Vita nuova/V - Fondamenti e criteri di questa edizione

Cap. V - Fondamenti e criteri di questa edizione. Ortografia. Partizione del testo

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Cap. V - Fondamenti e criteri di questa edizione. Ortografia. Partizione del testo
IV - Classificazione dei testi - Appendice Vita nuova

[p. cclix modifica]Coi resultati ottenuti nel capitolo precedente facile è determinare quali debbono essere i fondamenti e i criteri da seguire nella ricostituzione del testo. Essendoci la Vita Nuova pervenuta per due diverse tradizioni, derivate, non direttamente dall’autografo, ma da un apografo nel quale era già incorso qualche errore, il riscontro di ambedue le tradizioni sarà il fondamento per accertare, caso per caso, la lezione genuina.

Poca sembra essere stata, per le lezioni di senso, la corruzione introdottasi nel testo nel passaggio dall'autografo ai capostipite delle due tradizioni. In generale fra α e β c’è accordo perfetto; e tale accordo, tranne il caso di manifesto errore d’espressione, possiam credere che risalga sin all'autografo. Può ben essere avvenuto in quel passaggio qualche accorciamento d’espressione fraseologica o qualche mutamento nell'ordine delle parole, ma sarebber sempre cose di poco conto e irremediabili. Quanto invece agli errori manifesti, possiamo, anzi dobbiamo, tentare di correggerli per congettura, sforzandoci di indovinare da quel che rimane la lezione primitiva: nel caso però che gli errori fossero, non d’espressione, ma di fatto, sarà da porre prima il quesito se non possano essere imputati all'autore invece che ai trascrittori.

Nei casi di contraddizione o d’incertezza fra le due tradizioni, i criteri per risolvere le difficoltà possono essere diversi. Se una delle due famiglie offre una lezione, per sè accettabile, che serva, stando alle cosiddette probabilità di trascrizione, a render ragione dell’origine dell’altra, noi staremo con quella prima; se tutte e due le lezioni sono invece, sotto il rispetto diplomatico, ugualmente probabili, bisognerà vedere che cosa consigli o il contesto o la storia della lingua o l’opinione e il sentimento dell’autore e dei tempi. Meglio se un [p. cclx modifica]gruppo d’una famiglia concordi con la lezione data generalmente dai codici dell’altra: questa comune lezione, salvo eccezioni, deve risalire al capostipite delle due tradizioni. Ho detto 'salvo eccezioni', perchè talvolta il testo par che si presti, anzi dia la spinta, a un dato mutamento; e in tal caso la voce non comune, la costruzione sforzata o in apparenza meno logica, la frase che contiene qualche parola che è o sembri superflua o ingombrante, può esser preferita anche quando sia conservata da un solo gruppo dell’una o dell’altra famiglia, essendo più ammissibile, se ovvio, lo stesso mutamento, o la stessa omissione, da parte di due copisti di famiglie diverse che non un qualche cambiamento o aggiunta da parte di quello che ha la lezione più difficile. Ma, ripeto, son casi eccezionali, e richiedono molta considerazione.

A valersi convenientemente delle testimonianze dei vari gruppi gioverà aver presente l’indole dei capostipiti di essi, o almeno dei più importanti manoscritti di ciascuno.

Il trascrittore (o trascrittori che siano) della tradizione che abbiam detto k non appar molto intelligente, perchè riproduce, come mostra il riscontro di b (cfr. p. cxc), errori manifesti e fin gruppi di parole senza senso (XXV 9 remo. lo modo), e introduce egli stesso altri errori palesi. Di una tradizione tale non è da diffidare; ci lascerà nell’imbroglio, ma non ci trarrà in inganno, e molte volte l’errore materiale varrà per noi come la testimonianza esatta. Vi sono, è vero, anche mutamenti arbitrarii, ma sono del genere di quelli che sogliono fare i copisti di mestiere, sia perchè si valgono assai più della memoria che dell'occhio, sia pel desiderio di rimediare, nell’atto stesso della trascrizione, a qualche loro trascorso senza espunzioni o cancellature, essendo preoccupati più della bellezza e della regolarità della copia che della fedeltà. E anche questi mutamenti non sono pericolosi, perchè facilmente si riconoscono all’aspetto.

Da diffidare è piuttosto della copia del Boccaccio, perchè era uomo da saper trovare anche per congettura lezioni adatte al contesto, e dove vide di poter correggere o migliorare il suo esemplare, non se n’astenne. Oltre a correggere gli errori manifesti di α, sostituì in XVIII 5 a un pare, che doveva esser preso per parea, un parue; cambiò al § XXIV 4 un uolli, che doveva essere inteso come uogli, in uoglio; aggiunse in principio del § XXX la gentilissima donna, soggetto taciuto secondo tutte le altre tradizioni; accomodò la sintassi nel passo dissi allora questi due sonetti, li quali comincia lo primo (VIII 3); aggiustò a suo modo i versi che gli parvero ipermetri o di cattivo suono (k: che tramortendo douunque può sapoia, To: che tramortendo douunque sapoia; k: che fa li miei spiriti gir parlando, To: che fa li spirti miei andar). [p. cclxi modifica]

FONDAMENTI K CRITERI PI QUESTA EDIZIONE CCLV Il codice x non lascia scorgere, attraverso ai derivati, le sue sem- bianze; tanta è la mischiarmi delle tradizioni nei più, e così poco rimane ad essi di comune, die valga a fissare la fìsonomia del gruppo.

Ma abbiamo un compenso a questa incertezza nella divisione in due sottogruppi die s* integrano e s’illuminano a vicenda, e nel rimanere in uno d’essi un manoscritto così antico come M, immune da ogni contaminazione e senza traccia di aver sotterto danni dalla saccenteria altrui.

Più pura si mantiene nei suoi derivati la tradizione s, ina il copista di S è molto disattento e scorretto, e in V" manca buona parte del testo. E quello che conservano a comune lascia un po’ incerti sulla natura del capoBtipite: in generale si mantiene fedele alla buona tradizione, e conserva anche errori materiali che dovevano risalire a P, e anche più su ; ma ha poi certe lezioni che paiono compimenti e sono storture e impacci (cfr. tav. 60 a IX 1, XII 4, XV 8 ma ciò noti pare, XXIII 16, XXVI 1, e nota che in III 3, dove S è lacunoso, invece di leggere io in fon dea queste. Ego domimis tuusj V ha io intcndea queste chudircti apresso ecc.). le quali lezioni fanno dubitare della genuinità d’altre che paiono migliorare il testo, come soaue sopivo e dolcissimo invece di soave sonno (III 8), piangi tu si coralmente invece di piangi tu (XII 4, reminiscenza di XXII 14 E perchè piangi tu «t coralmente), che lene lo sa invece di che lo sa (XII 7), uedrebbono questa pietà scorta (XV 8, cfr. XXII 16 Eli'ha nel riso la pietà sì scorta), nero e certo invece di voro è (XXill 8). Certe lezioni come levato et solleuato (XII 1), per poco tempo onero pochi di (XXIII 1), auuto r ueduto (XXIII15), poeti volgari 7parladori per volgare (XXV 7) ci rappresentano l’errore e insieme la correzione fatta durante la copia, e sono indizio che P amanuense aveva il desiderio di conservarsi fedele all’esemplare, ma la mente non era sempre capace di ritenere e di riprodurre esattamente la frase letta iu esso.

Il trascrittore di 0, nel poco che rimane, si dà a conoscere per non molto intelligente, tanto da attender piuttosto a riprodurre materialmente i gruppi di lettere del suo originale che a cogliere il senso di ciò die scrive, onde nascono parecchi frantendimcnti. Ma dalle varianti di un testo siffatto facile ò risalire alla lezione genuina; sicché è veramente da rimpiangere la perdita della maggior parte del codice.

Con questi criteri, con questa particolare stima dei codici primitivi, ho proceduto nella ricostituzione del testo (1). Le ragioni spe(1) Una grande incertezza rogna noi Ms*. circa il modo di indicare il principio dolio poesie o dell** vario parti di esso: chi riporta tutto mi verso, o chi una parto più o mono lunga di esso, a caso, o secondo lo spazio dispo- CCLVJ INTRODUZIONE [p. cclxii modifica]ciali che ini hanno indotto, nei casi eli disparità fra a e P, a preferire l’una all1 altra tradizione, sono esposte nelle, note a piè di pAginu.

In esse ho tenuto conto anche delle discussioni fatte dai precedenti editori, accettando e rafforzando gli argomenti validi, ribattendo le argomentazioni poco solide e diritte : dove però i resultati delle mie ricerche mutino le basi del ragionamento o rendano vana ogni discussione, ho proceduto oltre, fidando che la classificazione dei testi e i criteri qui esposti bastino a render ragione della scelta fatta. Il testo viene ad essere integrato dall’apparato critico; ove, nei casi di discordia fra M P, è registrata la variante che è parsa meno attendibile ; se le due lezioni sembrino d’ ugual valore, quella di P ; so ragioui speciali consiglino di abbandonare la lezione delle due tradizioni oppure quella comune a una di esse e a un gruppo del- l’altra, la lezione abbandonata. Vi si registrano anche varianti di singoli gruppi, quando, data la loro uatura, non sia possibile escludere con sicurezza che risalgano all’autore, quantunque paia assai poco probabile. Soltanto dove la lezione dei capostipiti non risulti sicura dal confronto dei codici derivati, si porgono gli elementi necessari a ricostruirla criticamente. Notare sistematicamente tutte le varianti dei singoli gruppi (per la maggior parte omissioni ed errori manifesti) mi è sembrato inutile, anzi dannoso : chi vuol verificare se io abbia ricostruito esattamente, nei casi non dubbi, la lezione di a e di P, basta tenga presente le tav. 1, 81, 37, 38 da una parte e le tav. 43 e 60 dall’altra, senza ch’io riporti di nuovo tutte quelle varianti a piò del testo : dove è bene che si trovi soltanto ciò che conserva, accanto alla lezione prescelta, qualche diritto ad esser tenuto in conto, o rende ragione, nei casi di bisogno, della scelta fatta.

Una questione spinosa è quella dell’ ortografia : dico 4 ortografia ’ in senso largo, in quanto compreude la determinazione dei suoni e delle forme in se stesse, e non il modo di rappresentarle secondo le abitudini grafiche dell’autore o del tempo. Un’edizione critica può proporsi anche quest’ ultimo fine, specialmente se si tratti di nn’ opera scritta in una lingua morta e d’ uso tutto letterario, e quindi abbastanza fisso; ma colle opere composte iu lingue viventi o semine nihilo e la fretta, e ohi sa per quanti altri motivi mal determinabili. È parso doverci porre un po’ d'ordine: posto pure ohe Dante non abhia seguito in ciò una norma rigida, è certo che ordinariamente la citazione non s’estende a tutto il verso (un'eccezione sicura s’ ho in Ili 14 pel sonetto di Guido Cavalcanti Vedesti al mio partro onne valore, non riferito per esteso nella Vita Nuova)ì ma si limita alle prime due o tre parole che costituiscono nella pronunzia corno mi primo gruppo di suoni distinto.

OBTOGRAJUA OOLVU [p. cclxiii modifica]in via di formazione, dove non sempre la tradizione grafica corrisponde al suono, e i segni por un medesimo suono sono talvolta parecchi, onde nascono dubbi continui sul loro preciso valore, meglio è che l’editore risolva per suo conto, con uii diligente studio coni- * para ti vo, siffatti dubbi, e adotti un sistema di rappresentazione che consenta a tutti la pronta e sicura percezione del fenomeno fonetico e morfologico. Ciò tanto più conviene nel caso nostro, perchè delle abitudini ortografiche di Dante niente sappiamo, non rimanendoci ueppure una riga di sua mano, e della Vita Nuova abbiamo soltanto copie posteriori alla sua composizione di oltre mezzo secolo, con varietà continue e molteplici fra loro; e una ricostruzione critica, su tali fondamenti, riuscirebbe «-osi incerta e arbitraria, da non poter avere nessun valore.

Anche la determinazione dei suoni e dello forme va incontro a molte difficoltà. Air incertezza della tradizione diplomatica, alla mancanza di studi speciali accurati e sicuri che determinino i vari elementi formativi della lingua di Dante (dialetti e tradizioni letterarie), s*aggiunge il fatto che la Vita Nuova è composta di prosa e poesia, e quindi, poiché i due linguaggi hanno tradizioni ed esigenze diverse, la necessità di indagini speciali per 1* una e per l’altra parte. Bon è vero che Dante vide nel volgare illustre poetico il modello della prosa (I)e Vuhj. El., 11, i, 1), ed è anche vero che la prosa della Vita Nuova resta ordinariamente nella medesima cerchia d’idee della poesia ; pure nell1 accostarsi necessariamente la narrazione o trattazione prosastica ora al parlare familiare ora al discorso dottrinale, viene ad assumere tono e forme diverse da quelle del tradizionale linguaggio poetico d’amore. Ma a questa parte, che non è cosa puramente esteriore, ma intimamente costitutiva dell1 opera letteraria, l’editore non può sottrarsi; anzi quanto più il problema si presenta dillieile e delicato, tanto più ha l'obbligo d? affrontarlo : non può lasciare al lettore impreparato quello che riesce spinoso a lui medesimo dopo una speciale preparazione. Chè se qualche cosa si potrà concludere di certo o di probabile, o nel complesso o nei casi particolari, egli meglio d* ogni altro è in grado di pervenirvi.

