Rivista di Cavalleria - Volume I/I/Sulle evoluzioni della Cavalleria (Concetti e proposte)

Fortunato D'Ottone

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Sulle evoluzioni della Cavalleria (Concetti e proposte)
I I - La Cavalleria in Africa
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SULLE


EVOLUZIONI DELLA CAVALLERIA




CONCETTI E PROPOSTE




PREMESSA.


L’esposizione di concetti aventi attinenza coi nostri regolamenti, è questione assai delicata, potendo, da taluno, esservi data l’interpretazione di aperta o sottintesa critica ai medesimi.

Nulla però di più erroneo se tale significato si volesse applicare al presente studio, inquantochè, nessuno al par di me riconosce l’enorme progresso, realizzato nei nostri dispositivi tattici, da pochi anni a questa parte; e nessuno è altrettanto convinto, quanto lo sono io, che talune modificazioni, pur riconosciute necessarie, non possono essere attuate che in seguito ad una preventiva preparazione. Ma, appunto per ciò, tutti converranno meco che la discussione sarà sempre utile, quando valga a preparare l’ambiente a nuovi progressi ed a fornire sicura guida nelle successive trasformazioni.1

D’altronde, non v’ha chi non veda che i nostri regolamenti sono e saranno sempre perfettibili, in ragione anche [p. 6 modifica]dei progressi tecnici delle altre armi, i quali imporranno continuamente alla cavalleria la ricerca di nuove forme, atte a paralizzare i perfezionamenti delle bocche da fuoco, pena altrimenti d’essere soverchiata da esse; talchè può dirsi che: mentre l’un regolamento appare, l’attimo matura.

Promuovere adunque una calma e ragionata discussione, è lo scopo che io mi propongo collo svolgere queste mie idee, nella speranza che esse possano contribuire ad imprimere alla nostra cavalleria quella speciale caratteristica, di cui avrò campo di parlare, e che parmi le sia tanto necessaria.

Può darsi per altro che io sia in errore; in ogni modo, qualunque sia il giudizio che si voglia dare su questo mio lavoro, chieggo solo che sia esaminato nel suo spirito, nei concetti cioè che lo informano; potendo le mie parole, mio malgrado, non esprimere esattamente il mio pensiero, o dargli, per effetto di argomentazione, un’apparenza di assolutismo, che non è nelle mie intenzioni.


I.

Caratteristica essenziale per la nostra cavalleria.

Fra i diversi fattori, aventi influenza sulle evoluzioni della cavalleria, il principale è, senza dubbio, il terreno. Astrarsi da esso, nella compilazione di un regolamento di manovra per tale arma, parmi quindi sarebbe lo stesso che redigere il progetto di un fabbricato, senza preventivamente avere scandagliato il suolo su cui dovrà sorgere, o per lo meno, senza tener conto della natura di esso.

Difatti, secondochè il terreno sarà scoperto ed uniforme, oppure frastagliato e rotto, le evoluzioni della cavalleria non potranno a meno di assumere carattere diverso; inquantochè, nell’un caso potranno e dovranno avere aspetto regolare e compatto, mentre nell’altro appariranno, forzatamente, con forma meno regolare e meno rigida.

Ora, astrazione fatta dalle brughiere di Somma e dalle pianure di Pordenone, nessun teatro nostro di manovra si [p. 7 modifica]rassomiglia, neppure lontanamente, alle steppe della Russia, agli estesi campi di luppolo della Germania, od alle vaste pianure della Francia settentrionale e dell’Austria.

Modellare adunque le nostre evoluzioni su quelle delle altre potenze d’Europa, opino sarebbe dare alla nostra cavalleria un indirizzo non appropriato; giacchè non sarà su terreni che molto si avvicinano a sterminate piazze d’armi che, presso di noi, essa dovrà generalmente svolgere la propria azione, bensì su terreni coperti da svariata coltura, nonchè intersecati da fossi e da ostacoli d’ogni genere.

Dati quindi tali probabili teatri delle nostre future lotte, si comprende com’io sia fermamente convinto, occorra alla nostra cavalleria una speciale caratteristica di manovra, un’impronta cioè sua propria: di celerità e di elasticità (per scomporsi e ricomporsi celeremente), di iniziativa individuale e di spirito d’imitazione, onde ottenere un tutto che, a tempo e luogo, sappia abbandonare la compattezza e conservare l’ordine nell’apparente disordine, per superare con naturalezza e disinvoltura terreni intricati, seguendo il proprio capo senza comandi, senza perdita di tempo e sopratutto senza formare enormi allungamenti di colonne, o peggio ancora, disfacimento della massa nel periodo di avvicinamento e di preparazione per l’attacco.

