La figlia di Iorio/Atto primo
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desco. Al soffitto sarà sospesa con funi una lunga tavola carica di caci. Due finestrette inferriate, alte dal terreno quattro o cinque braccia, faranno lume ai lati della porta grande; e ciascuna avrà la sua spiga di meliga rossa, contro i malefizii.
SCENA PRIMA.
Splendore, Favetta e Ornella, le tre sorelle, saranno in ginocchio davanti alle tre arche del corredo nuziale, chine a scegliere le vestimenta per la sposa. La loro fresca parlatura sarà quasi gara di canzoni a mattutino.
- Splendore
- Che vuoi tu, Vienda nostra?
- Favetta
- Che vuoi tu, cognata cara?
- Splendore
- Vuoi la veste tua di lana?
- o vuoi tu quella di seta
- a fioretti rossi e gialli?
- Ornella, cantando
- utta di verde mi voglio vestire,
- tutta di verde per Santo Giovanni,
- ché in mezzo al verde mi venne a fedire...
- Oilì, oilì, oilà!
- Splendore
- Ecco il busto dei belli ricami
- con la sua pettorina d’argento,
- la gonnella di dodici téli,
- la collana di cento coralli
- che ti diede la madre tua nova.
- Ornella (cantando)
- Tutta di verde la camera e i panni.
- Oilì, oilì, oilà!
- Favetta
- Che vuoi tu, Vienda nostra?
- Splendore
- Che vuoi tu, cognata cara?
- Ornella
- I pendenti e la collana
- e il nastrino chermisì.
- Ora suona la campana,
- la campana di mezzodì.
- Splendore
- Ora viene il parentado
- a portarti le canestre,
- le canestre di grano trimestre;
- e tu, ecco, non sei pronta!
- Ornella
- onta e pitonta,
- la pecora pel monte
- il lupo per la piana
- va cercando l’avellana,
- l’avellana pistacchina:
- questa sposa è mattutina,
- mattutina come la talpa
- che si leva all’alba all’alba,
- come il ghiro e il tasso cane.
- Senti senti la campana!
Ella dirà la cantilena rapidamente; poi romperà in un gran riso e le altre rideranno con lei.
- Le tre sorelle
- Oh Aligi, Aligi, e tu?
- Splendore
- Di velluto ti vestirai?
- Favetta
- Vuoi dormir settecent’anni
- con la bella sonnacchiosa?
- Splendore
- Il tuo padre è a mietitura,
- fratel caro; e la stella diana
- s’è mirata nella falce,
- nella falce che non riposa.
- Favetta
- E la tua madre ha messo la sapa
- nel vino, e l’ànace nell’acqua,
- e il garofalo nella carne,
- e nel cacio il timo trito.
- Splendore
- E una pecora abbiamo uccisa,
- una pecora grassa d’un anno
- che avea capo pezzato di nero,
- per la moglie e pel marito.
- Favetta
- E la scapola mancina
- per Ustorgio l’abbiamo serbata,
- per il vecchio della Fara
- che ci fa la profezia.
- Ornella
- domani è San Giovanni,
- fratel caro; è San Giovanni.
- Su la Plaia me ne vo’ gire,
- per vedere il capo mozzo
- dentro il sole, all’apparire,
- per veder nel piatto d’oro
- tutto il sangue ribollire.
- Favetta
- Su, Vienda! Su, capo d’oro!
- Guardatura di vinca pervinca!
- Or si falcia alla campagna
- quella spiga che ti somiglia.
- Splendore
- La madre ci disse:Andate.
- Tre olive avevo con meco.
- Or m’ho anche una susina.
- Ho tre figlie ed una figlia.
- Ornella
- Su, Vienda, chiara susina!
- Che t’indugi? Scrivi al sole
- una lettera turchina
- perché oggi non si colchi?
Riderà, e le sue sorelle con lei rideranno.
SCENA SECONDA
Dall’usciuolo entrerà la madre loro, Candia della Leonessa.
- Candia della Leonessa
- h cicale, mie cicale,
- una a furia di cantare
- è scoppiata in cima al pioppo.
- Or non cantano più i galli
- a destar chi dorme troppo.
- Ora cantan le cicale,
- tre cicale di mezzogiorno,
- che m’han preso un uscio chiuso
- per un albero di fronda!
- Ma la nuora non ascolta.
- Oh Aligi, Aligi figlio!
L’uscio si aprirà. E apparirà lo sposo imberbe; che darà il suo saluto con voce grave ed occhi fissi, religiosamente.
- Aligi
- audato Gesù e Maria!
- E voi, madre che mi déste
- questa carne battezzata,
- benedetta siate, madre.
- Benedette voi, sorelle,
- fiore del sangue mio.
- Per voi, per me, la croce mi faccio
- in mezzo al viso dove non passi
- il falso nemico né morto né vivo,
- né fuoco né fiamma,
- né veleno né fattura;
- né malo sudore lo bagni né pianto.
- Padre, Figliuolo e Spirito Santo!
Le sorelle si segneranno e passeranno la soglia recando le vestimenta. Aligi si appresserà alla madre, come trasognato.
- Candia
- arne mia viva, ti tocco la fronte
- con questo pane di pura farina
- intriso nella madia che ha cent’anni
- nata prima di te, prima di me
- spianato sopra l’asse che ha cent’anni
- da queste mani che t’hanno tenuto.
- Io ti tocco la fronte che sia chiara,
- ti tocco il petto che sia senz’affanni,
- e questa spalla ti tocco e quest’altra
- che ti reggan le braccia alla fatica
- e la tua donna vi posi la gota.
- E che Cristo ti parli e che tu l’oda!
Con un panello la madre farà il segno della croce sul figlio che sarà caduto in ginocchio dinanzi a lei.
- Aligi
- o mi colcai e Cristo mi sognai.
- Cristo mi disse:“Non aver paura„.
- San Giovanni mi disse:“Sta sicuro.
- Senza candela tu non morirai„.
- Disse:“Non morirai di mala morte„.
- E voi data m’avete la mia sorte,
- madre; la sposa voi l’avete scelta
- pel vostro figlio nella vostra casa.
- Madre, voi me l’avete accompagnata
- perché dorma con me sopra il guanciale,
- perché mangi con me nella scodella.
- Io pascevo la mandra alla montagna,
- alla montagna debbo ritornare.
La madre gli toccherà la fronte con la palma, come per cacciarne un’ombra funesta.
- Candia
- Àlzati, figlio. Come strano parli!
- La tua parola cangia di colore,
- come quando l’ulivo è sotto il vento.
Il figlio s’alzerà, smarrito.
- Aligi
- E il mio padre dov’è, che non lo veggo?
- Candia
- A mietitura con la compagnia,
- a far mannelle, in grazia del Signore.
- Aligi
- Io ho mietuto all’ombra del suo corpo
- prima ch’io fossi cresimato in fronte,
- quando il mio capo al fianco gli giungeva.