1 codici sui quali si può fare più sicuro fondamento per la nostra indagine sono i quattro più autiehi rappresentanti delle diverse tradizioni manoscritte, K S M To; a cui può aggiungersi, dove la sua testimonianza rimane, 0. Di M ed 0 non può farsi generalmente gran conto, perchè, trascritti da amanuensi tosco-umbri, sono andati soggetti a un forte travestimento dialettale (1); ma nei casi dove, no- (1) Noterò per M: Jìetc, pere (se esatti) ; quinto quinti, cfr. r'editti, concludile, udir ite, eco.; pin pieno; nuoue novera; magiare, ootubre, ne tu 17 COLVUI INTRODUZIO [p. cclxiv modifica]NE nostante la spinta dell’ uso nativo, hanno mantenuto la forma fiorentina, la loro testimonianza ò preziosa. Anche* To non può ilare i

grande aiuto, non avendo saputo il Boccaccio guaniarsi dalle suo abitudini e preferenze : si può dire che quello che & della tradizione poetica siciliana o dell’uso fiorentino più antico è andato quasi del tutto perduto, per dar luogo alle forme e ai suoni prevalsi al tempo del trascrittore. I testi più sicuri sono K e S; e sebbene il primo sia popolareggiante e, senza uscire dai confini idiomatici del territorio fiorentino, abbia caratteri proprii più del contado che della città (1), e il secondo mostri una spiccata tendenza alle forme più volgari del dialetto fiorentino (2) e non sia troppo sicuro nella percezione e nella rappresentazione di certi suoni (3), la loro testimouianza è quella che meno ci allontana dalla fonetica e dalia morfologia che prevale nei testi fiorentini della fine del sec. xxn, o del principio del set*, xiv, così in prosa come iu poesia. Parecchi di questi testi abbiamo tenuto a riscontro per valutare convenientemente, caso per caso, i dati offerti dai codici della Vita Nuova : anzitutto, il Canzoniere e il Poema di Dante secondo la lezione dei più antichi testi fiorentini (specialmente nelle loro parole in rima) e il Convìvio nel testo dato dall'antico codice Laurenziano XC s. 134; appresso, il codice Vat. 3793 - specialmente la parte più recente, attribuita, sebbeu con poco fondamento, alla mano di Dante (4) - e il canzoniere Cliigiano L Vili cuora; lane irò Ootoscirà; pilotini, ]>o trebbiti, per ini medesimo, per si medesimo, itti nì disconfortai; di la, di li, per de la, ecc.; unolguri, porporco, dubitata- mente; amunisco; maire, patre, Jìade; <» afaVica, difetti, ossanna, pessuua, diti dissi; (io) dinne, incidi uccide. E por O: uitle uedo, udiriU, sin sa, pin, di contro nd ardescon ardiscono, di l atnistaile; oetubre, magiare, e porfino anguscia; uatin disconsolata; si raccogli; anchi anche, essar; nmaritta, smagatti, sappeano, (1) Tra lo formo popolaregjrianti sono mirabole, mie por mio, faceta facea; fanno sentirò una cort* aria di contado, oltro questo faoeia, sei'ei sana, altre altri (por altre, cfr. Metamorfosi trad. dal Simiutcndi pratose 70, 139).

(2) Citiamo ad cs. ouonque, proro prorare, drouebbet parali, arci, uidile, desiderassono, sacordono saoorsono, eoprissoro.

(3) Questa sua iuesporienza di trascrittoro si rivela specialmento nel trascurar© il ti : baldasa inazi pueto quado ijuato tornado, lottano, oco.

(4) Indichiamo con Vat.1 lo canzoni cccvj-cccsj riprodotto diplomaticamente nella pubblicazione della Società Filologica Romana Il Libro de varie romanze volgare, Cod. Vat. 3793, a cura di S. Satta, F. Egidi e G. B. Festa; e con Son. Vat. i sessantuno sonetti sulla maniera di servire attribuiti al Cavalcanti, pur diplomaticamente riprodotti da G. Salvadori nel volume La poesia giovanile e la canzone d'amore di Guido Cavalcanti, Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1895. Ho citato il codice col titolo Antiche rime volgari quando, mancando la riproduzione della Società filologica romana, ho dovuto valermi della stampa Comparetti-D’Ancona. [p. cclxv modifica]305 (1), come quelli che meglio rappresentano In tradizione poetica corrente al tempo di Dante; e allato a questi testi di poesia, per avere testiinouiauze sicure sull'uso prosastico della fine del sec. xiii, i Capitoli della Compagnia di S. Gilio del 1284 c. (cori. Palat. 1172 della Nazionale di Firenze), gli Statuti della Compagnia di 8. Maria del Carmine del 1280, con aggiunte sino al 1298 (cod. Magi. VIII 1493), le Rubriche tuli' Ufficio dei Priori dei 1319 (Archivio di Stato fiorentino, Ordinamenti di Giustizia «od. II), e la Cronica fiorentina della 2* metà del sec. xm attribuita a Brunetto Latini (2). Altri testi e scritture varie sì di prosa e sì di poesia, riscontrate qua e là per speciali bisogni, indicherò a piè di pagina (3). E passo a render conto ordinato del mio esame.

(1) Seguo In pubblicazione fattane nel Propugnatore da M. Molteni od E. Monaci, o l’indico con la sigla Kc.

(2) Pubbl. da P. Villari nel 2° volume dei Primi due secoli della storia di Firenze, Firenze, Sansoni, 1893-4.

(3) Per 1* UBO poetico ho tenuto presento anche II Canzoniere Laurenziano Mediano 9 pubblio, por cura di T. Casini, Bologna, Romagnoli, 1900; la 1n parte dello Rime antiche italiane secondo la lezione del cod. Vaticano 3214 e del cod. Casanatense d. v. 5, pubbl. per cura di M. Pclaez, Bologna, Ro- magnoli-DalTAcqua, 1895, perchè il cod. Vaticano, sebbene scritto nel seo. xvi, par copia fedele di un manoscritto assai antico; Il Canzoniere Vaticano Barberino lat. 3953 (già Barb. XLV 47) pubbl. per cura di G. Lega.

Bologna, Romagnoli-Doli'Acqua, 1905; le Rime di Fra Ouittone d’Aresso a cura di F. Pellegrini, Bologna, Romagnoli-Dati’ Acqua, 1901. Assai conto ho fatto anche del Fiore, ohe il Mazzoni ha dimostrato intere appartenere a Dante, tauto più cho, dato la scarsa diffusione di esso, è probabile che il Ms. cho ce lo conserva poco si allontuui dall’autografo. Accanto al Te- soretto di Brunetto Latini, pel (piale ho approfittato dello studio promesso dal Wieso alla sua edizione (ZeiUehrift fUr rom. Philoì., VII), ho ricercato con fiducia anche i codici piii antichi della Itettorica del medesimo autore, che si hanno nella Nazionale di Firenze, li iv 124 (Rett1) o II rv 127 (RettT). Gli altri testi chi mo consultati sono: i Frammenti di un libro di banchieri fiorentini scritti iu rolgare nel 1211, nel Giorn. stor. d. leti. ital., X, 161 e ss. ; / Documenti d’Amore di Francesco da Barberino, nella vecchia edizione doli* Ubai din i e in quella della Società tilologica Romana in corso di stampa ; Il Canzoniere di Francesco Petrarca riprodotto letteralmente dal Cod. Vat. Iaiì. 3195 a cura di E. Modigliani, Roma, presso la Società Filologica Romana, 1904; Il Tesoro rersificato, ossia gli estratti pubblicatine dal D’Ancona nelle Memorie dclVAocad. dei Lincei, s. IV, voi. IV, p. I, Roma 1889; VIntelligenza, nell* ediziono di P. Gollrich (Die Intelligenza, ein altital. Gedicht, Breslan 1888); lo Statuto dclV Arte di Calimala, noi 3° voi.

della Storia dei Comuni di P. Emiliani-Giudici, Firenze 1864-06; lo Lettere di Fra Guittone dfArezzo, Roma 1745; la traduzione della Consolazùnie di Itoezio l’atta da Alberto della Piacentina (cito il codice l^aur. XC s. 125); [p. cclxvi modifica]CCI.X INTRODUZIONE SUONI , VOCALI TONICHE • »

1. A. - grave o grevcl Nella Commedia, in rima, 1’ una e l’altra forma (einque volte contro tre); nella Vita Nuova concordano in grave i quattro Mas. completi, salvo cbe in XIII «3, dove soltanto S ha greue. Anche nel Tesoretto (Wieso 252) prevale grave.

2. E. - recta tutte e (lue le volte (V 1 e 2) in S e To ; M vieta solo nel primo caso, e K nel secondo. 11 solito gitta (XIX 9) é dato concordemente dai quattro codici, gitto (XXXIX 10) soltanto da M e To, benché sia voluto dalla rima.

3. E o IE? - Quasi costante In M la forma non dittongata, ma a ciò era portato dal suo dialetto ; e lo stesso può credersi per 0 die ha, in poesia, due volte penserò e una volta pernierò, e pur in poesia uen e deuen. In K e S urne e uiene, uetii e uieni, auene e auiene, contiene e contitene, e così penserò e pensiero, pense-ri e pensieri, tauto in prosa quanto in poesia; se non che in quella predominano lo forme dittongate, il contrario nell*altra (Tosta perle dittongate). Di (era, erat. solo due casi in K (IX 1 dantera e XXII 1 colui Ghiera stato) c uno iu S (IX 11 oue (era). Concordano K S pel dittongo, contro M, in lieui, ut intieri mestieri (Rubriche uff’. Priori 72b: « non uadauo a morti» onoro am ostiere »), bricue, tnema (To trema, ina per le altre voci ha aneli’esso il dittongo). Ha preghi una volta su duo anche 8; K tutte due le volte prieghi, e così To; per prego invece, nome e verbo, in prosa e in poesia, stanno K S M, e solo lo Epistole iVOvidio volgarizzato, socondo il cod. Laur. Gadd. 71 ; I vùtggi di Marco Polo, od. Bnrtoli, Firenze 1863 ; lo Prediche inedite del b. Giordano da Rivolto, od. Narducci, Bologna, Romagnoli, 1867; lo Novelle antiche, ed.

Biagi, Firenze, Sansoni, 1880; / Fioretti di 8. Francesco, ed. Passerini, Firenze, Sansoni, 1903; VArrighetto, Prato 1841. Degli studi di cui mi son giovato ricorderò: Le Origini della lingua poetica italiana del Caix, Firenze 1880; Lo rimo e i vocaboli in rima nello I). C. di E. G. Parodi, nel Bull, della Soc. Dantesco Ital., Ili, 81-166; F. Giannuzzi-Savelli, Arcaismi nelle rime del retrarco, negli Studi di ftlol. romanza, voi. Vili, fase. 21 ; E. G. Parodi, Introduzione al Tristano Rieeardiano (pp. CXXIX-CCX : La lingua del codice Riccardiano), Bologna, Romagnoli-Da11'Acqua, 1896; P. Rujna, Osserva/doni fonologiche a proposito ili un manoscritto della Biblioteca Magliobechiona, no!

Propugnatore, 1* s., voi. V ; F. No vati o F. Sensi, Relazione al VI Congresso storico ital. sul temo I ecc., negli Atti del VI Congresso stor. ital., pp. 70-85, e piìt correttamente in estratto, Soma 1896; P. Rajna, Introduzione alla sua odiz. critica del De Vulg. Eloq., Firenze 1896, per il capitolo sull'ortografia (pp. cxliv-cxcv). [p. cclxvii modifica]

COLSI To por priego. E To ha anello preghiero e fier in poesia, ina K 8 M pregherò (M pregerò) e fere: tntti feron, 8 ha chierer e To chieder, ma K concorda con M in eherer; o S ha anche chiesta, iu poesia, ma gli altri tre chcsUt, che era anche della prosa (cfr. Rubriche cit. 73* richeste relazioni, 74* richesH). S mei spiriti (XIV 5 in prosa), K spiriti tinti (XIV 8 in prosa), M dileeU mei (XIX 8 in poesia) ; ina generalmente miei dovunque. Quanto a mìo, solo meo core a IH 12 secondo K M (lacuna in 8) e a XXXVII S secondo K S, meo se- ffiiore secondo M a XII 10; ma poiché sono casi in poesia, P influenza della scuola sioilhina si può esser fatta sentire. l)eo è conservato come esclamazione in VII 4 da K S To (1) e in XXXVIII 2 da K, e da 8 in II 8, dove per il tono solenne cho ha ivi la citarono omerica, può stare. E lo mantengo medesimamente negli altri duo casi, perchè anche nel Tesoretto (Wiese 200) si osserva che Dio è costante quando si ricorda l’onnipotente, ma nello esclamazioni è dato dalla maggioranza dei codici ai deo. Di tutti i nostri testi è cria (XV 6, in poesia), da *rriea.

4. 0 od U07- Tendenza generale alle forme non dittongate nella poesia e alle dittongate nella prosa. Coni nel codice Laur. Red. 9 |>er le lettere e le canzoni di fra Guittone : « in queste il dittongo è l’eccezione, in quelle la regola» (Caix 79). S, soggetto più degli altri all’efficacia della pronuncia nativa, inclina assai alle forme dittongate anche in poesia, e con 8 gareggia To. Ma veniamo ai particolari. In poesia: core, cori (ci sono eccezioni in S e 0; core e cori usa pure il Petrarca, v. Giannuzzi-Savelli 5, Appel 163, e cfr.

pure Wiese 276), loco, foco (preferiti ancho dal Petrarca, Giannuzzi- Savelti 5, Appel 163), pose, dole (il Petrarca «sempre dole, quindici volte», Giannuzzi-Savelli 5), more (To in XXX1LI 6 muore), smore, e anche moia o mora (solo S muoia), noto, sono, omo (su sei volte fa eccezione due volte K, XIX 14 e XXI 2, e quattro volte, dove la parola occorro tronca, To; in Vat2 più spesso omo om, ma ancho uom). K M concordano ancho in trova, retroua, trouo, mono, bono-a, nono-a, proua (S ha lo prime quattro voci dittongate, ed è incerto per lo altro tre). Due volte fore e una fora in rima socondo tutti i codici, ma per entro il verso fuor fuori accanto a fori secondo K M, e sempre fuor secondo S To : anche il Petrarca in rima ammette soltanto la forma non dittongata, e l’una e l’altra nel verso. Costante in S può puote; negli altri si trovano (o in K e M prevalgono) po potè accanto alle fonile dittongate. C’ è grande in- • (1) In To veramente l’o è espunto, ma il trascrittore espunge regolarmente in poesia le lettere cho formerebbero late o rollerebbero la misura del verso, per avvertirò «rito non vuuno pronunziate.

