Dizionario mitologico ad uso di giovanetti/Mitologia/C

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Caco, figlio di Vulcano mezzo uomo e mezzo satiro, di una statura colossale, e la cui bocca vomitava turbini di fiamme e di fumo. Nella porta della sua caverna, situata a piè del monte Aventino, erano sempre appese molte teste insanguinate. Ercole, dopo la disfatta di Gerione, avendo condetto i suoi armenti sulle rive del Tevere, si addormentò mentr’essi pascolavano. Caco ne tolse via quattro paja, e per non iscoprirsi il suo ladroneccio dalle loro orme, li strascinò per la coda, rinculando nella sua spelonca. Ercole disponevasi ad abbandonare que’ luoghi, alloraquando i bovi, che gli eran rimasti, cominciarono a muggire, e quei, ch’erano stati rinchiusi da Caco nell’antro, rispondevano con simili muggiti. Ercole corse furibondo verso la spelonca, la cui buca era stata turata per mezzo di uno smisurato scoglio, tenuto sospeso da alcune catene di ferro, fabbricate da Vulcano. L’eroe scuote lo scoglio, si apre il passo, si slancia nell’antro attraverso i turbini delle fiamme e del fumo, che il mostro vomita, lo afferra, e colle sue robuste mani lo strangola; altri dicono che [p. 53 modifica]uccise a colpi di clava. Gli abitanti, in memoria di questa vittoria, celebravano ogni anno una festa in onore di Ercole.

Cadmo, figlio di Agenore e di Telefasa. Giove avendo rapito Europa, Agenore impose a suo figlio di andare a cercarla, e di non ritirarsi prima di ritrovarla. Cadmo giunto in Grecia, consultò l’oracolo di Delfo per sapere in qual luogo potrebbe ritrovarla; ed ebbe in risposta l’ordine di fabbricare una città in quel luogo, ove un bue lo condurrebbe. Cadmo, avendo eseguito quest' ordine, incontrò nella Focide una giovenca, che dopo averlo guidato, si fermò nel sito, ove dipoi fu fabbricata la città di Tebe, sul modello della Tebe di Egitto. Prima di offrire un sagrifizio a Pallade, inviò i suoi compagni ad attinger acqua in un bosco consagrato a Marte; ma un drago, figlio di Marte e di Tenere, custode della fontana di Dirce, li divorò. Cadmo vendicò la loro morte con quella del mostro, i cui denti avendo egli seminati per consiglio di Minerva, ne sursero uomini armati, i quali infuriatisi contro loro stessi, all’istante si uccisero scambievolmente, a riserva di cinque, che l'aiutarono a fabbricare la città di Tebe. Sposò egli Armonia, o Ermione, dalla quale ebbe. Semele, Ino, Autonoe ed Agave. Un secondo oracolo, avendogli predetto che la sua posterità era destinata a maggiori disgrazie, prese un volontario esilio dal suo paese per non esserne spettatore; ed in seguito, insieme con sua moglie, fu cangiato in serpente. Dicesi dj aver egli insegnato ai Greci l’uso delle lettere e dell’alfabeto. Nota 25. [p. 54 modifica]Caducèo. Era questa la bacchetta, che Mercurio ricevette da Apollo, alloraquando egli fece un dono a costui della sua lira. Mercurio un giorno, avendo incontrati sul monte Citerone due bisce, che tra loro battevansi, gittò su di esse questa bacchetta per separarle. Le bisce allora vi si attortigliarono all’intorno, in guisa che la parte più elevata de’ loro corpi formava un arco. Mercurio volle dipoi portarlo anche come un simbolo di pace; e vi aggiunse le ale, per dinotare la prestezza colla quale eseguiva gli ordini di Giove, di cui era egli il messaggiere. I poeti attribuiscono al Caducèo delle grandi virtù. Dicono che Mercurio, per mezzo di questa bacchetta, conduce le anime nell’Inferno, e ne le ritira; reprime i venti, e fende le nuvole, allorché attraversa l’aria.

Calai e Zete, figli di Borea e di Orithia. I loro nomi significano, che soffia molto, e che soffia dolcemente. Fecero il viaggio della Colchide insieme con gli Argonauti per la conquista del vello d’oro. Salvarono Fineo loro cognato dalle Arpie, che lo tormentavano. Mentre celebravansi i giuochi funebri in onor di Pelia, Ercole loro mosse lite, e gli uccise. Gli Dei, commossi dalla loro disgrazia, li cangiarono in venti. Vengono rappresentati colle spalle coverte di squame dorate, colle ale ai piedi, ed una lunga chioma di colore azzurro.

Calcante, famoso indovino. Avendo veduto salire sopra un albero un serpente, che, dopo aver divorati nove uccelletti in un nido, insieme con la loro madre, era stato trasformato in pietra, egli predisse, che l’assedie di Troja durerebbe dieci anni, e che la flotta de’ [p. 55 modifica]Greci, ritenuta da venti contrarj nel porto di Aulide, non farebbe vela, se prima Agamennone non avrebbe immolata sua figlia Ifigenia. Avendo Apollo suscitata una orribile peste, che distruggeva l’esercito de’ Greci accampati innanzi le mura di Troja, egli indicò il mezzo onde farla cessare, esortando Agamennone a restituir Criseide a Crise suo padre, sacerdote di questo Dio. Dopo la presa di Troja, andò a Colofone, ove morì di afflizione, per non aver potuto indovinare ciò che aveva indovinato Mopso, altro indovino; poichè il suo destino era di dover morire allorquando si sarebbe trovato un indovino più abile di lui.

Calipso, figlio dell’Oceano e di Teti, regnava nella isola di Ogige nel mare Jonio. Quivi ella accolse con molta cortesia Ulisse spinto colà da una tempesta al suo ritorno dalla spedizione di Troja, e lo trattenne per lo spazio di sette anni offrendogli la immortalità, se si fosse determinato di far ivi soggiorno e sposarla. Ulisse preferì Penelope sua moglie, e la sua isoletta Itaca a que’ grandiosi vantaggi. Calipso, per un ordine di Giove, lasciò partire il suo amante, ma per molto tempo ne fu inconsolabile.

Calisto, figlia di Licaone; una delle ninfe favorite da Diana. Stanca un giorno per la caccia, mentre sola riposava in un bosco, le si presentò Giove sotto le sembianze di Diana, e poco a poco, avendole palesata la sua passione, usolle violenza, e la rese madre di Arcade. Diana, sospettando la gravidanza di Calisto, poichè ripugnava di spogliarsi, per prendere il bagno in unione delle altre ninfe, la discacciò dalla sua [p. 56 modifica]compagnia. Giunone spinse più oltre la di lei vendetta. Implacabile nimica di tutte quelle che potevano essere a parte del cuore di suo marito, cangiò Calisto ed Arcade suo figlio, in orsi. Giove li collocò nel Cielo, ove formano le costellazioni della grande e della picciola Orsa. La gelosa Giunone alla vista di questi nuovi astri, di nuovo sdegnossi, e pregò gli Dei del mare di non permettere ch’entrassero giammai nell’Oceano.

