Memorie storiche di Arona e del suo castello/Libro VII

Libro VII

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LIBRO SETTIMO


SOMMARIO:


Pestilenza dell’anno 1630 e provvedimenti relativi — Si fanno le fortificazioni esteriori al paese — Erezione di un secondo monastero — Della fabbrica dell’ospedale — Succedono gli scoppii di un magazzeno di polvere sulla Bocca — Il forte viene gelosamente custodito dagli Spagnuoli contro le armi di Francia — Cessa la Spagna dal dominio della Lombardia, e vi subentra la Casa d’Austria — Il forte è comandato dal principe di Lictenstein, e poscia guardato da soldati veterani austriaci— Si riprende la fabbricazione delle cappelle del monte di san Carlo.


Un ben giusto sentimento di gratitudine verso di un uomo tanto benefico, quale fu il cardinale Federico Borromeo, ci ha alquanto trattenuti dal continuare la serie degli avvenimenti di Arona, che ebbero luogo durante gli anni sui quali si è fin ora parlato. La continueremo ora a questo punto, sebbene a nostro malgrado dovendovi dare principio [p. 142 modifica]con una narrazione, la cui memoria si bramerebbe che venisse cancellata, tuttoché propriamente questo paese in particolare non abbia gran-fatto e dolersene per gli effetti.

Si è già di passaggio notato, come fra le calamità che turbavano lo sconvolto secolo, siasi aggiunto il contagio della peste manifestatasi in Lombardia nel 1629 e che era stata una delle cause principali del ritardo all'erezione del colosso di San Carlo, ed al perfezionamento del suo Monte; ora ne accenneremo i particolari. Tre consecutive annate di fallanza nelle granaglie 1627, 1628, 1629 portata avendo una generale carestia in tutta la Lombardia e negli stati vicini, non tardò guari a manifestarsi il terribile flagello. Se ne ebbe il principio in novembre 1629 verso la città di Como e di Milano, recatovi dai soldati tedeschi, che vi alloggiavano, spediti per la guerra allora suscitatasi per causa della successione agli stati del duca Vincenzo Gonzaga, onde cacciarne i francesi, che avevano occupato Mantova e Casale sotto la scorta di Carlo Gonzaga. Posto tutto il territorio Lombardo nel più grave timore del minaccioso contagio, ogni paese procurava di adottare le più prudenziali misure onde preservarsi, od almeno ritardare, il più possibile che fosse, gli effetti funesti della pestilenza. Arona per il favore di trovarsi murata poteva sperare una maggiore sicurezza che le terre libere, alle quali è inevitabile l'immediato contatto con gli esteri. Trovo, che dai reggenti del paese sono stati fatti li 17 e 18 di maggio, 7 e 17 di luglio 1630 buonissimi ordinamenti1per impedire l'entrata in Arona delle mercanzie, e delle persone procedenti dall'estero, e [p. 143 modifica]per ottenere la pulizia e salubrità del paese, per soccorrere alla mendicità, e per provvedere al bisogno in caso che, fosse venuto a manifestarsi il contagio. Il territorio pure si fece sorvegliare per mezzo di un corpo di quarantadue guardie armate poste ripartitamente ai capi delle strade che mettono ad altri paesi, e particolarmente ai siti, della cascina Canterana sopra li sassi verse il fine del bosco del Cicognone. Alla cascina de’Balestrini (ora chiamate del Vetriaro) di là del fiume Vevera dove è la strada che viene da Oleggio, e Paruzzaro. Al Doneghino, quale è sopra la costa di Mercurago. Alla costa della Bolla, quale è nel confine de’boschi della comunità di Dormello. — Dalla parte del lago le mura, e la custodia di tutti i porti facevano sufficiente barriera ; così il paese era e nel suo circuito, e sui confini del territorio diligentemente custodito. Si provvide altresì per il lazzaretto, e venne situato al luogo chiamato il Prato Nuovo sul territorio di Mercurago, difeso all’intorno da profonda fossa e provvisto di quindici capanne per asilo degli appestati2 ed inservienti, ai quali davasi il titolo di monatti, e ve ne erano di due sorta *, cioè monatti netti e monatti brutti ; in fine non è stata omessa premura, o spesa.

