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zione alle loro viscere. L’indovino gli disse che queste corna lo presagivano re di Roma e della Italia. Cippo, sorpreso da orrore, fece convocare il Senato fuori della città, e dichiarò ch’egli voleva piuttosto abbandonarsi ad un volontario esilio. Il Senato, riconoscente a quest’atto di vero patriottismo, gli donò tanta terra quanta ne potesse egli comprendere dal mattino sino alla sera col solco di un aratro. Per conservarsi la memoria di tanta virtù, fu fatta incidere sulla porta, per la quale era egli uscito dalla Citta, una testa cornuta, che lo somigliava. Nota 33.
Circe, sorella di Pasife e di Etes, era figlia del Sole e della ninfa Persa, una delle Oceanidi, o, secondo altri, del Giorno e della Notte. Attribuivasi a questa famosa maga la virtù di far discendere le stelle dal Ciclo. Non era meno abile nell’arte di preparare i veleni. Fu discacciata dal suo paese per aver avvelenato suo marito, il re de’ Sarmati. Il Sole la trasportò nel suo carro sulla spiaggia di Etruria, e la Isola di Ea divenne il luogo del suo soggiorno. Quivi ella cangiò in mostro marino la giovinetta Scilla, amata da Glauco, per lo quale Circe aveva concepita una passione violenta. Cangiò anche Pico, re d’Italia in pico-verde, perchè non volle abbandonar Canenta sua moglie, per attaccarsi a lei. Ulisse gittato dalla tempesta sulla spiaggia della di lei isola, sperimentò i suoi incantesimi. I suoi compagni furono trasformati in porci, in orsi, ed in altre bestie selvagge, mercè un magico liquore che Circe lor fece bere, e che lo scaltro Ulisse ricusò; sebbene alcuni credono che anch’egli lo abbia bevuto, ma che Minerva gli abbia prescritto l’uso di una radice, come un