi, e ricondur quella Chiesa al fervor de’ tempi apostolici. Ma presto si vide che il [p. 158 modifica]l58 LIBRO •zelo del nuovo arcivescovo non era conforme allo spirito del divin Redentore; e non poche turbolenze eccitò egli in quella Chiesa , che si posson vedere presso il suddetto scrittore. Cominciò ancora e in pubblico e in privato a sparger tali proposizioni, che il fecer conoscere inclinato alle opinioni de’ Novatori; ed essendo perciò venuto in odio al suo gregge medesimo, sulla fine del iGì 5 partì improvvisamente da Spalatro; e venuto a Venezia, cedette il suo arcivescovado a Sforza Ponzone suo parente. E quindi lasciata ancora Venezia nell’autunno del 1616, ritirossi a Coira ne’ Grigioni, quindi ad Eidelberga , e finalmente tragittò in Inghilterra. Oltre una lettera che da Coira egli scrisse al doge in giustificazione della sua fuga, e che si riporta dal P. Farlati, ei pubblicò un’apologia intitolata Epistola ad Episcopos Ecclesiae Christianae scripta, in qua causas discessus a suo episcopatu exponit; la quale più volte e in diversi luoghi, e anche con diversi titoli e in diversi linguaggi, fu in quello e nel seguente anno data alle stampe; e poco appresso un altro opuscolo di somigliante argomento diè in luce intitolato Scogli del Naufragio Cristiano , e una predica da lui detta in Londra nella prima domenica dell’Avvento. Appena giunto in Londra, cominciò a pubblicare la sua opera De Republica ecclesiastica, che è diretta principalmente a combattere il primato del romano pontefice. Ivi ancora pubblicò egli la Storia del Concilio di Trento, scritta dal Sarpi, di cui tra non molto diremo. Ma veggendo poscia che dalla sua apostasia ei non [p. 159 modifica]SECONDO i 5C) traeva que’ frutti de’ quali erasi lusingato , e mosso ancora dalle istanze di autorevoli personaggi, circa il 1622, essendo pontefice Gregorio XV, tornossene a Roma, accolto amorevolmente dal papa; e a riparare lo scandalo colla sua fuga e colle sue opere dato al mondo, pubblicò in Roma nel 1623 un altro opuscolo col! titolo: Marcus Antonius de Dominis Archiep. Spalaten, sui reditus ex Anglia Consilium exponit, in cui tratta tutti gli errori in addietro insegnati. Ma poco appresso, caduto di nuovo in sospetto di eresia, fu chiuso in carcere in Castel S. Angelo , ove frattanto venuto a morte nel i(>25, in età di 64 anni, diede segni di pentimento sincero. (a) Ma da’ processi essendosi comprovato eli’ egli era veramente ricaduto nell’eresia, il corpo ne fu poscia dato alle fiamme. Una lunga lettera intorno alla vita del de Dominis trovasi tra quelle date alla luce da Gregorio Leti, e da lui attribuite a Traiano Boccalini (Bilancia polit, par. 3, lett. 3 ì p. 7). Ma gli eruditi sanno che il Boccalini non è l’autore di esse. E che di questa principalmente egli nol sia, si potrebbe mostrare con molti argomenti; e basti f accennare questo solo, che lo scrittore dice eli’ ei volle bensì farsi Gesuita, ma realmente non entrò mai tra essi j mentre è pur certo eli’ ci vi fu (a) La morte di Marcantonio de Dominis accadde non nel 162?, ma nel settembre del 1624? come ha provato il eh. sip ab. Zaccaria, presso cui si può vedere nuovamente ed eruditamente ualtato ciò clic a lui appai tiene (Relractat. cxanpla f Jpp. p• 129)* [p. 160 modifica]iGo Libro per più anni, e il Boccalini, che allora vivca in Roma, noi poteva ignorare. IV. Contro quest’opera adunque che. essendo ■ scritta con molta forza, parve meritevole di , ugualmente forte risposta, oltre i teologi della Sorbona ed altri oltramontani, levaronsi ancora alcuni teologi italiani. Uno de’ primi fu l’annalista de’ Cappuccini Zaccaria Boverio, che nel 1621 pubblicò in Milano una Censura paraenetica contro i primi quattro libri dell’arcivescovo di Spalatro. Baldassarre Nardi Aretino la impugnò con un libro intitolato: Expunctiones locorum falsorum de Papatu romano, che è citata da Giovanni Fabricio (Hist. Bibl. Fabric. t. 2, p. 133). Filippo Fabri da Faenza Minor conventuale scrisse egli pure contro il de Dominis, benché quest1 opera non uscisse alla luce, che dappoichè egli finì di vivere nel 1630. Egli era stato professore per 24 anni nell’università di Padova, prima in metafisica e poi di teologia scotistica (Facc. Fasti Gymn. pat. pars 3, p. 257); e di lui e delle molte opere da lui composte si hanno diffuse notizie presso il P. Franchini (Bibliosofia, p. 204, ec.). Più altri ancora, quai più, quai meno ampiamente, presero a combattere contro questo scrittore. Ma io non so se alla bontà della causa che essi aveano tra le mani, fosse uguale la loro felicità nel difenderla. Sullo stesso argomento e a confutazione dell’opera stessa pensava di scrivere il P. don Stefano Cosmi chierico regolare somasco, generale della sua religione, e poscia arcivescovo egli ancora di Spalatro, e uomo per pietà, non meno che per lettere [p. 161 modifica]SECONDO l6f illustre. Egli ne parla in alcune sue lettere al Magliabecchi (Cl Venet Epist ad Magliab. t. 2, p. 232 246), scritte dopo il 1670, ma non pare che conducesse ad effetto il suo disegno. V. Molti altri scrittori presero a difendere l’autorità del romano pontefice e a sostenere la Chiesa cattolica romana contro i ni mici della medesima. Tre soli ne accennerò io per amore di brevità, Il P. Elia Astorini carmelitano con tanto maggior vigore si accinse a difenderla, quanto più avea per sua sventura potuto comprendere la debolezza dell’armi con cui essa era oppugnata. Era egli nato in Albidona nella provincia di Cosenza nel regno di Napoli nel 1651, e in età giovanile era entrato nel detto Ordine. La vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere cose nuove, lo indusse a spogliarsi de’ pregiudizii del secolo, e a studiare attentamente gli scrittori della moderna (filosofia; e conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì dichiararsi nimico del Peripato j al che avendo congiunto lo studio della lingua ebraica, arabica e siriaca , ei cadde presso alcuni in sospetto di novatore, e per poco non si attribuì ad arte magica ciò che era frutto del raro suo ingegno e del suo instancabile studio. Le molestie che perciò ebbe a soffrire, il turbaron per modo, che con poco saggia risoluzione, deposto l’abito del suo Ordine, fuggitene <lal1 Italia, c andò aggirandosi per varie città degli Svizzeri e dell’Alleraagna j fu viceprefetto dell’università di Marburgo, e maestro di matematica de’ cadetti francesi in Groninga, ove Tiràboschi , VoL Xlff. 11 v. Notisi# Opere del P. Blu Aston» in. [p. 162 modifica]162 libro nel i68tì fu creato dottore in medicina. Ma il conversar co’ teologi protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor della Chiesa catto? lica non v’era unità di fede; e perciò ravveduto, e ottenuto il perdono de’" suoi trascorsi, tornò in Italia nel 1689, e trattennesi per alcuni anni in Siena leggendo matematica nella nuova Accademia de’ nobili sanesi, e poscia filosofia in quella università, caro al duca Cosimo III, al Magliabecchi, al Redi e agli altri uomini dotti, de’ quali era allora sì gran copia in Firenze. Tornossene poscia al suo convento in Cosenza, ove però non gli mancarono altri disturbi; e finalmente chiuse i suoi giorni in Terranuova di Tarsia a’ 4 d’aprile del 1702. Delle varie vicende dell’Astori ni si può vedere un più diffuso racconto presso il co. Mazzucchelli (Scritt ital. t 1, par. 2, p. 1194, ec-), il quale ancora ci ha dato un diligente catalogo dell le opere da lui composte, sì delle stampate che delle inedite (a). Uomo , com’egli era , di vivacissimo ingegno, si volse quasi ad ogni sorta di scienza. La filosofia, la geometria , le lingue orientali formarono il principale oggetto de’ suoi studi e delle sue fatiche. Quando fu onorato della laurea in medicina, diè saggio ancora del suo valore in questa scienza, pubblicando in Groninga una dissertazione De vitali oeconomia foetus in utero, in cui sostenne f opinione, 11011 molto ancor divolgata a quel (u) Più esatto ancora è l’articolo clic intorno all’Astorini ci I1.1 poi dato il P. d* Afflitto (Metp. degli Scritt. nupot. /. 1, p. 4’58 , ec.). [p. 163 modifica]secondo i63 tempo, della generazione dall’uovo. Ma qui dobbiamo singolarmente considerare l’opere teologiche. Poco dopo il suo ritorno in Italia, cioè nel ei pubblicò in Siena un prodromo sull’autorità della Sede apostolica, e quindi nel 1700 in Napoli un’opera più ampia e divisa in tre libri, col titolo: De vera Ecclesia Jesu Cl tristi cantra Lutlieranos et Calvinianos, nella quale valendosi dell’erudizione da lui raccolta collo studio delle lingue e colla continua lettura e della forza del suo ingegno, ribatte vigorosamente i fallaci argomenti co’ quali i Novatori cercano di difendere la lor ribellione. VI. Prima di quelle dell’ Àstorini erano già uscite alla luce le opere degli altri due scrittori, de’ quali dobbiam qui ragionare. Il primo è il Cardinal Celestino Sfondrati milanese, che in età fanciullesca mandato per educazione nel monastero di S. Gallo, ivi poi prese l’abito monastico; e dopo avere in diversi monasteri del suo Ordine sostenute le cattedre di filosofia e di diritto canonico , e date alla luce molte opere, fu in premio delle sue virtù, non meno che del suo sapere, onorato della porpora nel dicembre del 1695 , e chiamato a godere del nuovo onore in Roma. Ma pochi mesi egli visse in questa città; c i\ \ di settembre dell anno seguente con segni di singolare pietà corrispondenti alla vita da lui sempre condotta, di è fine a’ suoi giorni in età di soli 52 anni. Le celebri proposizioni del Clero di Francia stabilite nel 1682, e la questione delle Regalie che.si agitava allora in quel regno, diè occasione allo Sfondrati, ancor monaco , di segnalare il suo [p. 164 modifica]164 LIBRO zelo e la 6ua erudizione. Il suo trattato della Regalia, pubblicato nel 1682, e la sua impugnazione delle quattro proposizioni, stampata nell’anno 1684 col titolo Regale Sacerdotium Romano Pontifici assertum, e sostenuta con altra opera pubblicata tre mesi appresso, e intitolata Gallia vindicata, destarono gran rumore in Francia, e alcuni de’ più impegnati difensori delle quattro proposizioni presero a confutarle. Maggior guerra ancora da alcuni teologi francesi si mosse a un’opera dello Sfondrati, pubblicata solo dopo sua morte, e intitolata Nodus Praedestinationis; nella quale parendo loro che il cardinale, singolarmente riguardo a’ bambini morti senza battesimo, sostenesse opinioni pericolose, ne richiesero al pontefice la solenne condanna, ma inutilmente. Molte altre opere di questo dotto cardinale si annoverano dall’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 2, pars 1, p. 1358, ec.), che più minute notizie ci dà ancora intorno alla vita da lui condotta. A me basta darne un cenno, perchè io penso che il parlarne più lungamente sarebbe per recar noia alla maggior parte de’ leggitori, che braman forse ch’io passi presto a più piacevole argomento di storia. Per questa ragione io accennerò solamente l’opera sullo stesso argomento del terzo scrittore, cioè del P. Niccolò Maria Pallavicino gesuita genovese, stampata in Roma in tre tomi in folio nel 1687, col titolo: Difesa del Pontificato Romano e della Chiesa Cattolica; opera quanto allo stile e all’erudizione superiore a molte di quell’età, ma troppo diffusa, e che, collo scorrere iu quistioni troppo 4 [p. 165 modifica]SECONDO 165 lontane dall’argomento, stanca ogni lettore. Un’altra opera pubblicò egli poscia due anni appresso, intitolata: L’evidente merito della Fede Cattolica ad esser creduta per vera, e un’altra fin dal 1679 aveane data in luce, che gli era comune col P. Francesco Rasponi pur gesuita di patria ravignano, intitolata: Difesa della Divina Providenza contro i nimici di ogni Religione. E più altre ancora se ne hanno alle stampe , delle quali si può vedere il catalogo a piè della Vita che ne ha scritta il P. Paolo Antonio Appiani gesuita, inserita tra quelle degli Arcadi illustri, nel cui numero era il P. Pullavicino. VII. Tra le opere nelle quali generalmente si prese a difendere la religion cristiana. si può annoverar quella del P. Silvestro Pietrasanta romano della Compagnia di Gesù, stampata in Roma nel 1644 e intitolata Thaumatia verae Religionis contra perfidiam Sectarum. Di quest’opera e dell’autore di essa fa un lungo e magnifico elogio l’Eritreo (Pinacoth. pars 3, n. 73), che gli era amicissimo, e descrive le pruove eli’ ei diede della prontezza del suo ingegno e della felicità del suo stile, scrivendo le orazioni funebri del Cardinal Bonsi e dell’imperador Ferdinando II, al lavoro di ciascheduna delle quali poche ore soltanto gli furono concedute. Rammenta ancora altre opere da lui pubblicate, e singolarmente una lettera contro Pietro du Moulin. e un libro contro Andrea Ri veto , celebri eretici amendue , oltre più altre, delle quali più distintamente si ragiona nella Biblioteca degli Scrittori Gesuiti de [p. 166 modifica]iGG LIBRO P. Alegambe. A questo luogo pure appartengono le celebri Lettere contro gli Atei del co. Lorenzo Magalotti, del quale altrove diremo; l’opera che ha per titolo Demonstrata impiorum insania, stampata in Roma nel 1688, di cui fu autore il P. Gianlorenzo Lucchesini gesuita lucchese, di cui pure abbiamo orazioni e poesie latine per que’ tempi degne di molta lode; l’Ateista convinto di Filippo Maria Bonini da Chiavari nel Genovesato, di cui e di molte opere da lui composte si può vedere l’articolo del co. Mazzucchelli (Scritt itaL t. 2, par. 3, p. 1659. ee.) (a)y In Confutazione dell1 Alcorano del P. Lodovico Marracci lucchese della Congregazione della Madre di Dio, uomo assai dotto e autore di più altri libri, di cui si ha P elogio nell’opera del P. Sarteschi sugli scrittori di quella Congregazione, e altri somiglianti libri, de’ quali non giova il far distinta menzione. E io terminerò questa breve e non molto illustre serie di teologi italiani di questo secolo, col ricordarne due altri soli, uno per la celebrità del suo nome, l1 altro per la rarità delle sue opere, degni di special ricordanza. Il primo (^) Citi crederebbe che in un libro destinato a convincere gli Atei si trovassero inserite riflessioni sol modo di distinguere le vere dalle false medaglie, sull’Alchimia, sidl’Arte del Blasone, e, ciò rbe è piti strano, satire ed invettive amarissime eonlro i tribunali di Boom, contro le corti de* gran signori , e contro i supposti eruditi? F. tale è nondimeno questo libro diviso in dodici dialoghi , nel principio de1 quali sempre il capriccioso autore si abbandona al suo genio di satireggiare e di mordere; per la qual cagione questo libro fu posto nell* Indice de’ proibiti. [p. 167 modifica]SECONDO |67 è il Cardinal Lorenzo Braucati Conventuale, detto anche il Cardinal di Lauria dal nome della sua patria ncUregno di Napoli, il quale dopo aver sostenute nella sua religione ragguardevoli cariche, fatto cardinale da Innocenzo XI nel 1681, fu anche bibliotecario della Vaticana, e finì di vivere nel i(V)3, in età di 81 anni. Otto tomi di Comenti sulla Teologia scotistica e più altre opere teologiche , ascetiche e di diritto canonico, gli ottenner gran nome singolarmente tra’ suoi, e fu avuto in conto di uno de’ più dotti teologi del suo tempo; come si può raccogliere dalle notizie che, dopo altri scrittori, ce ne ha date il conte Mazzucchelli (ivi, par. 4> p 1991)ec L’altro fu Francesco Collio nato presso il lago di Lugano, sacerdote della Congregazione degli Obblati di Milano, eletto penitenziere maggiore nel i(ì3i, e morto nel 164° (A igei. Bibl Script, mediol, t. 1, pars 2, p. 442)* Un nuovo argomento prese egli a trattare, cui niuno avea ancora espressamente trattato, cioè sull’eleni a salute de’ Pagani, esaminando in qual modo e quando si possano essi salvare, e quali tra essi si debban credere salvi: e distintamente cercando che debba credersi di alcuni più illustri, come di Melchisedecco, di Giobbe, delle Sibille, de’ Saggi della Grecia , di Numa , di Socrate, di Platone e di più altri. Il Dupin ci ha dato un lungo estratto di essa (Bibl. des Ant. Eccles. t 17, p. 109, ec.), e lo conchiude col dire che l’opera del Collio non è veramente che uno scherzo