E qui pure egualmente che in Milano, come accenna Manzoni3, era invalso il pregiudizio ed il timore delle unzioni in guisa che nell’ordine del giorno de’17 luglio restava fortemente raccomandato alle guardie di sorvegliare accioché nelle campagne, et cascine non sii usato di quelli maledetti unti pestiferi siccome si ha avviso da Milano, che [p. 144 modifica]già di là sii uscito gente per tal effetto in queste parti. Vera insania prodotta dal timore dell’imminente pericolo, e che il tempo solo, ed il progresso delle cognizioni hanno poi chiaramente dimostrata ! Ma ad onta di ogni precauzione, e tuttoché la tradizione popolare ne dica in contrario, sebbene tardi, penetrò anche in Arona il contagio. Il territorio in pria, il paese di poi, ed in fine il presidio della Rocca sono stati attaccati. I primi casi indicati dai libri dei decessi della parrocchia cominciano col 24 di settembre, e non oltrepassano il primo di novembre, e sono in poco numero i deceduti ora del territorio, ora del paese promiscuamente; ma una lacuna di tre facciate di quel registro, che va a raggiungere il mese di febbraio del 1631 mi fa ragionevolmente credere, che molti altri casi siano avvenuti, e che la loro frequenza e quantità non abbia dato tempo al parroco di farvi le annotazioni; e concorre anche a provare questo pensiero la forte spesa sostenuta dal municipio in questo terribile frangente, per cui ha dovuto contrarre più capitali debiti, appunto come dicono gli atti relativi, per soccorrere il presidio della Rocca infetto dalla peste4; ma più sventurati di Arona rilevo che siano stati i paesi che gli stanno d’intorno. Le comunità del Vergante in particolare furono aspramente trattate. Vezzo, Carpignino, e Brovello rammentano ancora al dì d’oggi fatti funestissimi arrecati da quel flagello. Si incontra bene spesso per quelle terre qualche immagine o capella dedicate a san Sebastiano ed a san Rocco. Il paese di Invorio Inferiore fu esso pure ben bene battuto ; ed al presente ancora alla [p. 145 modifica]distanza di un quarto di miglio sul piedestallo di una bella colonna di granito cui sta sovrapposta una croce di ferro leggesi questo funesto ricordo: Hic annis 1630, 1651 lacrimoso tabisfacto defunctorum ossibus contumulatis pietas commvnitatis Invorii erexit monumentum hoc anno 1650.

Sebbene cessata la strage, e ritornate le vettovaglie a sufficiente bisogno ed a discreto prezzo, Arona potè sentirne poco o nessun vantaggio a motivo che per la discesa dei soldati di Luigi XIII re di Francia sotto il comando del duca Vittorio Amedeo di Savoia contro la potenza spagnuola nel ducato di Milano, Arona si trovò sempre per più anni inondata di truppe, e quasi continuamente assediata.

La resistenza che fece nell’anno 1644 questo forte ai progressi delle armi francesi determinò Filippo III re di Spagna a maggiormente munirlo, ed a raddoppiare le fortificazioni della piazza dalla parte di mezzogiorno; quindi nel mese di marzo del 1645 essendo stato spedito sul luogo il già nominato ingegnere Ricchini, tracciò le fosse e rampari esteriori, e chiusa la porta denominata ’’Cantone’’ vicina al lago dalla parte di mezzodì, ne fece un forte ridotto : alzò in quella vicinanza il bastione detto Mirabella; chiuse l’altra porta chiamata Porta Monastero dalla vicinanza dell’antico monastero dei Benedettini; costrusse la bella porta coperta cui diede il nome di Porta Novara, ed eresse il baloardo sotto la Rocca a cui si attribuì il nome di Bastione san Carlo, con avere chiusa l’antica porta Bruna ivi esistente. Ha continuato per varii anni questo rilevante lavoro, ed è da notarsi che mentre sulle sponde del Verbano si stava accrescendo un forte per servire di antemurale al ducato, e per frenare le frequenti scorrerìe delle [p. 146 modifica]estere nazioni, sulle sponde della Sesia si demolivano le antiche mura e la famosa porta di Vercelli. Lavorarono sotto il comando del conte Ercole Visconti, capitano generale delle armi del re di Spagna per il ducato, e sotto la direzione del conte Vitaliano Borromeo giuniore delegato, permanente in Arona, settecento e più uomini chiamati dalle comuni dell’alto Novarese per le suddette opere di fortificazione, ed altrettanti del basso Novarese e della Vallesesia per la demolizione delle fortificazioni di Vercelli. Fu appunto nel momento di queste opere esteriori al paese che il governo del ducato ordinò e fece eseguire, contro pagamento di lire 45,647 imperiali, la demolizione del convento dei Padri Cappuccini, chiamato il Monastero; stato fondato sotto gli auspicii di san Carlo Borromeo nell’anno 1571, forse perchè quel fabbricato avrebbe potuto servire di asilo ai nemici a danno della fortezza5. Non è quindi esatta la tradizione, ed errò chi scrisse che per cagione dell’aria insalubre di quella località abbiano dovuto i religiosi trasferirsi sul monte di san Carlo, come si dissé all’anno 1652. Ed appare di più l’inconseguenza di tale tradizione se si riflette che quei luogo è situato al pien meriggio; e molto bene difeso dalle arie di tramontana da un’alta e lunga collina, e che si vedono là vicini e sulla medesima direzione alcuni casolari di contadini che non soffrono incomodi di salute attribuibili all’aria, e campano sino a tarda età. Ora di questo locale. [p. 147 modifica]non meno che del secondo erettosi dai Cappuccini sul monte di san Carlo, non esiste più alcun vestigio indicante l’uso per cui sono stati costrutti, vedendosi il primo quasi tutto demolito e ridotto il terreno a coltura; del secondo, dopo la soppressione indi seguita di quella religione, se ne fece un casino di diporto, essendosi atterrato tutto ciò che indicava la struttura claustrale, eccetto il grande cinto esteriore, servibile tuttavia alla sicurezza del luogo.