- La prima volta mi tagliai la vena
- qui dov’è il segno. Con le foglie trite
- fu ristagnato il sangue che colava.
- “Figlio Aligi„ mi disse “figlio Aligi,
- lascia la falce e prenditi la mazza;
- fatti pastore e va su la montagna„.
- E fu guardato il suo comandamento.
- Candia
- iglio, qual è la pena che t’accora?
- Il sogno incubo forse ti fu sopra?
- La tua parola è come quando annotta
- e sul ciglio del fosso uno si siede
- e non segue la via perché conosce
- che arrivare non può dov’è il suo cuore,
- quando annotta e l’avemaria non s’ode.
- Aligi
- Alla montagna debbo ritornare.
- Madre, dov’è la mazza del pastore,
- che giorno e notte sa le vie dell’erba?
- Io l’abbia, quando viene il parentado,
- che la veda com’io la lavorai.
La madre andrà a prendere la mazza poggiata in un canto, presso il focolare.
- Candia
- Eccola, figlio. Guarda. Le sorelle
- per San Giovanni te l’hanno fiorita
- di garofali rossi e spicanardi.
- Aligi mostrando l’intaglio
- o nel legno del sànguine le ho meco
- sempre, e per mano, le mie tre sorelle,
- che m’accompagnan su le vie dell’erba.
- Guardate, madre, son tre verginelle,
- e tre angeli volano su loro,
- e tre stelle comete e tre colombe,
- e per ciascuna ho fatto anche un fioretto,
- e questo è il sole con la mezzaluna,
- questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,
- e questo è il campanile di San Biagio,
- e questo è il fiume e questa è la mia casa.
- Ma chi è questa che sta su la porta?
- Candia
- Aligi, Aligi, perché vuoi ch’io pianga?
- Aligi
- E quaggiù, verso il ferro ch’entra in terra,
- e quaggiù son le pecore e il pastore,
- le pecore il pastore e la montagna.
- E alla montagna debbo ritornare,
- anche se piangi, anche se piango, madre.
Egli si appoggerà alla mazza con ambe le mani, e chinerà il capo assorto.
- Candia
- Ma la Speranza dove l’hai tu messa?
- Aligi
- La faccia sua non la potei ’mparare
- per lavorarla, madre, in verità.
Si udrà lontano un clamore selvaggio.
- Madre, e chi è che grida così forte?
- Candia
- I mietitori fanno l’incanata.
- Dalla pazzia del sole Iddio li scampi,
- figlio, e dal sangue li guardi il Battista!
- Aligi
- E chi mai tese quella fascia rossa
- a traverso la porta della casa
- e vi pose il bidente e la conocchia?
- Perché non entri la cosa malvagia,
- ah, ponete l’aratro e il carro e i buoi
- contro la soglia, e le pietre e le zolle,
- e la calce di tutte le fornaci,
- il macigno con l’orma di Sansone,
- la Maiella con tutta la sua neve!
- Candia
- iglio, che nasce nell’anima tua?
- Cristo ti disse:“Non aver paura„.
- Sei desto? Guarda la croce di cera:
- fu benedetta il giorno dell’Ascensa.
- Su i càrdini fu sparsa l’acqua santa.
- La cosa trista qui non entrerà.
- Le tue sorelle han tesa la cintura,
- quella cintura che da te fu vinta
- prima che tu pastore ti facessi,
- vinta alla gara del solco diritto;
- te ne ricordi, figlio? Tesa l’hanno
- pel parentado che deve passare,
- che per passare doni a piacimento.
- Perché domandi, se tu sai l’usanza?
- Aligi
- Madre, madre, dormii settecent’anni,
- settecent’anni; e vengo di lontano.
- Non mi ricordo più della mia culla.
- Candia
- iglio, che hai? Tu parli per farnetico?
- Vin negro ti versò la sposa tua
- forse, e a digiuno te lo tracannasti,
- sicché tratto tu sei di sentimento?
- O Vergine Maria, datemi grazia!
- La voce di Ornella, dalla camera nuziale
- Tutta di verde mi voglio vestire,
- tutta di verde per Santo Giovanni,
- ché in mezzo al verde mi venne a fedire...
- Oilì, oilì, oilà!
SCENA TERZA
La sposa apparirà su la soglia, vestita di verde, sospinta dalle tre cognate.
- Splendore
- Ecco la sposa. L’abbiamo vestita
- con l’allegrezze della primavera.
- Favetta
- L’oro e l’argento nella pettorina,
- ma nel resto color d’erba serena.
- Ornella
- Voi prendetela nelle vostre braccia,
- o cara madre, e voi la consolate!
- Splendore
- Su la proda del letto a lacrimare
- noi la trovammo, a piangere di pianto
- pel pensiere di quella che è deserta.
- Ornella
- Pel vaso di garofali che soffre
- sul davanzale ov’ella non s’affaccia.
- Voi prendetela nelle vostre braccia!
- Candia
- uora, nuora, segnai con questo pane
- il sangue mio; ed ecco, ora lo spezzo,
- lo spezzo sul tuo capo rilucente.
- Fa crescere la casa d’abondanza,
- come il lièvito buono che ogni volta
- fa traboccar la pasta dalla madia.
- Portami pace e non portarmi guerra.
- Le tre sorelle
- Così sia, madre. Baciamo la terra.
Si chineranno, toccheranno la terra con la destra, e questa recheranno alle labbra. Aligi sarà prostrato come chi prega, in disparte.
- Candia
- O nuora mia, per la tua casa nova
- sii come per il fuso il fusaiuolo,
- come per la matassa l’arcolaio,
- come per il telaio la navicella.
- Le tre sorelle
- Così sia, madre. Baciamo la terra.
- Candia
- uora Vienda, per l’anima tua,
- ecco, io ti metto in mezzo al pane mondo.
- Le mura della casa, i quattro canti
- — là il sole in Dio si leva e là si colca,
- quello è bacio e quello è solatìo -,
- il colmigno e la gronda col suo nido,
- gli alari e le catene del camino
- chiamo, e il mortaio che pesta il sale bianco
- e l’alberello che lo custodisce,
- o nuora, chiamo a testimonianza:
- come t’ho messa in mezzo al pane mondo
- così ti metto in mezzo al core mio,
- per questa vita e per la vita eterna.
- Le tre sorelle
- Così sia, madre. Baciamo la terra.
La nuora chinerà il volto lacrimoso sul petto della suocera che la cingerà con ambe le braccia tenendo tuttavia nell’una mano e nell’altra le due parti del pane. Si udranno le grida dei mietitori. Aligi trasalterà, e andrà verso la porta. Le sorelle accorreranno.
- Favetta
- I mietitori il gran sole gli impazza,
- e come cani abbaiano a chi passa.
- Splendore
- I mietitori fanno l’incanata.