Calliope, musa dell’eloquenza e della poesia eroica. E’ rappresentata come giovinetta di un’aria maestosa, con una corona di oro sulla fronte, come la principale delle muse, e con molte ghirlande di fiori sul braccio sinistro, delle quali incorona i poeti eroici; con una trombetta nella mano dritta e nell’altra un poema epico; e presso ai piedi due o tre altri simili poemi, come l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide.

Calliroe, giovinetta di Calidone, che Coreso gran sacerdote di Bacco, amò perdutamente. Questo pontefice, non avendo potuto renderla sensibile alla sua passione, si raccomandò a Bacco, ed invocò la sua vendetta contro tanta crudeltà. Il nume punì i Calidoni con una ubbriacchezza che li fece divenir furiosi. L’Oracolo, che a tal’uopo fu consultato, rispose che questo male cesserebbe tostochè s’immolasse Calliroe, o alcun’altra vittima volontaria in sua vece. Non essendosi presentato alcuno in suo luogo, fu ella condotta all’altare, ornata di fiori e circondata di tutto l’apparecchio di un sagrifizio i Allora Coreso, mirandola in questo stato, invece di scagliar sopra di lei il sagro ferro, lo drizzò sul proprio petto, e si uccise. Calliroe penetrata da tarda [p. 57 modifica]compassione per questo suo amante, per placar l’ombra di Coreso, si uccise ella pare presso la fontana, che di poi fu chiamata dal suo nome.

Camilla, figlia di Metabe re de’ Volsci. Fin dalla culla fu consagrata a Diana, e nutrita ne' boschi di latte di cavalla. Esercitata sin dalla sua fanciullezza negli esercizj della caccia e della guerra, si distinse sopratutto per la sua velocità nella corsa, e per la sua abilità nel tirar l’arco. Dicesi che i suoi piedi non facevano neppure piegar le spighe delle biade sulle quali correva. Portatasi in soccorso di Turno contro Enea, fu uccisa per tradimento da Arunte. Diana vendicò la di lei morte con quella del di lei vile uccisore.

Cancro, o il Granchio, fu l’animale che Giunone spedì contro Ercole, allorchè egli combatteva l’idra di Lerna, e da cui fu morso sul piede. Ercole l’uccise; e Giunone lo pose nel numero de' dodici segni del Zodia.

Caos, massa informe, nella quale eran confusi i principj di tutti gli esseri. I poeti suppongono che la materia prima esistesse ab aeterno, e che Dio, senza crear cosa alcuna abbia sviluppato il Caos, separandone gli elementi, ed assegnando a ciascun corpo il luogo che gli conveniva. Nota 26.

Cariddi, famosa voragine nello stretto di Sicilia. Dicesi che Cariddi, era una donna, la quale, avendo rubato i buoi ad Ercole, fu fulminata da Giove, e cangiata in questa voragine, che conserva ancora ne’ suoi [p. 58 modifica]vortici la primitiva rapacità. Evvi dirimpetto un altro sito non men pericoloso, nominato Scilla, ch’è uno scoglio, nè di cui fianchi urtando i flutti, sentonsi degli urli e delle grida spaventevoli. Questi due luoghi vorticosi sono così vicini tra loro che bisogna navigare per mezzo a dirittura, per non correr rischio di urtar in uno di essi, allorché si andasse lontano dall’altro. Omero suppone che questa voragine assorbisce i flutti tre volte al giorno, ed altrettante volte li ributta con orribili muggiti.

Caronte, figlio dell’Erebo e della Notte. Il suo uffizio era quello di trasportare al di là dello Stige e dell’Acheronte le anime de’ morti in un battello angusto e di color funebre. Siccom’era egli un vecchio imparziale ed avaro, non vi riceveva che coloro i quali avevano avuto la sepoltura, e che gli davano una moneta per nolo. Le anime di coloro, i quali erano stati privati degli onori della sepoltura, erravano per lo spazio di cento anni sulle sponde dello Stige, senzachè egli si commovesse alle replicate preghiere ch’elleno gli facevano per passare. Niun uomo vivente poteva entrare nel di lui battello, a meno che un ramuscello di oro, consagrato a Prosperina, non gli servisse di salvo-condotto. Fu d’uopo che la Sibilla ne donasse uno al pio Enea allorché volle penetrare nel regno di Plutone. I poeti han dipinto Caronte come un vecchio vigoroso, i cui occhi son vivaci è severi; la barba bianca ed increspata; coverto di un mantello lacero di color atro, ed imbrattato del fango de’ fiumi dell’Inferno. Le vele della sua barca sono di colore oscuro, ed una pertica è il remo.

Nota 27. - fig. 16 [p. 59 modifica]Cassandra, figlia di Priamo e di Ecuba. Questa principessa, che amava Apollo teneramente, gli aveva promesso di sposarlo, purché le avesse comunicata la scienza delle cose future. Apollo le accordò un tal dono; ma ella non adempì la promessa. Il Nume, non potendo più toglierle ciò che aveale una volta donato, per vendicarsi, le dichiarò dispettosamente ch’egli screditerebbe le sue predizioni, e la farebbe passare per fanatica. In effetto le sue profezie eran poste in derisione. Avendo predetti i rovesci che doveano accadere a Priamo, a Paride e a tutta la citta di Troja, fu rinchiusa in una torre, ove non fece che cantare le future disgrazie della sua patria. Le sue grida e le sue lagrime crebbero allorquando intese la partenza di Paride per la Grecia; ma non si fece che ridersi de’ suoi minaccevoli presagj. Ella si oppose, ma senza successo, all’entrata del cavallo di legno. Nella notte della presa di Troja, si ricoverò nel tempio di Pallade, ove Ajace, figlio di Oileo, la violò. Agamennone, cui era spettata, penetrato dal di lei merito e dalla di lei bellezza, seco la condusse in Grecia. Prenunziò anche a questo principe il destino che l’attendeva, ma questa predizione ebbe una sorte altrettale. Agamennone fu ucciso da Egisto, amante di Clitemnestra, nel suo arrivo a Lacedomone; e Cassandra stessa fu assassinata insieme coi due gemelli procreati con suo marito. I popoli di Leutra le consagrarono una statua, e l’eressero un tempio, che divenne un asilo per le giovanette che ricusavano di maritarsi, o che rifiutassero qualche progetto maritale per la bruttezia o bassa condizione di coloro che le richiedessero. [p. 60 modifica]Castalia, ninfa amata da Apollo, e dal medesimo cangiata in fonte. Egli diede alle sue acque la virtù d’inspirar la poesia a coloro che ne bevevano, e la consagrò alle muse. Il solo mormorio delle sue acque bastava ad inspirar l’estro poetico. La Pizia, prima di seddere sul tripode, donde dava gli oracoli, beveva delle Acque di questa fonte.