CCLXII INTRODU [p. cclxviii modifica]ZIONE certezza su questo punto: in Vat- può puote allato e più spesso di po potè) in prevalgono le forme non dittongate; nel Petrarca «consueto è po acc. a potè; di rado può.... e puote..., e sempre di mano del copista » (Giannuzzi-Savelli 5). Abbiamo duolo in tutti i nostri codici, ancho in 0, e così riscuoto ; per figliuola (XXXI 17) fa eccezione M, che ha anche in prosa figliola. In prosa: Costante si può diro in K M S propunsi (su venticinque casi un nolo pi'oposi in M) ; e K S concordano pure per riepuosi. rispuose, mentre M a un caso con dittongo ne contrappone uuo senza (pi'opuosi, rispuosi anche in 0, ma rari son rimasti in To i dittonghi). Su veutotto casi ho contato per cuore una sola eccezione al dittongamento in K, sei in S, quindici iu M, nessuna in To ; cuori, tre volte, in tutti e quattro.

Incertezza è in K S M fra buono,-a e hono,-u, nuoua e nona: solo To ha sempre il dittongo. E dii pure costantemente uomo, ma negli altri c1 è un po’ d’oscillazione, con prevalenza però della forma dittongata : anche 0 nel caso che presenta, ha huomo. Al plurale tutti huominì, tranne che S in XXII 3 legge kuomini con liomini (cfr. anche Wiese 278).

5. I. - M solecito, ma K S To sollicito, che è la forma usuale (sol- licito, so Ilici tornente, sallici tare) nel Convivio e nelle altre scritture fiorentine da noi riscontrate. K To messo (Vili 5), ma S miso, M viisso: cfr. Inf. XXVI 54, Par. VII 21.

6. U. - In XX 7 produtti è lezione di tutti i codici. M ha due volte condutto (nella D. C. in rima sempre condotto), e in XIX 9 Mimmo, ma è da credersi, almeno condutto, per influenza del suo dialetto.

7. Dittonghi. - lauda K e laude S M To in XIX 4, cioè in poesia ; e poco appresso, pure in poesia (XIX 13), K M To loda, ma S e Vat2 laude: in altri quattro casi di prosa loda iu tutti concordemente.

Non esito a scriver (ire in XXIIT 24, quantunque K S abbiano arie.

M S aire e To aere. Il Caix ($ 86) dice che aire « dovettero scrivere Dante e Cino, benché le stampe diano are »; ma la pronunzia, in rima con tremare, doveva essere are, e anche questa scrizione era allora usata (Vat. 3793, n° ccxlij, Chiaro Davauzati, « la chiara ara sereua»; Kc 96, Cavalcanti, «1 are», in rima con parlare; Barb.

XLV 47, n 138 «1 are», in rima con apare).

VOCALI ATONE 8. A. - Al } XVI 9 gucrire, in poesia, è di tutti i codici.

9. E. - La spiccata tendenza del dialetto di M a conservare l'c nelle protoniche e nei prefìssi ci deve far diffidare di quel codice.

Tuttavia 1? e rimane inalterata in parecchie voci anche secondo K : [p. cclxix modifica]in poesia, respecto, destructo (acc. a distructo), reguarda (ma riguardo), reguardin, retroua, reman (ma anche riman), remasi, rescriua, securtate (in prosa sicurtade, sicurta, secondo tutti); e in prosa, reuerençia, remedio, defectiuamente. Consimili casi offre 8 : destrutto acc. a distrutto (ma non nel medesimo luogo di K), reman acc. a rimati, in poesia, e disdegnoso, rcprcnsione, fenestra in prosa; e audio in To troviamo reiterano v remedio: sempre restare, restate restaste secondo K S M, ri- secondo To, Merita speciale considerazione il pronome me, proclitico: II 7 me conuenia M S, IX 1 ttw comistme K M 8, XIX 16 aie pnre K (a wie jwir* 8), XXI II 1 me connenia K, XXIV 2 me parca K 8, ibid. cheme non parea K, olismo non pareo M (che inm e non parca 8), 10 me parca K M 8. XXVII 2 me parea 8. Il trovarsi me così unito nei diversi codici soltanto con convenia e pareo (M lui tinche me sta XXVII 3, ma a lui è da far poco caso) gli aggiungo eredito, parendo dintcilo che tale restrizione provenga dai copisti (cfr. Vat2, nella canz. ‘ Donne che avete ’, XIX 8, quanto me piace) e gli accrescono autorità anche certe altre formule consimili come: XII 16 chellei sapertiene K, ehollci si per- tiene 8; XVIII 6 rispondendo lei M S (cfr. Kc 25 chellei parea % 27 partir tei contiene: cfr. Caix 118-120 e 211-2, e Parodi,.// Tristano ricc.l0 ci.xvii). E Tubo letterario (cfr. Cai?: 58-61) consiglia d’accettare nulla fedo di K anche me conforto XXXI 14, e me ricorda tanto in XXXI 4 quanto in XXXI 8 (veramente K lo conserva soltanto nel primo caso, cioè nella divisione, ma appunto perchè ivi cade in una citazione mozza, meno facile era al copista scostarsi dall’originale), e così de ben XIX 11, do pietà (XXII 9), XXXV 1 de fore (Rett2 3d de natura, 4‘ de bestie 7 de fiere). Preferisco anche, perchè più letterario, meschino dato da K To, invece ili mischino. Quanto a segnare signore, K 8 M danno ambedue le forme in proporzione quasi uguale, così per signorìa signoreggiare (To sempre si-); nè so indurmi a metter costauza dove l'uso era generalmente tanto incerto: lo stesso Petrarca ha nella parte autografa del Canzoniere segnare e segnoria acc. a si-. Anche segnare era d’uso comune, ed è costante nei Capitoli di 8. Grillo e quasi costante nelle Rubriche dell’ Uflìcio dei Priori. Incerti sono K .S per desiderio (M sempre desiderio, To disi derio) ; al pi. K 8 M desidèri e To di si dé ri : tutti d’accordo in di- sidero e nei poetici disiata, disiri (anche 0). disira e, meno M, in disirc, disio, disia; disiderassero, disiderando in K To. Sicuro può dirsi diterminata (K S To, e cfr. Convivio 15b diterminato, 35* diterminare, 40’ diterminatc) e diffinita indiffinita (anche nel latino medievale diffinio e non dcjinio, Rajna, De v. EU, p. elxxviii) : designandole in XXXI 7 non ha altro fondamento che K (designandole M S, disegnandole To). Tutti solauate e maladecti. K To raguardandolo [p. cclxx modifica]CCLXiV e To ancho raguardaiia, ma provalo in tutti per lo voci di questo verbo rig-. K S (To asemprare o asemplare (M di | sciupi are) , nyi in nessun codice asemplo. Qualche caso di pietosa e pia tosavi ente in S o in M (piatosa anche iu 0), e in B anche un piata sperso fra innumerevoli pietà, piotate, -àc (anche 0 piotate). Tutti e sempre giovane, tranne To in XIX 18, ove si legge gioitine. - Costante è do- nello voci del verbo domandare in K, e anche 0 ha domandauano e domandato; ma in M S si trova di-, de- in numero quasi pari a do-, e anche in To non mancano casi di di-. K To uolontieri nei $ XII e XXXI e uolentieri nel $ XXII, M uolontieri, S uolentieri.

In M dilessi o deureste, ma può esserci influenza del dialetto del copista (Caix 66) ; K S To dovessi e douresti. K bietta e sette volte bieltate, -de, contro due bcltatef e bieltate anche 0 in XXXIU 8 o bieltade in XXVI 10; ma negli altri codici si sostituiscono le formo più comuni: M beltà, otto volte beliate, -de, o una volta sola biaU tade ; S beltà, due volte bilia e sette biltote, -de ; To sempre hi Ita te o bilta. In Vat2, invece, come in K : 806 i Donne che avete 307, 309 biella, 309, 310 bieltate ; e cfr. Caix 67, $ 27. - In postonica: angiolo in II 8, ma angelo iu XXXIV 1, secondo tutti i Mss.; per an- geli, su sei cari duo soli angioli in S, che ha, lo sappiamo, tendenza alle forme più volgari.

10. 1.- Conservato in dìctatori (anche da O; Rett-.1 * 2 sempre dictarc, diciatti, dictatori), litterati (M To leetcrati; anche in Convivio licterati, liv ter ut a, lictcralc), inimica (XIII 6; ma nemica, quattro volte - tranne che ini una, XIII 10, M To leggono inimica - e nemico).

K due volte tristitia e sei trestitiar S Irò contro cinque, M To sempre tristitia, 0 tristitia e (restia (= tres[ti]tia); K To, due volte, mestiere, oscillanti gli altri testi; in XXIII 10 K To mestieri, esequie, M misteri, S mistieri (Rubr. Uff. Priori 72b «non nudano.... a mestiere»); K To degno, cioè 1 degnò', e degnato, M digno di ugnato, S digito (manca l’altra voce); K S To dengnamente, M di guarnente. Prevalgono in K M uertu, uertute ecc., ma non in S e To (anche O nirtute; in Vat2 sempre uertu uertute uertudiosa) : nei Ire esempi di uirtuosamente solo K lia uertuos-, K dà uergilio, S àgi Ho, gli altri uirgitio (ancho O); in Convivio l’uua e l’altra forma; nella Commedia prevale la seconda, ossia, per quel tempo, la dotta (cfr. R. Sabbadini, Dante scriverà « Virgilio » o « Verg ilio », iu Gioru. stor. d. lett. ital., XXXV 456).

Costanti maraniglia e simili in K e To e quasi costanti negli altri ; simigliatila in tutti e quattro, ma similiante solo in M 0 To (Convivio 34'1 si migliati temente). In XI 2 deboletti secondo tutti i testi; e anche iu III 7 deboletto può accettarsi sull’autorità di K e di To, benché M legga debelecto (in S manca il passo); e si può accettar debole nei due casi ove tutti e quattro i testi leggono a quel modo, ORTOGRAFIA CGLXV [p. cclxxi modifica]nonostante che a XXIII 3, dove S M hanno debilitata e To dvboletta, K rechi debile. Anche in Kc ai trova, «ce. a debile o debilmente, debole o deboletti. Accetto poro in II 4 menimi dato da K 8, contro il menomi di M To : mirabolc iu XTV 4 ha contro so S M To.

11. 0. - In prosa conosciuto, ma in poesia VT1I 10 K 8 conosciute, XXIII 22 K O conoscenza e M caunosciensa. Il Casini (Vita Nuova, p. 212) attornia esser conosciute un « arcaismo già smesso a’ tempi di Danto»; ma i numerosi esempi che ne troviamo in K° in poeti del Dolco Ht.il nuovo, o nelle rime stesse di Dante non comprese nella Vita Nuova, ci rassicurano.

12. U. - In tutti i testi: sustan^ia, -pie, suggello, nebuletla, fabuloso, tributaci one (Convivio 30° tribulationi); K S To circumdaua, e K S sinché uoeabulo. Tatti nutrimento, nui notrica secondo K S in poesia (ofr. Caix 94, $ (il; ancho in Vat2 notricha, più volto); uoUjare, h, più volto, in tutti, tranne in XII 5 dove M, seguendo il suo dialetto, ha uuolgari e S uuJgari (Convivio 4* uulgare); o secondo K 8 anche diuolgata. Sofficiente è dato solo da K (era d’uso comune: Etibr. Uff. Priori 70“; Capii, di S. Gilio 16% 21*, 35b; Stat. Art. Calmisi a 188; Kc 71, Lapo Gianni, o 61, Lupo Uberti ; in Convivio sofficiente 14b, 30b, 34'1 acc. a insufficiente 39*. e s officiai temente 3£1, 8b, 17*, acc. a sufficientemente 6% 26% 29h, 39u); robrioa si trova solamente iu 8 (Rubr. Uff. Priori 70b robricha). K dà geso xpo, To ih*o xpo, S M ih’u xpo : forma comunissima in prosa e in rima era geso cristo ; ma appunto per questo sarà prudente attenersi albi meno volgare, poiché due copisti co la conservano.

13. Dittonghi. - K 8 M sempre laudare, laudato, -a, -</, laudabili (To laudeuoli), laudatore, così in verso, come in prosa; ma To sgarra qualche volta per lodare o lodata, anche in poesia. Anche audire si può dir© costaute per testimonianza dei tre primi (di To è da fare ancho qui meno conto), tranne il caso che sussegua allo preposizioni a e da, come II 9 utile audire, XIII 4 dolce audire, XXIII 16 amorosa cosa daudire (così anche 0), che divideremo in utile a udire, dolce a udire, amorosa cosa da udire, pur essendo possibile che qui l’a facesse doppio ufficio. Vero è che anche negli altri cani qualche testo fa eccezione: VII 7 8 sofferino dudire, XIX 22 K M potessero udire, XXII 4 M attendea anche udire (K To attendai udire anche); ma poiché nell’uso comune il dittongo in audire era perduto, possiamo accettarlo anche se è mantenuto da un codico solo. E perciò m’ induco ad accogliere in poesia audite in Vili 6, e quindi anche in VIII 7, sebtieno, in tutti e due i luoghi, soltanto M abbia il dittongo. Invece non accetto da 8, in XIX 10, aumilia, perché anche Vat2 ha la lezione comune agli altri, umilia, e perché aumiliare fu dell’uso volgare, con au- iu origine di due sillabe, come composto analogico con a(d). [p. cclxxii modifica]

CCLX.VJ INTROHUZIOKK In XXITI 24 K M To augelli, e anche 8, avendo angeli, fa supporre nel ano originale la forma dei primi tre. Pur in tutti è alare (XV* 9).