d’ingegno , e una unione di congetture; che molte cose nondimeno essa [p. 168 modifica]l68 LIBRO contiene assai utili; che è scritta bene e piena di erudite ricerche , e eli’ egli propone modestamente le sue congetture rimettendo a’ saggi lettori il deciderne. Quest’opera, che è in due tomi in 4°; era divenuta sì rara, che 1 anno iy4o se ne fece una seconda edizione. Pregevole ancora è l’altra opera dello stesso autore De Sanguine Christi, nella quale, dopo aver disputato sulla natura e sulle proprietà del Sangue del Redentore, esamina i fatti maravigliosi che di esso raccontansi. Ed essa ancora, benchè stampata due volte nel 1612 e nel 1617, è divenuta sì rara, che il Dupin non ne ha avuta notizia. Vili. Più volentieri prenderò io a trattare di - altri scrittori che presero a illustrar qualche punto delle ecclesiastiche antichità; nel qual genere abbiamo opere che si posson rammentare con onore e con lode de’ loro autori. Abbiamo accennato poc’anzi un libro dal Cardinal Federigo Borromeo composto e pubblicato De Episcopo Concionante, in cui egli tratta dell’uso e del modo di predicare de’ vescovi de’ primi secoli. Lo stesso argomento, ma assai più ampiamente e con maggior corredo d’erudizione, fu maneggiato da Francesco Bernardino Ferrari milanese nato nel 1576, uno dei primi dottori del collegio Ambrosiano, e dal medesimo cardinale, come si è detto, mandato in Ispagna a far raccolta di libri e di codici per la sua biblioteca Ambrosiana. Di lui abbiamo tre libri intitolati De ritu Sacrarum Ecclesiae catholicae Concionum, stampati in Milano nel 1618, e poscia nel 1620, e di nuovo [p. 169 modifica]T SECONDO | (m) più altro rolte dati alla luce anche in Parigi e in Utrecht. Piena di curiose e di erudite ricerche è quest’opera, in cui tutto ciò che appartiene all* uso e alla maniera di predicare , secondo i diversi tempi e le diverse nazioni, si esamina con somma esattezza; ed essa fa ben conoscere quanto fosse il Ferrari versato nella lettura dei SS. Padri greci e latini, nelle Storia ecclesiastica , e in ogni genere di sacra e profana erudizione. Il Dupin, che ce ne ha dato un lungo estratto (ib. p. 102, ec.), racconta che il Cardinal Borromeo veggendo che il Ferrari assai meglio di lui avea trattato questo argomento, cercò in ogni maniera di sopprimerne l’opera, sicchè non ne venisse danno alla sua. Io non so onde abbia tratto il Dupin questa notizia. À n:e il fatto sembra troppo lontano dal verisimile. Perciocchè non parmi che quel gran cardinale potesse sentire e operare sì bassamente. Oltre di che, s’egli avesse voluto sopprimer l’opera del Ferrari, uomo , coni’ egli eia, di tanta autorità in Milano , avrebbe potuto impedire eli’ essa ivi non si stampasse) e noi veggiamo che non una sola, ma due volte fu essa, vivente il cardinale, in quella città medesima data alla luce. Innoltre il cardinale fu così poco sollecito della gloria di quel suo libro, eli’ egli non cercò mai di renderlo pubblico, e non fu stampato che un anno, dappoichè egli era morto. Come dunque potè esser geloso della gloria che al Ferrari veniva per questa opera? Un’altra non men pregevole ne abbiamo di questo stesso scrittore, cioè quella De antiquo Epistolarum Ecclesiasticarum [p. 170 modifica]■ 7° LIBRO genere, stampata la prima volta in Milano [ nel 1612. nella quale assai eruditamente ra-l giona deirEpistoIe Formate, delle Pasquali, delle Encicliche, delle Pacifiche, e di ogni altro genere di lettere usate già da’ vescovi e dal clero de’ primi secoli. Anche l’antichità profana fu da lui illustrata nella bella sua opera De Veterum acclamationibus et plausu, pubblicata in Milano nel 1627. E più altre aveane egli apparecchiate, che poi rimasero inedite, e che si annoverano dall’Argelati (lì ibi Script mediol. t. 1, pars 2 , p. 602 , ec.). La fama in cui egli era d’uomo dottissimo, il fece chiamare a Padova , ove circa il 1638 fu rettore del nuovo collegio de’ nobili ivi fondato (*). Ma due anni appresso non reggendo la sua sanità a quel peso, come narra l’Argelati, o forse ancora pel decadimento di quel collegio che nel 1642 si disciolse (Facciol. Fasti Gjrmn. pat. pars 3, p. 46), fece ritorno a Milano, ove ebbe la prefettura della biblioteca Ambrosiana, c continuò a occuparsi ne’ consueli suoi studi fino al 1669, nel quale anno in età di 93 anni (se non è corso qualche errore nelle epoche (*) li Ferrari non fu il primo rettore del collegio, ossia delf Accademia de’ nobili fondata in Padova, ma Baldassarre Bonifacio trivigiano, uomo dottissimo, arcidiacono e vicario generale di Trevigi, di chi si posson vedere copiose notizie presso il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. i6;3). Ei fu nominato a quell’impiego nel 1636, e rinunciollo poscia nel 1638 al Ferrari, il qual pure due anni dopo avendol dimesso, fu ad esso trascelto Toldo Costantini, che ne fu f ultimo rettore, essendo esso stato diiuso lui itij2[p. 171 modifica]SECONDO I-l dall’Argel;ili segnate) finì di vivere. Dalla medesima scuola del Cardinal Federigo Borromeo e dallo stesso collegio Ambrosiano uscì un altro dottissimo illustratore dei riti ecclesiastici, cioè Giuseppe Visconti milanese, morto nel 1633. Quattro opere ci ha egli lasciate , stampate in Milano fra’ ’l 1615 e ’l 1630, su’ Riti del Battesimo , su quei della Cresima, su que’ del SS. Sacrificio della Messa, e sull’Apparato della Messa medesima , opere tutte rimirate tuttora come utilissime per la grande erudizione con cui sono scritte, e per le belle e nuove ricerche che in esse ci mette innanzi l’illustre autore. Di esse ancora ci ha dato un ampio estratto il-Dupin (l. cit. p. 92). che altamente le loda , e solo si duole che il Visconti siasi in esse appoggiato talvolta a documenti supposti, o apocrifi, e che non abbia abbastanza distinti i riti particolari di qualche chiesa da quei della Chiesa universale. IX. Men conosciute, benchè non meno pregevoli, sono le opere del P. Fortunato Scacchi agostiniano. L* Eritreo ne ha scritto l’elogio (Pinac. pars 2, n. 65), di cui per lo più si è valuto nel ragionarne il P. Ossinger (Bibl. August.), benchè qualche circostanza ne abbia dissimulata. Ei fu uomo di varie vicende dal principio fino al termine di sua vita. Nato in Ancona di padre nobile, ma non di legittima madre, fu consegnato dapprima tra gli esposti a uno spedale. Quindi ricondotto alla casa paterna, e legittimato, entrò nell Ordine di S. Agostino. La legge di Sisto V, per cui ordinò che niuno nato illegittimo potesse essere religioso, [p. 172 modifica]LIBTVO lo costrinse ft depome l’abito, ma poscia ottenne di ripigliarlo. Ne’ primi anni visse così spregiato, che tutti i più vili impieghi del suo convento erano assegnati allo Scacchi. Ottenne finalmente di essere mandato agli studi a Iti— mini , e poscia a Roma; e credendo che 1 università d* Alcalà fosse la madre di tutte le scienze, impetrò di potersi colà trasferire. Salito su una nave senza denaro, gli convenne, per vivere, servir da cuoco a’ passeggieri, e giunto così a grande stento in Ispagna, cambiò le stoviglie co’ libri, e per sette anni applicossi con sommo studio alla filosofia e alla teologia, e diede pubblici saggi del molto suo ingegno. Tornato in Italia, si diè allo studio delle lingue; e nell’ebraica e più tardi ancor nella greca si avanzò molto. Nel 1609 pubblicò in Venezia una nuova edizion della Bibbia unendo alla Volgata la version del Pagnino, T antica Romana , e quella della Parafrasi Caldaica. E in tanta stima salì presso quella Repubblica , che morto f Paolo , fu invitato a succedergli nell1 impiego di teologo, cui però egli non volle accettare.Così si narra dall’Eritreo. Io confesso però, che questo racconto mi si rende dubbioso al riflettere che a f Paolo sottentrò il celebre F. Fulgenzio Micanzio compagno ed allievo di esso, e già da più anni sì accetto alla Repubblica, che parmi troppo difficile ch’essa pensasse ad alììdar quell" impiego ad un altro. E due altre particolarità io leggo nell’elogio dell’Eritreo, che non mi sembrano conformi al vero. La prima è che dal senato di Bologna ei fosse destinato a finir [p. 173 modifica]r SECONDO 1^3 J r opere lasciate imperfette dal famoso Aldovrandi, perciocchè il nome dello Scacchi non si vede nelle opere postume di quel grande scrittore; ma ben vi si veggono que’ di Cornelio Uterverio, di Girolamo Tamburini, di Tommaso Dumpstero, di Bartolommeo Ambrosini e di Ovidio Montalbani. La seconda è che ei fosse professore di teologia in quella università collo stipendio di 200 scudi; perciocchè da ciò che narra il medesimo Eritreo, sembra raccogliersi che ciò accadesse prima del 1623. Or l’Alidosi, che fino a quest’anno conduce la sua serie de’ professori, dello Scacchi non fa menzione. Dopo aver insegnato in molti conventi del suo Ordine, Urbano VIII chiamollo a Roma, e lo sollevò all’onorevole impiego di sagrista del palazzo apostolico, cui egli tenne per 15 anni. Ma egli poscia cadde in disgrazia al pontefice stesso, sì perchè sotto pretesto di sanità abitar non voleva nel Vaticano, sì perchè parlava talvolta troppo liberamente di ciò che nello stesso pontefice gli dispiaceva. Quindi presa l’occasione del chiedere ch’ei facea qualche sollievo alla sua età avanzata, il papa , a cui fu fatto credere che lo Scacchi avesse dimesso l’impiego, conferillo ad un altro; di che egli tanto rammaricossi che, venduta la sua libreria , in cui speso avea fino a 6000 scudi, ritirossi a Fano, ove poscia morì in età di circa 70 anni nel 1633. L’opera per cui egli deve avere in questa Storia luogo onorevole, è intitolata: Sacrorum Eleocìtri sma funi Myrothecium Sacro-prophanum, ed è divisa in tre tomi stampati in Roma dall’anno 1625 al 1637. In essa con molta e [p. 174 modifica]171 LIBRO rara cmudizione va l’autore raccogliendo e esaminando tutto ciò che appartiene agli olii e a’ balsami, a’ loro usi sì profani che sacri presso tutte le antiche nazioni, e più distintamente presso gli Ebrei. Ei fu pure uno de’ primi a scrivere sulla Canonizzazione de’ Santi, intorno alla quale pubblicò un trattato nel 1634 In questo argomento però egli era stato prevenuto dal P. Luca Castellini faentino domenicano, che nel 1628 e ne’ due anni seguenti avea in tal materia pubblicate alcune erudite Dissertazioni, delle quali e di altre opere di questo dotto teologo e canonista si può consultare la Biblioteca de’ PP. Quetif ed Echard (t. 2 , p. 471). Dello Scacchi abbiamo ancora alcune altre opere teologiche e alcune prediche latine, delle quali ci dà il catalogo il suddetto P. Ossinger. X. A questo luogo appartengono ancora gli ’ scrittori liturgici e gl1 illustratori delle cerimonie sacre, delle quali usa la Chiesa. Fra molti ch’io potrei indicarne, mi basti dir di tre soli che sono i più rinomati. E sia il primo il P. don Barlolommeo Gavanti natio di Monza nella diocesi di Milano, nato nell’anno 1570 e in età di 18 anni rendutosi religioso tra’ Cherici regolari barnabiti nel lor collegio di S. Barnaba in Milano. Ivi coltivò egli non solo gli studi della filosofia e della teologia, ma quegli ancor delle lingue greca ed ebraica, che in quel collegio allora fiorivano; e ne diede saggio recitando innanzi al Cardinal Federigo Borromeo , quando venne al suo arcivescovado, un’orazione in lingua ebraica. Fu poi dalla sua religione [p. 175 modifica]■\ SECONDO 1-5 impiegato ne’ consueti esercizii d’insegnar dalla cattedra e di predicare dal pergamo, e sollevato in essa a ragguardevoli cariche. Clemente VIII chiamollo a Bona a , e gli diè luogo nella Congregazione de’ sacri Riti, e da Urbano VIII fu adoperato nella correzione del Breviario Romano. La grande perizia che egli avea delle cose ecclesiastiche, lo rendette caro a più vescovi, che di lui si valsero o nel formare i decreti de’ loro sinodi, o nel visitare le lor diocesi, anzi al fine medesimo egli era stato chiamato a Praga dal primate di quel regno, e vi si sarebbe recato, se Urbano VIII non avesselo trattenuto in Roma. Cessò di vivere in Milano a’ 14 di agosto dell’anno 1638, dopo aver dati alla luce molti libri di diversi argomenti, che si posson veder citati dall’Argelati (Bibl. Script, mediol. t. 1, pars 2, p. 672), da cui io ho tratte le accennate notizie. Ma io rammenterò solamente i Comenti sulle Rubriche del Messale e del! Breviario, da lui intitolati Thesaurus sacrorum Rituum, e stampati la prima volta in Milano nel 1627, e poscia molte altre volte dati alla luce. Le tante edizioni fatte di quest’opera del Gavanti, i Comenti co’ quali essa è stata illustrata (fra’ quali i più stimati son quelli del celebri P. don Gaetano Maria Merati cherico regolare, stampati nel 1736), e il continuo uso che tuttor se ne fa per lo studio de’ sacri riti, sono il miglior elogio eli e di quest’opera e dell"autor di essa si possa fare. XI. In diversa maniera prese a illustrare la liturgia il Cardinal Giovanni Bona, nato in Mondovì nel Piemonte nel 1609, e entrato nella XI. E’oifcio Jel [p. 176 modifica]17^ LIBHO Congrcgazion rii*.rinata de Monaci Cisterciensi nel iGa5. lo non seguirò questo dotto non meno che pio scrittore nella serie de’ diversi impieghi e delle onorevoli cariche da lui nella sua religion sostenutej perciocchè , oltre più altri scrittori della Vita di esso , se ne può veder un esatto compendio presso il co. Mazzucchelli (Scritt, ital. t. 2, par. 3, p. 1515) (a). Dopo essere stato consultore di molte congre* gazioni in Roma, e dopo aver ricusato il vescovado di Asti, che Carlo Emanuello II duca di Savoia avea voluto concedergli , fu da Clemente IX nel 1669 annoverato tra’ cardinali, e dopo la morte di questo pontefice, ei gli fu da molti bramato per successore. Ma egli si mostrò alienissimo da quella suprema dignità, e più volentieri continuò ad occuparsi ne’ consueti esercizii della sua singolare pietà e negli usati suoi studi fino al 1674 nel qual anno a* 28 di ottobre finì di vivere. Molte son le opere da lui pubblicale in gran parte ascetiche, nel qual genere ancora egli è uno de’ più accreditati scrittori, e ne abbiamo ancora le Lettere a lui e da lui scritte a diversi, stampate in Lucca nel 1759. Ma noi dobbiamo principalmente considerarne le opere liturgiche. Due esse sono: la prima (quella De divina Psal/no« dia, deque variis Ritibus omnium Ecclesiarum in psallendis divinis Officiis intitolata ancora (a) Veggasi anche l’elogio del Cardinal Bonn inserito ne’ Piemontesi illustri (t. 1, /;. f»3) e la Vita scrittane in latino dal eh. mopsig Fabroni (Vùae ludor, l. i3, P• 7)• [p. 177 modifica]SECONDO irjr, rsallentìs Ecclesia e Harmoni a. In essa egli abbraccia tutto ciò che appartiene all1 uso di cantar salmeggiando le lodi divine} ne mostra l1 antichissimo uso, i diversi riti, le mutazioni avvenute; ricerca l’origine della recitazione delle ore canoniche e del canto ecclesiastico} e con vastissima erudizione, raccolta da tutti gli autori sacri e profani, ci dà il più ampio trattato che ancor si fosse veduto in questa materia. L’altra è intitolata Rerum liturgicarum libri duo, nella quale con uguale dottrina ragiona di ciò che concerne alla celebrazion della Messa , delle cerimonie usate nel celebrarla, della loro origine e della loro diversità secondo le diverse Chiese, de’ luoghi ne’ quali essa si celebrava, delle parti di essa, degli abiti del sacerdote, e di qualunque altra cosa appartenente a questo augusto sagrificio. Amendue queste opere furono più e più volte stampate} e della seconda singolarmente si è fatta nell1 anno 1747 e ne’ seguenti in Torino una più copiosa edizione in quattro tomi in folio con molte giunte per opera del P. don Roberto Salas torinese dello stesso Ordine. La quistione della consecrazione nel pane azimo e nel fermentato, trattata da questo illustre scrittore nella sua opera liturgica , e l’opinione da lui sostenuta che la Chiesa latina ne’ primi otto secoli avesse usato comunemente del pan fermentato, gli diede occasione di qualche contesa col Mabillon, che ne impugnò il sentimento con una sua dotta Dissertazione, stampata nel 1674 e dedicata allo stesso Cardinal Bona, a cui istanza avea il Mabillon esposti i suoi sentimenti. Questa Tiraboschi, Voi XIV. 12 [p. 178 modifica]I;8 LIBRO coutesa però fu , qual sempre esser dovrebbe tra gli eruditi, piena di saviezza e di moderazione per l’una parte e per l’altra; perciocchè ciascheduno di essi ben conosceva il valore del suo avversario, e non moveasi a scrivere che per amore del vero. Non così saggiamente contennersi alcuni altri avversarii del cardinale, e singolarmente il celebre P. Macedo Minor osservante , che aspramente lo impugnò. Intorno alla qual contesa veggasi il citato articolo del co. Mazzucchelli e la Storia letteraria d Italia (t. 4, p. 63). XII. Il terzo scrittore delle cose liturgiche di questo secolo fu il celebre cardinale Giuseppe Maria Tommasi,il quale in maniera diversa dagli altri due prese a illustrarla. Perciocchè dove il primo comentò le Rubriche de’ libri liturgici, de’ quali ora usa la Chiesa, e il secondo si diede a formar la Storia della Liturgia medesima, esaminandone l’origine e le vicende, il terzo, raccolti molti de’ più antichi codici liturgici, li diè alla luce; e fece in tal modo sempre meglio conoscere la disciplina ecclesiastica in ciò che appartiene al culto esteriore. Di questo piissimo e dottissimo cardinale abbiamo la Vita copiosamente descritta da moiisig. Fontanini, e inserita a parte a parte in otto tomi del Giornale de1 Letterati d llalia (t. 