- Nel vino rosso mai non metton acqua.
- Ornella
- E per ogni mannella una sorsata,
- e il piede della bica è la caraffa.
- Favetta
- Gesù Signore, che vampa d’inferno!
- Comare Serpe si morde la coda.
- Ornella
- Ahi mercé, spiga spiga, paglia paglia,
- la falce pria v’abbrucia e poi vi taglia.
- Splendore
- Ahi mercé, padre, per le braccia tue
- che son piene di vene alla bisogna.
- Ornella
- O Aligi, Aligi, annuvolato sposo,
- il sonno nelle nari t’è rimaso.
- Favetta
- Tu la sai bene la canzon rovescia.
- Il tuo pan tu l’hai messo nella fiasca
- ed il tuo vino dentro la bisaccia.
- Splendore
- cco le donne! Ecco le donne! Vengono.
- Su, su, Vienda. Asciùgati le lacrime.
- Madre, che fate? Vengono. Scioglietela.
- Su, capo d’oro. Asciùgati le lacrime,
- ché troppo hai pianto e i belli occhi ti soffrono.
Vienda s’asciugherà il volto col grembiale. Poi nel grembiale, preso per le cocche, riceverà dalla suocera il pane spezzato.
- Candia
- n sangue e latte me lo devi rendere!
- Ora, su, vieni. Siediti sul trespolo.
- Oh Aligi, e tu anche. Vieni. Svégliati.
- L’una di qua, l’altro di là. Sedetevi
- qui, figli, all’uscio della vostra camera,
- che bene aperto sia, ché s’ha da scorgere
- il letto grande, grande che per empiere
- il sacco, dico, io ebbi a manomettere
- tutto un pagliaio e ci rimase l’anima,
- lo stollo nudo con in vetta il péntolo.
Ella e Splendore porranno due trespoletti contro gli stipiti, e sópravi faranno sedere gli sposi, che composti e immobili si guarderanno. Ornella e Favetta spieranno dalla soglia della porta esterna, al sole ardente.
- Favetta
- Ecco, vengono su per la viottola,
- tutte in fila:Teòdula di Cinzio,
- la Cinerella, Mònica, Felàvia,
- la Catalana delle Tre Bisacce,
- Anna di Bova, Maria Cora... E l’ultima?
- Candia
- Vieni, Splendore, aiutami a distendere
- meglio la coltre; che di seta doppia
- io te l’ho fatta, nuora cara, e vérzica
- come un pratello d’erba vetturina
- dove tu sei la pecchia mattutina.
Entrerà con Splendore nella camera nuziale.
- Ornella
- on t’apponi, Vienda? Chi è l’ultima?
- Nella canestra ha oro di calbigia,
- oro che brilla. Chi può esser mai?
- Sotto la spara la sua tempia è grigia
- come le piume che fa la vitalba.
- Favetta
- La tua vecchia, Vienda, la tua vecchia!
Vienda si leverà, tratta dal balzo del cuore, come per correre in contro; ma nel movimento si lascerà sfuggire dal grembiale il pane spezzato. S’arresterà, sbigottita. Si udranno, di dentro, i colpi dati con la mano aperta a sprimacciare le materasse.
- Ornella con la voce soffocata.
- Ah! Libera nos, Domine! Raccatta,
- raccatta e bacia, che mamma non veda.
Vienda, come impietrita dal terrore superstizioso, non si chinerà a raccogliere ma guaterà con occhi sgomenti i due pezzi del pane caduti a terra. Aligi, levatosi, occuperà il vano dell’uscio come per impedire la vista alla madre.
- Favetta
- Raccatta e bacia, ché l’Angelo piange.
- Fa un vóto muto, il più grande che puoi.
- Chiama San Sisto, se vedi la morte.
S’udranno i colpi delle sprimacciate. Verranno sul vento, di men lungi, le grida dei mietitori.
- Ornella
- an Sisto, San Sisto,
- lo spirito tristo
- e la mala morte,
- di giorno e di notte,
- tu caccia da questa
- tu caccia da noi;
- tu strappa e calpesta
- ogni occhio che nuoce.
- Qui faccio la croce.
Mormorando lo scongiuro, ella raccatterà rapidamente i due pezzi del pane, li premerà l’un dopo l’altro su la bocca della cognata, poi li riporrà nel grembiale, col pollice vi farà il segno. E trarrà gli sposi a risedére, mentre la prima delle donne con l’offerta frumentaria apparirà nel vano della porta soffermandosi dinanzi alla cintura tesa.
SCENA QUARTA
Le donne porteranno sul capo una canestra di grano adorna di nastri variati e sul grano un pane e fitto nel pane un fiore. Ornella e Favetta prenderanno le estremità della banda vermiglia, cui rimarran poggiati il bidente forbito e la conocchia col pennecchio; e le terranno in pugno a precludere il passo.
- Teòdula di Cinzio
- Ohé, chi guarda il ponte?
- Favetta e Ornella
- Amore e Ciecamore.
- Teodula
- Io passare lo voglio.
- Favetta
- Voler non è valore.
- Teodula
- Ho pur passato il monte,
- ho pur passato il piano.
- Ornella
- La piena ha rotto il ponte,
- il fiume va lontano.
- Teodula
- Passami con la barca.
- Favetta
- La barca mi fa acqua.
- Teodula
- Ti do io stoppa e pece.
- Ornella
- La barca ha sette falle.
- Teodula
- Ti do sette tornesi.
- Passami con le spalle.
- Favetta
- No, no, non mi conviene.
- E dell’acqua ho pavento.
- Teodula
- Passami con le schiene.
- Ti do un tarì d’argento.
- Ornella
- È poco:otto baiocchi.
- Non basta pel ristoro.
- Teodula
- Su, nùdati i ginocchi.
- Ti do un ducato d’oro.
La donna darà una moneta a Ornella, che la riceverà nella palma sinistra, mentre le altre portatrici di canestre sopraggiunte si aduneranno sul limitare. I due sposi resteranno seduti su i trespoli aspettando in silenzio. Candia e Splendore esciranno dalla stanza nuziale.
- Ornella E FAVETTA
- Passate, Signoria,
- con vostra compagnia.
Ornella riporrà in seno il tributo e toglierà la conocchia. Favetta toglierà il bidente, poggiando contro gli stipiti i due emblemi rurali. Ornella trarrà verso di sé la cintura che, agitata, serpeggerà nell’aria come un vessilletto. Le donatrici entreranno l’una dopo l’altra, in fila, con le canestre sul capo.
- Teodula di Cinzio
- Pace a te, Candia della Leonessa.
- Pace al figlio di Lazaro di Roio.
- Pace alla sposa che gli ha dato Cristo.
Ella deporrà la sua canestra ai piedi della sposa; prenderà un pugno di grano e lo spargerà sul capo di lei; ne prenderà un altro pugno e lo spargerà sul capo del giovine.