Non è da omettersi, che essendo state occupate da queste nuove opere di fortificazione centoventi pertiche di terreno proprio del collegio dei Gesuiti e di vani particolari del paese, che era soggetto alla decima parrocchiale, insorse dà una parte l’arciprete rappresentando al senato di Milano nel 1649 di essere stato danneggiato in annue lire duecento cinquantadue, verosimile importo dei frutti di decima dei terreni occupati, e ne pretese l’indennizzazione. Dall'altra parte i Gesuiti e gli altri particolari chiesero il pagamento del prezzo dell’occupatogli terreno e la deduzione dalle tavole dell’estimo censuario; ed il senato previo voto del fisco riservò all’arciprete la ragione di conseguire dai proprietarii un abbuonamento sul capitale prezzo dei terreni ceduti, ove li stessi possidenti lo avessero dal principe conseguito. Seguì infatti nel 1657 il pagamento d’indennizzazione ai proprietarii e la contemporanea deduzione del censimento, ma non risulta se l’arciprete abbia conseguito da questi il corrispettivo delle sue ragioni; si ha però luogo a credere che ciò sia avvenuto, perchè non ne ha più mossa dimanda.

Reggeva a questi tempi l’arcipretura di Arona l’oblato Graziano Ponzoni, nato in Arona stessa da Giovanni Battista Ponzoni e da Lucia Fossati alli 12 di marzo del 1610; [p. 148 modifica]persona di cui non possiamo dispensarci dal farne onorata menzione e per la serie dei fatti rimarchevoli occorsi pendente la di lui vita, e per il bene che procurò alla patria coll’opera sua e colle sue morali virtù. Compita ch’egli ebbe la carriera degli studii letterarii, ed ascritto agli oblati dei santi Ambrogio e Carlo, dalla parrocchia di san Vittore e quaranta Martiri di Milano, a cui era stato nominato, si trasferì nel 1629 alla collegiata di questa sua patria, di cui fu il secondo arciprete. Dopo di avere in sollievo dei poveri e degli affetti dalla peste consumata generosamente la miglior parte del suo patrimonio, ed appena cessata la guerra, si determinò nell’anno 1643 di mandare ad effetto il pensiero già da lunga pezza concepito di stabilire un monastero di Cappuccine nella sua patria; e perciò colle considerevoli elargizioni della contessa Isabella d’Adda Borromeo, vedova del conte Carlo, e per il favorevole permesso che riportò dal cardinale Cesare Monti, arcivescovo di Milano, invitò la nobile dama del Mondovì Virginia Alardi, e la mise a capo di questa nuova colonia, cui diede per primo ricovero la di lui casa paterna, che è situata sulla piazza di san Graziano dirimpetto al già collegio della Purificazione; e stettero colà le religiose sintanto ohe nel 1647 vennero trasferite in un’abitazione vicina alla chiesa della Ss. Trinità e santa Marta, in quel tempo tenuta dalla confraternita di tale titolo, in vicinanza del palazzo della casa Borromeo, locale a cui in quell’epoca davasi il nome di convento di san Bernardino. Queste religiose benché situate vicino alla detta chiesa, di quella però non potevano prevalersi a motivo che il loro instituto portando ritiratezza e raccoglimento, era loro d’incomodo doversi trasferire dal monastero alla chiesa perle ufficiature. [p. 149 modifica]Interposta pertanto la mediazione della loro protettrice casa Borromeo, si venne ad ottenere coll’assenso della comunità dai confratelli la cessione di detta chiesa in favore delle religiose, e quella della Madonna di Piazza in favore della confreternita6. Questa però per qualche disposizione che si doveva dare alla chiesa cedutagli dalla comunità, non si portò ad ufficiarla che sotto li 4 di gennaio 1660, avendone in quel giorno solennemente preso possesso per atto ricevuto Paolo Petrini.