14. Finali. - confra si mantiene generalmente: XII 17 sontra me (To contro admc); XIV 12 K chon tramine, M conlrame, 8 catrame, To contra me; XV 2 K 8 M contra lui (To contro attui); XXV ti K M To contra coloro (8 contro acoloro), XXXVIII 6 tutti anitra quella; XXXIX 1 K 8 M contra questo (To contro adquesto); XXXIX 2 tutti contra la costanza, meno M che ha sansa. Non poca incertezza tra fora, fori, fore.

In Vili 5 e XXXIV 9 fore è sicuro per la rima, e coni fora in XXIII 22 ; in XIV 12 K M T danno fore in rima con aliare, e soltanto 8 fora in rima con allora : aliare, essendo della tradizione poetica (Kc 55 aliare: tremore, 68 fattore: amore; Vat. 3793, n' 254 alare: core) e più lontano dall’uso comune, è da preferirsi, e quindi anche foro.

In prosa abbiamo a XI 2 K fari, M fore, To fuori (in 8 manca la voce); a XLI 5 K To fuori, 8 M fore, a XXXV 1 K de fore, 8 di foie, M To difuori. In XXIV 7 K S To da lungi, M da lunga. M ha una volta quitte (cfr. Parad. XIV, 26), ma ordinariamente tutti quivi, ed è voce che ricorro molto di frequente. Si può invece accettare in XII 10 donante (: caute) sull’autorità di K M, anche ne 8 ha davanti (: canti); To aveva scritto prima dauantc, ma corresHe Po in t. po- neudo poi appresso canti. Anche in XII 14 To 8 danno avanti, ma K M aitante. 8 preferisco ogni a ogne, omne, amie (quindici contro cinque), M invece la desinenza -e (diciassette contro sette), K mantiene l’equilibrio tra l’ima e l’altra desinenza, To sempre ogni, 0 ogne, omne e ornai: Poscillaziono risalo secondo ogni probabilità sino all’originale. Non ò da toner conto di M per parcame (HI 3, XXVII 1) e per farue (XIX 9), quando gli altri hanno pareami e farui. 81 ha bone: II 9 K 8 M segnoreggiare me (To signoreggiarmi), XII 1 K S M partito me (To partitomi), XX 1 8 M pregare me (K To pregarmi), XXXVIII2 K Sconsolar me, M consolare mo (Toconsolarmi), XXXVIII3 8 M retrarre te (K non ti ittioli tu rifraiTe, To non vuoi tu ritrarti) ; senonchò qui è dubbio se il pronome sia veramente enclitico, o non stia piuttosto a sò, come in posizione enfatica: cfr. nella stessa Vita Nuova : XXX 2 volesse me riprendere, XXVI 1 coreano per vedere lei, XXXVII 2 che non mira voi, e nel Convivio: I 2 del non sapere bene sè menare, I 10 mossimi pi'ima per magnificare lui, II 12 quelli vlie intendano to bene, III 8 è più laudabile l'uomo che drizza se e reggo sè nialnattirato contro all* impeto della natura, III 12 la cagione che mosse me a questa canzone, ecc. Certo, non si può escludere che Dante intendesse scrivere e leggere, tutto intero, segnoreggidreme, retrdr- rcte ecc. (cfr. unni. 45), o, pur scrivendo a questo modo, leggesse segnoreggiarme, retrarte ecc.; ma nell’incertezza manteniamo la grafia che prevale nei codici. [p. cclxxiii modifica]

ORTOGRAFIA CCLXV1I CONSONANTI Continuo. 15. RJ. - KM matcra di fronte a materia come otto sta a tre; S predilige materia (sette contro quattro); To una volta sola inalerà, in poesia (# XIII). D’accordo tutti in XX 7 come forma materia e in XXX 1 entrata della nuova materia. Su otto casi di desiderio o disiderio 8 ha desidero in XV 2, To in tre luoghi di prosa e nell'unico di poesia a XXXVI 5. M legge contraro in XXXVili 6, ma aneli’osso contrario poco innanzi e contraria in XII 6. Tutti e sempre memoria.

16. TJ. - Non è da aver dubbio su specialmente, che è di tutti i codici iu tutti i casi; e così sempre, come anche specie, spettale ecc., si legge in Convivio, St. Carmine, Rubr. Uff. Priori, Capit. 3. Gilio, Cron. fior., Rett2. Ma accetto <jiudicio (K To; iudicio S) invece del iuditio di M, quantuuque anche iu Convivio accanto all1 una desinenza s’abbia l’altra (cfr. Rajna, De v. El., p. clxv). Sempre servigio in tutti i testi (anche in 0); ma in XIX 15 è pur di tutti seruipiale o scrvitiale (cfr. Vat. 8793, n° cclxxxvij, Monte, amici parenti seruiziali), e non c’è ragione d’allontanarsi dai Mss.

17. DJ. - appoia (: gioia, noia. moia). In Dante stesso poia (: piota, troia) nel son. 4 Degno vi fa ’, e rata nella D. C. (cfr. Parodi, La rima ecc. 99; e Kc 70 Lapo Gianni sappoia, 136 Cino mappoio, 190 Cino appoia). Costante ueggio, fuggendo, ecc.

18. NJ. - D’accordo i quattro codici in uengno, tranne un caso dove S legge nengo; tengno dato da tutti iu XII 7, con oscillazione negli altri casi, per allontanamento, è da credersi, dei singoli copisti da n, perchè anche in rima con disdegno M S hanno tengo. Anche in XXII 11 uegnono è conservato solo da S (e dal suo affine V); rimagliano è dato in XIV 14 da To (M remag0 \ /io) e in XXII 2 da M (Ini*. Vili 34 rimango in rima). Cfr. nmn. 37.

19. NTJ. - Sicure baldanza, lamentanti, doctatqa, mancanza, sembianza, speranza, erronea, usanza; ma s’ha incertezza grande in quelle di derivazione latina pel dubbio se l’esito -tia abbia un valore puramente ortografico o si pronunziasse verameute sia ; e sant da distinguere caso da caso; cioè parola da parola, se più dotta o più popolare; e luogo da luogo, se d’intonazione narrativa e piana o dottrinale e solenne. K predilige gli esiti -pia, -tia ; S To invece -za, -pai M sta iu fra due.

20. LJ. - K To uolglicndo ; S M uolendo.

21. CL. - K S M clama (XIX 7, 15, 17 nella frase angelo clama, e così anche Vat2 (To chiama); ma poi tranne che M ha clamasse iu XXIII13, in prosa, in tutti gli altri casi, e sono moltissimi, in prosa e in poesia, si ha chiamare, chiamo, chiamava ccc. M ha anche cotwlttdisse (XXII 7), ma un’altra voltaconchiudissc; K STo sempre conchiudessey~i. [p. cclxxiv modifica]

OCLXVII!

INTRODUZIONE 22. PL. - K sempiei, ma To M semplici (in S manca il passo).

23. BL. - D’accordo KSMa legger blasmare iu poesia c biasimarla' o Ifiocinarla nella divisione relativa (To biasmar e biasimarla). L’esito bla- ò della tradizione poetica: cfr. Kv* 5 biadino, bla smorta (Guiuizelli); 24 blasmata, 25 blasmar, 41 blasmato (Dante); 42 blasmo, 45 blasmar (Cino), ecc.; e nella divisione sarà come conseguenza dell’uso fattone in poesia (anche in XVIII 2 M biasiminole, ma è in prosa, e in XXIII 7 lo stesso codice ha pure bianchissima). K anche ascmbla (XXXIII 5)j ma ò in rima con rimembra, e dovremo dunque stare all'ascmbra di S M To. M ha una volta (VIII 6) su quattro sembianza, ma K S To sempre sembianza (cfr. Wiese 307).

24. PL. - Tutti e sempre esemplo (anche Vat*), e S M anche asem- plarc, laddove K legge ascntprarlc e To asemprare. Non ci maraviglia in 8 prora, prorarc, riaprendo, ma stiamo con gli altri che hanno il nesso pi- intatto (cfr. Caix 141, $ 112).

25. FL. - Accetto in poesia (XIX 12) da S M infiammati (anche Vat2 ha quivi stesso affamali)» Tutti però, in prosa, jftamttM, fi ama.

20. IL - Inalterato in peregrino,-i, tranne che una volta su sedici in K e due volte in 8 (anche To pellegrino soltanto in IX 9). K M eherer, S chiei'cr, e nolo To chieder, iu poesia (XIII 8). Tutti proprietà in Vili 10; K anche propia e propi acc. a proprie propria mente, e 8 invece propie propiamente acc. a propria e propri ; M non perde mai la r; To sempre, eccetto una voltai per jrropria.

27. V. - Su sette casi K ha cinque volte boce e due noce; S invece una volta Soltanto baco e sei noce; To boce duo volte, in prosa; 0 sempre voce. Anche M dà una volta boce ; ma come non ò da credere che l’abbia introdotto il suo copista, non bisogna d’altra parte dedurre che provenga perciò proprio dall’originale di Dante: può essere stata introdotta in qualche copia intermedia. Facile doveva essere ad amanuensi fiorentini la sostituzione della forma più popolare, e mantenerla poi. In Convivio 20 , 31b, 81d sempre voce, ed è probabile che Dante abbia preferito la forma più prossima al latino. K annoale, ma lo sviluppo di v, per togliere Piato, ò attestato da 8 M To.

28.. N. - In II 7 K S M dispongala, e soltanto To disposata ; ma in XIV 3 anche M 8 leggono come To (K disposta). M dà anche tratte firmamento e M To trans figurai ione.

29. MN. - K 8 ogni ogne in prevalenza su omne onne: K diciannove contro sei, S diciannove contro uno. M dieci il contro 14 mn o imi ; e anche 0 acc. a ogne dà omne e omni. To sempre ogni. Omne sarà un pura grafia, ma onne può accettarsi quando la testimonianza dei Mss. lo consigli, acc. a ogni, ogne (Cap. S. Gilio ogne ongne, St. Cannine ongne). [p. cclxxv modifica]

ORTOGRAFIA OCLXIX Esplosive. 30. C. - luogo in prosa e loco in poesia secondo tutti i Ms». (nuche 0); e così, in poesia, locata. * 31. CR. — Accetto secreto secondo S M nei cinque casi cho occorre (To in XVITI 1 secreto, ma negli altri passi segreto, come sempre K).

S ha anche due lacrime contro sette lagrime, e un lacrimando su tre lagrimando e uu lacrimato : ma K M preferiscono la gutturale media costantemente, e anche To, che ha un solo lacrimare contro sette lagrimare e sempre lagrime, lagrimando, lagrimato : non si può pensare a una sostituzione così generale da parte dei copisti della sonora alla sorda. Anche il Petrarca lagrime sempre, benché, di solito, lacrimoso.

32. CS. - K lassai (XXIII18), lassate (XXXI 10), lasciato (XXXI9), in poesia, e pure in prosa lassando (XXVI 8), acc. a lasciai, lasciato, lascia, lascio, lasciò. Anche S lassando, ma negli altri oasi sempre k, e così sempre M To (iu quest1 ultimo manca però il passo ove occorre lassando). Poiché lassare ecc. erano forme della tradizione poetica, si possono accettare, specialmente quando abbiano il conforto di Mss.

tloroutini, alieni da quelle forme.

33. l^. - Accettiamo seguente,A sull’autorità di 8 M e per sequenti anche di K. To seguente,-i.

34. G. - S lunga mente (XXVII 2 e 3, in poesia), ma K M lungi amente. 0 To lui^giamente nella citazione che ò fatta della poesia in Ano della ragione, lungamente nella poesia stessa : nelle citazioni il copista, non sviato dal senso, rimane ordinariamente più fedele all* esemplare. Possiamo quindi accogliere con fiducia lungiamente, che ha anche il vantaggio di essere della tradizione poetica.

35. Ci. - Incerti ci lascia la sibilizzazione di c in (tolge dato da M in XII 12, potendo essere effetto così del dialetto umbro nel copista come della tradizione poetica nell’autore (Caix, $ 155; Wiese 319, Kc 157 Lapo Gianni dolfegga, 12 Cavalcanti dolcemente; Vat. 3214 n° 27 Cino dolgo). Negli altri quattro casi che questa voce ricorre in poesia, sempre dolce secondo tutti i testi (anche Vat- nella canz.i Donne che avete 1 dolce ; però altrove dolgo e dolgemcnte acc. alle forme non sibilanti); ma nelle prime iKiesie della Vita Nuora la tradizione poetica ha più efficacia. Anche in XIII 8 dolgore secondo tutti i testi : cfr. Par. XXX 42. Più francamente possiamo accettare mcrgede, che per quattro volte che occorre in poesia è costante in K e in To, e tre volte si ritrova in 8 e due iu M (anche in 0 mergede acc. a mercede); e nella tradizione poetica è comune.

36. Gl. - M fragile, anche in due casi nei quali la misura del verso vuole frale o al più fraile. Iji questi due casi K S To leggono frale: in prosa a IV 1 To dii ugualmente frale, K fraile, e 8 ò lacunoso. M anche regina, in tutti e tre i casi che ricorre ; ma qui CCLXX INT [p. cclxxvi modifica]RODUZIONE miche 8 coucorda duo volte con M, e una volta To (K sempre reina) • * 11 37. NGrE NGI. - Prevalenti giugnea, giù ugnerebbe, giun<fne, giungiti, tanto che potremo Accettar giugnemi colla sola autorità di 8.

Tutto però piangere, piange, ecc., eccetto To che ha anche in prosa e in poesia piagnere, piagni, piagnea, piagnendo, ecc. In XI 2 tutti e quattro i testi pingea.