- uesta è la pace che vi manda il Cielo.
- E che i capegli vi si faccian bianchi
- su l’istesso guanciale, in gran vecchiezza!
- E che tra voi non sia colpa e vendetta,
- non sia menzogna, né cruccio né guasto,
- dì per dì, sino all’ora del trapasso!
La seguente ripeterà la cerimonia; le altre resteranno in fila aspettando la lor volta, con le canestre sul capo. L’ultima, la madre della sposa, starà ancóra presso la soglia, soffermata; e col lembo del grembiale si asciugherà le gocce del sudore e del pianto. Crescerà la sciarra dei mietitori e sembrerà avvicinarsi. Vi si mescerà, or sì or no, il suono delle campane.
- La Cinerella
- Questa è la pace e questa è l’abondanza.
Scoppieranno d’improvviso grida di donna nell’aia riarsa.
- La voce della sconosciuta
- Aiuto, per Gesù Nostro Signore!
- Gente di Dio, gente di Dio, salvatemi!
SCENA QUINTA
In corsa, ansante di fatica e di spavento, coperta di polvere e di pruni, simile alla preda di caccia inseguita dalla muta, una donna col volto tutto nascosto dall’ammantatura entrerà per la porta aperta e si ritrarrà in un canto, dalla parte avversa a quella degli sposi, presso il focolare inviolato.
- La sconosciuta
- ente di Dio, salvatemi voi!
- La porta! Chiudete la porta!
- Mettete le spranghe! Son molti,
- hanno tutti la falce. Son pazzi,
- son pazzi di sole e di vino,
- di mala brama e di vituperio.
- Mi vogliono prendere, me
- creatura di Cristo, me
- sventurata che male non feci.
- Passavo. Ero sola per via.
- Allora le grida, gli insulti,
- le zolle scagliate, la corsa...
- Ah, son come cani furenti.
- Mi vogliono prendere. Strazio
- faranno di me sventurata.
- Mi cercano. Gente di Dio,
- salvatemi! La porta, chiudete
- la porta! Son pazzi. Entreranno.
- Di qui mi strapperanno, dal vostro
- focolare Dio non perdona,
- dal focolare benedetto
- Dio tutto perdona e non questo.
- Sono un’anima battezzata.
- Aiuto, per Santo Giovanni,
- per Maria dei Sette Dolori,
- per l’anima mia, per l’anima vostra!
Ella starà sola presso il focolare. Tutte le altre donne saranno adunate dalla parte avversa. Vienda sarà stretta al fianco della sua madre, e da presso avrà la sua matrina Teòdula di Cinzio. Aligi sarà in piedi, fuori dello stuolo donnesco; e guaterà senza batter ciglio, poggiato alla sua mazza. Subitamente Ornella si precipiterà alla porta, chiuderà le imposte, metterà la spranga. Un mormorio inimichevole correrà nel parentado.
- h, dimmi come ti chiami,
- ch’io possa lodare il tuo nome
- quando me n’andrò per la terra,
- tu che alla pietà fosti la prima,
- tu che sei la più giovanetta!
Affranta ella si lascerà cadere su la pietra del focolare; e, tutta curva in sé medesima, con il viso quasi tra le ginocchia, romperà in singhiozzi. Ma le donne resteranno adunate, in guisa di greggia, diffidenti. Soltanto Ornella farà un passo verso la sconosciuta.
- Anna di Bova a bassa voce.
- Chi è costei, santa Vergine?
- Maria Cora
- Or s’entra così nelle case
- della gente di Dio timorata?
- Mònica della Cogna
- E tu, e tu, Candia, che dici?
- La Cinerella
- Or lascerai chiusa la porta?
- Anna di Bova
- All’ultima di tua figliuolanza
- or passata è la signoria?
- La Catalana delle Tre Bisacce
- Ti reca la mala ventura
- la cagna randagia, per certo.
- Felàvia Sèsara
- Hai tu visto? Entrata è nel punto
- che la Cinerella spargeva
- su Vienda il pugno di grano,
- né Aligi avuto ha la sua parte.
Ornella farà un altro passo verso la dolente. Favetta escirà dallo stuolo e la seguirà.
- Mònica
- E noi? come siam noi qui rimase
- con in capo le nostre canestre?
- Maria Cora
- Gran malaugurio sarebbe
- se ora ce le volessimo tôrre
- del capo senza fare l’offerta.
- Maria di Giave, stringendo la sposa.
- igliuola mia, San Luca ti guardi
- e San Matteo con Sant’Antonino!
- Cércati lo scapolare in seno,
- digli tre ave e tiènilo forte.
Anche Splendore escirà dallo stuolo e seguirà le sue sorelle. Le tre giovanette staranno in piedi davanti alla sconosciuta che resterà curva nell’ambascia.
- Ornella
- ffannata sei, creatura.
- Sei piena di polvere, e tremi.
- Non piangere più, ché sei salva.
- Di sete ardi e bevi il tuo pianto!
- Vuoi un sorso d’acqua e di vino?
- Ti vuoi rinfrescare la faccia?
Ella prenderà un boccaletto, attingerà l’acqua dall’orcio, verserà il vino dalla fiasca, mescendoli.
- Favetta
- ei di questo paese? o di dove?
- Venivi di molto lontano?
- E dove andavi, creatura,
- tu sola così, per la terra?
- Splendore
- orse hai qualche male, meschina!
- Hai fatto un vóto di dolore.
- Andavi forse all’Incoronata,
- o a Santa Maria della Potenza?
- La Vergine ti faccia la grazia!
La donna solleverà a poco a poco la faccia nascosta ancóra dall’ammantatura.
- Ornella, offrendole il ristoro
- Bevi, creatura di Cristo.
S’udrà venire dall’aia uno scalpiccìo di piedi scalzi, e un vocìo confuso. La straniera, ripresa dal terrore, non berrà ma poserà il boccaletto su la pietra del focolare. Balzerà in piedi, e si rifugerà di nuovo nel canto, con gran tremito.
- La sconosciuta
- ccoli! Eccoli! Vengono. M’hanno
- cercata. Mi vogliono prendere.
- Non parlate, non rispondete,
- per misericordia! Crederanno
- la casa deserta, e se n’andranno
- senza far male. Ma se odono
- parlare, se voi rispondete,
- se sanno per certo ch’entrata
- sono, forzeranno la porta.
- Son pazzi di sole e di vino,
- cani furenti. E qui c’è un uomo;
- ed essi son molti, e hanno tutti
- la falce... Per misericordia!
- Per queste giovanette innocenti!
- Per voi, serve di Dio, donne sante!
- Il coro dei mietitori davanti la porta.
- — La casa di Lazaro! Certo
- che qui è entrata la femmina.
- — Hanno chiusa la porta, hanno chiusa.
- — Cercate per questi pagliai.