Nè, a mio credere, sarà a temersi che una tale cavalleria, quando si possa far muovere od impiegare altrimenti, non sappia poi conservare la sua compattezza o non rispondere al concetto dell’azione in massa; giacchè le suddette qualità la metteranno più che mai, com’io ebbi a sperimentarlo in pratica, nelle mani del comandante; sia perchè principio di massima dev’essere di riformarsi celeremente e di mantenere la compattezza sempre quando è possibile; sia perchè sarà abituata a secondare il capo anche quando è costretta ad agire di propria iniziativa o per spirito d’imitazione.

Naturalmente, tutto ciò non potrà ottenersi fuorchè collo sviluppare nei capi in sott’ordine e negli individui, la virtù di seguire costantemente il proprio comandante e di eseguire [p. 8 modifica]per imitazione ciò che egli eseguisce, cercando di comprendere lo scopo a cui egli mira; virtù che solo si potrà svolgere e coltivare nei modi che dirò in seguito.

La speciale caratteristica suddetta dovrà poi essere maggiormente sviluppata nei nostri cavalleggeri, destinati a costituire essenzialmente la cavalleria divisionale e quindi chiamati a seguire le divisioni di fanteria nelle varie fasi del combattimento, a collegarle fra loro, a coprirne i fianchi, in terreni obbligati, i quali saranno spesso l’antitesi di quelli scoperti pianeggianti ed uniformi che suole preferire la cavalleria; non chè ad eseguire, su di essi, larghi e rapidi aggiramenti.

Anzi, saranno appunto i detti terreni che favoriranno il giuoco della cavalleria divisionale, per agire di sorpresa o per sfuggire alla micidiale potenza delle armi a fuoco moderne, potendo su di essi avanzare al coperto e piombare da vicino, sul fianco o sul tergo del nemico, quando meno egli se lo attenderà.

Inoltre, sarà soltanto con l’iniziativa, lo spirito d’imitazione, la celerità e l’elasticità, cioè colla sua speciale caratteristica, che la nostra cavalleria potrà acquistare sulle altre quella supremazia che varrà a compensarla della sproporzione numerica ed a darle un vantaggio incalcolabile; inquantochè, potrà avvalersi della natura del terreno per paralizzare le mosse dell’avversario e colpirlo dove, come e quando a lei piacerà; cercando, colla sua abilità manovriera, di trarre la cavalleria avversaria a portare la lotta, o ad accettarla, nelle condizioni ad essa sfavorevoli.


II.

Principî e norme di massima.

Riandando colla mente all’esame del passato, sarà facile a tutti il ricordare come, nei regolamenti di una volta, predominasse una grande precisione di dettagli, di movimenti regolari, di combinazioni geometriche, adatte forse alla tattica di altri tempi ed alla superficie piana di un terreno convenzionale di manovra, che appagavano l’occhio, ma che l’esperienza [p. 9 modifica]dimostrò non essere attuabili in aperta campagna e di fronte al nemico; quando cioè, per le mutate circostanze, non si ha il tempo, nè di eseguire evoluzioni artificiose, nè di trasmettere comandi complicati.

In oggi invece, il nostro codice di manovra, è d’uopo riconoscerlo, è molto sobrio di movimenti e basterebbe a convincercene l’avvertenza posta in testa al Tomo I, che dice:

«Il regolamento specifica soltanto gli ordini fondamentali e le formazioni più semplici e più frequenti. Delle altre che potessero occorrere in circostanze eccezionali non fa cenno, lasciando ai capi di applicarle quando le circostanze ne richiedano o ne consigliano l’applicazione2

Pur nondimeno, a me pare, che nell’esecuzione di tali ordini e di tali formazioni fondamentali vi siano ancora: troppe prescrizioni di dettaglio che limitano il pensiero e l’azione dei comandanti in sott’ordine, nonchè disposizioni tassative e rigide non sempre applicabili sul terreno reale di manovra e dinanzi al nemico.

Ora, il regolamento che, volta a volta, caso per caso, tutto traccia a guisa di falsariga (movimenti cioè da effettuarsi, percorso da seguirsi, andatura da usarsi, ecc.) non dubito sia ottimo per le evoluzioni di piazza d’armi, in vista della regolarità dei movimenti che vuolsi ottenere, ma non credo risponda alle esigenze vere dei nostri terreni.