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24 , 26); e noi ne daremo qui solo un ristretto compendio. Da Giulio Tommasi duca di Parma e da Rosalia Traina nacque Giuseppe Maria in Alicata città della Sicilia, di cui il padre era signore, a’ 14 di settembre del 1649, e fin da’ più teneri anni diede [p. 179 modifica]SECONDO grandi ripruove di quella pietà che fu poscia in lui singolare. Nel 1664 entrò tra’ Cherici regolari teatini in Palermo} e mandato poscia in Italia per continuarvi gli studi, soggiornò a tal fine in Ferrara, in Modena e in Roma} e in quest’ultima città singolarmente ei si giovò molto dell’amicizia contratta co’ cardinali Giovanni Bona e Francesco Barberini il vecchio, con monsig. Giuseppe Maria Suarez e colf ab. Michelagnolo Ricci poi cardinale} e da essi indirizzato , si volse a’ veri fonti dell’ecclesiastica erudizione, cioè allo studio de’ Concilii, de’ SS. Padri e de’ Canoni. Al che avendo egli aggiunto lo studio delle lingue greca ed ebraica, potè quindi avanzarsi tanto nelle scienze sacre, e additarne agli altri il vero sentiero coll’egregio opuscolo pubblicato nel 1701 , intitolato Indiculus Istitutionum Theologicarum. Il Cardinal Barberini fra tutti amava teneramente il Tommasi per le rare virtù di cui vedealo adorno, e pel singolare talento di cui per gli studi ecclesiastici lo rimirava dotato} e osservandolo principalmente inclinato alle cose liturgiche, adoperossi per modo, che ottenne di portargli, come fece egli stesso in persona, alla sua casa di S. Silvestro gli antichissimi Responsorii e Antifonarii della Chiesa romana, che si conservano nell’archivio della basilica Vaticana, acciocchè a tutto suo agio gli esaminasse. L’esempio di quel gran cardinale servì di stimolo agli altri. Quasi tutte le biblioteche di Roma furono aperte al P. Tommasi, e quella in modo particolare della reina Cristina, che di tai codici era ricchissima. Lieto egli al vedersi [p. 180 modifica]l8o LIBKQ innanzi tanti tesori; determinossi ad esporli a pubblica utilità, e nel 1680 pubblicò l’opera intitolata Codices Sue rame rito rum nongentis anni s vetustiores, da lui arricchita di prefazioni assai erudite. A questa succedette nel 1683 l’edizion del Salterio secondo la version romana e la gallicana, e nel 1686 la Raccolta de’ Iie~ sponsoriali e degli Antifonarii della Chiesa romana , opere esse pure da lui illustrate con dottissime prefazioni, e colla giunta di altri pregevoli ecclesiastici documenti. Volse poscia i suoi studi a tutta la Biblia, e ben persuaso che nulla era a trascurarsi di ciò che concerne que’ sacri libri, nel 1688 pubblicò gli antichi Titoli e Capitoli di essi colle antiche sezioni del sacro Testo e le sommarie numerazioni de’ versi di ciaschedun libro cogli antichi prologhi ed argomenti. I libri antichi delle Messe della Chiesa romana, l’ufficio del venerdì santo de’ Greci recato in latino, una nuova edizion del Salterio distinto , secondo l’antico uso, in versetti con una sua breve letterale dichiarazione del medesimo, e tre tomi d’Istituzioni teologiche, ossia una raccolta di opuscoli di SS. Padri, che servon d’introduzione e di fondamento allo studio della Religione, e altre opere di minor conto furon esse ancora lavoro di questo instancabile religioso. Clemente XI volle ricompensare tante fatiche 0 sì rare virtù, e a’ 12 di maggio del 1712 il nominò cardinale. L’ottimo religioso parve all’inaspettata nuova percosso dal fulmine; e a fargli accettare tal dignità, fu necessario un espresso comando del papa. Essa non ne cambiò [p. 181 modifica]SICONDO l8l pnnlo » costumi; anzi parve che dal nuovo suo onore maggiori stimoli si accrescessero alla sua fervente pietà. Ma pochi mesi ei sopravvisse , e al 1 di gennaio dell’anno seguente, in età di 63 anni, con santa morte diè fine alla santa sua vita , degnò perciò che se ne intraprendesse, come tra non molto si fece, l’esame delle virtù per sollevarlo agli onori degli altari. Ciò che ne abbiamo detto finora, benchè assai brevemente, può bastare a mostrarci quanto al Cardinal Tommasi debba l’ecclesiastica liturgia. Ma non vuolsi ommetter l’elogio che ne ha fatto il pontefice Benedetto XIV che meglio d’ogni altro potea discernere il merito di questo dottissimo cardinale, e che nel suo Breve de’ 20 di marzo del 17.45 , in cui per riguardo a’ meriti del Cardinal Tommasi e del P. don Gaetano Merati concede alla Congregazione de’ Cherici Regolari un posto nella Congregazione de’ Riti, del primo di essi dice: Unus instar omnium enituit, Nobis (quod semper maximi faciemus) summa necessitude conjunctus, immortalis memoriae vir et Venerabilis Dei Servus Josephits Maria, dum vixit, S. R. E. Presbyter Cardinalis Thomasius noncupatus doctrinae praestantia , morum sanctimonia , et austerissima vivendi forma clarissimus et spectatissimus, qui summo genere natus adolescens adhuc, jure prioris aetatis abdicato, humanisque. rebus valere jussis, praeclarum hoc institurum amplexus est, et ex uberrimis Patrum fontibus et ex venerandae antiquitatis condicibus studia, vigilias, omne sque clucubrationes suas in proximi commodum et in Ecclesiae [p. 182 modifica]i8a LIBRO praesidium derivavit (Bened. XIV. Bullar. t 1 p. 307). Il Dupin ha conosciuto assai male questo sì illustre scrittore; perciocchè avendo egli pubblicate alcune opere sotto il nome di Giuseppe RI aria Caro, altro cognome della sua nobil famiglia, ei sotto questo sol nome lo ha rammentato, dicendo di non saper nulla della vita di questo autore (li ibi. eccl. t 19, p. 176). Il ch. P. don Antonfrancesco Vezzosi dell’Ordin medesimo ci ha poi data nel 1747 una nuova edizione di tutte l’opere del Cardinal Tommasi in sette tomi in quarto, colf aggiunta «li più cose inedite, e con una generale Apologia dell1 opere stesse scritta dal P. don Giuseppe Maria del Pezzo dello stesso Ordine (a). XHI. Non mcn gloriose nè meno felici furono - le fatiche con cui molti Italiani si accinsero a

rischiarare la Storia ecclesiastica, o illustrando

le antichità de1 primi secoli della Chiesa, o scrivendo le diverse vicende della medesima, (a) Alle opere diretto ad illustrare 1’ecclesiastica liturgia deesi aggiugnere quella di Domenico Magri intitolata Hierolexicon, che è un vocabolario e una spiegazione di tutte le voci usate nelle cose ecclesiastiche e nella sacra Scrittura , opera di molta erudizione per que’ tempi, e che dopo la prima edizione, fattane in Roma nel 1677, è stata ristampata più volte e anche a’ nostri giorni in Venezia nel 1765, coll’aggiunta dell’altro opuscolo di i medesimo diretto a spiegare le apparenti contraddizioni della sacra Scrittura. Il Magri, che nel comporre la prima opera fu aiutato da Carlo suo fratello, era maltese; ma visse comunemente in Italia, fu canonico in Viterbo, e morì nel 1672. Di lui abbiamo ancora alcuni altri opuscoli, e uno fra essi delle Virtù del Caffè, stampato in Roma nel 1G71. [p. 183 modifica]SECONDO l83 o stendendo la Storia delle Chiese particolari, degli Ordini religiosi, delle Eresie, e di nitri memorabili avvenimenti. Tra’ più celebri illustratori delle antichità ecclesiastiche deesi annoverare monsig. Giovanni Ciampini romano. Tutte le opere di questo dotto scrittore, stampate prima separatamente, sono state raccolte e in tre tomi ristampate in Roma nel 1747 premessavi la Vita del loro autore; la qual per altro non ci offre cose degne di particolar riflessione, trattane la serie delle diverse cariche ch’egli sostenne nella curia romana, l’ultima delle quali fu quella di abbreviatore del Parco maggiore, eli ei sosteneva quando finì di vivere nel 1698, in età di 65 anni. Ed egli volle onorare questa sua carica, scrivendo in latino la Storia dell’istituzione del collegio degli Abbreviatori, degli impieghi c de1 privilegi propri di que’ che il componevano, e degli uomini illustri che ne erano usciti. Essa fu stampata in latino nel 1691. Assai più celebri per la più vasta estensione della materia, e per l1 ampissima erudizione con cui sono scritte, sono due altre opere del G ampi ni 5 la prima è intitolata: Vetera monimenta, in quibus praecipue musiva opera, sacrarum prophanarumque aedium stuctura, etc. illustrantur, il cui primo tomo fu stampato in Roma nel 1690, il secondo, morto già l’autore, nel 1699. L’origine delle prime chiese dei Cristiani , la loro struttura, le parti in cui eran divise, gli usi a’ quali servivano, tutto diligentemente si esamina dal Ciampini, che passa indi a descrivere i più bei musaici antichi che in alcune di esse ancor si conservano , c [p. 184 modifica]184 LIBRO lischiara con essi molte quistioni appartenenti alla storia ecclesiastica. Nell’altra opera, scritta pure in latino e stampata nel 1693, tratta di tutte le chiese fabbricate dall’imperador Costantino, e questo argomento ancora il conclude ad illustrar molti punti della storia di que’ secoli. Ei diede un nuovo saggio della sua critica e della sua erudizione colf Esame del Libro Pontificale, ossia delle Vite de’ Papi, attribuite ad Anastasio Bibliotecario, opera essa ancora stesa in latino, e pubblicata nel 1688, in cui sostiene che quelle Vite sono lavoro di diversi scrittori, e che cinque sole son quelle che abbian per autore Anastasio. Egli entrò ancora nella quistione allor dibattuta della consecrazione nel pane azimo, o nel fermentato, e fu favorevole all’opinione del Mabillon, il qual vuole che la Chiesa latina abbia sempre usato dell’azimo. Più altre dissertazioni e più altri opuscoli abbiam del Ciampini, de’ quali io lascio di far menzione per non allungarmi di troppo. La sopraccennata ristampa fatta negli anni addietro dell’opere di esso mostra che anche dopo i più chiari lumi che l’erudizione e la critica han ricevuti, esse sono assai utili; e tali aneli* esse parvero al dottissimo Mabillon che di esse e del loro autore ci lasciò un onorevole elogio (Iter italic. p. 63). Del Giornal letterario per più anni dal Ciampini pubblicato in Roma sarà di altro luogo il parlare. XIV. Io farò qui menzione di un altro scrittore, il cui nome però potrebbe con ugual ragione appartenere a più altri capi di questa Storia per le erudite opere di diversi argomculi [p. 185 modifica]SECONDO l85 fh’ei ci ha lasciate, cioè del celebre P. abate don Benedetto Bacchini monaco casinese, uomo che nella sacra e nella profana erudizione ebbe pochi pari a quel secolo, e degno anche perciò di particolar ricordanza, perchè a lui si dee in gran parte l’aver rinnovato e comunicato a più altri il buon gusto in cotal sorta di studi, e l’aver eccitati e animati non pochi a seguir la via da lui felicemente battuta. Benchè molti abbiano di lui scritto, e sulle notizie da essi date abbia formato un diligente ed esatto articolo della vita di esso il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2 , par. 1, p. 6), io spero nondimeno di poter dire più cose da altri non dette , valendomi delle memorie che me ne ha cortesemente trasmesse il ch. P. abate don Andrea Mazza monaco casinese , il quale con somma diligenza ha raccolto tutto ciò che a questo valentuomo appartiene, e singolarmente quante ha potute trovate lettere o a lui scritte, o da lui la). A’ 31 di agosto del 1651 nacque il Bacchini da onesti genitori in Borgo S. Donnino, e dopo fatti i primi studi nelle scuole de’ Gesuiti in Parma, entrò nella Congregazion Casinese nel 1667. L’indefessa applicazione con cui allora si volse alle più ardue scienze, ne sconcertò la salute per modo, che fu costretto a ritirarsi in riposo per due anni nel monastero di Torchiara sulle colline del Parmigiano. (a) Anche il eh. monsig. Fabroni ha scritta elegantemente la Vita del P. Baccbini (Vitue llalor. /. 7 , p. 264, ec.), ove forse per errore di stampa si legga che Borgo S. Donnino è Rlutincnsi* di’ioni» in vece di Parmcti i/jr. [p. 186 modifica]186 LIBRO Ma il riposo del Bacchiai altro non fu che il cambiare oggetto di studio, e il sostituire alle più difficili scienze la più piacevole letteratura nella lezione de’ più celebri antichi scrittori. Riavutosi pur finalmente, ed applicatosi alla predicazione, la esercitò per sette anni, e ne trasse per frutto l’amicizia che ne’ suoi viaggi strinse con molti letterati, e singolarmente col celebre Magliabecchi. Tornato a Parma nel 1683, ripigliò i geniali suoi studi, e quello singolarmente delle lingue greca ed ebraica. eli’ ei giunse a possedere perfettamente. Il Giornale de1 Letterali, eh ’ei cominciò a pubblicare in Parma nel 1686, e che fu poi continuato in Modena fino al 1697, fece semPre meglio conoscere qual fosse in ogni genere d’erudizione il valor del Bacchini. Ma al plauso che presso i più saggi egli ebbe, fu congiunta l’invidia che incontrò presso alcuni; ed ella giunse a tal segno, che con nere calunnie appostegli presso il duca di Parma, di cui avea il titolo di teologo, ottennero che gli fosse ingiunto di uscire in tre giorni da quello Stato nel mese di giugno del 1691. Ritirossi allora al monastero di S. Benedetto di Mantova, il cui abate don Simeone Bellinzani grande stimator del Bacchini venne a Parma a levarlo. In quel monastero compose il Bacchini i tre suoi famosi Dialoghi, ne’ quali sotto nomi allegorici descrive le sue vicende, e accenna i suoi nemici insieme e i suoi protettori. Nel novembre dell’anno medesimo Francesco II duca di Modena chiamollo con onorevolissime espressioni al suo servigio, e dichiarollo suo istoriografo, il che diede [p. 187 modifica]SECONDO 187 occasione al Bacchini di raccogliere molti monumenti per la genealogia degli Estensi, eli’ ei poscia comunicò al Muratori, e de’ quali si valse nel mandare all Imboli’ la medesima genealogia. Fin all’anno 1700 durò egli al servigio di questa corte, e solo nel 1695 fu per poco tempo a Bologna, ov’era stato nominato professore in quella università; e l’anno 1696 fu da lui impiegato in un viaggio a Roma e a Napoli, in cui sarebbe difficile a definire se maggiori fossero gli onori die ei ricevette da’ principi e da’ letterati, o i vantaggi che la sua erudizione ne trasse. Ed avea egli pensato di comunicarne al pubblico i frutti nella relazione delle cose da lui in esso attentamente osservare; ma parte per una certa fatale contraddizione che si opponeva alla pubblicazione di qualunque sua opera, parte per f impiego di suo bibliotecario allor conferitogli dal duca Rinaldo , per cui dovette accingersi al riordinamento di questa allor confusa biblioteca, non potè eseguire il suo disegno. Quanto era caro al Bacchini questo nuovo impiego, altrettanto eragli ingrato quello di cellerario del suo monastero , che gli fu forza accertare, e per cui finalmente dovette deporre il primo, cedendolo di buon grado al Muratori, che anche ad istanza di esso vi fu chiamato nel 1700. Fra le cose che debbon rendere a questa città dolce e onorata la memoria del P. Bacchini, deesi ricordare principalmente l’accademia da lui istituita in questo suo monastero