38. J o Gl? - La tendenza dell-umbro a mantenere Tj. sia iniziale, sia mediano, ci fa diffidare di M, che solo ha iouane, tura da

  • giurare ’, tace, indicare. Jonanni, Jouanna; ma anche 8 ha con M

tacere e f«mi, c da solo (XV 4) ùria. Credo che in Toscana./ fosse generalmente una gialla etimologica con valore di 5/1, tanto che nella Cronica fior, si trova fin iustnm (p. 255) ridotto a givstum; e sarà quindi d’ordinario da preferire la scrizione 0». Non si può però escludere che in certe voci, che possono essere veri e propri latinismi, \'j non conservi il suo valore effettivo. Io ho mantenuto soltanto Jesu (nonostante che K dia gieso); ma non debbo tralasciare d’avvertir qui che dove K To hanno giudicio, congiunta, gius ti ti a, 8 M hanno iu- ditio o iudicio, coniunta, iustitia (institia anche O), e che se K ha due volte Geremia, e M a VII 7 Geremia e a XXX 1 Ver ernia, S To danno sempre Y&re*iia.

39. T. - Gli esiti dei nomi in -afe, -ufc si conservano iu poesia, tranne eccezioni, non volute dalla lima, in M e in 8 (M tre volte Anche fiade, cedendo al suo dialetto). In prosa invece sono costanti (tranne eccezioni in 8 M) gli esiti -ade, -ude. In K 8 M si nota la tendenza a preferire le fonile piene alle tronche, se non esiga diversa- mente la misura del verso; pure a*«ai tronche anche in prosa, special- mente per voci nsuali come pietà, umiltà, ecc. Quando all’esito -ade segua la preposizione di, K e, in assai minor misurai, 8 tendono alle forme tronche, ma M è assai costante in mantenere le piene. Accetto da K iu XIII 8 potestate, nonostante l’accordo di M 8 To iu podestate; ma iu XII 13 però conservo seruidorc, che mi ò dato da tutti i testi ed è comunissimo nella tradizione poetica. In XXV 7 parlatori è dato da K To; 8 M 0 hanno parladori.

40. TR. - Non mantengo patre e matre dato da M per la spiccata tendenza del dialetto umbro a quelle forme ; ma ni può accettare nutrimento da 8 To M, contro il mulrimento di K.

41. P. - In poesia savore e saueste (To solo sapeste): in prosa, tutte e duo le volte che occorre, sapere. Tutti, in poesia, courian (anche secondo O), e discourir ; e anche in prosa, nonostante un po’ d1 incertezza (IV 2 K ricovrire, 8 To M ricoprire; IX 13 K M disco- uri re, 8 To scovrire; XXIII 8 K To M courisserò, S coprissoro), il v sembra, per questo verbo, da preferire. In poesia soura (e così sempre [p. cclxxvii modifica]ORTOUKAFIA CCLXXI Kc in riine (li Dante); ma in prosa soprastare, sopragiunse. Mantengo par soverchio iu XI 3 e di soperchio in XIV 14 sulla concorde attestazione dei codici; souavhicuole non ha contro di sè che To.

ACCIDENTI GENERALI 42. Raddoppiamento delle consonanti. - Il codice che raddoppia più regolarmente è K ; meuo S, perchè da natura e per educazione non aveva sicura la percezione e la rappresentazione dei suoni : e meno ancora M, perchè « le doppie umbre sono meno energiche delle toscane, e furono quindi rese assai spesso colla scempia, anzi si può dire, per certi casi, sempre colla scempia » (Parodi, Jl Tri- ninno riccar diano, p. COvn); a To, che pure è regolare, è da prestare poca fede, i>erchè accomodato iu questo, come nel resto, all’uso del suo tempo.

a) L. - M alora, acc. ad allora (e così 0), solccito, uilano, beicene, bel issi ma, e per contrario gentelliseima ; ma gli altri testi regolarmente.

8 alegran sa. e Mf una volta su tre, aiegro, e quantunque tale scrizione sia frequente nei più antichi codici di rime, e particolarmente nel Vat. 3793 (Caix 135), pure assai per tempo prevalse la doppia, e noi possiamo liberamente accettarla con la maggioranza dei nostri codici. Manteniamo invece palido, che è di tutti e quattro i Mss., ed è quasi costante neLle scritturo volgari fra il Due e il Trecento (Convivio 45' palido, palido; Fiore 10 iinpalidito; Epist. d’Ovidio ltt jvalida; Son. Vat. 16 iinpalidito; Tesoro versificato 236 palido; I viaggi di Marco Polo 312 gente palido, Intelligenza st. 58 palida; Arrighetto 25 paUdezza; Fioretti di S. Francesco 207 palido, ecc.).

/>) M. - Non raddoppia quasi mai. E possiamo accettare senza difficoltà la scempia in femina, -e, dove i codici sono concordi, e in imaginatione, ìmaghie, imacinare ecc. (8 soltanto ha cinque inmagi- nationc contro otto t/ma-; due imaginare, un inmaginarc e in XXIII 26 anche lonymaginar, contro due imaginare ; inmaginando, in magi- nana acc. a ymagine, y magi no, ymaginare, ymaginai). Notevole cho in XXIII 26 anche To M abbiano lonmaginar. In Cino infama si trova in rima con ama; ma io ni’attengo a fiamma e a infiammati infiammati, perchè la doppia è primitiva ed è mantenuta da K M To, e anche da Vat2. Nell-incertezza che domina questa lettera, ho accettato cammino, sommosso e bestemmiava da K To (veramente anche To due volte su sei leggo camino), nm amonisco da S M To Vat2, e amonimento da K M (To admon-, 8 ammon-). Non sappiamo indurci a mantenere per la prima pers. pi tir. del perfetto e del condizionale la scempia, come portano i nostri codici (solo To ha potremo; ma aneli’esso udimo) e come, nonostante che nel Libro di banchieri fiorentini del 1211 [p. cclxxviii modifica]oclxxii INTROI)trZIONK 8fabbia spesso anche la doppia, porta l’oso generale del teuipo: sembra trattarsi di abitudine ortografica non rispondente alla realtà, o fora’anche di oscillazione reale Tra i due tipi ; ma poiché in Vat2 307 troviamo un esempio di raddoppia mento {metteremmo) nella canzone di risposta a Donne che avete, c nella stessa Commedia (Inf. Vili 121) abbiamo fummo, iu rima con summo, ci facciam forti di queste attestazioni dell’uso della doppia m, per adottarla lii dove scempia darebbe luogo ad equivoci, senza che d’altra parte si venisse ad avere la sicura rappresentazione d’ un fatto reale.

c) N. - Se non teniamo conto di S, che non sentiva la n, il raddoppiamento per questa lettera è regolarissimo. Anche innamorar (cfr. Caix 147, Giannuzzi-Savelli 15) è di tutti i codici. M, con S, ha anungi, ma K annunci e Tò adnunti ; innanzi è costante in K To, e prevale anche in M S.

/7) R. - S oranza, e anche To (così in Vat. 3793, n° 283 oranza, orato), ma K arranca e M horransa. Al trare, reirare (che pur erano dell’uso poetico; anche in Rubr. Ufi*. Priori 77u due volte ridure, cfr. Parad. XXVII 89), soride, soridendo, e smarimcnto, acc. a smarrimento e smarrita ; S soride ; ma la bilancia pende anche qui dal lato del raddoppiamelo.

«) T. - Al solito, qualche incertezza in He M. Tutti in III 11 aterfate (S però a questo punto ò lacunoso). M S eterno. eterna, eternate, e eterna anche K, ma K ecterno ed etti male, e To ecternn. ectenia, ecternale, secondo 1’ uso medievale più comune, anche latino (Convivio 22b, 28a ecternale, 22% 26* ecterno, 26% 26‘! evternalmente, 26a ecternita; Cron. fior. 231 etternale; Red. 9 n° II, Vili, XII, p. 6, 7, 23, 32, etternale ; Boezio 84'1 ectenia, etteimo ; e nel comm.

latino di Frane, da Barberino ai suoi Documenti dfAmore I 57, 328 etterna, ecc. Anche il Petrarca ha nella parte autografa del Canzoniere, c. 85b, seletterno gioue).

f) D. - Sempre adiuenne, adinenia ecc., e secondo tutti mador- mentai.

(1) S. - K asemprarle, S da semplare, To asemprare (M di | templare) : cfr. Kc 11 asemplai, 50 asemplata. E così K asembla, S M asenbra, To asembra; K SM ase(filerò, e To solo assegnerò. M rascmbre e To rasembri, ma K S rasscmbri; S M rasicurandovii, ma K To rassicurandomi ) S anche asale, e M asale, asalia, asaliuano, ma il primo ha fin preso per 1 presso ’ e il secondo disi per i dissi ’, e non si può quindi aver in loro molta fiducia.

h) Z. - Raddoppiata si può dir costantemente in K e in M (K ventiquattro volte su ventisei, M ventitré), e costantemente scempia in S, e anche in To. Sono abitudini grafiche diverse, ma il fatto fonetico é il medesimo. Anche O dù sempre la doppia.

ORTOGRAFIA [p. cclxxix modifica]CCLXXIII i) C.-K8 To fornendo (M, clic pure ha faccea, legge facendo), s faccendo prevale uelle scrittore ilei tempo (Fiore 62; Cron. fior. 228 - acc. a fadendo 253 -; Kc 8, 42, 284; Son. Vat. 52; Convivio 21° - acc. a facendo 26*, 40% 46d Cap. S. Gilio 7b satisfacdendo, Son.

Vat. facciendone; Convivio 13ri faccendoni, 18b faccendoni ; ecc.).

QC.- Per le voci del verbo accorgersi (eccetto To che sempre raddoppia, ed 0 che, nei pochi casi che presenta, ha acorte e acor- gendosi), i nostri Mus. con l’uso promiscuo della scempia e della doppia mostrano che non percepivano distintamente quel suono nò in un modo nè nell’altro: e poiché in K prevale hi doppia, e in XXXV 2, dove esso ha acorgendomi, S Al To leggono acc-, e per acorsi, se in IX 12 ha la scempia, iu XXXV 6 usa la doppia, e non soltanto esso e To, ma anche M; possiamo liberamente far uso del doppio c in tutti i casi. Non mi discosto però da K S M che danno concordi acompa- gnato, acompa<inata, acotnpagnarlo, tanto più che anche in To si trova acompagnata acc. ad accompagnata, e a | compagnarlo. E accetto da K S anche proccuriamo.

ni) G. - Quasi costante il raddoppiamento in K, assai più raro in S, prevale la scempia in M (anche in 0 : legero, uegendo, magiure, piogia). II 9 K regesse, ma S To, e anche M, colla doppia; XIX 21 agiungo secondo tutti. K dtitruggUricc, distruggitore, distruggendo*, To dì8Ìrugendo, ma lo prime due voci con la doppia ; S distruggi- trice, ma negli altri due casi, e M sempre, la scempia. K sempre maggiore,-i; To sei volte su sette, S cinque; in M è costante la scempia. Quanto a leggero, K S To in tutti e quattro i casi colla doppia, M colla scempia ; e hanno leggeramente o ìcggerntentc 111 4 K To (in S manca il passo), IX 8 K S To, XII 11 KS To, XIII 5 K, XIX 6 K S To Vat3. Noto ancora: K S To leggiadro, poggiai, ueggen- dosi, ueggendo, neggiono, ueggio (e una volta su tre ueggio anche M, e tutti e quattro i codici ueggioui); K To reggimento, disconfiggea; K S 8 ug getto.

n) G. - Tutti e quattro i codici aghiaccia (anche Vat2), e struggo, o) P, - D’accordo nel solito oppiatone e in aporta. È quasi un’eccezione la scempia in ajìparire, apparue ecc. (anche 0 appar- uer, appare); apimsso costante iu K To e prevalente in S (sedici contro nove), sempre apresso in M (e anche in 0); imi in M si trova anche apetito. K appostolo, ma non così M S To ; K To nappi ondo, M sapiendo, S sapendo.

p) B. - K S M abandona, abandono, aitando nata ; To abbandonata, ma nei primi due casi ha aneli’esso la scempia; e negli ultimi due, i soli che occorrano, l’ha anche 0 (Couvivio 16h abandonaic, 17* abandonando, 24b abandona, 25* abandonano, 25d abandonasse, 31c abati don asse ; Fiore 22 abandonata, 66 abandonare, 204 abati- 18 CCLXXIV INTRODUZIO [p. cclxxx modifica]NE donato ; Cronica fior. 247 abandonarono ; Son. Vat. 45 abandono ; Vat2 311 però abbandonato). K M 0 abisogna (S abisognio, in To ni Anca la voce: cfr. Convivio 80b abisogna); comune a K S M To ubidire (Vat2 311 ubidito ; Son. Vat. 1 ubidito, 9 ubidente, Rett2 26* obediente). K in XIX 10 obblia, ma S To M oblia (Vat2 rblia), e tutti e quattro obliare o obli eresie. S una volta e M due volte su tre dubio, e dubiosa, du- biose; ma K To dubbio, dubbiosa, dubbiose (Conv. 2'1 12'1 dubio, ma la prosa del Convivio è più latinoggiante). M tre volte labia, e così To iu XXVI 7, e una volta anche 0, acc. a labbia ; K S però sempre colla doppia. Cfr. Parodi, Il Tristano Biccardiano, p. clxvi.

q) V. - Sempre in K S M 0 scempio; auentura, auegna, auenne, (aduenne una sola volta su nove in S), anemia (in K aduenia una volta su due), allenisse, allenente, auersario (M però aduersario), To sempre aduentura, aduegna ecc.

r) F. - Grande incertezza por questa lettera. K so/risse acc. a soffersi, sofferse, sofferta ecc.; M so/cria te acc. a sofferite, sofferisse, soffersi, sofferse, sofferta, soffertilo; S so/erta, so/erse acc. a soffersi, soffrisse ecc.; To so/risse, ma negli altri casi sempre con la doppia (anche Vat2 so/risse 306; so/rire 308 310; soferire 311, acc. a sofferite 306, sofferendo 308, soffrendo 311). K saffatieha e affaticati, S To safatica acc. ad affaticati, M 8 afattica e afaticati. K diffinita e due volte indefinita ; S invece difinita (ma V diffinita), indijjinìta e indefinita; M di finita, indifft ni fìtta e indi finiti ua ; To diffinita e, tutte due le volte, indiffinila (Convivio 24c 30* difiìnitione, 27(1 28b 30* dif- finisce, 28b diffinire, 28° diffìnendo, ecc.; Stat. Art. Calimala 224 diffmitione, diffinire, dìffinito, diffmissono ; Boezio 84l di (finisce, diffinire; Rett., in aml>edue i codici, più volte diffìnitione, diffinita, diffinire, diffinitira, sebbene in Rett1 24* tre volte difinire; e anche in K° 37 difinisce, di finire, difinendo). Ma per diffinio anche l'ortografia latina portava la doppia f (cfr. Rajna, I>e v, El,, p. CLXXvm).