Castore e Polluce, fratelli di Elena e di Clitemnestra, figli di Giove e di Leda. Ecco le circostanze della loro nascita. Giove s’invaghì di Leda, e non potendo altrimente riuscire nel suo amoroso disegno, si trasformò in cigno, ed in tal ghisa leggiadramente ingannala. Questa principessa concepì due uova; uno da Tindaro suo marito, donde nacquero Castore e Clitemnestra, amendue mortali; l’altro da Giove, donde nacque Elena e Polluce, che avevano la immortalità della loro celeste origine. Questi due fratelli amavansi talmente che non lasciavansi mai. La loro prima impresa fu di sgomberar l’Arcipelago da corsali che lo infestavano; quindi è che furono invocati nelle tempeste. Essi seguirono Giasone alla Colchide, ed ebbero molta parte alla conquista del vello d’oro. Al ritorno nella loro patria, ricuperarono la loro sorella Elena, rapita da Teseo. Intanto l’amore feceli cader bentosto negli errori medesimi ch’essi avevano voluto punire in Teseo. Rapirono due giovinette di rara bellezza, nominate Febe e Talira, promesse spose a Linceo e ad Ida. Gli amanti perseguirarono i rapitori, e fu fissato un combattimento tra essi presso il monte Taigete. Castore fu ucciso da Linceo, che cadde poco dopo sotto i colpi di Polluce, ferito anch’egli da Ida. Polluce afflitto per la morte di suo [p. 61 modifica]fratello, pregò Giove di renderlo immortale. Questa preghiera non potè essere intieramente esaudita, ma la immortalità fu talmente divisa tra essi, che vivevano e morivano alternativamente. Furono annoverati fra i grandi Dei della Grecia. Fu loro innalzato un tempio a Sparta, luogo della loro nascita e della loro sepoltura. Atene loro n’eresse un altro, perchè essi l’avevano salvata dal saccheggio. Erano considerate come divinità propizie ai naviganti. I Romani loro innalzarono un tempio, e offrivano in sagrifizio agnelli bianchi. Castore era il protettore di coloro che disputavano il premio nella corsa de’ cavalli; e Polluce lo era de’ lottatori, perchè egli aveva riportato il premio ne’ giuochi olimpici. Furono trasformati in astri, e collocati nel Zodiaco sotto il nome di Gemini o Gemelli, uno de’ dodici segni

Caucaso, famoso monte nella Colchide, nella cui sommità Prometeo fu legato per ordine di Giove. Questo monte nominavasi prima Nifate. II pastore Caucaso, avendo ivi condotto il suo gregge a pascolare, fu ucciso da Saturno. Giove, per onorare la memoria del pastore, volle che di allora in poi questo monte prendesse il nome di Caucaso.

Cecrope, originario di Saide in Egitto. Fu il primo re degli Ateniesi e fabbricò, o almeno abbellì la città di Atene. Sposò Agraule figlia di Acteo e diede il nome di Cecropia alla fortezza ch’egli vi eresse. Sottomise i popoli, li trasse dalle foreste, li ripartì in circondarj, e vi stabilì il Senato, che divenne dipoi sì famoso sotto il nome di Areopago. Regolò la religione de’ Greci, prescrivendo loro che in vece delle vittime [p. 62 modifica]insanguinate offrissero su gli altari degli Dei biade, fiori e frutta. Diede loro varie leggi, la prima delle quali fu quella del matrimonio. Fece la dinumerazione de’ suoi nuovi sudditi, che trovaronsi al numero di ventimila. Morì dopo un regno di cinquanta anni: lasciò tre figlie Aglauro, Erse e Pandrosa. Il suo successore nel regno fu un Ateniese nominato Crana o Cranao. Nota 38.

Cefalo, figlio di Mercurio e di Erse; o secondo altri, di Eolo, e marito di Procri. L’Aurora, invaghita della di lui bellezza, lo rapì; ma inutilmente. Questa Dea, oltraggiata per tal rifiuto, minacciò di vendicarsene. Non potendo ottenere il suo intento, lo lasciò finalmente in libertà di ritornare presso sua moglie, ch’egli amava con trasporto. Cefalo volendo far pruova della fedeltà di Procri, s’introdusse piò volte in casa di lei sotto varie forme. Travestitosi un giorno da mercante, le offrì così ricchi doni ch’era già sul punto di arrendersi alle di lui sollecitazioni. Cefalo, ripigliando allora la sua forma naturale, si scoprì, e le rimproverò la di lei debolezza. Procri confusa, abbandonò suo marito, e si ritirò nei boschi. La sua assenza riaccese l’amore di Cefalo, il quale andò cercandola, si riconciliò con lei, e n’ebbe in dono un cane, ch’erale stato rigalato da Minosse ed un giavellotto, che mai non falliva il colpo, e che ritornava insanguinato nella mano dond’era stato scoccato. Questi donativi, funesti di poi per amendue, non fecero che accrescere la passione di Cefalo per la caccia. Proeri, malcontenta di averlo quasi sempre lontano, ed inquieta per la gelosia, temendo che non fosse innammorato di qualche ninfe, de’ [p. 63 modifica]boschi, concepì ii disegno di seguirlo segretamente, e d’imboscarsi tra le folte macchie. Stanco ii di lei sposo per la fatica e per lo caldo, essendo a caso venuto a riposare sotto un albero ivi vicino, invocò il soave fiato di Zeffiro, affinchè venisse a rinfrescarlo, dicendo Aura veni. Procri in sentir profferire questo nome, credendo ch’egli parlasse a qualche ninfa di lei rivale si spostò da quel sito per più distintamente osservare ciò, ch’ei facesse. Cefalo in sentire il rumore ch’ella faceva tra le frondi, credendola una fiera, le scagliò quel dardo medesimo che aveva da lei ricevuto, e la uccise. Avvedutosi indi del suo errore, cadde in tael disperazione che coll’arme medesima si uccise. Giove sensibile alla sciagura di questi sposi, li trasformò in astri.