non solo pe’ monaci, ma anche per più altri che la frequentavano; ed era essa diretta non a qualche sterile [p. 188 modifica]iS8 unno esercizio poetico, ma al coltivamento della ecclesiastica erudizionej e ad uso di essa principalmente egli scrisse l’opera intitolata Manuductio ad Philologiam ecclesiasticam, di cui si hanno più copie mss. Gli esercizii accademici furono alquanto interrotti dal viaggio che il Bacchini dovette fare a Roma nel • 700 per la guerra mossa alla pubblicazione da lui destinata del libro di Agnello; e benchè gli venisse fatto di calmar la procella, le traversie però ivi sostenute il fecero tornar di buon animo a Modena e alla sua accademia, che durò fin al 171 1, nel qual anno, fatto abate di questo monastero f dovette ad altre occupazioni applicarsi. Dal governo del monastero di Modena passò a quello di Reggio nel 1713, e il resse per sei anni; e pensava egli allora di far ritorno a Modena. Ma non trovossi egli mai in sì infelici circostanze come a quel tempo. Si avvide di esser caduto in disgrazia del duca Rinaldo pe’ diritti di questo suo monastero da lui sostenuti. La corte di Parma non gli permise di ritirarsi a quel monastero, sdegnata contro di esso, perchè creduto, almeno in gran parte, autor delT opera contro l’Ordine costantiniano. Passò dunque al governo del monastero di Bobbio , ove avendo trovato nocivo alla sua salute quel clima, dopo essersi ristabilito col soggiorno di più mesi in Padova , mentre torna a Bobbio, se ne vide escluso dalla legge che vietava a’ forestieri l’aver governi in quello Stato. Così vedeasi questo grand’uomo quasi da ogni parte escluso; quando l’università di Bologna lo invitò di nuovo alla cattedra che già avea sostenuto. [p. 189 modifica]SECONDO Ma appena giuntovi, e presone il possesso sul principio di luglio del 1721, cadde infermo, e finì di vivere il 1 di settembre dell’anno stesso. Così chiuse i suoi giorni questo dottissimo monaco, degno di miglior sorte, ma che rimarrà immortale nella memoria de’ posteri, finchè saranno in pregio le lettere e le scienze. Io non darò il catalogo delle opere da lui composte sì stampate che inedite, il quale si può vedere esattissimo presso il co. Mazzucchelli. Esse ci mostrano che non vi ebbe genere d’erudizione a cui il Bacchini non si volgesse, e in cui non desse pruove del vivo suo ingegno e della sua instancabile applicazione. Lasciando in disparte le altre che a questo luogo non appartengono, io accennerò solo le belle Dissertazioni colle quali egli ha illustrata la Storia de’ vescovi di Ravenna scritta da Agnello, la Storia del Monastero di S. Benedetto di Polirone, l’eruditissima opera De Ecclesiasticae Hierarchiae oripini bus, e le Lettere polemiche contro Giacomo Picenino, che sono una delle più dotte opere contro i Protestanti, che abbian veduta la luce. Questa ancora ebbe tali contraddizioni, che il Bacchini vivente non potè pubblicarla. Ma finalmente ella fu stampata in Milano colla data d’Altorf nel 1738 per opera del ch. P. don Sisto Rocci ora abate espresidente de’ Casinesi, ed uomo dottissimo, il quale ne verificò ancora e corresse le citazioni e i passi allegati, per essersi egli dovuto servire di un esemplare scorrettissimo, Io ho parlato in breve della vita e dell’opere del P. ab. Bacchini, perchè spero che ne vedremo un giorno illustralo [p. 190 modifica]lt)0 LIBRO meglio le glorie dal suddetto P. ab. don Andrea Mazza, il quale potrà aggiugnere ancora l’onore che a lui recarono molti illustri allievi ch’egli ebbe, e singolarmente il march. Maffei e il Muratori, il primo de’ quali continuamente lo esalta nelle sue opere con somme lodi; il secondo, benchè ne parli meno sovente, e sia anche sembrato ad alcuni che non renda al merito del Bacchini quella giustizia che gli era dovuta, è certo però , che ne ebbe altissima stima, e che a’ consigli e a’ lumi di esso dovette molto di quella erudizione che lo ha renduto e lo renderà sempre glorioso ne’ fasti della letteratura. XV. Più altre opere di somigliante argomento si potrebbono qui additare di altri scrittori, dei quali o si è già altrove trattato, o si dirà in altro luogo, come dell’Allacci, dell’Olstenio, dello Schelstrate, italiani non di nascita, ma di lungo soggiorno, del Cardinal Federigo Borromeo, del P. Rocca, i quali tutti qualche trattato ci diedero intorno all1 erudizione e alf antichità ecclesiastiche. Or mentre essi andavano per tal maniera scoprendo le ricche sorgenti a cui doveansi attingere le notizie della storia della Chiesa, altri al tempo medesimo si accinsero ad illustrare direttamente o la generale, o la particolare storia della Chiesa medesima. L’Italia non ebbe, è vero, nel corso di questo secolo un Baronio; ma pur ebbe alcuni valorosi scrittori che ne imitarono felicemente gli esempii. E uno tra gli altri prese e a continuare e a compendiare la grand1 opera di quel celebre cardinale. Ei fu Odorico Rinaldi trivigiano della [p. 191 modifica]SECONDO 191 Congregazione dell1 Oratorio. Questi pubblicò dapprima in Roma dal 1646 fino,al 1677 dieci tomi di continuazione di quegli Annali, innoltrandosi colla storia dal 11981)fino all’anno 1564; e benchè essi non siano ugualmente stimati che i primi dodici, forse perchè la minor difficoltà della materia rende meno pregevole la fatica, la gran copia però di autentici monumenti da lui pubblicati rende l’opera del Rinaldi utilissima 5 e senza essa non si sarebbono avute più altre Storie che più di essa si apprezzano. Quindi nel medesimo tempo si adoperò in compendiare in lingua italiana così gli Annali del Baronio, come la sua continuazione; opera scritta con purezza di stile assai superiore alla usata comunemente in quel secolo, ma con una purezza talvolta più ricercata, che a storia non si conviene. Questa è però la sola opera intorno alla storia ecclesiastica generale che in questo secolo possa mostrare con suo onore l’Italia. Un’altra dobbiamo ad essa congiugnerne, che può rimirarsi come una introduzione agli Annali ecclesiastici del Baronio , cioè gli Annali del Vecchio Testamento , scritti in latino dal P. don Agostino Tornielli di patria novarese cherico regolare barnabita, della qual religione fu generale. La prima edizione ne fu fatta in Milano nel 1610, e fu poscia ripetuta altrove più volte, e di fresco una nuova edizione ne ha fatta in Lucca in quattro tomi in folio nel 1757 con molte utili aggiunte il ch. P. Negri dell’Ordine stesso. Egli fu il primo che si accingesse a dare alle stampe un’opera di tale argomento, in cui con buon metodo e con sana [p. 192 modifica]LIBRO critica raccogliendo e ordinando i diversi passi della sacra Scrittura, aggiuntavi l’autorità de’ più gravi antichi scrittori, ci diede una Storia seguita ed esatta del Vecchio Testamento, che à sempre stata ed è tuttora in gran pregio tra gli eruditi. Ei fu perciò molto stimato non solo tra’ suoi , ma anche da S. Carlo Borromeo e dal duca di Mantova Vincenzo Gonzaga , che volle onorarlo col conferirgli il vescovato di quella città. Ma il P. Tornielli, uomo ugualmente dotto che virtuoso e modesto, amò meglio lo starsene nell’amato suo chiostro, e finì di vivere nel suo collegio di S. Barnaba in Milano nel 1622 (Cotta, Museo novar. p. 45; Argel., Bibl. Script, mediol. t. 2, pars 2, p. 2179, ec.). Quanto alla Storia de’ Papi, io passerò volentieri sotto silenzio quella di Giovanni Palazzi, scritta in latino, e stampata in Venezia in cinque tomi nel 1687, opera non meritevole di grandi elogi, e accennerò piuttosto le giunte e la continuazione del P. Agostino Oldoini gesuita alla Storia de’ Papi e de’ Cardinali scritta nello scorso secolo dal Ciaconio. la quale, benchè non sia nè così esatta, come bramar si potrebbe , nè scritta in modo che ne sia piacevole la lettura, contiene però molte utili ed importanti notizie che difficilmente si rinverrebbono altrove. Prima dell1 Oldoini avea scritte altre giunte all’opera stessa, e aveala continuata da Leone XI fino ad Urbano VIII Andrea Vettorelli bassanese canonico di Padova, e morto in Roma nel 1653, di cui pure abbiamo la Storia de’ Giubbulei pontificii , stampata ivi nel 1625, e molte altre opere, delle quali ci [p. 193 modifica]SECONDO 1^3 ha dato un dilìgente catalogo il eh. sig. Giambatista Verci (Scritt. lassati, t. 1 , p.) , » cui però debbonsi aggiugnere due lettere a Paolo Guado, pubblicate fra le Lettere d’Uomini illustri, stampate in Venezia nel 1744 (p. 460, ec.). XVI. Le Vite de’ Santi, che molto ci hanno occupato ne’ secoli precedenti , poco ci offrono in questo, che degno sia di distinta menzione, giacchè io non debbo parlare delle Vite di alcuni Santi particolari, sì perchè ciò mi condurebbe a una lunga e noiosa enumerazione, sì perchè esse comunemente sono indirizzate a fomentare la pietà più che le lettere. Due scrittori si accinsero ad illustrare il Martirologio romano. Il primo fu il P. Filippo Ferrari generale dell’Ordine de’ Servi di Maria, di cui abbiamo i cataloghi de’ SS. d’Italia, è di que’ che nel Martirologio non son nominati, e la Topografia del Martirologio romano. Ma in esse si vorrebbe dagli eruditi una più avveduta critica e un più rigoroso discernimento; e noi parleremo di questo autor con più lode, ove si dovrà ragionare dello studio della geografia. L’altro fu Francesco Fiorentini lucchese, uomo assai dotto, e molte opere del quale non hanno ancor perduto il lor pregio dopo i progressi che la critica in questo secolo ha fatti. Egli era medico di professione, e diè pruova del suo sapere in quest’arte con una dissertazione De gemino puerorum lacte, ec., stampata in Lucca nel 1653. Ma più che alla medicina attese egli alla storia singolarmente sacra. Nel 1668 Tiraboschi , Voi. XIV. i3 [p. 194 modifica]iy4 libro ei diè alla luce nella stessa città l’antico Martirologio della Chiesa romana da lui illustrato con erudite annotazioni. Ma egli credette clic esso fosse lavoro di S. Girolamo, nel che i moderni critici han seguita altra opinione, riputandolo opera di circa quattro secoli più recente. Una nuova edizione ce ne ha poscia data nel i;56 con molte aggiunte l’eruditissimo monsig. Mansi arcivescovo di Lucca; il che pure egli ha fatto dell’altra opera del Fiorentini che molta luce ancora ha sparsa sull’ecclesiastica storia, cioè delle Memorie della gran contessa Matilda, da lui pubblicate la prima volta in Lucca nel 1642. Il giudizio che di quest’opera ha dato il Leibnizio, può bastare esso solo per qualunque più luminoso elogio: Vita magnae Mathildis, quam dedit, scrive al Magliabecchi parlando del Fiorentini (cl. German. Epist ad Magli ab. p. 72), thesaurum continet praeclararum notitiarum, nugis explosis, quas vulgo ex se mutuo transcribunt Ristorici (a). Uu’ altra (a) 11 Fiorentini non fu nè il primo nè il solo a rischiarare la Vita di questa celebre principessa. Fin dal secolo precedente di essa aveano scritto don Silvano Razzi, Guido Mellini, don "Benedetto Lucchino. Ma le opere loro non sono scritte con quella giusta critica che or si richiede; e sono anzi ampollosi elogi, che esatte storie. Il Fiorentini fu il primo a scriverne con qualche maggior discernimento; benchè egli pure in più cose cadesse in errore. Pregevole sarebbe 1 opera che sulla Genealogia della contessa Matilde scrisse in latino Felice Contelori canonico della Vaticana, che fu stampata in Roma l’anno 1657 dopo la sua morte, in cui egli inserì molti documenti autentici e interessanti. Ma 1 edizione ne è scorretta di troppo, e non se ne ha perc.ò [p. 195 modifica]SECONDO jg5 opera appartenente alla storia ecclesiastica fu pubblicata nel 1701 da Mario di lui figliuolo, che più altri opuscoli del padre di diversi argomenti diede alla luce. Essa è intitolata Etruscae pietatis origines sive de prima Tusciae Christianitate, nella quale però ei si mostra troppo inclinato alle popolari tradizioni, volendo fondate quasi tutte le Chiese d’Italia o dagli Apostoli stessi, o da’ primi loro discepoli. Finalmente il Fiorentini fu ancora teologo; e ne abbiamo una Dissertazione sulla quistione allor dibattuta dell’azimo e del fermentato, stampata in Lucca nel 1680, nella quale ei si mostra favorevole all’opinione del Cardinal Bona (a). L’Eritreo, nell’Elogio di Paolo Emilio Santorio arcivescovo di Urbino, accenna le Vite delle SS. Vergini, e quelle de’ SS. Apostoli Pietro e Paolo da lui scritte latinamente con somma eleganza e stampate (Pinacoth. pars 3,n. 18); e uggiugne eli’ egli avea preso a scrivere una Storia generai de’ suoi tempi, ma clic non se quell’utile che potrebbe ritrarsene. Più altre opere abbiamo del Concolori , che cel mostrano uom per que’ tempi di molta erudizione, lo non accennerò che In confutazione eh’ei fece del favoloso racconto della venuta del papa Alessandro III a Venezia, stampato dal P. Fortunato Olmo in Venezia nel la qual opera , essa pure in latino, del Coutelori fu stampata in Parigi nel 1032. (a) 11 Fiorentini firn di vivere a115 di gennaio del 1673, e si può vedere l’elogio che nel tomo 111 degli Atti de’ SS. di api-ile nella Vita di S. Zitta ne inserirono i PolInn listi Enscbenio e Papebrochio da lui già cortesemente alloggiati in sua casa in Lucca. [p. 196 modifica]196 LIBRO ne videro che alcuni frammenti fra le mani de’ dotti. E che il Santorio fosse veramente storico elegante e perfetto, raccogliesi ancora da un dei racconti del Boccalini (centur. 2, ragg. 14), in cui introduce Tacito che il presenta ad Apolline come il migliore storico latino che allor vivesse, e il fa ricevere in Parnaso con sommo applauso. Di lui abbiamo ancora una Storia del Monastero carbonese dell’Ordin di S. Basilio, stampata in Roma nel 1601 (a). XVII. Una Storia generale de’ Concilii ci diede in questo secolo monsig. Marco Battaglini, la quale però, e per lo stile troppo diffuso e per la critica non sempre esatta, non ebbe gran plauso. Dell1 autore di essa diremo altrove. Maggior fu lo strepito che eccitarono le due Storie del Concilio di Trento, scritte dal celebre f Paolo e dal Cardinal Sforza Pallavicino. Intorno alla prima, non vi ha luogo a quistione che l’autore non siane veramente il Sarpi, benchè alcuni abbian voluto dubitarne. L’originale che tuttora se ne conserva in Venezia, scritto di mano di F. Marco Franzano copista del Sarpi, basta a toglierne ogni dubbio (Foscarini, Letterat. venez. p. 353). Quanto di tempo impiegasse il Sarpi in comporla, poco importa il saperlo. Inutile parimente mi sembra il cercare da qual motivo fosse egli indotto a scriverla; (a) Del Santorio c deile opere da lui composte si fiosson ora vedere più copiose e più esatte notizie adopera degli Storici napoletani del sig. Soria (t. 1, p. 128, ec.). [p. 197 modifica]SECONCO lyy poiché delle intenzioni degli uomini chi può assicurarsi di giudicar con certezza? È certo ch’essa fu la prima volta stampata in Londra nel 1619, sotto il nome di Pietro Soave Polano , per opera di Marcantonio de Dominis , da noi mentovato poc1 anzi; ma non parmi ugualmente certo, ciò che alcuni affermano, ch’essa fosse stata stampata senza il consenso del Sarpi. L’unico fondamento di questa asserzione son le parole dell’editore nella lettera dedicatoria al re Jacopo, ove dice di non sapere, come dall autore sarebbe stata interpretata la sua risoluzione. Ma non poteva il Sarpi aver data la sua Storia al de Dominis con questo patto ch’ei la divolgasse come per suo proprio consiglio , e senza saputa dell" autore? L sarebbe ella questa cosa nuova , e non mai accaduta nella repubblica delle lettere? Io ne lascio a’ saggi lettori il giudizio. Io non affermerò dunque che il Sarpi consegnasse al de Dominis la sua Storia, affinchè la desse in luce, poichè di ciò non ho alcun documento che me ne accerti*, ma dirò solo che non è abbastanza provato il contrario. Si narra ancora da alcuni che f Paolo si dolse della pubblicazione della sua Storia , singolarmente per alcune cose aggiunte al titolo, e per l’ampia dedica dall’editore premessavi. Ma di questo dolore del Sarpi non veggo che si adduca alcuna testimonianza, nè alcuna ho io potuto rinvenirne. Checchè sia di ciò, de’ due pregi che rendon lodevole una storia, cioè lo stile e la veracità, il primo non manca