Così stabilite le religiose, ad altro più non pensarono che a germogliare in numero ed in opere di pietà, e a dare al loro monastero una maggiore decenza e comodità. Vide con ciò il Ponzoni compiuto l’esito de'suoi voti, ma per l’austerità della vita sacrificata unicamente a vantaggio della religione e de’poveri, brevi e laboriosi passarono i suoi giorni. Mancò questo buon pastore alla patria tanto dà lui beneficata alli 17 ottobre del 1652, avendo instituito erede ex asse questo ospitale della Ss. Trinità, e fu tumulato nel presbitero della chiesa esteriore delle religiose da lui instituite, dove ancora vedesi l’epigrafe in lapide marmorea che tramanda ai posteri la memoria delle sue pregievoli doti :

GRATIANVM • PONZONVM

ARONÆ . ARCHIPRESBITERVM • ET • NATVM

ISABELLA • ABDVA

COMITISSA • BORROMEA

ET • CÆNOBII • FONDATRIX

HVIC • IMPERAVIT • LAPIDI

TEGERE • ET • REFERRE

MEMORANDO

INSIGNEM • ILLIVS • PIETATEM

QVAM • ET • CÆNOBIVM • IPSVM

ET • CONSIGNATA • POSTERiS • VENERATIO

TESTATVR

ANNO • MDCLII

[p. 150 modifica]Di questo monastero è stata spedita a Milano una colonia, che formò poscia il monastero di santa Sofia sotto il cardinale Erba Odescalchi; e queste stesse religiose fondate dal Ponzoni e dalla sullodata contessa d'Adda Borromeo hanno mutato nell’anno 1660 l'abito di Cappuccine abbracciando stabilmente l’istituto di s. Francesco di Sales. I successivi arcipreti di Arona, Litta e Masera, hanno molto contribuito al ben essere di questo monastero. Della esistenza dell’antico convento di san Bernardino, in cui vennero collocate queste religiose, si hanno appena alcune traccie nelle antiche pitture a fresco che ancora si vedono sotto di un portico dell’abitazione che serve per gli agenti della casa Borromeo, e nel legato instituito dal curato Bartolomeo Carrara 7 di lire quattro annue per la celebrazione della festa di san Bernardino; ma della di lui fondazione, progressi e cessazione non si hanno memorie, e della di lui piccolezza convien dire non fosse altro che un semplice ospizio per pochi individui.

Un altro monastero sotto il titolo della Visitazione esisteva pure nelle vicinanze di Arona in epoca anteriore all’erezione del suddetto. Era fondato nel territorio di Dormello ed al sito anche in oggi chiamato la Madonna della Fontana. Il vescovo Bescapè, che nel 1642 scrisse la sua Novaria sacra, fa menzione di questo chiostro parlando di Dormello, e dice: a quo non longe est ecclesia Sancte Maria ubi olim fuit canobium virginum. Non si ha però alcun dato per desumere quando e da chi sia stato fondato, e quando cessasse di esistere. Gli atti notarili di quest’archivio indicano che esistesse nel secolo XVI, [p. 151 modifica]poiché trovo che nel maggio 1530 ne era abbadessa certa Pellegrina De Cojro, e la trovo ancora in tale carica in febbraio del 15468. Al presente però non vi è alcuna traccia di detto chiostro, tranne della chiesa, la quale per verità dimostra il gusto e l’architettura del secolo XIII o XIV al più. Si vedono delle dipinture sul muro interno che segnano se non la medesima epoca, un’altra non di molto posteriore. Vi è dipinta la visita di Maria Vergine a Santa Maria Elisabetta, ed è ripetuta in un’ancona sculta in legno che posa sull’altare, di antico intaglio. Esiste pure la fontana che diede nome al luogo, ed al minimo smuovere delle zolle di quei contorni si scoprono cementi ammucchiati e rottami, che indicano di fatto un diroccamento di qualche esteso edificio in quel luogo.

Comandava a questi tempi il Castello ed il paese il governatore e castellano maggiore Canevara, stato nominato nel 1657 dai Borromei in seguito alla morte dello spagnuolo don Alfonso Sanchez. Ma poco durò anech’esso in carriera, poiché trovasi che con atto 23 aprile 1660 vi fu sostituito il maggiore Antonio Cavallo. Sotto il comando di questo governatore i patrii documenti non accennano alcun fatto degno di ricordo relativamente al forte, e trascorre un’epoca di tredici anni ancora senza rinvenirne alcuno. Il paese pel contrario ci somministra più nozioni interessanti alla storia.