43. Raddoppiamenti sintattici. - La tendenza di tutti i nostri codici nou è al raddoppiamento sintattico: anche con consonanti iniziali ad esso favorevoli si ha generalmente la scempia, e solo in K S si trova arrotna, arragionare, insieme con a ragionare, e in K ennudo, annoia, tonnoia, chessono, essimulaua, assoluero, assentire, dassapcre; in S al lag ri mare, addire; in O attractare (in T si ha la scrizione adeignoreggiarmi, adpensare, adtractare, adbiasimarla, admolti, adcostui, adchiunque, aduoi, adse, ecc.). Più frequente avviene il raddoppiamento nell’incontro di particelle: allei, allui, alloro, dallei, tralloro ecc., e socialmente in K To chemmi, chessi, chette, chetti, cliettu, settu, ecc.; ma poiché anche in questi casi accanto ai raddoppiamenti troviamo la notazione scempiale per l'oscillazione dei testi in novanta casi singoli su cento sarebbe un tirare a iudovi- ORTOGRAFIA CCLXXV [p. cclxxxi modifica]nare, adottiamo generalmente la notazione scempia, lasciando, come nell'ortografia moderna avviene, alla pronunzia di produrre quell'oscillazione che non sappiamo esattamente rappresentare colla scrittura. Mantengo tuttavia due combinazioni, che son rimaste anche nell'ortografia moderna come due composti, acciò e giammai, perchè il primo mi è dato da tutti i testi in tutti i luoghi ove ricorre (sempre però staccato acciò da che, come anche però che), e il secondo da K S M To nell'unico caso che la Vita Nuova presenta (solo O già mai). Scrivo invece sì che, perchè non si trova mai raddoppiato, salvo rara eccezione in K S; e così sì come. Quanto all’articolo unito alle preposizioni, seguo la notazione scempia, perchè essa è in gran prevalenza in K S M O (per nella nelle in K S e per della in S prevale la doppia, ma auche la scempia è tutt’ altro che rara, e dele prevale su delle anche in S) : ad adottare tale sistema mi conforta anche il fatto che lo scempiamente dell’articolo è della tradizione poetica (Caix 189, 191, 199) e assai comune nell’uso fiorentino più antico (Framni. del 1211, Capit. S. Gilio, Stat. Carmine ecc.), e che il raddoppiamento cresce per opera dei copisti quanto più si procedo oltre nel sec. xiv. Mantengo pure le gialle recòmi, partisi, èsi, nomi- notami, datemi da K M (S To hanno la doppia) perchè, mentre non possono dar luogo ad equivoci, sembrano rispondere meglio all’uso del tempo, che mirava a conservare la distinzione etimologica delle parti ; donde le rime come fusi, Par. Ili 108 (cfr. Parodi, La rima ecc., 110).

Ma poiché in XII 13 tutti i testi hanno tmirassi, e in XXIII 20 dicerollo, non me no discosto ; e così per falli, falle, dille, dilloci.

44. Assimilazione di consonanti. - Non tengo conto di alcuni pochi casi d’assimilazione come illoro, illui ecc., trovando accanto a queste forme quelle dissimilate, e di rado concordando i testi nel porgere il caso d’assimilazione allo stesso luogo.

45. Sincope di vocali eco. - La tendenza alle forme piene che si nota specialmente nella prosa, ci consiglia di preferire nobilitò,-de, umilità occ. idle forme sincopate nobiltà, umiltà ecc., quando ci sorreggano i Mss. j e accetto auche cederebbe e donerebbe da S M (poterebbe Inf. VII 66) auerai da K S, auerci dal solo K. Leggo in XXIV 7 e in XXVI 7 un spirito, e non uno spirto; perchè nel primo caso K, e auche To, mi dà quella lezione, e M S tino spirito, che permette ambedue le soluzioni ; nel secondo la lezione eh’ io preferisco è data da M e da To, e gli altri teBti hanno l’incerta variante uno spirito. Anche in XXXVIli 10 prescelgo questi è un spiritei, jierchè così leggono K M To (S questi e uno), e perchè troppo forte è l’iato se questi è uno ha da valere nel verso solo tre sillabe. Ma preferisco, avendo due casi sicuri di vedestii (XXII 14, XXIII 20), leggere anche avrestù sul fondamento di K iu XV 1 (M auresutu ; 8 avresti risposto, uia V aurestu ; COLXXTI INTRODUZIONE [p. cclxxxii modifica]To auresti tu) e in XVIII 7 (M auresti operate tu, S aiteresti tu operate.

To auresti tu operate). Mi risolvo in XII 11 per leggeramente ti faria dimore, invece che per leggermente ti faria disonore, perchè se M ha disonore e 8 disonore, disnore è di K To, e K To M Imnno ìeg- gieramente e S leggiere mente; e leggieramente o leggiere mente è la forma costante dì K M, in prosa e in verso, e anche di S, salvo un caso (To in prosa un legieramente contro due leggermente), e disnore è, fuor della Vita Nuova, dell’ uso così poetico coinè prosastico. Questo esempio del $ XII e l’altro del XXIII 20 i pregava l’una l’altra umilmente ’, voluto dalla misura del verso, e l’accordo di tutti e quattro i codici in indifeneibi temente, intollcrabilemente, honoreuotemente ci incoraggiano ad accettare anche sensibilemente e mirali lem ente, poiché con M s’accorda l’uno o l’altro dei più antichi Mss. (To sempre mirabilmente) . Nè temo d’accettare quando s’accordano R8M, e tanto meglio se anche To, alcuno pensiero, alcuno amico, alcuno dubbio, e in genere l’articolo uno, e altri aggettivi come quello, grande, gentile ecc., sia davanti a vocale, sia davanti a consonante (per segno- reggiare me ecc., e pei dubbi che suscitano, v. n. 14); perchè tali forme pieno si trovano così frequenti nel verso (1), da non far maraviglia che talvolta si pronunciassero effettivamente anche nella prosa, specialmente iu una prosa poetica e di carattere letterario come quella della Vita Nuova ; e nel dubbie» è prudenza scostarsi il meno che si può dalla lettera dei codici.

46. Apocope^- Casi d’apocope si trovano in tutti i codici, ma radi e da farne poco conto. Tuttavia la maggior frequenza per alcune voci colpisce: ad es., per i*, io, che non è raro in K e in S e si trova qualche volta anche in M; per su', suo, che occorre in K sei volte, cinque delle quali in poesia; e per se’, sei, che è dato quattro volte da K M 8 (To puntila regolarmente le vocali che nella pronunzia del verso s’elidono; Vat2 in * Donne che avote’ largheggia in apocopi, ma è tendenza del copista, che arriva alle più sforzate elisioni: chonnaltrom per ‘che onne altro uomo ’, chu~ seruisono per i cui servo io sono ’, dimoron gnor anelino per 1 di- fi) Vat. 8793, n° ccxjv, In quello punto contro a mio volere; Antiche rime volgari, IV 50, Ih quello punto ohed io vi parlai ; Cavalcanti, 1 V prego voi In quello punto che madonna vide; Cino da Pistoia, ‘Deh Gherarduc- cio \ Dunque fa quello grazioso punto; Tesoro versif., 230, In quello tempo era in supremo onore; Guittone, Rime, I 41, n° XXV, Poi eh1 eo non posso in quello loco intrare ; Purg. II 76 lo vidi una di lor trarrai arante ; Guittone, Rime, I 6, n° ITI, v. 13, O desdegnar per fareme morire; I 52, n° XXXIII, v. 10, che ditevi coni1 eo cordlcmente, v. 13 de tlaremi, poi jriù non cher* ni chiamo ; eco. [p. cclxxxiii modifica]

ORTOGRAFIA CCLXXVII moro ongnora inclino ?). Iu XIX 13, so’ adornata è voluto dalla misura del verso, nè c’è ragione di mutare, come hanno fatto alcuni editori, adornata, che è di tutte le tradizioni, in ornata por evitare Vapocope in sono. Noterò per l’apostrofo che in tutti i codici s’ha lestrcme (VII 7), laltre (XIII 5, XVIU 8, XIX 15, XXXI 10, XXXVII 6), la dio (M già) XIX 10 per Me ha Dio ’; © anche Vat2 Indio), laparlato (M già ; XIX 10, per 4 le ha parlato ’, e anche Vat2 chilla parlato); Icra (XXXII 1 per 4 le era ’ ; Iv S To cosi anche iu XXIV 3, dove M ha li era).

47. Aferesi. - Aferesi comuni come mantenente, pistola, mattinare (cfr. nota a XXXI 14) si possono accettare senza scrupolo. Assai incertezza c’è fra intrametto e trametto: il pi imo è «lato in XVI 11 da K M, in XXII 17 da S, in XLI 9 da K.

48. Epitesi. - Agli ossitoni s’aggiunge talvolta, ma non uniformemente, un e, salvo che in To : sarà quindi da accettare con parsimonia. Più frequente e regolare èftie. None, non + e, solamente in S.

FORME ARTICOLO E NOME 49. Articolo. - Anche davanti a consonante non complicata assoluta preponderanza di lo ; pochi casi (se s’eccettua To) di il, specialmente in M 0 S: dopo per sempre lo, iu tutti i codici. In composizione del, dal, nel : de lo ecc. quasi per eccezione in K S; qualche caso di più in M 0, ma pochi. Nel plurale M 0 non conoscono che li, sia dinanzi a vocale, sia dinanzi a consonante (c’è solo in M un tra quali a III 14 e un gli davanti a vocale in XI 2); K sta pure per li, avendo soli undici gli davanti a vocale (in tutti uigi di X 2 è da vedere piuttosto la mancanza d’articolo òhe tutti i ui$i: cfr. Purg. II 55 da tutte parti, Convivio IV 7 con tutti quasi impedimenti, Stat. Art.

Calimala 196 siano tenuti i consoli.... esaminare tutte merci de*fiorentini che si vendono a peso) ; S non usa che gli dinanzi a vocale e u s complicato, ed ha ancho ventisette gli contro trentasei li davanti a consonante; To parecchi gli davanti a vocale e a consonante, ma conserva anche moltissimi li. Lo stesso avviene per li e gli in composizione con una preposizione: K ha soli setto casi di de = deli, uno dei quali voluto dal verso; S M hanno questo caso, o solo un altro, ma in luoghi differenti, sicché è da credere sia mutazione di copista (To lui parecchi de’, ma si sa che non è scrupoloso in questo minuzie). - Per un, uno, cfr. 45. Nella sostituzione di gli a. li in K S To si può vedere l’influenza del dialetto dei copisti ; ma c’è di più: se i gli davanti a consouante fossero stati nell’originale, neppnr M e 0 li avrebbero CCLXXYIII INTRODU [p. cclxxxiv modifica]ZIONK cambiati, perché gli era familiare all’umbro anche davanti a consonante semplice* Possiam quindi esser sicuri elio le forme che Dante ha preferite son quelle della tradizione poetica: lo e li, con qualche il dovuto al suo uso native), e un de' iu poesia voluto dal metro.

50. Nome. - Spene M e Vat-2, speme K S To. Il comunissimo loda in prosa secondo tutti i testi (anche 0), c così due volte uesta. In poesia, a XIX 4 M Vat2 To sua laude, S sue laude, K sua lauda : prevale dunque la desinenza -0, che è anche in sé più primitiva. In XIX 13 M K To hanno loda, ma S e Vat2 laude, e sarà anche qui da preferire. S stile, ma K M To stilo, come in Purg. XXIV 62 e in Par. XXIV 61, e in Convivio 29° : in tutti pregherò, voluto dalla rima (Caix 205; in Vat. 3793, u° 280 e 635 anche marauilglio, per maraviglia). Un po’ d'incertezza nel genere di fine, termine o scopo: nelle espressioni alla fine, dalla fine i quattro Mss. sono d’accordo; ma mentre K M, e anche To, hanno nel fine del mio proponimento (XIV 4), nel fine, di questa quinta parie (XLI 7), S ha nella fine ; e mentre in XVIII 4 K To leggono la fine (del mio amore) e M S lo fine, in XVIII 3 hanno K S M lo fine (di cotale amore) e To il fine: Concordano perù tutti in questa canzone.... dopo lo suo (To il suo) fine (XXXI 2). E concordano pure in de lo eneida (anche 0) le due volte che ricorro nel $ XXV (in Purg. XXI 97 invece DellfEneida....

la qual mamma 1Fummi ecc.). Il solito la labbia o labi a (XXVI 7, XXXI 16, XXXVI 4) ha dato luogo in M a le labbia nei primi due casi, ma nel terzo si mantiene in tutti i testi. Accanto a lo saluto, più spesso la salute (in XI 4 le salute, secondo tutti i codici). Ilo preferito generalmente poete a poeti, perchè K dà quattro -1 contro cinque -e, M tre -i contro sei -e, S otto -4 contro una -e, e 0, nella parte che rimane, solo un -i contro cinque -e (To sempre -i) : è da credersi che i copisti abbiano or qua or là sostituito la forma più comune (Inf. IX 127 eresiarche, XIX 113 idolatre, ecc.; cfr. Parodi, La rima ecc. 121, Caix 206-7). S ha nel pi. qualche caso di finale -1 per femminili in -a, e più ancora M; ma si spiegano facilmente con l’uso toscano e umbro (Parodi, La rima ecc. 121), senza farli risalire a Dante.