certamente alla Storia del Sarpi 5 non già ch’ei sia elegante e colto scrittore, ma [p. 198 modifica]«9$ LIBRO per una cotal sua naturalezza nel raccontare, e per una certa sua arte, tanto più fina, quanto meno sensibile d1 insinuarsi nell animo de’ lettori , e di render loro piacevole la sua narrazione. Quanto alla veracità , non può negarsi che molti scrittori ne han fatto grandi elogi; ma io bramerei eh1 essi non fossero protestanti. Certo a molti Cattolici essa non parve troppo verace; e molte falsità pretese di scoprire in essa il Cardinal Pallavicino. Ma anche questo scrittore presso molti è sospetto pel suo attaccamento alla corte romana. E io son ben lungi dal sostenere che gli si debba credere ciò eli1 ei racconta, solo perchè egli il racconta. Le Storie di amendue son nelle mani di tutti: si confrontin tra loro; si esaminino i documenti ai quali ciascheduno appoggia i suoi racconti, e si decida chi sia più degno di fede. Se invece di tanti insulsi libercoli, pubblicati in questi ultimi anni su tale argomento, ne’ quali non si fa altro che declamare villanamente, o asserire cose delle quali non si adducono sicure pruove, si fosse intrapreso un esame imparziale delle due Storie nella maniera accennata, sarebbesi impiegato il tempo assai meglio e con maggior vantaggio della letteratura. Ma passiamo omai a vedere chi fosse l’avversario del Sarpi, di cui però deesi qui ancora accennare un’altra opera inedita, cioè una Storia general de’ Concilii, ch’egli avea stesa per ordine alfabetico, che fu già veduta dal Montfaucon (Diar. italic, p. 76) e da Apostolo Zeno (V. Foscarini, l. cit. p. 354)• [p. 199 modifica]/ SECONDO \ I y<J XYIII. Sforza Pallavicino (a), figlio <lel marchese Alessandro Pallavicino di nobilissima famiglia signora già dello Stato del medesimo nome in Lombardia, e di Francesca Sforza de’ duchi di Segni, nacque in Roma nel 1607, e fin dai più teneri anni fece conoscere quanto copiosi frutti si potessero dal suo ingegno aspettare, in una solenne disputa per tre giorni continui sostenuta su la scolastica teologia. Benchè primogenito volle abbracciare lo stato ecclesiastico , e nel pontificato di Urbano VIII fu ascritto tra’ prelati dell’una e dell1 altra segnatura, ammesso a varie congregazioni, e fatto successivamente governatore di Jesi, di Orvieto e di Camerino. Nel mezzo al corso della sua lieta fortuna volse le spalle al mondo, e in età di 29 anni, dopo lunghi contrasti sostenuti col padre a cui troppo era grave il privarsi di tal figliuolo, a’ 21 di giugno del 1637 entrò nel noviziato de’" Gesuiti in Roma. Abbiamo una bella lettera scritta dall1 Eritreo a Ugo Ubaldini nell’ottobre del 1636, otto mesi prima che il Pallavicino si rendesse Gesuita, quando già era nota la risoluzione da lui formata: Sfortia Pallavicinus, scrive egli, (Erytr. Epist ad Divers. pars 1, l. 6, ep. 9), singulari vir ingenio, et ad omnia summa natus, (quem ab honorum et ambitionis aestu secundus Spiritus Sane ti flatus in Societatis Jesu clauslra, Iwnquam in (n) Dopo la poi blicJizionj «li questo tomo è uscita alla Iure la Vita «li «jnesto relebre cardinale. scritta « «in esattezza «tal valoroso P. Aliò, v. inserta nella barcolla ferrarese «li Opuscoli (l. 5, /?. 1). [p. 200 modifica]200 LIBRO aliquem portum, abstraxit. propediem, ut audio , hic aderit. E siegue a lungo lodando il consiglio del Palla vicino, e le virtù e l’ingegno di cui era dotato, e descrivendo il dolore che sentiva nel padre. Nella Compagnia fu occupato più anni nelle letture di filosofia e di teologia, e nella prefettura degli studi nel collegio romano, e fu ancora qualificatore del S. Uffizio, esaminatore de’ vescovi, e adoperato da’ papi in difficili affari. Alessandro VII premiò il sapere del Pallavicino, e le fatiche da lui sostenute nel comporre la Storia del Concilio di Trento, col crearlo cardinale a’ 19 di aprile del 16.^7, benché noi dichiarasse che a’ 10 di novembre del 1659. Fu poscia ascritto a varie congregazioni; e dopo avere per otto anni onorata la dignità conferitagli non solo co’ suoi studi, ma ancora colle singolari virtù cristiane e religiose, delle quali mostrossi adorno non altrimente che se tuttor vivesse nel chiostro, fini di vivere a’ 5 di giugno del 1667, e fu sepolto, secondo il suo ordine, nella chiesa di S. Andrea, ove già avea fatto il suo noviziato. La Storia del Concilio di Trento, da lui scritta, è l’opera che lo ha renduto più celebre. Prima di lui erasi a quest’opera accinto il P. Terenzio Alciati gesuita milanese (Scritt. ital. t. 1, par. 1, p. 375), come raccogliesi da una lettera che il Cardinal Barberini scrisse nel 1629 all1 arcivescovo elellor di Magonza, pregandolo a comunicargli tutti que’ monumenti che a ciò potesser giovare (Bandini, Collect. veter. Monum. p. 73); e lo stesso Cardinal Pallavicino confessa di dover molto alle Memorie dal Padre [p. 201 modifica]SECONDO 301 Alt-iati raccolte. La Storia del Palla vicino fu dapprima stampata in Roma in due tomi nel i65t> e nel i65jy e’ quindi da lui stesso accresciuta e corretta, singolarmente quanto allo stile, ristampata in tre tomi nel i(364- Se ne ha ancora un Compendio pubblicato nel 1666 sotto il nome di Giampietro Cataloni segretario del cardinale, ma di cui vuolsi che fosse veramente autore ei medesimo, o almeno fosse da lui riveduto e in più luoghi corretto (Zeno, Note al Fontan. t. 2, p. 314)- Egli innoltre persuase al P. Ignazio Bompiani gesuita di tradurla in latino, e questi era giunto in tal traduzione fino a tutto il libro xvi, e se ne conserva copia tra’ mss. della Chisiana. Il Cardinal Pallavicino , in una sua lettera inedita che si conserva nel segreto archivio Vaticano, scritta al P. Elizalde gesuita, per distoglierlo dalla risoluzione di tradurre la stessa Storia in lingua spagnuola, così gli dice: Stimolandomi eziandio la Santità di N. S. a farla.rivoltare in latino, linguaggio comune a tutti gli uomini eruditi, io dopo haver indarno spesa in ciò per molti anni! l’opera del P. Ignazio Bompiani, anzi pur la mia , me ne disperai, e dissi a S. S. che r ottener ciò non era impresa delle mie forze. Non è inverisimile che qualche disparere insorto tra’ ’l traduttore e l’autore, il primo de’ quali volesse forse far uso di quella libertà che il diverso genio delle lingue richiede, f altro il volesse strettamente attaccato alf originale, fosse la cagione dell’interrompimento dell1 opera (a). Di queste notizie io son debitore (<7) Il eli. sig. canonico Battagliai mi ha avvertilo [p. 202 modifica]^U2 LIBRO all’ornatissimo sig. Lodovico Bompiani, che da Roma cortesemente me le ha trasmesse j e mi ha ancora avvertito che deesi correggere il co. Mazzucchelli, ove dice il P. Bompiani nato in Ancona (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p.? 512, ec.)perciocchè da’ monumenti di questa 11 oh il famiglia raccogliesi ch’ei nacque a’ 29 di luglio del 1612 in Frosinone da Lodovico Bompiani e da Ottavia Battisti delle primarie famiglie di Frosinone; che ebbe al battesimo il nome di Rosato , da lui cambiato in quello di Ignazio, quando entrò tra’ Gesuiti nel 1627; e che fu (detto Anconitano, perchè la nobil famiglia de’ Bompiani, il cui ramo principale erasi da Ancona trasferito a Frosinone nel 1682, ritenne nondimeno i diritti della cittadinanza d1 Ancona. Delle altre opere del P. Bompiani, che fu uno de’ più dotti Gesuiti che vivessero in Roma nel secolo scorso, e che da Pietro Burmanno nella Vita di Niccolò Einsio fu annoverato tra gli uomini eruditi da lui conosciuti in Roma, che per testimonianza del sig. ab. Carlo Fea , uno de’ bibliotecari della Chisiana, il codice in essa serbato contiene solo il xvi libro della Storia del Concilio tradotto dal P. Bompiani; e che nella scelta e copiosa biblioteca di S. E. il sig. Cardinal de Zelada, splendido raccoglitore e conoscitore esperio di buoni libri, conservasi un codice cartaceo che contiene i primi tre libri della Storia medesima tradotti in latino, al cui principio si legge: Inclinala translotin io jnlii i652; e al fine del libro ti: Finis 2 Libn i) tnarlii an. l653. E, come egli osserva, non è improbabile che sia questa pure parte della traduzione del P. Bompiani. Ad assicurarsene però, converrebbe confrontarla con quella del P. Giattino. [p. 203 modifica]SECONDO 2(>3 si può vedere il catalogo presso il co. Mazznechelli. Or ritornando al Pallavicino e alla Storia del Concilio di Trento (che fu poscia tradotta in latino dal P. Giattino), egli nell’atto medesimo che forma la Storia di quel gran Concilio, ribatte il Sarpi, ove il trova contrario a ciò di’ ei vede fondato in autentici documenti, e ove gli sembra di’egli combatta le opinioni de’ più accreditati teologi, o i dogmi della Chiesa cattolica. Con qual forza e con qual evidenza il faccia , nol può conoscere se non chi prende a confrontare f uno colf altro storico. Io dirò solo che il Pallavicino ha confutato il Sarpi, e (finora non è stato confutato da alcuno; perciocchè per confutazione io non intendo qualche declamazione contro di esso scritta, e contro le dottrine da lui o insegnate, o difese; ma intendo un’opera in cui si prenda a mostrare che il Pallavicino a torto ha confutato il Sarpi nella maggior parte de’ passi in cui lo combatte, e che i più autentici monumenti son a favore del Sarpi, e non del Pallavicino. Lo stile di questo scrittore è grave, elegante e fiorito, e talvolta forse più ancor del dovere; perciocchè meglio piacerebbe per avventura, se fosse più facile e men sentenzioso. Ottavio Falconieri scrisse nel 1664 co. Lorenzo Magalotti, pregandolo a far sì che f opera del cardinale fosse citata nel Vocabolario della Crusca Magalotti, Lett, t 1, p. 83); ed egli ottenne allora l’intento, perciocchè nella terza edizione del detto Vocabolario fu essa citata. Ma poi, qual che fosse il delitto commesso dal cardinale già morto, nella quarta [p. 204 modifica]3o4 LIBRO edizione di quest’opera lìi tralasciata. Più felice fu il Falconieri nel comunicare al principe Leopoldo il desiderio che il cardinale avea che il nome di Torquato Tasso si vedesse citato nel Vocabolario medesimo (Lett. ined. d Uom. ili Fir. 1773, t. 1 y p. 248). Perciocché vi desi di fatto allora, come vedesi anche al presente, annoverato tra gli scrittori di lingua quel gran poeta Più altre opere diè alla luce questo celebre cardinale, parte ascetiche e morali, come i quattro libri del Bene e l’Arte della perfezione, parte teologiche, cioè un corso intero di Teologia in cinque tomi, e un tomo di Comenti sulla Somma di S. Tommaso, parte di amena letteratura, come il Trattato dello stile e gli Avvertimenti gramaticali, delle quali due opere diremo altrove* le Lettere, una tragedia in versi italiani intitolata f Ermenegildot a cui egli premise un discorso, in cui fra le altre cose sforzossi, ma con poco felice esito, a prov are che conveniva usare nelle tragedie i versi rimati, com’egli avea fatto; tre Canzoni che si leggono nella scelta di Poesie italiane fatta in Venezia nell’anno 1686, alcune altre rime sparse in altre raccolte, e parte de’ Fasti sacri in ottava rima, da lui composta prima di entrare tra’ Gesuiti, che leggesi nella scelta poc’anzi accennata (47). (Due) canti de’ Fasti sacri erano già stampati , quando il Pallavicino entrò nella Compagnia , ed egli ne fece allora interromper la stampa, e dovette procurare che si sopprimessero e distruggesser le copie di ciò eli1 era stampato. Presso il sig. dott. Hnvacz< ni in Parma conservasi una copia di questi due canti, ed è forse l’unica che esista (Affò, Vita del card. Valla v. p. i5). [p. 205 modifica]SECONDO 205 Queste rime a me sembra che troppo siano state esaltate dal Crescimbeni (Comment. della volg. Poes. t. 2, par. 2, p. 298 ed. rom. 1710), e troppo depresse dal Fontanini (Bibl. dell Eloq. ital. colle note del Zeno, t. 1, p. 485). Finalmente il cardinale scrisse in difesa della sua Compagnia un’opera intitolata Vindicationes Societatis Jesu, quibus multorum accusationes in ejus institutum refelluntur, stampata in Roma nel 1649, nella quale se io dirò che con molta forza ei ribatte le accuse che a’ Gesuiti allora si soleano apporre, non otterrò presso molti maggior fede di quella clic l1 autore medesimo ha ottenuta; e perciò ne rimetterò il giudizio a’ saggi ed imparziali lettori dell’opera stessa. XIX. Niuna Storia generale dell’Eresie ebbe in questo secol l’Italia, perciocchè quella del Bernini non vide la luce che nell’anno 1705. Ma di una fra le antiche, cioè di quella di Pelagio, fu scritta la Storia da uno de’ più dotti uomini di cui possa vantarsi lo scorso secolo. Ognun vede eh* io parlo del Cardinal Arrigo Noris agostiniano, di cui 7 dopo altri autori, hanno scritta con particolare esattezza la Vita gli eruditissimi fratelli Ballerini innanzi alla bella edizione delle opere di esso che ci han data in Verona nel 1732, e noi perciò ne accenneremo solo, secondo il nostro costume, le più importanti notizie (a). Verona fu la patria di (a) La ^ ita del Cardinal Noris è stata scritta anche da monsig. Fabroni (Vitae Italor. 1. 6} p. B). [p. 206 modifica]• LIBRO questo dottissimo scrittore (d) clic jvi nacque da Alessandro Noris, autore della traduziou dal tedesco di una Storia della guerra di Germania, e da Caterina Mauzona, e fu battezzato a’ 3o di agosto del i63i. Dopo aver latto in Roma i primi studi, fu inviato al collegio che allora avcatio in Rimini i Gesuiti; ed ivi, dopo alcuni anni, entrò nelf Ordine di S. Agostino, cambiando il nome di Girolamo in quello di Arrigo. Mandalo a Roma per farvi il consueto corso di studi, ebbe la sorte di conoscervi il celebre (a) Mi si permetta iT indicar qui, a gloria della mia patria, l’antica origine della famiglia di questo celebre cardinale. Alcuni pretendono che fosse questa una famiglia dalla Brettagna passata in Cipro, e di là nel 1570 in Venezia, cioè quella medesima da cui uscirono Giasone e Pietro Denores, noti per le opere d ite in luce. Ma è certissimo che la famiglia del cardinale trasse la sua origine da Gandino ragguardevol terra del Bergamasco. Il sig. ab. Maffeo Maria Rocchi, da me altre volte lodato, mi ha trasmesso il transunto di 34 strumenti autentici da lui veduti, da’ quali provasi evidentemente la continuata discendenza della famiglia.Noris in Guidino fin d il principio del secolo XIII. Girolamo avolo del cardinale, nato in G indino uel i54q a1 16 di ottobre, fu quegli che da Gandino trasportò la sua famiglia a Verona verso il 1583; e Angiola Calvana di lui moglie fu tutrice del cardinale, che al battesimo fu detto egli ancora Girolamo , e di Bartolommeo di lui fratello, essendo morto Alessandro suo figlio e lor padre, mentre essi erano ancora in età fanciullesca, verso il 1639, e solo nel 1637 il detto Alessandro padre del cardinale vendette la casa che finallora avea tenuta in Gandino, ove sussiste ancora un altro ramo della stessa famiglia in onestissima condizione. Diasi dunque a Verona la gloria di aver dato alla luce quest’uom dottissimo; ma non neghisi a Bergamo quella di averne avuti per circa quattro secoli i progenitori nel suo territorio. [p. 207 modifica]SECONDO 207 P. Cristiano Lupo colà venuto dalla Fiandra 3 e come questi ammirò il molto sapere in quell1 età giovanile del Noris, così il Noris al vedere gli onori che da ogni parte rendeansi al Lupo, sentì accendersi in cuore un ardente desiderio d1 imitarlo. Tutto dunque si volse allo studio dell’ecclesiastica erudizione, unendovi però insieme ancor la profana, e prefiggendosi a modello de’ suoi studi il celebre suo concittadino e correligioso Onofrio Panvinio. Dopo avere in diverse città, e in Padova singolarmente, letta la filosofia e la teologia a’ suoi religiosi, fu onorato in Roma dell’impiego di qualificatore del S. Ufficio. Ma egli bramava impiego e soggiorno men rumoroso e più adattato a’ suoi studi. Cercò dunque e ottenne per mezzo del Magliabecchi suo amicissimo di essere nominato professore di storia ecclesiastica nell1 università di Pisa colf annuo stipendio di 360 piastre 3 e colà trasferitosi, vi tenne la sua prima lezione a’ 5 di marzo nel 1674. Ivi però avvidesi presto che non potea avere tutto quell’agio a