Successo nell’arcipretura al Ponzoni il sacerdote Carlo Litta milanese, persona distinta per nascita, per ricchezze, per talenti, e più per l’affezione al suo popolo; oltre alle [p. 152 modifica]opere di pietà che promosse, alzò nell’anno 1662 dalle fondamenta la maestosa fabbrica dell’ospitale sotto il titolo della Ss. Trinità per contro alla collegiata, riducendo così l’ospitale preesistente, che consisteva in un fabbricato insufficiente all’alloggio degli infermi, a vera forma di ospitale. Chiunque osservi questa spaziosa e solidissima fabbrica potrà facilmente convincersi dell’egregia spesa che sarà costata, e potrà da ciò misurare quanto potente e liberale fosse questo lodevole arciprete. Raccolse poi varii legati e si procurò lasciti ed eredità colle quali accrebbe il patrimonio de’poveri e stabilì la sussistenza all’ospitale. La torre che s’innalza vicino alla chiesa di Santa Maria, di cui ebbimo poc’anzi a trattare, riconosce per suo ristauratore questo arciprete, che la volle ordinata sopra vago disegno per uso di campanile, allo stato in cui la vediamo al presente. Costituì inoltre il prodotto per l’onorario della cappella di quattro musici pel decoro delle funzioni solenni della collegiata9 e provvide per la manutenzione del lume avanti il deposito delle sacre reliquie della medesima chiesa10.

Sono state finora vane le ricerche di chi investigò per conoscere l’origine di questo ospitale. Le memorie più antiche che presentemente esistono nel suo archivio non sono che una scrittura dell’anno 1550 senza rogito, ed un’annotazione di crediti dell’anno 1558; è quindi forza il dire, che le guerre e gli incendii seguiti nel tempo delle rappresaglie delle fazioni abbiano fatto perire gli [p. 153 modifica]antichi di lui documenti. D’altronde convien credere che questo ospitale fosse già ragguardevole anche prima dell’arciprete Ponzoni e del Litta, trovandosi negli atti notarili del 1488 che era amministrato da due o tre errogatorii; così allora chiamati, e da un tesoriere, i quali appunto in detto anno erano certi Giovanni Pozzi, Antonio Ponzone, e Precivalle Carrara11; e dico bisogna che fosse anche in prima ragguardevole per l’interessamento che ne prese il cardinale Federico Borromeo di formargli particolari costituzioni, avendo fra le altre cose stabilito che questo luogo pio dovesse essere amministrato da due soggetti secolari di piena probità e dall’arciprete per tempo, con un tesoriere da nominarsi dai medesimi, oltre agli impiegati necessarii per la cura ed assistenza degli ammalati.'

Questo pio luogo che per l’addietro non era che un istituto elemosiniero, che soccorreva pecuniariamente agli infermi, alle povere vedove, ai poveri settuagenarii; che li provvedeva di cure mediche e di medicine a domicilio, e di levatrice alle povere parturienti ; ora per effetto di pie donazioni avendo aumentato le sue rendite, viene ad essere portato a vero uso di ospitale collo stabilimento dei letti, e se gli sta unendo un corpo di fabbrica nella parte posteriore di ponente per servire a quest'uso. La sua direzione in forza di Regia disposizione è affidata ad una commissione amministrativa composta di un presidente eletto per un quinquennio dall’autorità sovrana, di due membri nati nella persona del parroco e del sindaco, e di quattro membri elettivi che si propongono dal corpo consolare, e sono eletti dall’ordinario diocesano. Avrà in [p. 154 modifica]questo modo l’umanità sofferente quel regolare soccorso di carità, che anche dato alla rispettiva casa non può, per la concorrenza di tante cause, produrre i benefici effetti come quello amministrato sotto gli occhi di una direzione e con un regolare sistema.

Arona ed il suo forte nell’anno 1675 erano comandati dal maggiore Vismara spagnuolo, investito dal feudatario alli 18 febbraio di questo medesimo anno. Accadde sotto il comando di questi un fatto meritevole di ricordo per le mutazioni che ha portato circa l’ordinario di lui alloggiamento. Eccitatosi nel giorno nove di luglio di questo anno un furioso temporale, che portò il folgore in un magazzeno del castello pieno di polvere, posto in faccia al paese, scoppiò con terribile fragore e come scossa di terremoto, portando le rovine nel sottoposto borgo con qualche danno delle case, senza però che nè le sentinelle del castello, nè persona alcuna di Arona sia rimasta offesa. Esiste una memoria di questo fatto nella pittura in tela che si vede nel piccolo oratorio della B. V. detto sotto Rocca, che era in prima l’antica porta Bruna, stata chiusa, come si disse, nell’anno 1645 in occasione delle fortificazioni esteriori al paese. Ci dimostra inoltre questa tela la foggia degli abiti usati in quei tempi dalle autorità costituite e dal popolo. I religiosi nostri padri attribuendo in questa occorrenza la prodigiosa conservazione di Arona al particolare patrocinio di san Zenone, ohe cade appunto nel giorno nove di luglio, tramandarono alla posterità la memoria di questo fatto con solenne voto per oblazione di cera da farsi in ogni anno in tale giorno alla chiesa di san Carlo sul monte dai deputati della comunità che vi sì recavano processionalmente coll’Arciprete, Capitolo e Clero, [p. 155 modifica]e colle Confraternite. Durò costantemente l’osservanza di questo voto sino all’anno 1775, in cui dovette cessare per le prescrizioni del regolamento 6 giugno dei Governo del Piemonte, che vietava ai pubblici di spendere danaro per funzioni non necessarie.