- — Cerca là nel fenile, Gonzelvo.
- — Ah! Ah! Nella casa di Lazaro,
- nella gola del lupo! Ah! Ah! Ah!
- — O Candia della Leonessa!
- — Cristiani, ohé, siete morti?
Batteranno alla porta.
- — O Candia della Leonessa,
- ricetto tu dài a bagasce?
- — Or ti sei data a fornire
- di mala carne tu stessa
- il tuo uomo che se ne sazia?
- — Se c’è la femmina, aprite,
- cristiani, e datela a noi
- che la mettiam su la bica.
- — Menatela fuori, menatela,
- ché la vogliamo conoscere.
- — Alla bica! Alla bica! Alla bica!
Batteranno e schiamazzeranno. Aligi si moverà, e andrà verso la porta.
- La sconosciuta, implorando sommessa
- iovine, giovine, abbi pietà!
- Abbi pietà! Non aprire!
- Non per me, non per me, ma per tutte,
- ché non prenderanno me sola.
- Imbestiati sono. Li senti
- alle voci? Il demonio li tiene,
- il demonio di mezzodì,
- la contagione dell’afa.
- E, se entrano, tu che farai?
Un gran furore agiterà le donne del parentado, ma elle si ratterranno.
- La Catalana
- Or vedi a che siamo ridotte
- noi gente di pace, per una
- che si nasconde la faccia!
- Anna di Bova
- pri, Aligi, apri la porta
- per quanto ci passi costei.
- Afferrala e cacciala fuori.
- Poi richiudi e spranga. E laudato
- sia Gesù Nostro Signore.
- E sabato sia, per le streghe.
Il pastore si volgerà all’ammantata, irresoluto. Ornella si frapporrà e l’arresterà; farà il segno del silenzio, andrà alla porta.
- Ornella
- Chi è che batte alla porta?
- Il coro dei mietitori
- - Silenzio! Silenzio! Silenzio!.
- — Di dentro qualcuno risponde.
- — O Candia della Leonessa,
- sei tu che rispondi? Apri! Apri!
- — Siamo i mietitori di Norca,
- la compagnia di Cataldo.
- Ornella
- Non sono Candia. Candia ha faccenda.
- Uscita è per tempo stamane.
- Una voce
- E tu? tu allora chi sei?
- Ornella
- Io sono di Lazaro, Ornella.
- Il mio padre è Lazaro di Roio.
- Ma voi perché siete venuti?
- Una voce
- Apri, ché vogliamo vedere.
- Ornella
- prire non posso. La mia madre
- m’ha chiusa, e col parentado
- uscita se n’è; ché abbiamo
- le sposalizie. Il mio fratello
- Aligi, il pastore, ha tolto moglie,
- ha tolto Vienda di Giave.
- Una voce
- Non hai tu aperto a una femmina,
- or è poco, che aveva paura?
- Ornella
- A una femmina? Andate con pace,
- mietitori di Norca. Cercate
- altrove. Io mi torno al telaio,
- ché ogni mandata di spola
- perduta non più si racquista.
- Dio vi guardi dal fare peccato,
- mietitori di Norca; e a voi doni
- la forza di mietere il campo
- innanzi sera infino alla proda,
- a me poverella di trarre
- la penerata dai licci.
D’improvviso, in alto, alla finestra inferriata, si vedranno due mani villose afferrare le sbarre e la faccia bestiale di un mietitore apparire.
- Il mietitore, urlando.
- apoccio, la femmina c’è!
- È dentro, è dentro! La zita
- ci volea gabbare, la zita.
- La femmina c’è. Ecco, è là,
- là nel canto. La vedo, la vedo.
- E ci sono gli sposi, ci sono,
- e il parentado c’è con le dònora,
- c’è la raunanza del grano.
- Uh, capoccio, quante pollanche!
- Il coro dei mietitori
- - Se c’è la femmina, aprite,
- ché vi fa vergogna tenerla.
- — Menatela fuori, menatela,
- ché le daremo la sapa.
- — Aprite, aprite, su, e a noi datela.
- — Dàtecela ché la vogliamo.
- — Alla bica! Alla bica! Alla bica!
Picchieranno e schiamazzeranno. Dentro, le donne si agiteranno sbigottite. La sconosciuta resterà laggiù nell’ombra, sembrerà che si sforzi di seppellirsi nel muro.
- Il coro delle parenti
- — Aiutaci, Vergine santa!
- — Ci dài tu questa vigilia,
- o Santo Giovanni Battista!
- — Questo danno ci dài, questo scorno
- ci dài, Decollato, oggi in punto!
- — Candia, t’è fuggita la mente?
- — O Candia, che fai, che aspetti?
- — Divenuta sei fuori di senno,
- Ornella, e le tue suore con teco?
- — Già fu sempre mezzo pazziccia.
- — Ma datela dunque, ma datela
- a questa mala razza incanita!
- Il mietitore, aggrappato alle sbarre
- ecoraio, pecoraio Aligi,
- ti piace alle tue sposalizie
- tenerti la pecora marcia,
- la pecoraccia scabbiosa?
- Bada non t’infetti il tuo branco
- e a móglieta non dia contagione.
- O Candia della Leonessa,
- sai tu chi ricetti in tua casa
- con la tua nuora novella?
- La figlia di Iorio, la figlia
- del mago di Codra alle Farne,
- bagascia di fratta e di bosco,
- putta di fenile e di stabbio,
- Mila, intendi?, Mila di Codra,
- la svergognata che fece
- da bandiera a tutte le biche.
- Ogni compagnia la conosce.
- Or è venuta la volta
- dei mietitori di Norca.
- Menatela fuori, menatela,
- ché la vogliamo conoscere.
Aligi pallidissimo si avanzerà verso la misera che starà rannicchiata nell’ombra; e le strapperà di dosso l’ammantatura scoprendole il volto.
- Mila di Codra
- o, no, non è vero. Menzogna!
- Menzogna! Non gli credete,
- non gli credete a quel cane.
- È il maledetto suo vino
- che gli fa regurgito in bocca.
- Se Dio l’ha udito, in sangue
- nero glie lo converta e l’affoghi!
- No, non è vero. È menzogna.
Le tre sorelle si copriranno gli orecchi con ambe le palme quando il mietitore riprenderà a dir vitupèro.
- Il mietitore
- O svergognata, ti sanno
- ti sanno le prode dei fossi.
- Sotto di te mille volte
- è bruciata la stoppia, magalda.
- Gli uomini t’hanno giocata
- a colpi di falce e di forca.
- Aspetta, aspetta, Candia, il tuo uomo:
- e vedrai. Bendato ei ti torna,
- certo. Stamane, nel campo
- di Mispa, Lazaro ha fatto lite
- con Rainero dell’Orno,
- per chi? per la figlia di Iorio.
- Or tiènitela tu nella casa,
- fa che qui se la trovi il tuo uomo,
- mettila a giacitura con lui.