Ceiso, o Ceice, o Ceys, figlio di Lucifero e re di Trachinia. Essendo andato a consultare l’oracolo di Apollo a Claros, nel ritorno il suo vascello fu colato a fondo da una violenta burrasca. Il Dio del sonno inviò Morfeo per partecipare la funesta notizia a sua sposa Alcionea. Questa subito che si svegliò, corse sul lido del mare, ed avendo scoverto il cadavere del suo amato sposo, spiato ivi dalle onde, si precipitò sepra di esso, ed all’istante morì di dolore. Gli Dei, per ricompensare la fedeltà di questi sposi, li cangiarono in Alcioni, e vollero che il mare fosse tranquillo nel tempo, in cui questi uccelli fanno il loro nido sulle onde.

Centauri mostri favolosi, metà uomini e metà cavalli, come dicesi, da Issione Issione e dalla Nube sostituita da Giove in luogo di Giunone, o come altri dicono, da [p. 64 modifica]Centauro figlio di Apollo e da alcune cavalle di Magnesia. Erano armati di clave, e maneggiavano destramente l’arco. Ecco ciò che ha dato motivo alla favola de’ Centauri. Divenuti furiosi tutt’i buoi o tori di un intero armento sul monte Pelia in Tessaglia, devastavano tutto il paese all’intorno. Taluni giovani, che avevano domati alcuni cavalli, assunsero l’impegno di liberar la montagna da quegli animali, che la infestavano; e vi riuscirono per mezzo de’ loro cavalli. Resi insolenti per questo successo, insultarono i Lapiti, popolo di Tessaglia, e poiché ritiravansi con una somma celerità, dopo aver lanciati i loro dardi, nel vedersi da lontano, vennero creduti meta-uomini e meta-cavalli. Ercole, Teseo e Piritoo ne uccisero un gran numero, ed obbligarono il rimanente ad abbandonare il paese. Altri credono che fossero periti nel combattimento contro i Lapiti; ciò che disturbò le nozze di Piritoo con Ippodamia; e finalmente sotto i colpi di Ercole che gli sterminò. Vi eran pure i Centaurelli, siccome rilevasi dagli scritti di Filostrato e dì Luciano; e dalle opere degli antichi artefici, come sono i bassi- rilievi e le pietre incise.

Cerbero, cane a tre teste, nato dal gigante Tifone e dal mostro Echidna. Il suo collo era arricciato da serpenti, invece di peli. I suoi denti neri e taglienti penetravano sino al midollo delle ossa, e cagionavano un dolor così vivo che chiunque ne fosse morsicato, moriva all’istante. Giaceva in un antro sulla riva dello Stige, attaccato da ritorte di serpenti, intento a custodire la porta dell’Inferno e del palazzo di Plutone; accarezzava le ombre ch’entravano, e minacciava co’ suoi [p. 65 modifica]terribili latrati e colle tre gole spalancate quelle che solevano uscirne. Ercole, allora quando ritrasse Alceste all’Inferno, l’incatenò, lo strappò dal trono di Plutone, sotto il quale erasi ricoverato e lo strascinò sino in Tessaglia. Allora fu che Cerbero, spumante di rabbia, sparse il veleno per la triplice bocca sull’erbe di quelle contrade, che divennero dipoi velenose. Orfeo lo addormentò col suono della sua lira, allorché si recò nell’Inferno a cercare la sua cara Euridice. La Sibilla, che condusse Enea nell’Inferno, l’addormentò con un pezzo di pasta condita di miele e di papavero. La prima idea di questa favola può esser derivata dal costume degli Egizj di far custodire i sepolcri da cani di presa.

Cercione, famoso malandrino, che infestava le contrade dell’Attica; e che forzando i passaggieri a lottar contro di lui, trucidava poi quelli che avevano l’infortunio d’esserne vinti. Dotato di una forza straordinaria di corpo, incurvava le cime de’ più grossi alberi l’una verso l’altra, e vi attaccava coloro che aveva stramazzati, lasciando indi gli alberi, che nel restituirsi alla loro posizione, per la loro elasticità sbranavano le vittime infelici. Questo ladro fu vinto da Teseo, che lo punì col medesimo supplizio ch’egli aveva fatto soffrire a tanti altri. Sua figlia Asopa essendosi abbandonata a Nettuno, egli ne fu così irritato che la fece esporre ne’ boschi insieme col fanciullino che aveva avuto dal Nume, per esser divorata dalle bestie.

Cerere, figlia di Saturno e di Opi, ovvero Vesta o Cibele. Insegnò agli uomini l’arte di coltivar la terra, [p. 66 modifica]di seminar le biade e di fare il pane; di qui è ch’ella divenne la Dea dell’agricoltura. Fu amata successivamente da Giove, da Nettuno e da Giasio. Da quest’ultimo ebbe Pluto Dio delle ricchezze. Carica di rossore a cagion della debolezza, ch’ella ebbe per Nettuno, ritirossi in una grotta, ove dimorò lungo tempo. Dorante la sua assenza, la terra si rese sterile, e quindi tutti gli uomini corsero pericolo di perir di fame. Finalmente Pan, avendola scoverta, ne diede l’avviso a Giove che la consolò, e la fece uscire dal suo ritiro. Ella dapprima stabilì la sua dimora a Corcira ( oggi Corfu) di là passò in Sicilia, ove avvenne il ratto di Proserpina sua figlia, commesso da Plutone. Inconsolabile di tal perdita, andò cercandola per terra e per mare. Accese due fiaccole nell’Etna, e salita sopra un carro tirato da dragoni volanti, percorse tutta la terra. Fermossi dapprima in Atene, ove insegnò a Trittolemo l’agricoltura per compensarlo della cortese accoglienza, che aveva ricevuto in sua casa. Passò indi nella Licia, e trasformò in ranocchi alcuni contadini, che avevano turbato l’acqua di una fonte, ovell’ella voleva dissetarsi. Dopo aver percorso il mondo, senza niente saper di sua figlia, ritornò finalmente in Sicilia, ove la ninfa Aretusa la informò che Proserpina era stata rapita da Plutone, il quale ne aveva fatta la sua sposa. Cerere discese bentosto nell’Inferno, ove ritrovò sua figlia, che non voleva più uscirne. Conoscendo impossibile persuaderla, ricorse a Giove, il quale s’impegnò di fargliela restituire, purché ella niente avesse mangiato dacché era entrata ne’ Campi-Elisj. Ascalafo l’accusò l’accusò di averla veduta cogliere un melogranato ne’ giardini di Plutone, e di averne mangiato sette granelli. [p. 67 modifica]Cerere sdegnata contro Ascalafo, lo cangiò in gufo. Giove, per consolarla, ordinò che Proserpina passasse sei mesi dell’anno con sua madre, e sei altri con suo marito. Cerere non solamente era la Dea dell’agricoltura, ma presedeva altresì ai confini de’ campi. Aveva molti magnifici tempj: le si offrivano i primi frutti della terra. Le si offriva anche in sacrifizio una troja pregna, od un montone a riflesso del guasto, che cagionavano questi animali. Le ghirlande, delle quali facevasi uso nelle feste, dovevano essere di mirto o di narciso; i fiori n’eran vietati, sul motivo che Prosperina, raccogliendo fiori, era stata rapita da Plutone. Erale consagrato il papavero, non solo perchè nasce fra le biade, ma benanco perchè Giove le conciliò il sonno per mezzo, di questa pianta, che diedele a mangiare, per mitigare così il suo dolore.