Il fatto di questo scoppio ha determinato il castellano e governatore Vismara a non più abitare nel castello, e ne venne al municipio il carico di provvedere d’alloggio questo, e li successivi governatori nel paese, essendogli sin d’allora stata destinata una delle case di ragione dei conti Borromeo che sta dirimpetto alla chiesa e monastero della Visitazione, la quale servì poscia per tutti gli altri successori nel governo. Da questa traslocazione venne poi un altro carico al municipio, cioè di presentare al governatore nella vigilia di Natale sette pezze di Spagna di argento a titolo di onorario, ed altre tre agli aiutanti di piazza per titolo di regalia, oltre ad un’altra esigenza, che il governatore praticava dai macellari per titolo di riserva delle lingue delle bovine. Tali costumanze col volger d’anni sono passate in obbligazioni, e la loro attività fu impreteribilmente osservata, restando però ancora ignoto il motivo che abbia dato luogo alla loro introduzione, potendosi ben accertare, che fino a tanto che li governatori abitavano sul forte, non erano in uso siffatte indirette contribuzioni.

Dalla cessazione del comando del governatore Vismara sino al governo di don Sebastiano Castilione vi fu di mezzo un altro governatore, cioè il maggiore Giuseppe Marliani milanese. Non possiamo rivelare ai nostri concittadini alcuna memoria degna di fede nella storia che sia avvenuta sotto il comando di questo governatore, la cui durata [p. 156 modifica]in carica ci pare che sia stata assai breve, ed altronde la di lui natura pacifica, e la quiete delle cose negli stati, non potevano fornire argomento ai fatti degni di rimembranza. Circa il suo successore don Sebastiano Castilione, che governava nel 1684 abbiamo una memoria ed una prova della sua religione nella riduzione che fece seguire in detto anno a sue spese dell’antica porta Bruna in forma di oratorio, come ce lo dimostra la lapide sculta che vi fece collocare in un angolo, stata in parte cancellata, e guasta dall’umidità e dal tempo. Essa è la seguente: Antiquae éeidixs&s Aronensium arcis B. V. devotione renovandae atque auge Sebaetianus Castiglione, gubemator Aronae haec ornamenta et comoda posuit, ac dicavit anno salutis 1684. Da quest’epigrafe si può dedurre, che prima della riduzione di detta porta ad oratorio vi esistesse un’antica immagine della B. V. che è quella che vi si venera, come era costume di pressoché tutte le porte dei forti; e che essendo stata chiusa nell’anno 1645 fosse cessata la divozione verso la sacra immagine, onde coll’averne poscia fatto un oratorio siasi ridestata; anzi trovo memorie, che venisse questo oratorio dotato di rendite, le quali non sò se in giornata se le possegga12. E quasi contemporanea a quest’opera di religione è pure quella dell’erezione che fece nel successivo anno Bartolomeo Beolco di Arona del deposito che si vedè dalla parte di ponente della chiesa di san Graziano, che presenta due facciate in marmi con bel disegno ; non che gli altri due di contro al suddetto, stati costrutti a spese della fabbrica della collegiata, e della comunità. [p. 157 modifica]È stato ben breve anche il comando del già detto governatore don Sebastiano Castilione, giacché ritrovasi, che alli dieci di novembre del 1687 fu dai Borromei investito il colonnello don Lodovico Buzzi, che rimase in carica per tutto il 1698 essendovi nel principio del 1699 stato surrogato il contee colonnello don Bartolomeo Carbonara spagnolo. Toccò al governatore Buzzi il dispiacere di vedersi sotto gli anni del suo comando rinnovato il disastro già avvenuto in questo castello alli nove di luglio del 1675; benché egli non abitasse nel castello, come in quel tempo solevano li suoi antecessori. Correva il giorno ventesimo di luglio del 1688 che elevatosi un forte temporale a poca distanza della Rocca, vi cadde il folgore che uccise le sentinelle vicine, scaricò una grandine di sassi sopra il paese, e scosse con terribile impeto le case13, vedendosi anche oggidì alcune fenditure dalla cima alle fondamenta, massime in quelle che erano più vicine al forte, e le più elevate. Si ascrisse a prodigio l’essere stato preservato un grande magazzino di polvere a poca distanza dal luogo in cui era caduto il folgore. Un altro consimile fatto avvenne alli cinque di aprile del 1759 in cui scagliatosi il lampo sulla gran torre del castello, e serpeggiando intorno alla medesima vi ruppe un angolo e la porta, entrò, e sortì dal volto senza incendiare cento e più barili di polvere colà contenuti, che toccavano sino al volto stato dal folgore traforato. Forse colle precauzioni a giorni nostri introdotte si sarebbe potuto riparare a disastri di tal fatta.