PRONOME 51. Pronome personale. - Qualche caso di eo in poesia, ora secondo K, ora secondo S; e in prosa, un eo intesi secondo M, un eo nolea dicere secondo O, e anche (IX 5) un co so, nato forse dalla congiunzione e, in S V (gli altri : difesa . r so). Tranne l’ultimo, saranno, credo, tutti da conservare, perchè i copisti tendevano a sostituire le forme più usuali, ed co invece è frequente nei rimatori ORTOGRAFIA [p. cclxxxv modifica]OOLXXfZ del 4 dolce ati) nuovo 1 e non disdice qua e là in una prosa come quella «Iella Vita Nuova. La torma più frequente della 3* pers. è elUy salvo S e To, che al solito (cfr. 49) preferiscono egli, mentre K di egli ne ha soltanto tre, e nessuno M (anche la Cron. fior, sempre olii). In XXXVIII 7 e 10 è richiesto dal verso ci, e*, e in queste forme appunto s’accordano i codici: altri due casi di e* in K possono essere riduzioni del copista. Al piar., M citi, K tre volte etti e una egli; S egli in poesia, eglino in prosa; To egli iu poesia, e in prosa essi. Sarà «la stare con eUi. (Allo stesso modo, S To quegli per 4 colui’ e 4 coloro ’, ma K e M quelli, e K in duo soli casi que*, pel sing.). Iu XXXVII 3 K in elio, di cosa (M S To in esso: cfr.

Parodi, La rima ecc. 122).

52. Pronome obliquo atono di 34 pers. - Anche qui S e To preferiscono gli a li pel dativo sing. e per l’acousativo plur., ma K M 0 non conoscono che U. Pel dativo femiu. quasi costante le: in due casi M ha invece li; e in altri due già, per 4 le ha *, dove K S hanno la, che può corrispondere a 4 le ha ’ (cfr. 46). In XII 4 K il conoscesse e To S il conoscessi, ma M lo conoscessi ; in XLI 4 K eh il fa e To ehi il fa, ma M chilo/a e S cliiì lo fa. In composizione, K glilc per 4 lo lo * e più modernamente 4 glielo ’, M Vie, S lek: To aveva scritto che egli le dica, poi aggiunse in margine con richiamo fra egli e le un glie; segno che ebbe davanti un chcglile come K, e che lo intese prima come un che egli le, ma accortosi poi dell7 errore lasciò stare egli e aggiunse in margine tanto da ridurre il gli le a gliele. Accettiamo li le, rifattosi di su li li, cioè di sulla forma unica per tutti i generi e i numeri, nata dall' unione di lo ecc.

col dativo li (cfr. Parodi, Il Tristano Ricc., CLXXi; Novelle antiche 111, Fecie una lettera o dicdeglile [a messer Rinieri]; 126, trovò uno [farsetto] e provoglile indosso [al martore].... mostrando d'acconci arlile da piedi....; 128, sì la domandò dove quelli stara. Quella lile disse tutto apunto; 136, Salomone lile fece [il fanciullo alla donna] riporre in braccio). Anche altri esempi provano che nell’ unione dei pronomi atoni è mantenuto l’uso più antico (Parodi, Giorn. stor.

d. lett. ital., X 189 ss., e Tristano Rieeard., clxx ss.): la mi, la ui, il si, lo ne ecc. (To adotta sei in XXXI 16). Ben è vero che si ha in XXII 9 secondo K S M To: Ditelmi donne che mil (M To mei) dice il core; ma poiché w p danno cheimi, ristabilisco in tutto il verso l’uso primitivo. Pare anche da accettarsi in XVI 7 il uènnemi, cioè non ne mi, me ne uiene, di S, e anche di C e Laur. XL 44 (M ucn- nirne, K To uienmene). Avverto qui anche che sine è dato tre volte da K e una da M (K- 11 si n*è accorta, 56 ui ne fate; Fiore 135 si n’è accorto, 140 si n9à l’anima portata; Tesoretto 1756 li ne ripretide, 2177 si ne ua ; Cron. fìorent. 238 si n’ empieo. 260 si ne dolca; Capit. [p. cclxxxvi modifica]

OCLXXX iNTHonrzroNK S. Gii io 5A scnon sine narra correnti ere, 26b se non si no rimanesse; ecc.): S To sempre se ne, . 1 53. Dimostrativi. - Da notarsi: XIX 2 K se stesso per*il femm.

sing. (S M To se stessa ; V però se stesso); XXXV 3 8 se stesso e K loro medesimo per il masoli, plur. (M To se stessi); XXVI 15 K 0 To loro medesimo per il femm. plur. (M solo loro medesime; 8 ha una lacuua, ma V loro medesmo), Anche in buoni codici della D. C.

ho notato se medesmo r se stesso per il femm. sing.; e così in Guittone, Lettere, 29, siate gelose di voi medesmo; Stat. di Calunnia 282 per loro medesimo (consoli) ; fra Giordano 25 dalla parte di noi medesimo (cfr. auche Frane, da Barberino, Doeum, dfAmore, ed. IJbal- dini, tavola, a ‘ se stesso’; Nannucci, Teorica dei Nomi, 322, 761).

54. Pronome e aggettivo indefinito. - K quattro volte su cinque altre per altri, pron. sing., ma par estraneo, come ho già detto, all’uso propriamente fiorentino. K neun ora, neun nemicho, ma gli altri codici nulla nolta, nullo nemico (cfr. Convivio 24 nullo e più amico, 6U 7° nulla cosa, 13a nullo nieya, 22’* nullo uiso, ecc.).

VERBO 55. Desinenze. - a) Presente indicativo e soggiuntivo. 2n sing.

ind., caute, in rima (XII 10), secondo K 8 M (To cernii : daiwnlj, ma Yj in * dananti 1 ò rifatto su un c) ; sconforto in XXIII 18 dato solo da S To, ma voluto dalla rima (: forte). In ire altri casi (XII 4, XXII 14, XXII 17), neirespressione perchè piangi tut9 1’ -e vien data soltanto da M, e stiamo quindi coi codici toscani, che se danno frequenti esempi di w» per la 1* coniugazione, raramente ne porgono per le altre (cfr. Parodi, La rima, 125-6). Si può invece accettare, nel congiuntivo, aggie portato da K (XII 15), laddove M To ha dgi e S abbi, e uade (XII 10) dato da K S. Un po’ d’incertezza lascia dichi, tu dica, perchè, su tre casi, in uno (XVIII 6) M, e in un altro (XIX 13) K M, hanno diche (cfr. Inf. XXV 6; ma Vat2 in XIX 13 dichi). In XII 7 comprendi è invece di tutti i testi. Non fa maraviglia nel fìorentinissimo S sacordono. di fronte al saccordano di K M To ; e neppure in VT1 6 celar e in XXXVI 5 consumar, per la 8* plur. indicativo, secondo K (cfr. Inf. III 40 cdceiarli i ci eli f e, per l’imperfetto, Purg. II 45; v. Bull, d, Soo, dant, ital., N. S., Ili 127, IX 103, XII 8), ma poiché la desinenza ordinaria, secondo tutti i codici, è -«no, a quella ci atterremo. - h) Imperfetto indicativo, -ea, -cano per la 2* e 3' coniugazione; -i«, -jano per la 4a, secondo K 8 M 0; -eua, -euano ecc. per eccezione di questo o quel copista (in To avviene iuvecc il contrario), o quando occorre per la misura del verso (XXII l 20 diceuan K M To, XXIII 22 giua K M 0 To, XXIII 26 diceua ORTOGRAFIA CCL [p. cclxxxvii modifica]XXJCI KSMO To, XXXIV 9 diceua K To, XXXVII 6 faceuan lagrimar 8 M [in K To faeean maravigliar]), -c) Perfetto. K preferisce la finale -v.

. così per la 1 * come per la 3' persona King., e solo per la 1; persona duo volte senti (1) e uua sentij ; M S per la 1* udi9 senti, ecc. (M una volta partia e 8 pur ima volta udie), ma per la 3a aneli’essi udio, morto, partio (una volta 8 partie); To Ita solo per eccezioue la desinenza -o.

E potei acc. a poteo nella 1* hanno K S, ma M tutte e due le volte poteo; e nella 3' K M poteo, 8 è lacunoso, To potè. La desinenza -o, meno comune, non sarà da scartare neppure per la ln persona, ove qualche codice la conservi, quantunque sia certo che Danto usasse anche l’altra (Inf. XXIII 147 mi parti, in rima con udi pur di 1’ persona; cfr. Parodi, La rima, 128 e Caix 227). Il sentij di K (XXXV 3) e auche un udij di To (XXII 7) potrebbero consigliarci ad adottare per la ln persona la desinenza -ii anche negli altri luoghi dove i codici danno-/; ma quest’ultima desinenza è così generale nei nostri Mss. e nei codici dei sec. xm e xiv, che doveva veramente corrispondere alla più comune pronunzia: Danto nell’esempio ora citato dell’ Inf. fa rimare mi parti con seri gi. Nella 3a plur. è comune a K e a M la finale -aro, -ero (<cominciavo, andavo, trapassavo, manti aro eco. potevo)) S To hanno anche questi esiti, ma preferiscono per la 1* coniugazione -avono, e To ha ancho poterono, forme meno antiche e da imputarsi quindi ai copisti. In XXV 4 K To apparivano e S apparivon, ma V apparito di M, che sarà nato da un apparirò, ci rivela probabilmente la forma originaria anche di questo verbo. 8 ha anche feceno e ebbono (due volte), ma pei perfetti forti sono generalmente d’accordo tutti i testi pelle desinenze -ero. Per la 2* plur. qualche raro caso di desinenza in ~i ora in M ora in S: vedesti, chiamasti, piangesti, ecc., ma non c’è da farne caso. - d) Congiuntivo imperfetto. Grande irregolarità in K S M per la finale -e od -i nella la persona sing., ma prevale -e (in 0 sempre -e, in To sempre -t). Nella 3* plur. -ero, tranne che M ha una volta po- tessono, e S coprissovo, udissoro, fossono, desiderassono, uscissono.

Ma vale anche qui l’osservazione fatta per il perfetto. - e) Condizionale. K nella 3* pers. plurale conserva -evo ; ma S auche qui ha pure, e di preferenza, potvebbono, sarebbono, ucdrebbono, farebbono ; M potreboro, e scrcbbono, ssrebbone, uederebbono ; To mantiene generalmente -ero, ma ha tuttavia ucdrebbono e potvebbono.

5t). Indicativo. - Presente. D’accordo in uedemo, aucmo, uolemo, (1) Uni: volta in poesia, lo misentwucfjliar (XXIV 7); Valtra nella divisione che segue « ....dice come io ìaiscuti suelgliare », e può essere per effetto del senti del verso, ohe l’autore nvevn «ott*occhio mentre faceva la divisione. [p. cclxxxviii modifica]

CCZ.XXXII INTRODUZIONE sapemo, e M 8 To anche in semo (il siamo di K sani quindi da scartare). Acwuitu alla forma debbo, si ha in tutti i testi dei,'dee, deono (To in XII 11, forse per togliere il forte iato, che ti deuc, e anche M chetate = chet[id]eue). Generalmente in poesia face, ma in dne casi, richiesto dalla misura del verso, fa; e fa in prosa.

Anche atte, iu rima con grane, ma in prosa a; indifferentemente po può e potè puote (To però suol ridurre puote a può). In XXVII 4 K M To tolte, S tolse per errore, chè auche V legge tolte. Costante in M (fo) voi, tranne che in XIX 6 io non uo ; K cinque voi e quattro no ; S To sempre no. Per la 2ft pers., K tre uuoli (rifatto su vuole) e un volli = vogli ; M tre noli e un nuoti; 8 voli, volli, uogli e uo.

Tengo come presente in XV 6 vide, videt, in rima con sorride (meno certo in XXI 8): cfr. Gaspary, Scuola siciliana, p. 188; Nannucci, Analisi critica dei verbi, p. 737; Chiaro Davanzali, i Troppo agio fatto ’, Vat. 3793, n° ccviij, st. 2*, io sono bene come quelli che si vide | nelagna jnjino adenti emore disete ; Guittone, Rime, I 6, n° III, tc prenda | di me cordoglio poi morir mi vidi; Cino da Pistoia, ‘ Madonne mio % Però, madonne, qualunque la vide, 0 per via rincontriate o per sentieri, Restatevi con lei ; Simon Ciati * Deh dolce signor mio ’, Vat. 3214, n° 194, questa crvdcl donna che m’uccide \ quand’i begli occhi suoi guardar mi vide.

57. Imperfetto. - Abbiamo in rima i soliti facia, piangia, conoscia, vivi a, ridia.

58. Futuro. - dicerò in XXXI 9, voluto dal verso, e «inindi anche nella citazione di XXXI 4, secondo tutti i Mss., e poiché in XXVIII 3 M 0 V hanno dicero e S dicere, e solo K To dirò, V uso comune della line del Dugento, i frequenti dicerò della Commedia (Inf. XVIII6, Par. XXVIII 62 e 88, Inf. Ili 45; cfr. Convivio 46* si dicera, 46*’ dicerebe), ci incoraggiano ad adottare anche qui la forma piena. KS mosterra (in Convivio mostcrra 91, mosterro 26d, acc. a mostrerò 33°, mostrerà 35*’); e K anche un scriverro contro due.scriverò, e S un trouerrai (per analogia con verrà, converrà; mosterrà; ecc.).