I poeti e i pittori rappresentano Cerere in sembianza di una donna bella, di una statura maestosa, di un viso colorito, coi capelli biondi e con gli occhi alquanto languidi. La sua testa è coronata di una ghirlanda di spighe o di papaveri, piante fecondissime. Le sue mammelle sono piene e turgide. Tiene con la man dritta un fastellino di spighe, e con la sinistra una fiaccola. La sua veste giugne fin sopra i piedi. Il suo carro vien tirato da leoni o da serpenti. Questa è la idea più generale che possa darsi di questa Divinità, la cui origine devesi all’Egitto; poiché sembra che Cerere sia l’Iside degli Egizj. Nota 29. - Fig. 17.

Cesto (in francese Ceste) parola tolta dal latino Cestus Veneris, significa il cinto di Venere, ov’eran racchiuse le grazie, le attrattive, il sorriso che [p. 68 modifica]incanta, il parlar dolce, il sospiro più persuasivo, il silenzio espressivo e la muta eloquenza degli occhi. Questo cinto misterioso, non solamente rendeva amabile chi se ne adornava, ma aveva la virtù di riaccendere il fuoco di una passione quasi estinta. Giunone lo prese a prestito da Venere per ravvivare l’ardore di Giove, ed impegnarlo contro i Trojani. Quest’ornamento rese Venere così amabile che le Dee rivali la obbligarono a deporlo in presenza di Paride, allorché disputavano tra loro il pomo della discordia.

Chimera, mostro nato nella Licia da Tifone e da Echidna. Aveva la testa di Lione, la coda di drago ed il corpo di capra. La sua gola vomitava turbini di fiamme e di fumo. Questo mostro desolò lungo tempo la Licia; ma Bellerofonte lo combattè per ordine di Jobate, e l’uccise. Credesi che abbia dato luogo a questa favola una montagna della Licia, chiamata da Ovidio Chimerifera, che aveva nella sommità un vulcano, intorno al quale erano de’ leoni, nel mezzo paschi, ove pascolavano capre selvagge, e nelle falde alcune paludi, ch’erano infestate da serpenti. Bellerofonte verisimilmente fu il primo che la rese abitabile; quindi nacque la favola che Bellerofonte combattè la Chimera.

Chirone, centauro, figlio di Saturno e di Fillira. Saturno temendo di esser sorpreso da Bea sua moglie, allorché sarebbe andato a visitar Fillira, si trasformò in cavallo, e n’ebbe Chirone, meta-uomo, e metà-cavallo. Divenuto adulto si ritirò nelle foreste e nelle montagne, ove cacciando insieme con Diana, acquistò la cognizione delle piante e dell’astronomia. Viveva innanzi la [p. 69 modifica]conquista del vello d’oro e la presa di Troja. La sua grotta, situata a pie del monte Pelio, divenne la più famosa scuola di tutta la Grecia. Furono suoi allievi Cefalo, Esculapio, Melanione, Nestore, Peleo, Telamone, Meleagro, Teseo, Ippolito, Ulisse, Diomede, Castore, Polluce, Macaone, Antiloco, Enea ed Achille, di cui ebbe una cura particolare. Instruì anche Bacco, Fenice, Aristeo, Giasone, Ajace e Protesilao. Insegnò a tutti questi eroi la medicina, la chirurgia e l’astronomia. Nella sua scuola apprese Ercole la medicina, la musica e le leggi. Perfezionò la musica sino a guarir le malattie col suono della sua lira; e la scienza de’ corpi celesti sino a frastornarne o a prevenirne le influenze funeste alla umanità.

Mentre Ercole faceva la guerra ai Centauri, una delle sue frecce, tinta nel sangue dell’Idra Lernea, avendo fallito il colpo, ferì Chirone nel ginocchio. Ercole vi applicò un rimedio, che lo stesso suo maestro un tempo gli aveva insegnato; ma il male era incurabile. Chirone soffrendo spasimi i più insopportabili, pregò Giove che avesse dato termine alla sua vita. Il padre degli Dei lo collocò nel Cielo tra li dodici segni del Zodiaco, ove forma la costellazione di Sagittario.

Cianea, figlia del fiume Meandro, madre di Cauno e di Bibli. Fu trasformata in uno scoglio, per non aver voluto ascoltare un giovinetto, che l’amava appassionatamente, e che si uccise sotto i di lei occhi, senza che ella ne avesse sentita la menoma commozione.

Cibele, figlia del Cielo e della Terra, e moglie di Saturno. Viene nominata anche Opi, Rea, Vesta, la [p. 70 modifica]Buona-Dea, la madre degli dei, come quella ch’è madre di Giove, di Giunone, di Nettuno, e della maggior parte degli Dei del primo ordine. Sua madre la espose, appena nata, in una foresta, ove alcune bestie selvagge presero cura di lei e la nutrirono. Il suo culto divenne celebre nella Frigia, donde passò in Creta, in Pergamo, e di là in Roma. I suoi misteri, come quelli di Bacco, erano celebrati allo strepito confuso di timballi, di clarinetti e di cembali. I sagrificatori spingevano degli urli terribili, e facevano delle contorsioni spaventevoli. Le si offeriva una troja a riguardo della sua fertilità, un toro, o una capra. Il busso ed il pino erano a lei consagrati. I suoi sacerdoti erano i Cabiri, i Coribanti, i Cureti, i Dattili Idei, i Galli, i Telchini, che tutti osservavano il celibato. È rappresentata come una donna robusta, che tiene un disco ed una chiave in mano, e sostiene una torre sulla testa; è ammantata di una veste sparsa di fiori, e circondata sempre da bestie selvagge; talora è assisa sopra un carro tirato da quattro lioni. La sua corona di quercia fa risovvenire che gli uomini nutrironsi un tempo del frutto di quest’albero. La torre e i merli, ond’è adornata la sua testa, significano le città che sono sotto la sua protezione. La chiave, che tiene in mano, dinota i tesori nascosti nel seno della Terra. Il carro, che la porta, significa la Terra equilibrata nell’aria dal suo proprio peso; ed è sostenuto da ruote, perchè la terra viene trasportata da un movimento circolare. È tirato da lioni, per significare che non vi è ferocia che non sia mansuefatta dalla tenerezza materna; o piuttosto, che non vi è suolo, comunque sterile, che non rendasi fecondo dalla industria. Le sue vesti di color vario, [p. 71 modifica]sopratutto verde, alludono al vario colore ond’è adorna la terra. I gesti violenti de’ suoi sacerdoti avvertiscono gli operaj a fuggir la inazione; ed il suono de’ cembali esprime lo strepito degli strumenti di travaglio. Nota 30. — Fig. 18.