Il rimanente di questo secolo fu per Arona un continuo flusso e riflusso di truppe e non trovansi altre memorie [p. 158 modifica]che di arrivi e partenze di truppe, di occupazioni di case, e perfino lo stesso ospitale affittato al ducato per l’alloggio d’ufficiali e soldati, de’quali il paese ed il forte ne alloggiarono per lungo tempo circa tre mila. Il principio del secolo XVIII non fu meno torbido e meno guerriero. Suscitatasi tra l’Austria e la Francia la guerra detta di successione per la morte di Carlo II ultimo re di Spagna del ceppo Austriaco14,continuò tanto in Arona che nel Castello una numerosa guarnigione. Tutti i posti erano rigorosamente guardati dalle truppe spagnuole che visitavano con accuratezza tutte le persone che entravano nel paese ed esigevano i passaporti: circolavano continuamente pattuglie; obbligavansi i barcaiuoli ad approdare nel solo porto, ed aprivansi e chiudevansi gelosamente le porte del paese a ore fisse15. Queste rigorose precauzioni eransi adottate sulla vociferazione sparsasi di una vicina discesa delle armi francesi in Italia, che si verificò nell’anno 1706, reggendo la Francia Luigi XIV. Cessarono però i timori dal momento che il duca d’Orleans di lui capitano generale venne forzato nelle sue stesse linee sotto la città di Torino dal re Vittorio Amedeo li e dal principe Eugenio di Savoia alli sette di settembre di detto anno, e furono costretti i francesi a riconcentrarsi, ed abbandonare le operazioni che avevano intraprese in Italia. Passato poi per le successive vicende il ducato di Milano dalla casa di Spagna in quella di Giuseppe I imperatore de’Romani, questo castello venne immediatamente occupato da numerosa guarnigione austriaca, ed approvvisionato come se si trovasse in istato d'assedio. [p. 159 modifica]Non fu minore la gelosia di questa piazza sotto gli austriaci di quello che lo fosse precedentemente sotto la Spagna. Si tolsero quindi dalle porte e dai luoghi apparenti le armi di Spagna, sostituendovi le imperiali ; si riconobbero dal nuovo regnante li diritti e le prerogative del feudo, e venne nel 1707 dal feudatario confermato il succennato colonnello Carbonara in governatore di Arona e del forte. Sono state anche confermate le autorità civili, e le cose camminanano pressoché sul medesimo piede del governo della Spagna,, le di cui consuetudini relative al governatore ed ai militari sono state mantenute. È una prova non dubbia, che questa piazza anche sotto il regime dell’Austria fosse considerata come importante, l’esservi stato nell’anno 1713 alloggiato il principe di Lictenstein generale delle armi austriache, e comandante le truppe stazionate in questo presidio in numero di duemila fanti, e di cento cinquanta cavalli. Non fu che sotto il regime di Carlo VI subentrato nei dominii dell’imperatore e duca di Milano Giuseppe I, che provò l’Italia ed il ducato una perfetta calma, e perciò: da questo forte, che inallora era Comandato dal governatore don Giuseppe Pozzi, di cui prese possesso nel 1748, venne diminuita da principio, e quindi levata intieramente la guarnigione, essendovi stato sostituito un corpo di centocinquanta veterani tedeschi. Ma fu di breve durata il riposo d’Italia sotto il governo di questo pacifico prìncipe, perchè la di lui morte servi di pretesto ai Borboni di Francia, di Spagna, e di Napoli per movere guerra alla di lui figlia Maria Teresa, che pendente l’età minore di Giuseppe II ne reggeva gli stati. Per questi movimenti la piazza ed il forte di Arona vennero nell’anno 1733 di nuovo posti in istato di difesa. Il governatore, che era [p. 160 modifica]don Nicolò Vela, successo al predefunto Pozzi nel 1728, prese tutte le opportune misure per una vigorosa resistenza, ed obbligò la comune a somministrargli duemila lire in danaro, oltre ad una quantità di generi, mobili, ed attrezzi. Ma per buona sorte Arona non venne molestata, sebbene fosse in continuo timore. Passata questa fortezza nel successivo anno 1734 sotto il comando del governatore don Giovanni Stefano Rocca di Castelvecchio, pendenti ancora i timori d’assedio, sostenne col massimo rigore la disciplina militare, quando sul finire del 1733 furono sospese le ostilità nel ducato, attesi li preliminari di pace segnati in Vienna alli tre di ottobre, ed essendosi poi alli otto di ottobre del 1738 conchiuso in Vienna stessa il definitivo trattato di pace, la guarnigione di questo luogo è stata rimessa sul piede di pace, e si sono vendute all’asta pubblica le provvisioni della piazza.