59. Perfetto. - ci, ebbi, comunissimo nel Dugento iu verso e iu prosa, vien dato in XXIII 3 da M S, e in XXXIII 1 solo da M : cfr. Nannucci, Analisi critica dei verbi, p. 499; Caix 244; Inf. I, 28 Poi ch'ei posato. S vidde, ma K M To uide, e sto con quest’ultimi testi, nonostante il viddi di Inf. VII 20, perchè è caso unico anche iu S. E sto con M S To per volle in XXV 6; ma noto volse dato da M.

perchè anche questa uscita è comunissima : nella Commedia si trova in rima volle e volse. S To fvron(o) (una volta furo, voluto dal verso, e S un' altra fuoro); K M sempre fuoro, tranne che in XXIII 22 fuoron si smagati (e così anche 0). Accanto ad appo mero, più comune, si trova (XXV 4) anche apparirò, -rono (v. num. 55 c). [p. cclxxxix modifica]

ORTOGRAFIA COL XXXI II 60. Congiuntivo. - Presente: mora (: dimora, allora) in XXIII 21 e moia o muoia, puro in rima, in XII 13 e in XV 5; ma in XXIII 3 M si mora, K si moia, S To si muoia. Tutti sicasi in XXXI 7 (cfr.

K° 34, 62, 101 stea ; Stat. Cannine e Cap. 8. Gilio pure steaf sempre). Imperfetto: av desse (XXXI 15), in rima con sapesse, scritto da tutti audisse.

61. Condizionale. - K serei (XXII 4), ma M S To sarei. Accanto alla finale comune -ci c’è pur quella in -ia : dìverria, faria 9 morria, ma tutti nella parte poetica. Due volte sarebbero, -ono, ma in XXXVII 5 c in prosa, M S soriano, To sarieno. Per potremo, v. num. 42b.

62. Imperativo. - M face (tu); ma K S To fa.

63. Infinito. - Il solito pentere, «lato da tutti i codici (To pentirsi). K due volte dicere contro tren tacimi no dire, S M otto contro ventotto; To generalmente dire, e così anche in XIX 16, dove gli altri tre son concordi in dicere (però in XXI 4 ha diccr con 8 M, mentre K ha dire) : la forma più piena sarà da conservare ovunque ci sia l’autorità di qualche Ms., e conforta a ciò anche 0 in XXIII 13 e in XXVI 4.

64. Participio e gerundio. - Accanto a vestita, in prosa, due volte, in poesia, vestii te (K° 70, vestute, 72 ucstuta, Lapo Gianni). Apparita in III 8 secondo M K To (manca in S), ma poche righe dopo K M (S anche qui è lacunoso) danno appartilo (III 9) ; c apparata dà M in XII 9, ma gli altri apparita ; e apparita occorre in XXXVIII1 secondo tutti i testi. Nascoso due volte pure iu tutti. Ricordiamo il resurressiti di XIV 8 (K resurrcsiti, To rexurexiti, M rexvrcsiti). Nel gerundio poco di notevole : K To notjliendo, sappiendo, e sapiendo anche M ; MS 0 uolcndo, S sapendo.

INDECLINABILI 65. Souo da notare alcune tendenze dei singoli copisti, per avere una norma nel valutare le testimonianze dei codici nei casi particolari.

a) tra o fral- Preferito da tutti il primo; ma nei casi (undici) di fra me (medesimo o stesso) fra è esso il preferito, salvo eccezione di questo o quel codice (due volte To e una S).

b) poi o poscia? L’uno e l’altro, e così poi che e poscia che. Ma poi è preferito quando non è in principio di proposizione, come divenni in picciolo tempo poi, Avvenne poi che, onde poi ritornato, ecc.; poscia invece nell’ espressione, consueta nelle divisioni, Poscia quando dico Canzone (o altro principio di poesia, o di parte di poesia), e fa eccezione tre sole volte K e una To, tanto che possiamo crederlo un loro mutamento arbitrario.

CCLXXXIV INTU [p. ccxc modifica]ODUZIONE o) ove o dovei K lia anche molti ilouc accanto a quasi altrettanti ouc\ M S due soli douc e To quattro.*Solo in XXII 3'cola douc, dato da tutti e quattro i testi, sarò da accettare eoi! sicurezza ; ma pel resto, dove M S To sono d’accordo, non ho scrupolo ad accogliere la oue, e j»er uniformità anche in II 9, sebbene qui M S To abbiano la douc e solo K la oue. Così accetto ouunque dato iu due luoghi da tutti i testi e in un terzo da KSM: in un quarto (XV 5) il </-, quantunque portato da K M To, è escluso dalla misura del verso.

Respingo anche il donde di S in II 10, perchè onde ha quivi il suffragio di K M To e in XXII 4 di tutti e quattro i codici, e in XL 7 la onde è lezione di K M To, e S è lacunoso.

d) sansa o senza 1 Costante in S la prima forma, e quasi costante anche in K M (0 nei pochi esempi che ofl’re, sempre sanga, To dappertutto senga). Si noti che anche i pochissimi casi di senta K e M non ce li presentano uei medesimi luoghi, tranne che in XII H senga lui; ma quattro versi avanti, nella stessa ballata, mentre K dà saiga company uia, M leggo sanza ; e quando M ha questa forma, non si può imputare al suo copista, perchè essa è prettamente fiorentina. Onde pare generalmente da accogliere.

e) oi od o ? - K M vi anima bellissima come e beato (XXIII 10); K S 0 venite a intender li sospiri miei oi cor gentili (XXXU 5 ; M or cor); K M rispondo oi anima pensosa (XXXVIII 10); M oi nobile intelletto oggi fa lanno che nel del salisti (XXXIV 11); K Lamaro lagrimar erte uoi faceste oi occhi miei (XXXVII G) : gli altri testi, naturalmente, o; e tutti in XXIII 13 o Beatrice benedetta sic tu (cfr. K° 65 oi alma aiutami lemmi ; Vat. 3793, n° cclxx oi dolente, n° ccr.xxx oi dolze amore.... bene mi spero, n" 829 oi amoroso e mio fedele amante). Oi è esclamazione usata a esprimere vari affetti, anche di maraviglia e di letizia ; e come è facile a essere sostituita dalla più comune espressione o, così sarà da mantenere tutte le volte cho qualche codice la conserva.

66. In qualche incertezza ci mette il sì pleonastico, j>erchò se è comune a tutti i testi in XXI 5, vien dato in alcuni altri casi soltanto chi K ; ma poiché questo codice è, di solito, jissai fedele nel riprodurre ciò che c’è di più primitivo nella prosa «Iella Vita Nuova, e più facile è nelle copie omettere che aggiunger parole, accolgo anche i pochi sì pleonastici offerti da K: e così a XII 9 quello offerto da S. In III 7 però interpreto, a differenza di alcuni editori, sine gisse come si ne gisse, se ne gisse (v. mini. 52; e cfr. XXXI 9 e XXXII 6 si n’è gita).

67. Anche il d eufonico ci mette in perplessità. La preposiziono ad davanti a vocale ha esempi in tutti i testi, e i più sono fortunata- meuto a un medesimo punto. Ma per la congiunzione e S M To preferiscono la nota tironiana C o la sigla et, le quali lasciano sì liberi di [p. ccxci modifica]PARTIZIONE DEL TESTO CCLXXXV risolverle sia in e ojie in ed, mn non danno luce a preferire Punii o l’altra risoluzione. Tuttavia esempi di ed si hanno anche in M 8 e sono frequenti in K, e potremo quindi, senza abusarne, introdurne qua e là dove paia più opportuno. Di ched invece non abbiamo esempi (sedici) se non in K, e così per aed io (due); ma ned dii e sed ella si hanno in XII 12 e 13 secondo tutti i testi, tranne To, e di ched (come pure di ed, ched, ned) troviamo parecchi esempi anche in Vat2, sicché possiamo comportarci con loro cerne con ed (cfr. Caix $ 98).

PASSI LATINI 68. Sono citazioni da vari autori, e anche passi foggiati da Dante stesso j ed essendo scritti in una lingua morta, quindi più fissa, conviene che più si stia attaccati alla tradizione ortografica medievale.

Perciò non dittongo in circttmferenlie, Eolc e pretermiotanUir ; il solite michi, e, conforme alla dottrina grammaticale e all’uso più comune, nanque (cfr. Rajna, De Vuìg. EL, cixi e seg.). Inpretcnniciantur il -c<-, secondo l’uso fiorentino più consueto (cfr. Rajna, ibid., p. clxxxiv), ci è dato da K e To: 8 ha M il semplice -J-. M S To capescere (cfr.

Novati e Sensi, Relazione cit.f $ 12), ma K rimane alla tradizione normale chapesscre | Restii a considerare brevemente la questione della divisione del testo in paragrafi. Abbiamo visto, nel descrivere i manoscritti, che una vera e propria distinzione in capitoli, che si mantenga uguale in tutti i testi non esiste, ma che capoversi e segni paragrafali qua e là tuttavia non mancano. Io non ho voluto quindi introdurre nel testo una distinzione marcata di capiteli con la relativa numerazione fra l’uno e l’altro; ma non potendosi ormai, pel comodo delle citazioni, rinunziare a una qualsiasi distinzione e numerazione, ho accettato dai manoscritti l’uso dei capoversi, e li ho progressi vani ente numerati nel margine. Pel numero di questi capoversi o paragrafi, poiché la disparità dei manoscritti mi lasciava libero di farne più o meno, ho cercato di discostarmi meno che fosse possibile dalle due divisioni più iu uso, del Torri e del Casini. Rene sarebbe stato che quella del Torri si fosse mantenuta costante in tutte le edizioni successive, anche se difettosa (il vantaggio vero di queste numerazioni è che rimangano fisse: cfr. p. cxu); ma ormai che l'accordo è rotto, ho cercato di evitare gl’inconvenienti tanto della divisione Torri (distinzione del $ XXVI iu due paragrafi) quanto di quella del Casini (mancanza di mimerò per il proemio, distinzione del $ III in due paragrafi). Così la mia numerazione concorda con quella del Torri sino [p. ccxcii modifica]CCLXXXV 1 INTRODUZIONE al $ XXVI e dopo rimano inferiore dT una unità, e concorda con quella del Casini dal $ TU in poi. * 1 So non cbe poi bisogni dolio studioso la divisione del teBto in paragrafi non basta: no occorro una più minuta in commi cbe dia modo di trovare alla prima un dato passo o una data voce, e cbe possa mantenersi inalterata in tutto le edizioni. Si doveva in questa suddistinzione tener conto soprattutto del senso, ma aver altresì riguardo da una parte al vantaggio dello studioso, elio non vuol commi troppo lunghi, e dall’altra al gusto tipografico, cbe non vuol numerazioni troppo fitte e troppo irregolari (1). Ilo cercato di evitare, quant’è stato possibile, tutti gl’inconvenienti; ma se anche non vi fossi riuscito, io raccomando ai futuri editori questa mia suddivisione, conio anche quella in paragrafi, perchè sia accettata e tramandata qual’è: mutino pure nel mio tosto quello cho a loro parrà mono sicuro; ma non impediscano che una citazione fatta su questa o quella edizione possa valere per qualsiasi altra.

i

  • (1) Ho tenuto conto, quanto ho potuto, anche delle divisioni dell’autore;

mafdovo, por il comodo nostro, venivano o troppo fitte o troppo di rado (ofr.

la divisiono del son. Morte villana nel $ Vili o quella di Ballata, i1 voi nel $ XII), me no sono liberamente discostato: la nostro divisione, posta coni'è nei margini, non turba miniinamonte la compagino dell'opera dantesca; e sebbene non sia al tutto materiale come la numerazione delle righe, anzi voglia esser logica, puro bisogna che serva a un fine che Dante non aveva presente ; e coni* b diverso il fine, diverso viene ad ossere il modo. [p. ccxciii modifica]

AGGIUNTE E CORREZIONI Pag. xci, 1. 30. A * dal Pesarese f si sostituisca 4 dall’ ediziono pesarese \ Pag. cxcii, tav. 45. Si aggiunga: XXXVIH 1 molto mi pincosse troppo mi piucesw.

Pag. cc, nota 2. Si cancelli nella 1" linea ‘ o piuttosto da Co 1 ; e nella 3a linea invece di 1 adonna, conio Co 1 si legga * adonna, come p \ Pag. ccu, 1. 30. Invoco di 1 C e P} si legga 1 C p \ Pag. ccii, 1. 31. In luogo di 1 cosi anche Co e Mgl, e in P forse Voi non apparisoe per difetto della utamjm ’ si metta 1 ooai anche p \ Un altro Ms., non completo, della Vita Nuova, dolla prima metà dol sec. xv, proveniente dalla biblioteca Altemps, è recentemente venuto in possesso del libraio antiquario Dario G. Rossi di Roma. Debbo alla cortesia di lui © alF amicizia di Mario Menghini se ho potuto esaminarlo e accertare cho appartiene alla famiglia boccaccesca ed è strettamente affine al codice Magi. VII 1103. Contiene, come quest’ ultimo codice, oltre alla Vita Nuova, le quindici canzoni di Dante solite a trovarsi in simili Mss., la Vita di Dante del Boccaccio, il sommario del medesimo autore cho comincia Nel mezzo del cani min di nostra pira | smarrito in una valle occ., e varie cose di Simon© Bordini, per le quali vedi a p. xxxju. [p. ccxciv modifica]TOLEDO - Cod. Capitolare: cajon 104, num. 6, Zelada (To) c. 29ª [p. cccii modifica]FIRENZE - Cod. MAGLIABECHIANO - STROZZIANO VI, 143 (S), c. 12b [p. cccv modifica]VITA NUOVA