studiare, di cui erasi lusingato: Povero ine! scrive egli al Magliabecchi a’ 2 di aprile dell’anno stesso (cl. Vun et. Ep. ad Magliab, t. 1, p. 39), ho consumato ore quattro a imparare a memoria la lezione di dimani de abdicatione Diocletiani. Sono tornato all età puerile; ma se allora io erravo, v erano 10 o 12 sferzate: ora però quattro solenni fischiate dall’Uditorio. Continuò nondimeno per molti anni a leggere da quella cattedra, onorato dal gran duca Cosimo III e dal Cardinal Leopoldo de’ Medici, nel cui ricco museo di antichità trovò [p. 208 modifica]XX. Sua «|iere. 208 LIBRO egli copioso pascolo a fomentare l’amore che avea per le antiche medaglie e per gli altri monumenti dell età più rimote. La reina di Svezia , che avea pure in gran pregio l’erudizione del Noris, e che avealo, benchè assente, fatto ascrivere alla sua accademia. persuase a Clemente X. e poscia ad Innocenzo XI di lui successore, di chiamare a Roma un uomo che tanto potea accrescerle di ornamento e di lustro. Ma il Noris usò di ogni mezzo per sottrarsi a tali inviti, e per qualche anno gli venne fatto di restarsene a Pisa. Ma finalmente sotto Innocenzo XII gli fu forza di trasferirsi a Roma nel 1692, ove dal papa fu accolto con sommo onore, ed ebbe l’impiego di primo custode della biblioteca Vaticana. A’ 12 di decembre del 1695 fu annoverato tra’ cardinali; e benchè la nuova dignità conferitagli, e le congregazioni alle quali esSa il costrinse a intervenire, molto gli togliessero di quel tempo che ne’" consueti suoi studi avrebbe più volentieri impiegato, non cessò nondimeno dal coltivarli, quanto più gli era possibile, finchè, dopo lunghissima malattia, finì di vivere a’ 22 di febbraio del 1704. XX. Due generi di studi renderono principalmente illustre il Cardinal Noris , quello dell’ecclesiastica storia e quello delle antichità. Di questo secondo sarà d’altro luogo il parlare. Qui dobbiam dire solo del primo quanto fa d’uopo a conoscere il molto che ad esso dee questo ramo d’erudizione. La prima opera con cui egli uscì al pubblico, e che fu pubblicata in Padova nel 1673, fu la Storia pelagiana da lui dedicata al Cardinal Francesco Barberini, il ■ [p. 209 modifica]SECONDO 209 quale rimborsò il Noris di ciò che speso avea nella stampa. In essa ei prende a descrivere T origine e le vicende di quella eresia, e ad esaminare chi ne fosse promotore e sostenitore, rischiarando questo intralciato punto di storia ecclesiastica assai più che non si fosse fatto in addietro. E per ciò che appartiene all’erudizione e alla critica, è certo che non si era ancor veduta in Italia opera alcuna intorno alla storia ecclesiastica, in cui ella si vedesse meglio riunita che in quella del Noris, il quale non solo in essa raccoglie con diligenza i più autorevoli monumenti, ma li confronta tra loro, e ingegnosamente ne trae quelle illazioni ch’ei giudica al suo sistema opportune. I Ballerini raccontano che quando il Noris vide le opere di Mario Mercatore circa il tempo medesimo pubblicate in Parigi, e con erudite dissertazioni illustrate dal gesuita Garnier, disse ch’ei non avrebbe pubblicata la Storia Pelagiana, se avesse saputo prima che quell’opera dovesse venire a luce, perciocchè temeva che alcuno potesse crederlo plagiario; il qual sospetto però non poteva cadere in mente a chi rifletteva che due scrittori lontanissimi l’un dall’altro aveano quasi al tempo medesimo pubblicate quelle loro opere. Non lasciò nondimeno il Noris di confutare in qualche parte l’opera del Garnier, scrivendo la sua Censura sopra le note dell’autor francese a’ titoli delle Epistole sinodali xc e xcii tra quelle di S. Agostino, nelle quali egli avea cercato di fissare le Chiese de’ vescovi che le aveano scritte. Questa contesa non ebbe altro seguito. Non così quella che il Noris dovette sostenere Tiraboschi, Voi. XIV. i4 [p. 210 modifica]2 10 LIBRO contro il celebre P. Francesco Macello portoghese , prima gesuita, poi Minor osservante , e in (questo secondo abito professore di storia ecclesiastica nella Sapienza di Roma, e poi di filosofia morale nell’università di Padova dal 1668 fino al 1681, nel qual anno nella stessa città di Padova finì di vivere in età di 90 anni; nè io so ove abbian trovato gli autori di certi Dizionarii oltramontani, di’ ei morisse prigione in Venezia; di che io non trovo indicio alcuno. Egli era uomo d’ingegno pronto e vivace, e che ogni sorta di seria e di piacevole letteratura coraggiosamente «abbracciava j ma all1 ingegno non era uguale il buon senso; ed egli abbandonandosi troppo al fuoco della sua immaginazione, ne seguiva quasi senza avvedersene gli errori e i trasporti. Era dunque egli un avversario troppo inferiore al Noris, e nondimeno non temette di cimentarsi con lui a battaglia. I due principali oggetti di questa contesa furono la taccia di Semipelagianismo data dal Noris a Vincenzo di Lerins e ad Ilario di Arles, e la intitolazione de’ libri di S. Agostino sulla Grazia di Cristo. Io non darò qui il catalogo di tutti i libri scritti dall’un contro l’altro. Di quelli del P. Macedo si può veder l’indice nella ^ ita che di lui ci ha data il P. Niceron (Mém, des Homm. ill t 31, p. 314 » cc.). Quelli del Noris si leggono nel i e nel III tomo dell’opere di esso della citata edizion di Verona. In questa però non vedesi l’opuscolo a lui attribuito comunemente, e intitolato Miles, o Thraso Macedonicus Plautino sale perfrictus; e gli editori l’hanno ommesso, perchè il Noris À [p. 211 modifica]SECONDO 2 1 I protestò sempre di non esserne egli f autore , come essi provan co’ passi di alcune lettere da lui scritte al Magliabecchi. Il qual argomento se sia di tanta forza, coni’ essi pensano, lascerò che altri il decida. Non fu però solo il Macedo che contro il Noris si levasse a contesa. Un’apologia d’Ilario d’Arles e di Vincenzo Lirinese fu pubblicata sotto il nome di Bruno Neusser, e fu creduta opera del P. Onorato Fabri gesuita francese. Più gravi furon le accuse colle quali fu imputato al Noris che nelle sue opere si mostrasse seguace degli errori di Giansenio e di Baio; e su ciò ancora si videro dall’una parte e dall1 altra uscire alla luce parecchi libri, alcuni de’ quali sarebber più degni di lode, se fossero scritti con quella cristiana moderazione che singolarmente nelle dispute teologiche regger dovrebbe le penne degli scrittori. Le opere del Noris però più volte sottoposte in Roma all1 esame, mai non furono condannate, anzi l’autore vi fu in piò malli ere onorato e distinto. E ciò basti intorno a questo argomento, intorno al quale io non potrei senza pericolo innoltrarmi in più minute ricerche, le quali ancor son lontane dallo scopo di questa Storia. Alla Storia dell1 Eresia Pclagiana vanno congiunte la Dissertazione sul quinto Sinodo e le Vindicie di S. Agostino. Egli ci ha data ancora la Storia della controversia nata in Oriente intorno al potersi dire che una delle Persone della SS. Trinità avesse patito per gli uomini, e l’Apologia dei Monaci Sciti. Avea innoltre intrapresa il Noris la Storia de’ Donatisti; ma non avendole egli data f ultima mano, i Ballerini l’hanno 4 [p. 212 modifica]2 I 2 LIBRO poi posta in ordine, e aggiuntole ciò che tuttor le mancava, t hau pubblicala nel IV tomo, della mentovata edizione insieme con una compendiosa Storia delle opinioni di Godescalco intorno alla Predestinazione, e con altri opuscoli del Noris e degli editori medesimi , e con molte lettere del medesimo cardinale. Ne fu poscia stampata separatamente in Mantova nel 174 1 la Storia delle Investiture con alcuni altri opuscoli e con più altre lettere dello stesso, e molte altre ancora ne sono state pubblicate nella raccolta di quelle scritte al Magliabecchi (cl. Venet. ad Magliab, t. 1, p. 1, ec.); ma forse sarebbe stato meglio l ommetteme alcune, le quali probabilmente non avrebbe il Noris bramato che vedesser la pubblica luce; sventura accaduta a più altri uomini grandi, cioè che alla fama medesima del loro nome debban essi attribuire qualche leggiera macchia allo stesso lor nome apposta. Perciocchè alcuni credendo di onorare gl’illustri defunti col pubblicare ancor quelle cose eli1 essi non avean destinate alla pubblica luce, o che scritte aveano soltanto per un privato sfogo a qualche lor confidente amico, han fatto conoscere che anche molti de’ più grand’uomini non sono stati esenti dalla debolezza e dalle passioni proprie della guasta natura. XXI. Alla Storia general della Chiesa deesi aggiugnere quella delle Chiese particolari. E un1 opera ha in questo genere f Italia , che si può considerare come il modello su cui quelle delle altre nazioni si son poscia formate, Ella è l’Italia sacra di don Ferdinando Ughelli abate cisterciense di patria fiorentino, e morto in [p. 213 modifica]SECONDO 213 Roma nel 1G70 in età (li 75 anni. Ei fu il primo a formar l’idea di darci la serie di tutti i vescovi delle Chiese d’Italia, non già colf indicarne semplicemente i nomi, o col formarne uno sterile elogio. ma colf illustrare la storia di ciascheduna Chiesa colla pubblicazione de’ monumenti ne’ loro archivii serbati; opera perciò utilissima non solo alla storia delle Chiese medesime, ma generalmente alla storia sacra e profana pe’ molti lumi che da tali autentiche carte si traggono. Non era possibile che un uomo solo potesse andar ricercando gli archivii tutti, traendone i lumi che al suo lavoro erano necessarii. Gli convenne dunque valersi spesso dell’opera altrui, e da ciò nacque la diversità che incontrasi in quest’opera, ove la storia di alcune Chiese vedesi corredata con gran copia di autentici monumenti, e quella di altre ne è vota, o assai più scarsa almeno. Ei pubblicò la sua opera in nove tomi in folio in Roma dal 1642 al 1648, il che deesi avvertire per conoscere l’anacronismo dell’autor francese di un Dizionario degli Autori ecclesiastici, stampato in Lyon nel 1767, ove parlando dell’Ughelli, egli dice che questi ha seguito a un dipresso il piano tenuto da’ Sammartani nella lor Gallia Christiana , colle quali parole sembra volerci persuadere che l’Ughelli avesse veduta l’opera de’ Sammartani, e l’avesse presa a modello. Or è certo che la Gallia christiana non vide la prima volta la luce che ned 1 G."»G. Anzi, se crediamo all’autor dell’elogio dell’abate Ughelli premesso alla seconda edizione dell’Italia sacra, fu il Cardinal Mazzarini clic facendo [p. 214 modifica]2 I 4 LIBRO conoscere in Francia quest’opera., eccitò i Sammartani a intraprenderne una somigliante riguardo alla Francia. Altre notizie intorno a questo dotto scrittore si posson leggere nell’elogio medesimo, e presso il P. Negri (Scritt fiorent.) e il P. Ni cero il (Meni, des Homm. ill. t. 41)• Nel 17 17 se ne cominciò una nuova edizione in Venezia in dieci tomi , che fu finita nel 1733 e vi si aggiunse a compimento dell’opera la Sicilia sacra di Rocco Pirro, di cui altrove diremo. E in questa edizione la storia di alcune Chiese è stata assai meglio illustrata colla pubblicazione di moltissimi documenti sconosciuti all’Ughelli. Ma sarebbe stato desiderabile che la stampa non ne fosse stata ingombrata di molti e gravi errori. Nel 1763 il P. don Nivardo del Riccio del medesimo Ordine aveane intrapresa in Firenze un’edizione accresciuta di molte giunte colf aiuto di ciò che su molte Chiese particolari hanno scritto diversi moderni autori. Essa però appena fu cominciata col pubblicarne un picciol saggio, e fu tosto non so per qual ragione interrotta. E certo l’onor dell’Italia richiederebbe che si conducesse quesf opcra a quella perfezione di cui è capace, sicchè essa non avesse a invidiare all’ultima recente edizione della Gallia christiana. Del medesimo autore abbiamo un’opera in lode della famiglia Colonna, intitolata Imagines Columnensis familiae Cardinalium, stampata in Roma nel i65o, e f Albero e V Istoria della famiglia de’ Conti di Marsciano, ivi parimente pubblicata nel 1667. Della storia di alcune Chiese particolari ci riserbiamo a dire, ove tratteremo più stesamente [p. 215 modifica]SECONDO ’11 5 degli scrittori di storia, afliue di unire insieme tutto ciò che a ciascheduna città appartiene (a). XXII. Qui debbonsi nominare per ultimo le Storie degli Ordini religiosi sì claustrali che cavallereschi. E io non farò che accennare il libro di Odoardo Fialetti Degli abiti delle Religioni. con! armi, stampal o in Venezia nel 1626, il Presidio Romano di Giampietro Crescenzi, pubblicato in Piacenza nel 1G48, e f Origine e fondazione di tutte le Religioni di Andrea Guarini, stampata in Vicenza nel 1614, opere poco note, e che senza gran danno della letteratura posson essere dimenticate. Alquanto migliore è quella di don Silvestro Maurolico messinese nipote del celebre Francesco Maurolico, che ha per titolo Historia Sagra intitolata Mare Oceano di tutte le Religioni del Mondo, stampata in Messina nel 1613. Egli era uomo assai dotto, ed essendosi trasportato in età giovanile in Ispagna, fu dal re Filippo II adoperato (n) Due opere appartenenti alla storia snera parti rotare non debbono ommettersi per la gran luce ebe spargono sulle antichità c sulla storia ecclesiastica, lina è quella De Basilica ct Patriarchio Latcranen<i ilei Cardinal Cesare Rasponi ravennate, stampata in Roma nel i656; del qual autore, celebre pel suo sapere non meno che per la sua pietà e per le legazioni con sommo onor sostenute, c morto in Roma uel 167J , veggansi più copiose notizie nell’opera sugli Scrittori ravennati del P. ab. Ginanni (l. 2, p. 7.39, ec.). L’altra « quella di Paolo de Angelis siracusano canonico «li Santa Maria Maggiore e morto in Roma uel if»47. intitolala Basilicae Feteris Faticanae Descriptio, e stampata in Roma nel 1646, in cui con quella erudizione che allor poleasi avere, ricerca le antichità di quella sacra basilica. [p. 216 modifica]216 LIBRO a raccogliere da ogni parte codici greci. latini , ebraici e arabici, e da lui perciò onorato di varii beneficii), fra i quali ebbe una badia dell’Ordine cisterciense in Sicilia, ove egli avea fatto ritorno. Più altre opere da lui composte si annoverano dal Mongitore (Bibl. sicula, t. 2, p. 226), ma non pare ch’esse abbian veduta la luce. Quella del P. Filippo Buonanni gesuita, assai più ampia ed esatta, non venne a luce che ne’ primi anni del nostro secolo, ed essa abbracciò ancora la Storia degli Ordini militari, de’ quali erano già state pubblicate le Historie Chronologiche (h it’abate Bernardo Giustiniani veneziano cavaliere e gran Croce dell’Ordine di Costantino, stampate la prima volta in Venezia nel 1672, poscia accresciute e corrette nel 1693. XXIII. Assai più ampio campo mi si offrirebbe , se tutte volessi qui registrare le opere nelle quali la Storia delle particolari religioni fu in qualche modo trattata. Ma qual sarebbe il frutto dello schierare innanzi a’ lettori una gran copia di libri, molti de’ quali o pe’ difetti del loro stile, o per la poca critica con cui sono scritti, appena mai si leggon da alcuno, nè han diritto a pretendere di esser letti? Alcuni però tra essi si distinguono tra la folla de’ volgari scrittori, e son degni di special ricordanza. Lf Ordine benedettino ebbe in Italia alcuni eruditi monaci che ne illustraron la Storia, e colle loro fatiche e col loro esempio eccitaron poscia il dottissimo Mabillon a scriverne gli Annali con immortal gloria di quell’Ordine non meno che dell’autore di essi. L’antica [p. 217 modifica]SF.CONDO 31 n Cronaca casinese, scritta da Leone cardinale e vescovo d1 Ostia , dopo essere stata pubblicata alcune volte in Italia e in Francia , fu illustrata con alcune annotazioni da don Matteo Loreto, le quali però non soddisfecero all’espettazione de’ dotti. Quindi don Angelo dalla Noce natio di Massa Lubrense nel regno di Napoli, abate di Monte Casino, poscia arcivescovo di Rossano, e morto in Roma nel 1691 agli 8 di luglio. ne fece una nuova edizione con ampii comenti, che fu pubblicata in Parigi nel 1668, opera in cui a molte cose utili ed erudite, molte altre ei frammischionne troppo lontane dal suo argomento, e nelle quali si brama una critica più avveduta. Quali esse son nondimeno, il Muratori le ha pubblicate di nuovo, altre note ancor aggiungendovi, e alcune