Questo momento di tregua diede luogo alla continuazione con qualche impegno della fabbrica delle cappelle sul monte di san Carlo negli anni 1756 e 1757. La prima e la seconda furono portate a termine; e non è ancora spenta la memoria negli attuali viventi di avere veduta la prima ornata delle statue rappresentanti la nascita di san Carlo; e quest’opera meravigliosa per la varietà ed eleganza dei disegni, per la amenissima posizione, e più pel grande soggetto che doveva rappresentare, sarebbe forse stata in breve condotta a buon fine, se la vociferazione dello smembramento di questa provincia dal ducato di Milano, non ne avesse di nuovo intiepiditi gli animi, e fatto sospendere le offerte gratuite che si facevano per la medesima. L’autore delle Memorie intorno al sacro monte e colosso di san Carlo, pubblicate nel 1823, non vuole deferire alla [p. 161 modifica]opinione, che l’abbandono dei lavori di questo Monte sia ascrivibile alla sovraccennata mutazione di Stato, e si ritiene invece che sia dipenduto dal raffreddamento della carità in chi si era assunto di contribuire ai mezzi. Un raffreddamento è cosa troppo naturale dopo il trascorso di un secolo e più; ma è altresì innegabile che la mutazione di governo vi abbia più di tutto contribuito. La maggior parte dei benefattori stava sul ducato milanese, ed era perciò natural cosa che da questo Stato dovevano venire gli artefici, i materiali di fino lavoro, ed il danaro stesso, per l’introduzione delle quali cose in questi dominii era necessario l’uniformarsi alle leggi politiche e gabellarie de’medesimi, dovecchè prima della mutazione dello Stato tutto era libero, quindi dovevano nascere incagli, maggiore dispendio e maggiori difficoltà; e poi si sa che è per natura ritroso l’animo nello spendere danaro per opere pubbliche là dove non è dato di portarsi con libertà e di goderne.

In luogo del predetto Giovanni Stefano Rocca di Castelvecchio, morto sui primi di aprile 1740, venne alli 2 di giugno successivo nominato a governatore di Arona e del forte don Diego di Portogallo, conte della Puebla. Governò questi sino all’ottobre 1743, in cui passò a miglior vita, e fu l’ultimo governatore fra i tanti che tennero in comando questa fortezza sotto la dominazione delle originarie potenze, a cui questa provincia ha sino a questo punto obbedito.

Ad onta delle poco fa narrate conclusioni di pace, si ebbero dall’anno 1740 al 1743 continui rumori marziali; presidiato e munito il Castello; continui arrivi e partenze [p. 162 modifica]di truppe; ed incessanti dimande di approvvisionamenti: cose tutte ben naturali in un luogo forte, e di importanza ad un minimo sentore di discordia fra le vicine emule potenze.


  1. Carta dell'archivio municipale.
  2. Vedasi il disegno nella carta avanti citata , ed i libri di morte della parrocchia che accennano detto luogo.
  3. Nei promessi sposi.
  4. Istromenti del notaio Manino de’mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile e dicembre 1631 pel capitale di lire 12 mila e più.
  5. Vedansi gl'istromenti 14 febbraio 1656 e 5 febbraio 1658 del notaio di Arena Giovanni Rampone di procura ad exigendum illas libres imperiales 13,617 dicto V.o monasterio novo assignatas per illustrissimum Magistratum ordinarium Mediolani pro pratio monasterii veteris Aronae nuper demoliti occasione fortalitii Aronae et tuitionis dictae terrae, et arci ejusdem.
  6. Istromento 4 agosto 1650 del notaio Lodovico Cuchetti.
  7. Testamento 7 febbraio 1546 ricevuto Nicolò del Castello.
  8. Per istromenti, il primo di convenzione col curato di Mercurago rogato Giacomo Caccia seniore, ed il secondo di aggiudicazione di beni al monastero a rogito di Giovanni Filippo Caccia.
  9. Il capitale di L. 1220 lo costituì del proprio per istromento 18 gennaio 1674 rogato Rampone, e L. 600 le procurò dai fratelli Emilio e Luca Vincenzo Miles di Arona.
  10. Istromento 3 settembre 1674 rogato Rampone.
  11. Istromento 3 novembre 1488 rogato Giovanni Filippo Caccia, e lo stato delle chiese del 1642 nell’archivio della collegiata.
  12. Istromento 15 febbraio 1726 rogato Carlo Girolamo Maggi, con cui l’arciprete Isidoro Medoni acquistò per questo oratorio da Cristoforo Gnemmi di Borgoticino una pezza campo in territorio di Borgoticino, di staia otto, regione alla Rotto.
  13. Domenico Macogno, corografia lib. 1.
  14. Sismondi succitato, tom. XVI.
  15. Ciò tutto ricavasi dagli ordini emanati dal governo dell'anno 1705 il cui MS. in lingua spagnuola sta presso lo scrittore.