Anzi, ritengo che si debba appunto attribuire a questo se, dalle altre armi, ed un poco anche presso la cavalleria stessa, si è convinti che la nostra arma non possa manovrare e combattere all’infuori delle tante volte calpestate brughiere di Somma e pianure di Pordenone o d’altri terreni simili.

Parmi adunque che, ad evitare tale falsa credenza, si debba cercare, per quanto è possibile, di non creare disposizioni tassative e rigide nell’esecuzione delle varie formazioni, che non [p. 10 modifica]siano cioè applicabili in terreno vario, sia per la ragione anzidetta, sia per non limitare le facoltà dei comandanti in sott’ordine, sia infine per lasciar loro una certa elasticità di manovra che li obblighi a dar sfogo alle loro qualità ed a convincerli che non basta sapere a memoria dei comandi e dei modi di evoluzione per possedere lo spirito dei regolamenti; come giustamente si esprime il testo francese.

Quindi, poche prescrizioni assolute, ed in loro vece: principii nettamente posti, norme di massima che indirizzino il sentimento dell’iniziativa e dell’imitazione, pel caso (da non perdersi mai di vista) di dover agire dinanzi al nemico; il tutto accoppiato ad una certa libertà di manovra, subordinata cioè alle condizioni del terreno ed allo scopo da raggiungere; perchè è vano illudersi, in quelle circostanze, il comandante non può intervenire in tutto, comandare tutto e ciascuno deve sapersi regolare da sè in modo da fare presto e bene.

Io potrò errare, ma, a mio modo di vedere, un regolamento che non sia improntato a tali concetti, non mi sembra sia fatto per sviluppare, nei comandanti in sottordine, il colpo d’occhio manovriero; inquantochè dessi attenderanno sempre l’imbeccata del comando, per agire secondo prescrizioni tassative e di nulla si preoccuperanno durante le fasi dell’azione, puntando magari nel vuoto, sol perchè non capirono o non ricevettero il comando pel cambiamento di direzione.

Un nuovo regolamento, concepito come sopra è detto, potrebbe inoltre ridursi di molto, rispetto a quello attuale; perchè, quando fosse sviluppata la scuola di plotone, base di tutte le evoluzioni, il resto potrebbe limitarsi all’accenno delle forme che possono prendere tanto lo squadrone quanto il reggimento e le unità maggiori; inquantochè, pel passaggio da una formazione ad un’altra, se non fosse comandato altrimenti, non resterebbe ai vari comandanti che portarsi, per la via più breve, nel modo più razionale ed a conveniente andatura, come sarà specificato in seguito, al posto che loro spetta.

In allora, accennate le formazioni fondamentali o di manovra, nonchè l’andatura da usarsi in presenza del nemico, il [p. 11 modifica]capo potrebbe, sul terreno della piazza d’armi, a guisa di ginnastica funzionale, dare al proprio riparto, a mezzo di movimenti elementari ed alle andature comandate, tutte le forme che vuole, senza per altro innalzare queste all’onore di veri ordini, nè quelle andature a velocità consentite nelle manovre di fronte al nemico.

Comprendo per altro che si debba andare cauti ad attuare un tale regolamento, per le difficoltà che si potrebbero incontrare, nella mancata preparazione di coloro che sono abituati ad applicare ancora alla lettera i regolamenti di concetto; non già per difetto d’intelligenza, bensì per apatia, per sottrarsi al lavorìo faticoso del pensiero, nonchè alla responsabilità che incombe in coloro che sono costretti a metterli in azione in base allo spirito che li informa.

Ma, a tale riguardo io non posso che riportare le parole del Generale Morand, citate nel rapporto del comitato francese, incaricato (nel 1882) di rivedere il regolamento per la cavalleria; parole accettate, come un vero programma, da tutti i membri e poste perciò a guisa di epigrafe in testa al nuovo regolamento. Eccole:

«Il faut réduire l’ordonnance à quelques pages, rejeter tout ce qui est inutile, et, au lieu de fausser l’esprit des officiers et de charger leur mémoire par une mauvaise étude, faire en sorte qu’ils n’appliquent leur attention que sur ce qu’il faut faire sur le champ de bataille.