dissertazioni del medesimo autore ch’eran rimaste inedite (Script.. rel. ital. t. 4,p. 153, ec.). Di altre opere di questo indefesso scrittore, e di altre circostanze della sua vita, si posson vedere più copiose notizie presso gli scrittori benedettini, e singolarmente presso il P. Ziegclbaver (Hi st. litter. Ord. S. Bened. t. 3 , p. 407, ec.). Io recherò invece il passo in cui di esso ragiona il P. Mabillon, che il vide in Roma, ove erasi ritirato a vivere, dopo aver rinunciato al suo arcivescovado: Illustri ss imu m Angelum de Nuce, oli ni Ahbatem Casincnscm, post Archiepiscopum Rossanensem convenimus in Cancellariae ædibus, ubi hospitatur. Ille nobis ea latine loquendi, qua præditus est, facultate senectutis suæ infortunia exposuit, rerum omnium penuriam in decrepita aetate {est [p. 218 modifica]2 1 8 LIBRO enim fere octogenarius) et cætera, quæ inde sequuntur, incommoda: se quasi invitum a monasterio protractum ad Infulas Rossanenses, postea Cardinalis amici voluntate dignitatem resignasse cum annua pensione, quam mortui resignatarii successor ut solveret, nulla auctoritate hactenus adduci potuerat: mortuo Cardinale sibi omnia deficere. Miserati sumus optimi senis ærumnas, qui sane meliori fortuna dignus erat. Ab eo indicem veterum Codicum Bibliotecæ Casinensis acce pinnis, atque anonymi libellum de expeditione sacra sub Urbano II (Iter italic. p.). Circa il tempo medesimo, cioè nel 1666, don Giambattista Mari romano dello stesso Ordine pubblicò ed illustrò con sue note il libro di Pietro Diacono degli Uomini illustri del monastero di Monte Casino, di nuovo poi pubblicato dal Muratori (l. cit. t. 6 , p. 1). Moltissime opere , e quasi tutte a illustrazione della Storia dello stesso suo Ordine, abbiamo di don Pierantonio Tornamira di Alcamo in Sicilia, morto in Palermo nel 1681, delle quali e del loro dotto scrittore ragiona a lungo il Mongitore (Bibl. sicula, t. 2, p. 128, ec.). Assai più nota e assai più pregiata per la molta erudizione con cui è scritta, è l’opera di don Jacopo Cavacci padovano, stampata in Padova nel 1606 col titolo: Historiæ Cœnobii D. Justinæ Patavinæ Lib. VI, quibus Casinensis Congregationis origo, et plurima ad urbem Patavium ac finitimas attinentia interseruntur. Per la stessa ragione, e singolarmente pe’ molti monumenti da lui prodotti, si hanno in pregio le opere di don Placido [p. 219 modifica]SECONDO 21£ Puccinelli natio di Pescia in Toscana, così intorno alla Badia fiorentina, come intorno a quella di S. Pietro in Gessate in Milano, unita ora a quella di S. Simpliciano nella stessa città. Più Vite d’uomini illustri del suo Ordine, o eh’ ci credeva in esso vissuti, pubblicò don Costantino Gaetano siracusano di nobilissima famiglia , che visse molti anni in Roma custode della biblioteca Vaticana, e ivi morì nel 1650, e a cui ancora dobbiamo l’edizione delle opere di S. Pier Damiano e di altri antichi scrittori ecclesiastici. Il catalogo delle molte opere da lui composte si ha nella Biblioteca del Mongitore (t. 1, p. 143, ec.), e assai più diffuso presso il Cinelli (Bibl. volante, t. 2, p. 4)y nè io mi tratterò in parlarne distintamente, nè in ricordar la contesa ch’egli ebbe col P. Giovanni Ro gesuita pel libro da lui pubblicato, in cui volle provare che S. Ignazio era stato formato alla vita spirituale da’ monaci Benedettini, e che avea copiati i suoi esercizii spirituali da un libro del Benedettino spagnuolo Cisneros. Lo stesso P. Ziegelbaver confessa (l. cit p. 381) che il Gaetano da soverchio zelo per le glorie del suo Ordine si lasciò trasportare talvolta, e riferisce il detto del Cardinal Cobellucci, cioè eli’ ei temeva che il Gaetano un giorno non facesse benedettino anche l’apostolo S. Pietro. Finalmente il P. ab. Bacchini andò innanzi a tutti i suddetti scrittori nello stender la Storia del Monastero di Polirone , e nel renderla colf erudite sue ricerche utilissima agli amatori della storia de’ bassi secoli. [p. 220 modifica]220 LIBRO XXIV. Minor copia <T illusili storici ebber gli altri Ordini monastici. L opera latina di don Venanzio Simi dei Santi e degli altri uomini illustri dell’Ordine di Vallombrosa, stampata in Roma nel i6c)5, è l’unica che abbiamo intorno a quest’Ordine. Dell1 Ordine cisterciense la sola Congregazion riformata di S. Bernardo ebbe uno storico nel p. don Carlo Giuseppe Morozzi; la cui opera parimente latina uscì in Torino nel iG)o; ed egli pubblicò ivi pure nel 1681 il Teatro cronologico dell’Ordine de’ Certosini. Dei Camaldolesi non abbiamo altro che il Catalogo de’ Santi e de’ Beati del loro Ordine, pubblicato in Firenze al principio del secolo di cui scriviamo, da Tommaso Mini. Della Congregazione di Fiore nel regno di Napoli parlano i due scrittori della Vita dell’abate. Gioacchimo, che ne fu il fondatore, da noi altrove citati (l. 47/l 108), Gregorio Lauro e Jacopo Greco; e di quella di Monte Vergine ci ha lasciata la Storia, insiem colla Vita del fondatore S. Guglielmo da Vercelli, Gianjacopo Giordani che ne fu generale. Abbiamo ancora la Cronaca de’ Monaci Silvestrini, scritta da Sebastiano Fabbrini, e l’Istorie sacre de’ Celestini di don Celestino Telera di Manfredonia. Tutte queste opere nondimeno non sono tali che gli Ordini mentovati non debban bramar di avere Storie migliori. Alquanto più pregevole è quella dell’Ordine de’ Monaci di Monte Oli veto scritta in latino da don Secondo Lancellotti perugino, e stampata in Venezia nel 1623; e l’autor di essa è anche più noto per le due celebri sue [p. 221 modifica]SECONDO 221 operette, una intitolata l’Oggidì, in cui paragona i costumi antichi co’ moderni, l’altra i Farfalloni degli antichi Storici, oltre qualche altro opuscolo (V. Oldoin. Athen. august.). XXV. Io non nominerò alcuno degli storici degli Ordini carmelitani, perchè non parmi che in questo secolo essi ne abbiano avuto alcuno in Italia che nella Storia della Letteratura si possa rammentare con molta lode. Anche 1’Ordine di S. Francesco non ebbe tra gl Italiani storico che salisse a gran fama, e la gloria di pubblicare i grandi Annali di quell’ordine fu riserbata all’ibernese Wadingo. Abbiam qualche opera storica intorno al terz" Ordine del P. Francesco Bordoni parmigiano, ma egli, più che per esse, ottenne presso molti gran fama per le molte opere appartenenti al diritto canonico o alla teologia morale da lui pubblicate , delle quali si può vedere il catalogo presso il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1702). Maggior rumore destarono gli Annali dei Cappuccini, pubblicati in due tomi in folio da F. Zaccaria Boverio da Saluzzo dell’Ordine stesso, perchè parvero a molti un tessuto di puerili semplicità. Di fatto furon posti nell’Indice de’ libri proibiti, e ne furon poi tolti quando uscirono alla luce corretti. Se alcuno desidera di veder la serie delle onorevoli cariche a cui nella sua religione fu sollevato questo scrittore, e delle altre opere da lui date alla luce , può consultare la sopraccitata opera del co. Mazzucchelli (ivi, p. 1915). Anche l’Ordine domenicano non ebbe in Italia tali scrittori le cui opere corrispondessero a’ meriti dell’Ordin medesimo verso [p. 222 modifica]222 I.IBKO la Chiesa, e le sole di (questo argomento che sien degne di qualche lode , sono le due del P. \ incenso Maria Fontana comasco, stampate in Roma, la prima nel it)63 intitolata Monumenta Dominicana, la seconda nel 1666 col titolo Sacrum Theatrum Dominicanum. Un diligente storico ebbe l’Ordine de’ Servi di Maria nel P. Arcangelo Giani, che in due tomi ne pubblicò gli Annali in lingua latina in Firenze nel 1618 e nel 1622. Molte erudite notizie contiene la Storia de’ Canonici regolari. scritta in latino da don Gabriello Pennotti novarese, e pubblicata in Roma nel 1624, in cui dopo avere nella prima parte trattato della vita chericale e dell’abito di S. Agostino, e nella seconda generalmente de’ Canonici regolari, passa a dir nella terza particolarmente de’ Canonici regolari Lateranesi. Dell1 autore c di altre opere da lui divolgate parlano l’Eritreo (Pinacoth. pars 2, n. 55) e il Cotta (Museo novar. p. 45). Della Congregazione de’ Canonici regolari di S. Salvadore due di essi scrissero in questo secolo, don Giuseppe Mozzagrugno e don Giambattista Segni, del qual secondo scrittore ci ha dato l’elogio il dottissimo P. abate. Trombelli (Mem, delle Canon, di S. Maria di Reno, ec. p. 267, ec.). I Secoli Agostiniani del P. Luigi Torelli in otto tomi in folio, stampati in Bologna nel 1659() e ne’ seguenti, sono la più compita Storia che di quell’Ordine si sia avuta; ma forse sarebbe essa più utile, se fosse meno diffusa. E sono ancora pregevoli le Memorie Istoriche della Congregazione di Lombardia del P. Donato Calvi bergamasco, stampate in Milano nel 1669, [p. 223 modifica]secondo 223 c i Lustri storiali degli Scalzi Agostiniani d’Italia e di Germania del P. Giambartolommeo di Santa Claudia nella stessa città pubblicati l’anno 1700 (*). XXVI Le diverse Congregazioni de’ Oberici regolari nel precedente secolo istituite ebbero esse ancora i propri loro storici. Tre tomi della Storia de’ Clierici regolari Teatini pubblicò in Poma dal i65o al i658 il P. don Giuseppe de Silos; anzi anche il iv tomo aveane egli composto, che si conserva ins. nell’archivio di S. Silvestro in Roma , come afferma il eh. P. don Giuseppe Merati nella Vita del celebre P. Gaetano Maria suo zio, stampata sotto il nome di Carlo Ponivalle (p. 46). Il P. Cosimo Lenzi avea preso a scrivere in latino gli Annali de1 Cherici regolari ministri degl’infermi; ma dopo il primo tomo, pubblicato in Napoli nel 1641, non so che alcun altro abbia veduta la luce. Io accennerò qui ancora le Memorie de’ Cherici (*) Agli storici dell’Ordine agostiniano deesi aggiungere il p. Fulgenzo Alghisi nato in Casal Monferrato nel 1610, venti anni appresso entrato nella Congregazione di Lombardia, e dopo diversi onorevoli impieghi sollevato nel 1659 alla dignità di vicario generale della sua Congregazione, e morto poscia in Casale nel 1684. Alla libreria di quel convento, da lui fabbricata e fondata e arricchita di moltissimi libri, lasciò gran numero di sue opere mss. di diversi argomenti, che tuttora vi si conservano, e singolarmente gli Annali della sua Congregazione di Lombardia, ne’ quali parla principalmente del suo convento di Santa Croce in Casale, e una Storia del Monferrato divisa in due tomi. Veggansi le Memorie storiche di quella Congregazione del P. Donalo Calvi. [p. 224 modifica]2^4 LIBRO regolari Barnabiti, scritte in italiano, e pubblicate in due tomi dal P. don Francesco Luigi Barelli da Nizza, benchè esse non uscissero al pubblico che ne’ primi anni del secol presente. A queste aggiugniamo, benchè non appartengano a Congregazion regolare, le Memorie storiche della Congregazione dell’Oratorio, raccolte da Giovanni Marciano, e pubblicate in Napoli nel 1693 in quattro tomi in folio. XXVII. Potrò io, senza temere che me ne venga fatto un delitto, affermare che i più colti fra gli scrittori delle Storie degli Ordini religiosi furono gli storici gesuiti? Dico i più colti, non i più eruditi, perciocchè all’erudizione appena era luogo nel racconto di fatti accaduti solo un secolo innanzi. Il primo a intraprendere per ordine de’ superiori la Storia della Compagnia di Gesù fu il P. Niccolò Orlandini fiorentino, morto in Roma nel 1606. Ei ne scrisse la prima parte, che abbraccia la vita e le azioni del fondator S. Ignazio; ma non ebbe il piacere di pubblicarla, ed essa non vide la luce che nel 1 (i 15. Dopo lui il P. Francesco Sacchini, natio di un luogo della diocesi di Perugia, continuò il lavoro e ne pubblicò nel 1621 la seconda parte, che comprende il Generalato del P. Lainez. Quindi, poichè egli fu morto nel 1625, furon date alla luce la terza, la quarta e il primo tomo della quinta parte, da lui composte, che abbraccian le cose avvenute nel governo di S. Francesco Borgia , del P. Mercuriano, e ne’ primi anni del P. Claudio Acquaviva. Quest’ultima però non essendo stata dal Sacchini condotta a fine, fu terminata dal [p. 225 modifica]SECONDO 225 P. Pietro Poussin gesuita francese. Di altre opere del P. Sacchini si ha il catalogo presso il Sotuello (Bibl. Script. Soc. Jesu, p. 250). e fra esse è pregevole assai un’Istruzione pei maestri delle Scuole inferiori intitolata Protrepticon ad Magistros Scholarum Inferiorum Soc. Jesu ac Parœnesis ad eosdem. Le altre continuazioni di questa Storia non appartengono al secolo di cui scriviamo, e non è perciò di questo luogo il ragionarne. I sopraccennati autori scrissero le loro Storie in latino, e il loro stile per comun sentimento è assai colto ed elegante. Forse si opporrà loro ch’essi sieno facili in esaltare le domestiche lodi, né io mi affaticherò in difenderli da questa accusa, ma avvertirò solo che non sono essi i soli rei di tal difetto, e che forse meno assai ne son rei di molti altri, il che si potrà agevolmente conoscere al confronto. Frattanto un altro scrittore, anche più illustre dei nominati, entrò nel campo medesimo, e in diverso metodo e in lingua italiana prese a scriver la Storia della medesima Compagnia. Fu questi il celebre P. Daniello Bartoli ferrarese , di cui, oltre gli scrittori gesuiti, parla esattamente il co. Mazzucchelli (Scritt. ital. t 2, par. 1, p. 435). Egli era nato nel 1608 in Ferrara , ed entrato nella Compagnia di Gesù in Novellara nel 1623. Molte città d’Italia l’udirono predicare con sommo applauso; ma questo impiego fu a lui occasione di grave pericolo della vita. Perciocchè navigando nel i6j(> da Napoli a Messina, la galera su cui era montato, fece naufragio, ed egli a nuoto dovette Tiraboschi , Voi. XIV. i5 [p. 226 modifica]2u6 libro salvarsi nell isola di Capri, lasciando preda dell’onde le sue prediche. Ripescatele nondimeno, ma guaste, come dovea avvenire, e malconce, parte con esse, parte coll’aiuto della memoria, potè fare il corso quaresimale in Palermo, ove era destinato. Verso il 1650 fu chiamato a Roma , perchè si accingesse a scrivere in lingua italiana la Storia della Compagnia; nella quale occupazione , congiunta al lavoro di più altre opere, continuò fino al 1685, nel qual anno ai 13 di gennaio finì di vivere. Gli altri storici avean seguito scrivendo il metodo degli Annali, narrando di anno in anno le cose in ciaschedun luogo accadute. Egli prese a scrivere partitamente la Storia di diverse proviucie 5 e premessa dapprima la Vita di S. Ignazio, diede poscia tre tomi della Storia dell’Asia, il primo de’ quali contiene la Storia delle cose da’ Gesuiti operate nell’Indie orientali, il secondo quelle del Giappone, quelle della Cina il terzo. Quindi collo stesso metodo scrisse in due altri tomi XInghilterra e l Italia, narrando le lor fatiche in quel regno e in queste nostre provincie, oltre più Vite particolari di Gesuiti per santità rinomati da lui parimente scritte. Molte altre sono le opere di questo indefesso scrittore, singolarmente in genere morale e ascetico j e ve ne ha ancora delle filosofiche e delle gramaticali riguardo alla lingua italiana , delle quali diremo altrove* Lo stile del P. Bartoli è di un genere nuovo, che non avea avuto esempio in addietro, nè ha poscia avuti seguaci. In ciò che è sceltezza di vocaboli e di espressioni, egli non è inferiore ad alcuno, e si mostra versatissimo nella [p. 227 modifica]«KCO.XDO e aa^ lettura de’ più eleganti.scrittori. La vivacità e 1’energia nel dipinger gli oggetti è quanto bramar sì possa espressiva; e io non so se v’abbia scrittore che nelle descrizioni gli vada del pari. La nobiltà de’ sentimenti, l’acutezza delle riflessioni, la forza dell’argomentazione, e un certo suo satireggiare all occasione ingegnoso e frizzante, ne rende piacevole la lettura. Ma ciò non ostante dopo alcun tempo il lettore ne risente stanchezza e pena; perchè l’autore si sostien sempre, per così dire, su’ trampani, e affetta sempre di parlar con ingegno, nè mai discende a quello stile domestico e famigliare che occupa dolcemente chi legge, nè gli fa soffrire il peso di una faticosa e notevole applicazione. XXVI1L Rimane a dire per ultimo degli studi biblici, ne’ quali pure non avrem luogo a trattenerci a lungo. Nel