Ciclopi, giganti mostruosi, figli di Nettuno e di Amfitrite; secondo altri, del Cielo e della Terra. Erano di una grandezza enorme, e non avevano che un sol’occhio in mezzo alla fronte. Erano essi i fabbri di Vulcano: fabbricavano i fulmini di Giove nel monte Etna, nella isola di Lemnos e altrove. Fabbricarono a Plutone l’elmo, che lo rendeva invisibile; a Nettuno il tridente, per mezzo del quale agitava e calmava il mare. I tre principali Ciclopi erano Brente, che fabbricava il fulmine, Sterope, che lo teneva sulla incudine, e Piracmone, che lo batteva a colpi raddoppiati; ma tut’insieme erano più di un centinajo. Apollo, per vendicare suo figlio Esculapio percosso dal fulmine, uccise tutt’i Ciclopi a colpi di frecce. Malgrado le loro scelleragini, furono annoverati fra gli Dei, ed avevano un tempio a Corinto. Nota 31.

Cicno, figlio di Stenelo, re di Liguria. Avendo saputo la morte di Fetonte, suo amico, abbandonò i suoi stati per andare a piangerlo sulle sponde dell’Eridano, confortando col canto il suo dolore; fintantoché divenuto vecchio, gli Dei cangiarono in penne i suoi capelli bianchi, e lo trasformarono in cigno. Sotto questa forma risovvenendosi ancora del fulmine di Giove, che fece perire il suo amico, non osa alzare il suo volo, ma [p. 72 modifica]rade la terra, ed abita l’acqua, elemento il più contrario al fuoco.

Cigno, uccello acquatico, consagrato ad Apollo, qual Dio della musica; perchè credevasi che cantasse con dolce melodia, allorché era vicino alla morte. Era altresì consagrato a Venere, sia a motivo della sua estrema bianchezza, sia perchè il suo temperamento è molto analogo a quello della Dea del piacere. Il carro di Venere vedesi talvolta tirato da cigni. Giove si trasformò in quest’uccello per ingannar Leda.

Cinira, re di Cipro e padre di Adone, ch’egli ebbe da Mirra sua figlia, da lui non conosciuta nel momento che la ingravidò. Questo involontario incesto cagionò nel di lui animo sì vivo cordoglio che avrebbe voluto uccidersi. Discacciato da’ Greci, per non aver fornito i viveri promessi all’armata per l’assedio di Troja, morì durante il suo esilio. Dicesi ch’egli aveva cinquanta figlie, le quali furono cangiate in Alcioni. Era di una rara bellezza: fu amato da Apollo, ed accumulò sì grandi ricchezze, che passarono in proverbio, come quelle di Creso. Gli si attribuisce la fondazione di Cinirea e di Smirne; siccome la invenzione delle tegole, delle tenaglie, del martello, della leva e della incudine, e la scoverta delle miniere di rame nella isola di Cipro. Nota 32.

Cippo, capitano romano, ritornando vincitore de’ nimici di Roma, mentre si guardava nel Tevere, si avvide di aver le corna sulla fronte. Spaventato da tale novità, immolò alcune pecore per ricercarne la [p. 73 modifica]spiegazione alle loro viscere. L’indovino gli disse che queste corna lo presagivano re di Roma e della Italia. Cippo, sorpreso da orrore, fece convocare il Senato fuori della città, e dichiarò ch’egli voleva piuttosto abbandonarsi ad un volontario esilio. Il Senato, riconoscente a quest’atto di vero patriottismo, gli donò tanta terra quanta ne potesse egli comprendere dal mattino sino alla sera col solco di un aratro. Per conservarsi la memoria di tanta virtù, fu fatta incidere sulla porta, per la quale era egli uscito dalla Citta, una testa cornuta, che lo somigliava. Nota 33.

Circe, sorella di Pasife e di Etes, era figlia del Sole e della ninfa Persa, una delle Oceanidi, o, secondo altri, del Giorno e della Notte. Attribuivasi a questa famosa maga la virtù di far discendere le stelle dal Ciclo. Non era meno abile nell’arte di preparare i veleni. Fu discacciata dal suo paese per aver avvelenato suo marito, il re de’ Sarmati. Il Sole la trasportò nel suo carro sulla spiaggia di Etruria, e la Isola di Ea divenne il luogo del suo soggiorno. Quivi ella cangiò in mostro marino la giovinetta Scilla, amata da Glauco, per lo quale Circe aveva concepita una passione violenta. Cangiò anche Pico, re d’Italia in pico-verde, perchè non volle abbandonar Canenta sua moglie, per attaccarsi a lei. Ulisse gittato dalla tempesta sulla spiaggia della di lei isola, sperimentò i suoi incantesimi. I suoi compagni furono trasformati in porci, in orsi, ed in altre bestie selvagge, mercè un magico liquore che Circe lor fece bere, e che lo scaltro Ulisse ricusò; sebbene alcuni credono che anch’egli lo abbia bevuto, ma che Minerva gli abbia prescritto l’uso di una radice, come un [p. 74 modifica]contravveleno. Finalmente, dopo aver egli schivato le di lei magiche insidie, cadde in quelle di amore. Ella per compiacerlo, restituì a suoi compagni la primiera lor forma. Ulisse trattennesi con lei un anno, e la rese madre di due figliuoli Agrio e Latino. Circe fu posta nel numero delle Divinità. Adoravasi sopratutto nella isola di Ea. Nota 34.

Citera, isola del Mediterraneo, oggi Zerigo. Fu presso questa isola che Venere fu formata dalla spuma del mare, ed appena nata fu ivi condotta sopra una conca marina. Gli abitanti avevano consagrato un superbo tempio a questa Dea sotto il nome di Venere-Urania.

Claudia, vestale. Essendo caduta in sospetto di libertinaggio, perchè ad un’aria troppo libera univa un gusto smodato per gli adornamenti, trovò il modo di dimostrare la sua virtù. Il popolo romano, avendo fatto trasportar dalla Frigia in Roma la statua di Cibele, il vascello si arrestò alla imboccatura del Tevere, nè si potè farlo avvanzare. Fu consultato l’oracolo delle Sibille, il quale dichiarò che una sola vergine poteva farlo entrare nel porto. Claudia si offrì: pregò la Dea Vesta ad alta voce, attaccò il suo cinto al vascello, e riusci a far ciò che migliaja di uomini aveano tentato inutilmente.