- Aligi, Vienda di Giave,
- datele, datele il vostro letto.
- E voi del parentado, comari,
- versatele il grano in sul capo.
- E noi torneremo co’ suoni,
- più tardi, tornerem per la fiasca.
Il mietitore lascerà le sbarre e scomparirà, saltando a terra, tra lo schiamazzo della compagnia.
- Il coro dei mietitori
- - Dateci la fiasca! È l’usanza.
- — La fiasca, la fiasca e la femmina!
Aligi starà con gli occhi fissi a terra, ancor tenendo pel lembo l’ammantatura ch’ei tolse.
- Mila
- nnocenza, innocenza di queste
- giovanette, tu udito non hai,
- l’iniquità udito non hai.
- Ah dimmi che udito non hai,
- almeno tu, Ornella, almeno
- tu che volevi salvarmi!
- Anna di Bova
- Non t’accostare, Ornella! Ti vuoi
- tu perdere? È figlia di mago,
- fa nocimento a chiunque.
- Mila
- S’accosta perché dietro me
- vede piangere l’Angelo muto,
- il custode dell’anima mia.
Aligi si volgerà subitamente verso di lei e la guarderà fiso.
- Maria Cora
- Ah sacrilegio, sacrilegio!
- La Cinerella
- Ha biastemato, ha biastemato
- contro l’Angelo del Paradiso!
- Felàvia
- Ti sconsacra il tuo focolare,
- Candia, se tu non la cacci.
- Anna di Bova
- Fuori, fuori! È tempo. O Aligi,
- afferrala e gettala ai cani.
- La Catalana
- Ti conosco, Mila di Codra.
- Alle Farne t’han per flagello.
- Io ben ti conosco. Sei tu,
- sei tu che facesti morire
- Giovanna Camètra e il figliuolo
- di Panfilo delle Marane,
- e Afuso togliesti di senno,
- e désti il mal male a Tillùra.
- E di te morì anco il tuo padre,
- che è in dannazione e ti danna!
- Mila
- he Dio abbia l’anima sua!
- Che la raccolga Dio nella pace!
- Ah, tu ora hai fatto biastema
- contro l’anima del trapassato.
- Che la tua parola ricada
- sopra di te, davanti alla morte!
Candia sarà seduta su una delle arche nuziali, taciturna in gran tristezza. Si alzerà, passerà per mezzo allo stuolo iracondo, e s’avanzerà verso la perseguitata, lentamente, senza ira.
- Il coro dei mietitori
- - Ohé! Ohé! Quanto s’aspetta?
- Avete voi fatto consiglio?
- — O pecoraio, pecoraio,
- dunque te la vuoi tenere?
- — Candia, e se Lazaro torna?
- — Uscire non vuole? Aprite,
- aprite, che vi diamo una mano.
- — Dateci intanto la fiasca.
- — La fiasca, la fiasca! È l’usanza.
Un altro mietitore s’aggrapperà all’inferriata e mostrerà la faccia tra le sbarre.
- Il mietitore
- ila di Codra, escire t’è meglio,
- ché oggi scampare non puoi.
- Or ci mettiam qui sotto la querce
- a giocarti con gli aliossi,
- che ciascun giochi la sua volta.
- Per te non faremo noi lite
- come Lazaro con Rainero.
- Non ti darem sangue ma caglio.
- Però, quando l’ultimo cui tocca
- giocato abbia, se uscita non sei,
- e noi sforzeremo la porta;
- poi faremo le cose alla grande.
- Or tieniti per avvisata,
- Candia della Leonessa.
Si ritrarrà, saltando a terra. Lo schiamazzo si placherà alquanto. S’udrà, nei silenzii intermessi, lo scampanio lontano delle pievi.
- Candia
- reatura, io sono la madre
- di queste tre giovanette
- e di questo giovane sposo.
- Nella nostra casa eravamo
- in pace, con la grazia di Dio,
- a santificare le nozze.
- Vedi le canestre del grano
- e il fiore nel pan benedetto!
- Entrata tu sei d’improvviso
- a darci travaglio e corruccio.
- La visita del parentado
- tu l’hai rotta, e un tristo presagio
- hai messo nel cuore di tutti;
- e mi piangon le viscere mie,
- e mi piange l’anima dentro.
- Pula è fatto il buono frumento!
- E di venire a peggio si teme.
- Or è necessità che tu vada,
- che tu vada con Dio, che per certo
- ti aiuterà se tu ti confidi.
- Creatura, ogni male ha cagione.
- Volontà ci fu di salvarti.
- Or vattene co’ piedi tuoi lesti,
- perché di noi niuno ti tocchi.
- Il figliuol mio t’apre la porta.
La vittima ascolterà con umiltà, a capo chino, tutta tremante e sbiancata. Aligi andrà verso la porta a origliare. Pel volto gli si manifesterà la grande ambascia.
- Mila
- adre cristiana, la terra
- io bacerò sotto il tuo passo.
- E perdóno ti chiedo, perdóno,
- con l’anima mia nella palma
- della mia mano, per questa
- pena che ti reco io sciagurata!
- Ma non io la tua casa cercai.
- Cieca, cieca io era di spavento.
- Su la via dello scampo condotta
- fui dal Signore che vede,
- perché presso il tuo focolare
- io perseguitata trovassi
- la pietà che santifica il giorno.
- Abbi pietà, madre cristiana,
- abbi pietà; e per ogni granello
- del frumento che è in quelle canestre
- Dio te ne renderà più di mille.
- La Catalana, a bassa voce.
- on l’ascoltare! Chi l’ascolta
- si perde. È la falsa nemica.
- Io so che il suo padre, per farle
- dolce la voce, le dava
- la ràdica della sterlóndia.
- Anna di Bova
- Non vedi come Aligi la guata?
- Maria Cora
- Bada! Bada che non gli s’appicchi
- la mala febbre, Dio liberi!
- Felàvia
- Udito non hai il mietitore,
- quel che diceva di Lazaro?
- Mònica
- Resteremo noi fino a vespro
- con queste canestre sul capo?
- Ora getto in terra la mia.
Candia starà intenta al suo figliuolo. Subitamente paura e sdegno l’assaliranno. Ed ella griderà forte.
- Candia
- Vattene, vattene, figlia
- di mago. Vattene ai cani.
- Nella mia casa io non ti voglio.
- Aligi, Aligi, apri la porta!
- Mila
- adre di Ornella, madre d’amore,
- Dio tutto perdona, e non questo.
- Se mi calpesti, Dio ti perdona.
- Se mi strappi gli occhi e la lingua,
- se le mani mi tagli, che credi
- malvage, Dio ti perdona.
- Se mi sòffochi, Dio ti perdona.
- Se mi stronchi, e Dio ti perdona.