dar nuove edizioni e nuove versioni della sacra Scrii tui a tanto eransi già affaticati i dotti del secolo precedente, che poco rimaneva a fare a’ lor posteri; e l’essersi dalla Chiesa ordinato che la Volgata dovesse preferirsi a tutte le altre, distolse i dotti dall’intraprenderne altre versioni. Una sola nuova versione italiana, ma fatta da un Protestante, cioè da Giovanni Diodati lucchese rifugiato in Ginevra , vide la luce in questa città nel 1607. E la traduzione, quanto allo stile, è colta ed elegante. Nella seconda edizione, fatta nel 1641, egli vi aggiunse i Salmi recati, ma non troppo felicemente, in rime toscane. De’ comentatori de’ Libri sacri abbiamo non picciol numero, ma al numero non corrisponde il valore. E un XX Vili. Seri Iton làttici. [p. 228 modifica]328 libro .solo io ne indicherò che più brevemente, ma perciò appunto più utilmente, comentò tutta la sacra Scrittura con brevi note , nelle quali , ristringendosi al senso letterale. ne dà la più giusta e la più facile spiegazione. Questi è il gesuita Giovanni Stefano Menochio figlio del celebre giureconsulto da noi nominato nella Storia del secolo precedente, di patria pavese, e entrato nella Compagnia di Gesù nel imj.i in età di 17 anni, il quale in mezzo a molti e diversi impieghi, e fra le cure de’ governi domestici, trovò nondimeno tanto e di agio e di tempo, a scrivere non solo il detto Comento, ma più altre opere ancora. Il Dupin , parlando delle note del P. Menochio, e citando anche l’autorità del Simon, afferma (Bibl. des Aut. eccl. t. 17, p. 133) ch’egli è uno de’" più giudiziosi interpreti che abbiamo sul vecchio e sul nuovo Testamento * che ha tratto dagli altri comentatori ciò che gli è sembrato più sodo; che ha cercato di unire alla brevità la chiarezza , e ridurre in poche parole ciò che gli altri aveano più ampiamente spiegato. Oltre questo Comento, più altre opere abbiam del Menochio, che appartengono esse pure, quai più quai meno, agli studi biblici. Tali sono la Storia della Vita di Cristo, e quella degli Atti degli Apostoli, da lui scritte in lingua italiana, in cui pure diè alla luce l’Economia cristiana e la Storia miscellanea sacra, e i sei tomi intitolati le Stuore, il primo dei quali fu da lui pubblicato sotto il nome di Giovanni Corona, opera che contiene diverse quistioni bibliche, storiche, filologiche, le quali pruovano la vasta [p. 229 modifica]SECONDO 22(^ erudizione di cui, secondo que’ tempi, egli era fornito. In latino ne abbiamo le Istituzioni politiche e le economiche tratte dalla sacra Scrittura , e f ampia opera assai stimata fra’ dotti De Republica Hebraeorum: delle quali opere e delf autor loro, che finì di vivere in Roma a’ 4 di febbraio del 1655, si può vedere il Sotuello (lì ibi. Script. Soc. Jesu, p. 504, ec.). XXIX. Poniam fine alla serie degli scrittori sacri col ragionar di uno che in tutti i generi delf erudizione ecclesiastica ci diede moltissime opere, le quali, benchè sieno or poco lette, e benchè abbian molti difetti, son nondimeno una chiara ripruova della vasta dottrina del loro autore. Parlo del celebre gesuita Teofilo Rainaudo, il cui nome sarebbe assai più glorioso ne’ fasti della letteratura , se avesse voluto ristringersi a minor numero di opere, e se avesse saputo frenare la sua troppo focosa indole e il troppo esuberante suo ingegno. Oltre gli scrittori gesuiti, ne ha stesa la Vita il P. Niceron (Mém, des Homm. ill. t. 26, p. 248). Ma assai più esatto è l’articolo che ce ne ha dato 1" abate Joly (Remarq. sur Bayle, t. 2, p. 65o ’, valendosi delle memorie che ne aveva raccolte il gesuita Oudin per formarne una nuova Biblioteca degli Scrittori del suo Ordine. Benchè quasi tutta la sua vita ei menasse in Francia. noi abbiamo però diritto ad annoverarlo tra’ nostri, perciocchè egli era italiano di patria , cioè nato in Sospello nella contea di Nizza a’ 15 di novembre del 1583. Essendo stato mandato nel 1.399 a studiar la filosofia in Avignone, entrò ivi tra’ Gesuiti a’ 24 di novembre del 1602 [p. 230 modifica]a3o LIBRO Occupossi per molti anni ne’ ministeri proprii della sua religione in diverse città della Francia e della Savoia, e salì presso tutti in sì alta stima , che essendo venuto a vacare nel 1637 il vescovado di Ginevra, i principali membri del Senato di Chambery pensarono a sollevare a quella dignità il Rainaudo, il quale però fermamente vi si oppose. Il soggiorno che nel 1639 ei fece in Chambery, gli diede occasione di contrarre amicizia col P. Pietro Monod gesuita, stato già in gran favore alla corte di Savoia , ma allora prigione nel castello di Montmellian non molto lungi da quella città per opera del Cardinal di Richelieu, e per le ragioni che si leggon nella Storia del detto cardinale, le quali a questo luogo non appartengono. Le corrispondenze che il Rainaudo prese a tener col Monod, e le doglianze eh1 ci fece del soverchio rigore con cui questi era trattato, punser l’animo del cardinale sdegnato già col Rainaudo, perchè da lui pregato a rispondere a un libro in cui biasima vasi la lega del re di Francia co’ Protestanti , se n’era sottratto. Ei fece dunque in modo che fosse arrestato e processato. Ma il processo ne scoprì l’innocenza, ed ei riebbe la libertà. Sperò egli di vivere più tranquillo in Avignone, ove a tal fine recossi. Ma i suoi nimici si adoperaron per modo, che il Cardinal Antonio Barberini legato d’Avignone ordinò al vicelegato Federigo Sforza di farlo chiudere in prigione. Fu dunque il Rainaudo arrestato in Carpentras, ove allor ritrovavasi, e dopo quindici giorni, condotto ad Avignone, fu chiuso in una camera del palazzo papale. Sei mesi [p. 231 modifica]SECONDO 231 appresso fu rimandato al suo collegio, e il vicelegato ne formò poi tal concetto che , fatto cardinale, seco il condusse a Roma nel 1645 e presentollo al pontefice. Fece un’altra volta il viaggio di Roma nel 1647 > chiamatovi dal generale, e due anni vi si trattenne. Tornato a Lion, fu di nuovo inviato a Roma per la Congregazion generale nel 1651. Questo fu f ultimo viaggio del Rainaudo, che restituitosi a Lione, ivi finì di vivere a’ 31 ottobre del 1663, e intorno alla morte di esso si possono vedere presso il P. Niceron convinti di falsità e d’impostura alcuni racconti che da taluni ne furono sparsi. Ei fu uomo, come le opere stesse ci mostrano , d’ingegno fervido e insofferente di lima non men che di giogo. La sua libertà di parlare e di scrivere gli fece aver de’ disgusti anche fra le domestiche mura. Ciò non ostante ei fu sempre attaccatissimo alla sua Religione, e benchè da alcuni sollecitato ad uscirne, rigettò sempre sdegnosamente il loro consiglio. Era egli infatti uomo d’illibata pietà, di severi costumi e di ardente zelo*, del che diede pruova fra le altre cose nell’esporsi al servigio degli appestati. Quindi, se in alcune opere di esso trovasi una mordacità e un’asprezza che ad un uom dotto e molto più ad un religioso sembra mal convenire, si può credere eli’ egli si persuadesse di dovere scrivere in quello stile e non altrimente, e che fosse quello f unico mezzo a ottenere il fine che colle sue opere egli si prefiggeva. Ma come potrò io dare in breve l’idea di tutte questo opere? Novanta! ré [p. 232 modifica]23 a LIBRO ne annovera il P. Miceron, ed esse sono comprese in diciannove tomi in folio, stampa li in Lion nel 1661, a’ quali poscia si aggiunse nel 1669 il ventesimo intitolato Apopompaeus, in cui contengonsi quelle opere che pel troppo satirico stile, con cui sono scrilte, non ave a \roli*to l’autore riconoscere come sue Oltre le notizie che di queste opere ci dà il suddetto scrittore, molte altre più minute ne aggiugne il citato ab. Joly. Io udii già dire ad un valentuomo, che quando egli voleva studiare su qualche strano argomento, di cui niuno avesse trattato, prendeva tra le mani le opere del P. Rainaudo, sicuro che vi avrebbe trovato di che appagare la sua curiosità. In fatti di mille diverse materie, singolarmente sacre, egli tratta nelle sue opere, e si può dire che su quella materia ch’ei prende a trattare, raccoglie quanto si è detto, e quanto poteasi dire. Così ne fosse la trattazione più metodica e più precisa. Ma egli non sa tenersi sul diritto sentiero; divagasi or a destra, or a sinistra, e stanca il lettore col l’avvolgerlo in un continuo labirinto. Lo stile ancora non può piacerne, perchè è un capriccioso grottesco di greco e di latino, or troppo oscuro per affettazione di antichità, or troppo umile per trascuratezza di correzione. La critica innoltre non è molto esatta, e spesso senza il giusto discernimento ei raccoglie i detti e le opinioni dei buoni e de’ cattivi scrittori. Questi difetti delle opere del Rainaudo furon cagione che lo stampatore il quale ne diede una compita edizione. e che credeva di adunarne [p. 233 modifica]SECONDO 233 tesori , andò fallito; il che afferma il Niceron esser cosa notoria nella città di Lione. Nondimeno le opere di questo scrittore si posson paragonare a un vastissimo magazzino pieno di mercanzie d’ogni maniera buone e cattive, antiche e moderne, utili e inutili, delle quali chi ha sofferenza in cercare , e buon gusto in iscegliere, può valersi con molto suo frutto. XXX. Nella Storia del secolo precedente a’ teologi cattolici abbiam aggiunti que’ Protestanti italiani che abusarono del loro ingegno nel combattete la Religione in cui erano stati allevati. Ma anche in questo genere poco ci offre l Italia nel corso di questo secolo. Giuseppe Francesco Borro, nobile milanese e medico di professione, tentò in Milano di spargere le ree sue opinioni, che tendevano al sovvertimento non meno della Religione che del governo politico. Ma avveggendosi di essere omai scoperto, si sottrasse fuggendo al meritato gastigo, e dopo essersi andato lungamente aggirando per l’Allemagna Àllemagna per perla Danimarca, caduto nelle mani del papa, stette molti anni prigione in Roma, ed ivi, pentito de’ suoi errori, morì nel i(3t)5 in età di 70 anni (a). Ma egli non pubblicò cosa alcuna in favore delle sue opinioni, c le (a) M. Goulin ha pubblicata una lettera scritta da Strasburgo da Melchiorre Sebizio a’ 23 di dicembre del 1661, in cui narra che il Borro era poco prima venuto in quella città, e vi si era mostrato più ciarlatano che medico -, in modo che dopo alcuni giorni quel magistrato avealo consigliato ad andarsene, ed egli erasi trasferito nelP Ollanda (Afi{m. pour servir à l’Hist. de la Medec. an, 1775, p. 161, ec.). [p. 234 modifica]a34 LIBRO opere che se ne hanno alle slampe, sono o di argomento medico, o intorno alla pietra filosofica, con cui egli cercava , non già col valersene, ma col persuaderne altrui l’esistenza, di cercar pascolo alla sua fame. Il co. Mazzucchelli, che diligentemente racconta le diverse vicende di questo impostore, ci dà anche il catalogo delle opere da lui divolgate (Scritt. ital t. 2, par. 3, p. 1790, ec.). Questi dunque appena può a questo luogo essere rammentato. Con più ragione deesi qui ragionare di Lucilio Vanini, il quale è il solo Italiano del secolo XVII che co’ suoi libri cercasse di diffondere le sue ree opinioni. Giammaurizio Schrammio e Davide Durand ne hanno scritta ampiamente la Vita; e dopo essi ne hanno pure trattato a lungo il P. Niceron (Mém, des Homm. ill t. 26, p. 371, ec.) e il Bruckero (Hist. crit. Phil t. 5, p. 670) e più altri scrittori, talchè non fa d’uopo ch’io molto m’affatichi nel ricercarne. Taurosano nel regno di Napoli e in Terra d’Otranto fu la patria del Vanini. che ivi nacque circa il 1585, e che detto al battesimo Lucilio , cambiò poscia questo nome in quello di Giulio Cesare. Roma, Napoli e Padova furono le città nelle quali egli attese alle scienze, e la filosofia, la medicina, l’astronomia, la legge, la teologia ne formarono successivamente l’occupazione. Per sua sventura avvenutosi nelle opere del Cardano e del Pomponazzi ne fu rapito, e più gli piacquero quelle nelle quali essi più delirarono. Così imbevuto de’ loro sogni, dopo esser ritornato alla patria, ed avere ivi fatto breve soggiorno, si diè a viaggiare, e [p. 235 modifica]SECONDO *35 corse l’Allemagna, la Fiandra, la Francia e P Inghilterra. Convien dire però , ch’ei non si fosse ancor dato in preda agli errori che poi gli furono apposti, se è vero ciò ch’egli stesso racconta, cioè che più volte disputasse contro gli eretici e contro gli atei, e che in Londra si stesse per 49 giorni racchiuso in carcere pel suo zelo in difesa della cattolica Religione. Tornato in Italia, tenne per qualche tempo scuola di filosofia in Genova. Ma il sospetto in cui si avvide di essere presso molti d1 uomo d’incerta fede, lo indusse a partirsene, e tornato in Francia, fu per alcuni anni or in Lione, or in Parigi; e mentre colle opere da lui date alle stampe dava occasione di rimirarlo come ardito e pericoloso novatore, co’ suoi famigliari discorsi cercava di acquistarsi buon nome, e giunse ad offrirsi in Parigi al nuncio Roberto Ubaldini a scrivere l’Apologia del Concilio di Trento. Ciò non ostante ei non si credette abbastanza sicuro in questa città, e partitone nel 1617 , si ritirò a Tolosa. Ma qui ancora, scoperta l’empietà ch’egli andava disseminando. fu per ordine del Parlamento arrestato, e nel febbraio del 1619 dannato all’estremo supplicio del fuoco. Il presidente di Grammond, testimonio di veduta, ci ha lasciata la relazione, che vien riportata anche d.d Niceron e dal Bruckero, della infelice morte del Vanini, il quale, dopo avere in varie guise tentato d’ingannare i suoi giudici col finger sentimenti di Religione, e colf offrirsi pronto a ritrattare i suoi errori, poichè vide che le sue arti gli erano inutili, palesò apertamente [p. 236 modifica]236 LIBRO quell’empietà di coi finallora non uvea dati pubblici contrassegni, e nell’atto medesimo di essere condotto al supplicio si mostrò ardito disprezzatore della Religione e della Divinità. Due sono le opere del Vanini che si hanno alle stampe, oltre più altre ch’ei dice di aver composte, ma che giacquero inedite, o che son divenute si rare, che appena se ne ha contezza. La prima ò intitolala: Amp/iitheatrum aetemae Providentiae Dlvino-magicum, Christìano-physicum, ncc non Astrologo-Cuti iolirum , adversus veteres Philosophos, Atheos , Epicureos, Peripateticos et Stoicos; e questa fu stampata in Lion nel 1615. La seconda è intitolata: De admìrandis Nati trae ì leghi ne Deaccjue mortalium arcanis; e fu stampata in Parigi nel 1616. Amendue queste opere trovarono approvatori cattolici, ma la seconda ciò non ostante fu dalla Sorbona proscritta e dannata al fuoco. La maggior parte di quelli che le hanno avute sott occhio, vi veggono sparsi i semi dell’empietà e della irreligione; non già ch’egli apertamente sostenga l’ateismo, ma sì perchè alle difficoltà ch’egli si fa opporre contro la Religione, soggiugne risposte sì deboli , che sembra di’ ei brami di veder trionfante il suo avversario; sì perchè, nella seconda opera singolarmente, tanto attribuisce alla natura e all’indole, che appena sembra rimaner luogo alle divine disposizioni. Alcuni nondimeno han preteso di difendere il Vanini, e in ciò si è adoperato principalmente Pietro Federigo Arpe in una latina Apologia da esso senza il suo nome stampata nel 1712 colla data di [p. 237 modifica]Cosmopoli. Ma per quanto ingegnosi sieno gli sforzi ch’egli usa in provare che il Vanini non è almeno sì reo, come comunemente si crede, scorgesi chiaramente ch’egli ha preso a sostenere una causa troppo rovinosa. E ancorchè le opere di questo infelice scrittore non contenessero gli errori che gli vengono attribuiti, P empietà da lui dimostrata nell’estremo supplicio, di che non ci lascia dubitare il testimonio troppo autorevole del Grammond, basta essa sola a mostrarci chi fosse costui, e quai sentimenti nutrisse in seno (a).

  1. Fra’ teologi morali io nominerò solo Giovanni Chiericato padovano, nato in bassa condizione l’anno 1633, e da’ suoi studi e dalla sua probità sollevato ad onorevoli dignità ecclesiastiche, e a quelle singolarmente di vicario generale della diocesi di Padova sotto il B. cardinale Gregorio Barbarigo vescovo di quella città, e morto l’anno 1717; perciocchè egli è degno di