Cleobi e Bitone. Questi due fratelli si resero celebri per lo tenero amore verso la loro madre, ch’era sacerdotessa di Giunone. Costei dovendo esser condotte al tempio sopra un carro per compiere un sagrifizio, e non potendosi avere in quel momento i buoi per tirarlo [p. 75 modifica]supplirono essi, ed attaccatisi al carro, lo tirarono fino al tempio. Commossa la madre a tal pruova di filiale affetto, pregò Giunone di accordar loro il maggiore de’ beni, che i mortali possano ricevere dagli Dei. Cleobi e Bitone sagrificarono; cenarono insieme colla loro madre; si addormentarono nel tempio, e nel giorno seguente furon trovati morti. Gli abitanti di Argo, luogo dell’avvenimento, innalzarono ad essi delle statue nel tempio di Delfo.

Clio, una delle nove Muse, figlia di Giove e di Mnemosine, presedeva alla Storia. Viene rappresentata sotto la sembianza di una giovinetta coronata di alloro, tenendo a man dritta una trombetta, ed a sinistra un libro, che ha per titolo Tucidide. Vedesi anche presso di lei un globo ed il tempo, per dinotare che la Storia comprende tutt’i luoghi e tutt’i tempi. Credesi esser la inventrice della chitarra; difatti in alcune statue osservasi colla chitarra in una mano, e col plettro nell’altra. Fig. 19.

Clitemnestra, figlia di Giove, o di Tindaro e di Leda. Nacque da uno delle uova che concepì sua madre dopo aver accolto nel di lei seno il gran padre Giove sotto la forma di cigno. Ebbe per isposo Agamennone. Mentre questo principe trovavasi all’assedio di Troja, ella abbandonossi ad una cieca passione per Egisto. Costui, per isposarla, di concerto con lei, uccise Agamennone al suo ritorno da Troja, e s’impadronì de’ suoi stati. Oreste, divenuto adulto, e sollecitato da sua sorella Elettra, vendicò la morte di suo padre, con aver ucciso a colpi di pugnale sua madre Clitemnestra ed [p. 76 modifica]Egisto. Ecco come alcuni Mitologi narrano tali avvenimenti. Agamennone, prima di partire per l’assedio di Troja, affidò la cura di sua moglie e de’ suoi stati ad Egisto; ma nel medesimo tempo incaricò un certo poeta ed un musico, acciò sorvegliassero la condotta di sua moglie e di Egisto. Amendue furono infedeli. Egisto divenne l’amante di Clitemnestra, e concertò con lei l’assassinio contro suo marito. Ritornato questi da Troja, la moglie nascose sotto finte carezze il parricidio, che meditava. Un giorno mentre Agamennone usciva dal bagno, ella gli fece dare una veste lunga cucita a bella posta dalla parte del capo, sicchè mentr’egli cercava adattarsela, rimase per poco inviluppato; all’istante i due assassini scagliaronsi su di lui, e l’uccisero. Commesso quest’omicidio, e quelli di Cassandra e de’ suoi figli, Clitemnestra sposò publicamente il suo amante, e gli pose la corona sulla testa. Oreste, salvatosi dal di lei furore, le recò delle continue e vive inquietudini. Una falsa voce della sua morte li dissipò, ma questa contentezza durò poco. Oreste e Pilade, nascotisi nel tempio, attesero ivi Egisto e Clitemnestra, vendicarono sopra di essi la morte di Agamennone.

Cloto, figlia di Giove e di Temi, è una delle tre Parche. Filava lo stame della vita umana. Si rappresenta ammantata di una lunga veste a più colori, con una corona formata di sette stelle sulla testa, tenendo una conocchia in mano. Fig. 20.

Cnido, o Gnido città e promontorio della Caria, ove Venere aveva un tempio molto famoso, nel quale vedevasi la sua celebre statua fatta da Prassitele.

[p. 77 modifica]Cocito, uno de’ fiumi dell’Inferno. Coloro che erano privati dalla sepoltura, erravano per lo spazio di cento anni intorno alle sue rive. Questo fiume circondava il Tartaro, ed era formato dalle lagrime de’ malvagi. Il suo nome difatti significa pianto, gemito. Presso questo fiume Aletto aveva stabilito il suo soggiorno. Vedevansi sulla sua sponda de’ tassi che presentavano un’ombra malinconica e tenebrosa, ed una porta sostenuta da cardini di bronzo, per la quale penetravasi nell’Inferno.

Colonne d’Ercole. Questo eroe essendos’inoltrato sino a Gadi, oggi Cadice, ch’egli credette essere nella estremità della Terra, separò due montagne, che stavano attaccate, per far comunicare il Mediterraneo coll’Oceano. Questa favola è fondata sulla situazione di queste due montagne Calpe ed Abila, una delle quali è in Affrica, e l’altra in Europa presso lo Stretto di Gibilterra. Ercole credendo che queste due montagne fossero il termine del Mondo, vi fece innalzare due colonne, per dinotare alla posterità di aver egli spinto fin là le sue conquiste.

Como, Dio dell’allegrezza, delle gozzoviglie e della toletta. I suoi proseliti coronati di fiori andavan correndo la notte in maschera al lume di fiaccole, accompagnati da giovinetti e da giovinette, che suonando alcuni festivi strumenti, e danzando, andavano in tal guisa a stuoli per le case. Siffatti stravizzi cominciavano dopo la cena, e continuavansi sino a notte avanzata. Viene egli rappresentato in sembianza di giovinetto grasso, e di morbida carnagione, con la faccia accesa da [p. 78 modifica]vino; coronato di rose, tenendo a man dritta, una fiaccola, e che con la sinistra sta appoggiato sopra un pivolo. Altri gli fan tenere una coppa di oro, ed un piatto di frutti. Fig. 21.

Concordia, Divinità adorata dai Romani, in onor della quale avevano innalzati molti templi, il più magnifico dei quali era quello del Campidoglio. Invocavasi per la unione delle famiglie, de’ cittadini, degli sposi. Le sue Statue la rappresentavano coronata di ghirlande, tenendo con una mano due corna dell’abbondanza, attorcigliate, e con l’altra un fascio di verghe od un melo-granato, simbolo della unione. Era creduta figlia di Giove e di Temi. Spesso confondesi con la Pace, come oggetto del medesimo culto. Fig. 22.

Coribanti o Cureti, sacerdoti di Cibele. Celebravano le loro feste con uno strepito e tumulto straordinario battendo i tamburi, percuotendo i loro scudi con alcune lance, danzando ed agitando le loro teste, e facendo gesti a guisa di frenetici, frammischiandovi delle grida e degli urli, per pianger la morte di Adone. Astonevansi dal mangiar pane, perchè Cibele aveva osservato un lungo digiuno per vieppiù esprimere la sua profonda afflizione. Giove fu da essi allevato.