- Ma se ora ascolta, ascolta
- la campana che suona per Santo
- Giovanni se ora tu prendi
- questa povera carne di doglia
- che fu battezzata in Gesù,
- la prendi e la getti su l’aia,
- sotto gli occhi delle tue figlie
- immacolate, la prendi
- e la getti su l’aia allo strazio,
- alla mala brama degli uomini
- la dài, all’immondizia e alla rabbia,
- o madre di Ornella, madre
- d’innocenza, se tu questo fai,
- se fai questo, Dio ti condanna.
- La Catalana
- No, non ha avuto il battesimo.
- Il suo padre non fu seppellito
- in campo santo; ma sotto
- un mucchio di selci. L’attesto.
- Mila
- Il demonio è dietro di te, donna,
- e hai la bocca nera di frode.
- La Catalana
- O Candia, la senti, la senti?
- Anche c’ingiuria! Fra poco
- ti caccerà dalla casa,
- e t’accadrà senza fallo
- quel che il mietitore ti disse.
- Anna di Bova
- Su, Aligi, trascinala fuori!
- Maria Cora
- Non vedi Vienda, non vedi
- la tua sposa che par che si muoia?
- La Cinerella
- Che uomo sei tu? T’è fuggita
- dalle tue ossa la forza,
- e nella tua bocca la lingua
- seccata s’è, che non fiati?
- Felàvia
- Svanito tu sembri. Smarristi
- su la montagna il tuo sentimento,
- e il tuo senno giù pel tratturo?
- Mònica
- Non vedi che ancóra non lascia
- il fazzuolo, da poi che l’ha tolto?
- Appiccato gli s’è alle dita.
- La Catalana
- Divenuto ti è mentecatto
- il tuo figlio, Candia, Dio t’aiuti!
- Candia
- Aligi, Aligi, non odi?
- Che fai? Dove sei? Fuor di mente?
- Che nasce nell’anima tua?
Ella gli toglierà dalla mano il panno e lo getterà a terra, verso la sbandita.
- prirò io la porta; e tu fa
- ch’ella esca, tu spingila fuori...
- Aligi, a te parlo, m’intendi?
- Ah, dormito tu hai veramente
- settecent’anni, settecent’anni;
- e non hai conoscenza di noi!
- Donne, piace a Dio di disfarmi.
- Io mi credea che in questi due giorni
- piacesse a Dio darmi una posa,
- tanto che inghiottir mi potessi
- meno amara almen la saliva.
- Figlie, prendetemi nell’arca
- la mantelletta mia nera
- e copritemi il capo, ch’io faccia
- lamento nell’anima mia.
Il figlio scoterà il capo. Un misto di demenza e di sgomento gli sconvolgerà la faccia rigata dal sudore. Parlerà come chi delira.
- Aligi
- r che volete da me, madre?
- Io pur dissi:“Ponete
- contra la soglia l’aratro,
- il carro, i buoi, le pietre, le zolle,
- la montagna con tutta la neve..„.
- Io che vi dissi? voi che diceste?
- Ecco, sì, la croce di cera
- benedetta il dì dell’Ascensa,
- l’acqua santa nei càrdini. Madre,
- che volete ch’io faccia? Era notte,
- era prima dell’alba, era notte
- quando per venire si mosse.
- Profondo, profondo era il sonno,
- o madre. Però non m’avevate
- voi messo papavero nel vino.
- E fallito è quel sogno di Cristo.
- Io so questa cosa onde viene;
- ma ratterrò la mia bocca.
- Femmine, che volete da me?
- ch’io l’afferri per i capegli?
- ch’io la trascini su l’aia?
- ch’io la getti ai cani affamati?
- Bene, sì, lo farò. Farò questo.
Quando egli si avanzerà verso Mila di Codra, ella si rifugerà presso il focolare.
- Mila
- on mi toccare! Peccato fai
- contro la legge del focolare,
- tu fai peccato grande mortale
- contro il tuo sangue, contro la legge
- della tua gente, de’ vecchi tuoi.
- Io su la pietra del focolare
- il vino verso che mi fu dato
- da una sorella della tua carne.
- Se tu mi tocchi, se tu m’offendi,
- tutti i tuoi morti nella tua terra,
- quelli degli anni dimenticati,
- i più lontani, i più lontani,
- settanta braccia sotto la zolla
- avranno orrore di te in eterno.
Preso il boccale, ella verserà il vino su la pietra inviolabile. Le donne allora getteranno alte strida.
- Il coro delle parenti
- - Ahi, che ha magato il camino!
- — Ha messo mistura nel vino
- l’ho vista, l’ho vista, in un lampo.
- — Prendila, prendila, Aligi,
- e toglila di su la pietra.
- — Acciuffala per i capegli.
- — Aligi, non avere paura
- ché l’iscongiuramento non vale.
- — Di là toglila e spezza il boccale,
- tu spezzalo contro un alare.
- — Spicca la catena e méttigliela
- al collo e girala tre volte.
- — Ha magato, ha magato il camino!
- — Ahi, ahi, che la casa dà crollo!
- Ahi, quanto pianto qui sarà pianto!
- Il coro dei mietitori
- - Oh, oh, attaccate riotta?
- — Noi siam qui, siam qui che s’aspetta.
- — L’abbiamo giocata e siam pronti.
- — Pecoraio, ménala fuori!
- — Su, su, che sfondiamo la porta.
Picchieranno e schiamazzeranno.
- Anna di Bova
- Ecco, ecco, prendete pazienza
- anche un poco, buoni uomini. Aligi
- la tira. Mo mo voi l’avete.
Forsennato il pastore prenderà per un de’ polsi la vittima che si divincolerà gridando.
- Mila
- o, no, no! Ti danni, ti danni.
- Piuttosto tu schiacciami il capo,
- tu battimi il capo alla spranga,
- poi gettami morta di fuori.
- No, no! Su te il castigo di Dio!
- Ti nasceranno le serpi
- dal ventre della tua donna.
- Non dormirai, non dormirai
- più mai; non avrai più riposo;
- i cigli ti sanguineranno.
- Ornella, Ornella, difendimi
- tu, aiutami tu! Abbi ancóra
- pietà! Sorelle in Cristo, aiutatemi!
Ella si svincolerà dalla stretta, e fuggirà verso le tre sorelle che le faranno riparo. Cieco di furore e d’orrore, Aligi leverà la sua mazza sul capo di lei per colpirla. Subitamente le giovanette romperanno in gran pianto. Egli s’arresterà, al suono del pianto; lascerà cadere a terra la mazza; si gitterà ginocchioni, a braccia aperte.
- Aligi
- ercé di Dio! Fatemi perdonanza!
- L’Angelo muto ho visto, che piangeva;
- che lacrimava come voi, sorelle,
- che lacrimava e mi guardava fiso.
- Lo vedrò fino all’ora del trapasso
- e ancóra lo vedrò nell’altra vita.