Coronide, era il soprannome di Arsinoe, figlia di Flegia, o Flegras. Fu amata d’Apollo, che la rese madre di Esculapio. Questo Dio, informato da un corvo che la sua favorita amava il giovinetto Ischi, uccise amendue a colpi di saette; ma salvò il bambino, di cui Coronide era incinta, lo fece allevare da Chirone, e lo [p. 79 modifica]nominò Esculapio. Apollo bentosto si pentì della sua vendetta, e punì il corbo delatore, con avergli cambiato il colore da bianco a nero.

Creonte, figlio di Meneceo, e fratello di Giocasta s’impadronì del trono di Tebe dopo la morte di Lajo. Costretto di cederlo ad Edipo, lo rioccupò, dacchè questo principe divenne cieco, per conservarlo ai due figli. Creonte fomentò la discordia tra Eteocle e Polinice, fintanto che questi due fratelli scambievolmente si uccisero. Creonte allora ripigliò il governo di Tebe, che Eteocle, morendo, gli aveva affidato, finchè suo figlio Leodomante fosse stato in età di regnare. Egli ordinò che non si fosse data sepoltura al corpo di Polinice e minacciò di far sepellir vivo chiunque avesse contravvenuto. Antigone, sorella di Polinice, contravvenne, e fu perciò punita di morte. Emone, suo amante, si uccise sul di lei cadavere; ed Euridice, moglie di Creonte, si trafisse il seno per la morte di suo figlio Emone. Creonte privò di sepoltura gli Argivi, per aver seguito Polinice all’assedio di Tebe, Teseo gli dichiarò la guerra, lo vinse e l’uccise.

Creta, isola famosa per le sue cento città, e perchè ivi i Coribanti allevarono Giove. Gli abitanti sagrificavano vittime umane a Saturno ed a suo figlio. La maggior parte degli Dei e delle Dee erano nati in questa Isola.

Creusa, figlia di Priamo e di Ecuba, e moglie di Enea. Dicesi ch’ella, durante l’incendio di Troja, [p. 80 modifica]disparve, e che Cibele la trasportò nel Cielo per salvarla dagl’insulti del vincitore.

Criniso, principe Trojano, che viveva al tempo di Laomedonte. Questo re impiegò Nettuno ed Apollo a rialzare le mura di Troja, e poichè l’opra fu compita, ricusò dar loro la promessa mercede. Nettuno, per vendicarsi, suscitò un mostro, che desolava la Frigia, e che bisognava appagare, allorchè presentavasi, con dargli in cibo una donzella del paese. Facevansi a tal’uopo radunare tutte le giovinette vergini, ed estraevasi a sorte il nome di quella, che doveva destinarsi ad esserne la preda ed il pasto. La figlia di Criniso era anche ella in età di esporsi alla sorte, ma questi stimò meglio, metterla in una barca, ed abbandonarla alle onde che esporla insieme con le altre. Scorso il tempo del passaggio del mostro, Criniso andò cercando sua figlia, ed approdò nella Sicilia. Dopo molte ricerche, non avendo potuto ritrovarla, pianse tanto finchè fu trasformato in un fiume. Gli Dei, per rimeritare la sua tenerezza, gli concessero di potersi trasformare in qualunque guisa. Spesso profittò di tal vantaggio, per sorprendere le ninfe. Combattè contro Acheloo per la ninfa Egesta, che egli sposò, e n’ebbe Aceste.

Criseide, altramente detta Astinoma, figlia di Criseo gran-sacerdote di Apollo. Achille l’avea presa nel saccheggio dato alla citta di Lirnessa, o secondo altri, di Tebe in Cilicia; ma nella distribuzione del bottino cadde in potere di Agamennone. Criseo vestito degli abiti Sacerdotali, venne a chieder sua figlia, ma gli fu diniegata. All’istante la peste si manifestò nel campo dei [p. 81 modifica]Greci. Essendo stato consultato Calcante, rispose che bisognava dar soddisfazione al gran-sacerdote del Dio sdegnato. Agamennone si arrese finalmente, ma con rincrescimento, alle istanze di tutt’i capi dell’armata, ed incaricò Ulisse di ricondurla a suo padre. Criseo, in riveder sua figlia, invocò Apollo, per far cessare la peste, e gli offri una Ecatombe per parte de’ Greci. Criseide era già incinta, e ne diede la colpa ad Apollo. Agamennone, vedendosi privo di Criseide, tolse Briseide ad Achille, il quale, per tale oltraggio, concepì tanta collera che ritirossi da quel momento nella sua tenda, nè volle più uscire a combattere sino alla morte di Patroclo, suo amico. Questa collera di Achille forma il soggetto del gran poema della Iliade.

Cupido, o Amore, figlio di Marte e di Venere, o come altri dicono, di Vulcano e di Venere, Giove, che ravvisò nella di lui fisonomia, fin dacchè nacque, tutte le turbolenze, che doveva recare, voleva obbligar Venere a disfarsene. Costei, per sottrarlo allo sdegno di Giove, lo nascose ne’ boschi. Subito che fu in età di maneggiar l’arco, se ne formò uno, e cominciò a far pruova sopra gli animali de’ colpi ch’egli destinava contro gli uomini. Ebbe di poi un arco ed un turcasso d’oro.

Cupido viene rappresentato nudo sotto la figura di un fanciullino di sette in otto anni; di un’aria negligente ma maligna; armato di un arco e di un turcasso pieno di frecce ardenti, simbolo del suo potere sull’anima; alle volte con una fiaccola accesa, coronato di rose, emblema de’ piaceri deliziosi, ma momentanei, ch’egli procura; talvolta con una benda su gli occhi, perchè [p. 82 modifica]l'amore non vede i difetti dell’oggetto amato; è alato, perchè non vi è cosa più fugace quanto la passione amorosa; e le ale sono del color di porpora, di azzurro e di oro.Vedesi alcune volte saltare, danzare, giuocare, o rampicare su per gli alberi. Viene dipinto nell’aria, nel fuoco, nella terra e nel mare, per dinotare ch’egli riempie tutta la natura. Vedesi talora portato da un delfino, per dinotare che il suo impero si estende fino nel fondo de’ mari. Egli amò Psiche con trasporto: fecela trasportar da Zaffiro in un luogo di delizie, ove questi amanti soggiornarono qualche tempo insieme, senza che ella lo avesse conosciuto; ed allorchè lo conobbe, egli disparve. Erano suoi compagni il riso, le grazie, il giuoco, i piaceri, rappresentati anche sotto le sembianze di fanciulletti.