- Io ho peccato contro il focolare,
- contro i miei morti e contro la mia terra
- che più non mi vorrà tenere seco,
- che non vorrà sepolto il corpo mio.
- Sorelle, per lavarmi del peccato,
- nella cenere sette e sette giorni
- tante croci farò con la mia lingua
- quante sono le lacrime versate
- dagli occhi vostri, e l’Angelo le conti
- e il novero mi metta nel mio cuore.
- Voglio così pigliare perdonanza
- davanti a Dio, sorelle; e voi pregate,
- pregate per Aligi fratel vostro
- che alla montagna deve ritornare.
- E quella che patì l’onta e l’ambascia
- consolerà voi. Datele a bere,
- toglietele la polvere, con l’acqua
- e con l’aceto i suoi poveri piedi
- confortate, che forse le dorranno.
- Io non volea recarle onta, ma tratto
- fui dalle voci; e chi mi trasse al male
- gran dolore n’avrà per i suoi giorni.
- Mila di Codra, mia sorella in Cristo,
- donami perdonanza dell’offesa.
- Questi fioretti di Santo Giovanni
- io tolgo dalla mazza del pastore
- e te li metto qui davanti ai piedi.
- Io non ti guardo, ché me ne vergogno.
- Dietro di te sta l’Angelo dolente.
- Ma questa mano trista che t’offese,
- col tizzo brucerò questa mia mano.
Trascinandosi su i ginocchi andrà verso il focolare e, stando carpone, cercherà un tizzo ancóra acceso, lo prenderà con la manca, ne porrà la punta nel cavo della destra mano.
- Mila
- T’è perdonato! No, non ti bruciare!
- Da me t’è perdonato, e Dio riceva
- il pentimento. Lèvati dal fuoco!
- Uno solo è il Signore del castigo;
- è quello che ti diede la tua mano
- per guidar le tue pecore nei paschi.
- E come pascerai tu la tua mandra
- se la tua mano ti s’inferma, Aligi?
- Da me t’è perdonato in umiltà.
- E del tuo nome io mi ricorderò
- a mezzodì, ma pure mane e sera
- quando pasturerai su la montagna.
- Il coro dei mietitori
- - Ehi là, ehi là, che è questo?
- — Così ci volete gabbare?
- — E noi vi sfondiamo la porta.
- — Su, su, pigliamo la trave!
- — Su, su, quel timone d’aratro!
- — Pecoraio, tu non ci gabbi.
- — Su, su, quel pezzo di màcina
- rotta e gettiamola a sfascio!
- — O pecoraio Aligi, rispondi!
- Una due tre volte, e poi giù!
S’udrà il grido roco ond’essi accompagneranno lo sforzo dell’alzare il peso.
- Aligi
- Per te, per me, per tutta la mia gente
- io mi faccio la croce. E così sia.
Si alzerà, andrà verso la porta, e chiamerà.
- Mietitori di Norca, apro la porta.
Risponderanno gli uomini con un clamore concorde. Il suono delle campane continuerà sul vento. Aligi toglierà la spranga; si segnerà in silenzio; poi spiccherà dal muro la croce di cera, la bacerà.
- Serve di Dio, segnatevi e pregate.
Tutte le donne si segneranno e s’inginocchieranno, mormorando la litania.
- Il coro delle parenti
- yrie eleison.
- Christe eleison.
- Kyrie eleison.
- Christe audi nos.
- Christe exaudi nos...
Il pastore deporrà la croce di cera su la soglia, tra la conocchia e il bidente; poi spalancherà la porta. Si vedrà nel vano divampare il sole terribile su i mietitori vestiti di lino.
- ligi
- Cristiani di Dio, questa è la croce
- benedetta nel giorno dell’Ascensa.
- Posta l’ho su la soglia della porta
- perché vi guardi dal fare peccato
- contro la poverella di Gesù
- ch’ebbe rifugio in questo focolare.
I mietitori ammutoliti si scopriranno il capo.
- o ho veduto dietro le sue spalle
- l’Angelo muto che la custodisce.
- Con questi occhi che debbono morire,
- piangere io l’ho veduto, in ferma fede,
- cristiani di Dio. Perciò l’attesto.
- Tornate al campo a mietere il frumento.
- Non fate male a chi non fece male.
- E che il falso nemico non v’inganni
- con i suoi beveraggi un’altra volta!
- Mietitori di Norca, il Ciel v’aiuti
- e vi cresca alla mano le mannelle.
- E San Giovan Battista Decollato
- vi mostri il capo suo nel sol levante,
- se questa notte andate su la Plaia.
- E non vogliate male a me pastore,
- a me Aligi povero di Cristo.
Le donne sempre inginocchiate seguiranno sommessamente la litania. Candia dirà la invocazione, l’altre risponderanno.
- Candia e il coro delle parenti
- Mater purissima, ora pro nobis.
- Mater castissima, ora pro nobis.
- Mater inviolata, ora pro nobis...
I mietitori si chineranno, allungheranno la mano a toccare la croce, porteranno la mano alle labbra; e s’allontaneranno silenziosi per la campagna ardente. Poggiato allo stipite, prono, il pastore li seguirà con lo sguardo. Nel silenzio s’udranno voci giungere dal sentiero.
- Una voce
- O Lazaro di Roio, torna indietro!
- Un’altra voce
- Lazaro, non andare, non andare!
Il pastore sussulterà. Sollevandosi, facendosi schermo delle mani, guaterà per la luce del mezzodì.
- Candia e il coro delle parenti
- Virgo veneranda, ora pro nobis.
- Virgo praedicanda, ora pro nobis.
- Virgo potens, ora pro nobis...
- Aligi
- Padre, padre, che hai? Perché bendato
- sei? Tu sanguini, padre. Su, parlate,
- o uomini di Dio! Chi lo ferì?
Lazaro di Roio si presenterà davanti alla porta, col capo bendato, sostenuto alle ascelle da due uomini vestiti di lino come i mietitori. Candia interromperà la litania con un grido e balzerà in piedi, guatando.
- Padre, aspetta. La croce è su la soglia.
- Non puoi passare senza inginocchiarti.
- Se il sangue è ingiusto, tu non puoi passare.
I due uomini sosterranno il ferito barcollante, che piegherà i ginocchi.
- Candia
- O figlie, figlie, era vero, era vero!
- Piangiamo, figlie. Il lutto è sopra noi.
Le figlie abbracceranno la madre. Le donne del parentado poseranno a terra le canestre, prima di rialzarsi. Mila di Codra raccoglierà il suo panno; e, stando ancóra prostrata, se l’avvolgerà intorno al capo per nascondersi la faccia. Poi quasi strisciando sul terreno, andrà verso la porta, presso lo stipite opposto a quello ove sarà il pastore. Muta e rapida si drizzerà in piedi addossandosi al muro. Quivi, immobile e coperta, aspetterà il momento per dileguarsi.