«Une réforme semblable trouvera une grande contradition, je le sais; il y a tant d’officiers qui n’ont d’autre merite que celui de savoir l’ordonnance et qui se verraient avec chagrin contraints d’oublier ou de négliger la science qu’ils ont acquise avec peine.

«C’est de l’étude de la guerre, c’est de la reconnaissance du terrain, que l’officier s’occupera quand on l’aura délivré de manoeuvres oiseuses, théatrales, etc......; surtout il ne s’imaginera pas savoir quelque chose parceque sa mémoire sera chargée de formules de commandements et qu’il saura reconnaître l’inexactitude d’un guide ou réprimender l’inattention d’un chef de peloton».

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Fortunatamente, presso di noi almeno, non vi sono più, in oggi, ufficiali che non abbiano altri meriti fuorchè quelli indicati dal generale Morand; ciò non ostante, non è men vero essere necessario ancora convincere taluni che, la conoscenza e l’applicazione pura e semplice delle forme regolamentari, non costituisce che l’esecuzione di una manovra macchinale ideale e non atti di vero combattimento; e che è soltanto dalle circostanze del momento e dalla propria intelligenza che il comandante deve saper trarre la scelta delle formazioni e sapersi servire dei mezzi più acconci.

Ciò non vuol dire però che i dispositivi regolamentari siano senza scopo; al contrario, essi costituiscono i mezzi suddetti; epperciò debbonsi limitare all’accenno delle formazioni fondamentali ed ai movimenti elementari, nella guisa istessa che, nella scherma, s’insegnano i colpi e le parate e non tutte le combinazioni dei vari attacchi.

Pertanto, al di là di queste formazioni e movimenti, il comandante non deve trovare, torno a ripeterlo, che norme e principî di massima, anzichè prescrizioni categoriche; e sarà soltanto in tal modo che si potranno in allora seguire i progressi delle altre armi, senza sconvolgere tutto ad ogni momento.


III.

Ragioni delle disposizioni.

Ogni qualvolta viene pubblicato un nuovo regolamento tattico, recante varianti a quello già esistente, è raro il trovare chi ne giustifichi o ne comprenda la necessità; mentre i più gridano contro la continua innovazione, affermando che, in tal modo, nessuno sa più quello che deve fare.

Ciò deriva, in parte, dalla già detta abitudine, ancora viva qua e là, d’imparare a memoria i regolamenti di concetto e di applicarli alla lettera. La causa maggiore però di tale resistenza, devesi ricercare essenzialmente nel fatto che, la maggioranza non si dà la pena di studiare il nuovo regolamento, di confrontarlo col vecchio per afferrarne la differenza e [p. 13 modifica]portanza delle innovazioni, nonchè le ragioni del loro essere; per cui non può rimanere convinta della loro necessità in base al precetto che: ogni arresto nel perfezionamento dei nostri dispositivi tattici, in mezzo all’incessante e vorticoso progresso che ci attornia, rappresenta un vero e proprio regresso.

Di quanto sopra ebbi occasione più volte di persuadermene ed in ispecie a riguardo del nuovo regolamento di servizio in guerra che, nell’anno 1892, aboliva il duplice sistema di avanscoperta e gli squadroni di rincalzo; che diminuiva il numero di quelli esploranti; che faceva sparire il fitto velo delle pattuglie, nonchè i collegamenti ad ogni piè sospinto, le colonne fiancheggianti di cavalleria e le grosse avanguardie; che modificava la missione di queste; ed infine che sanzionava uno speciale sistema di avamposti per la nostra arma.

Tali disposizioni che, mi sia concesso accennare, vennero patrocinate da me, sin dal 1888, nel mio studio: Osservazioni e proposte sul servizio della cavalleria in guerra3, come si vede, portavano una completa trasformazione nei nostri dispositivi strategici e tattici; s’informavano cioè alla speciale caratteristica dell’arma, che non vuole lo sparpagliamento delle forze e permettevano quindi la restituzione dei nostri gloriosi stendardi, mentre da molti si domandava testè, quali erano i mutati criteri, accennati nel R. Decreto, che ne motivavano la riconsegna.

Questo dimostri sempre più quanto sia dannoso, anche per gli intelligenti, lo studio letterale dei regolamenti di manovra, inquantochè impedisce di afferrarne lo spirito e con esso le mutate modalità, rispondenti alle nuove esigenze della tattica e dell’arma; e prova pure quanto sia utile che, in apposito epilogo siano riassunte le basi, le innovazioni introdotte in ogni nuovo regolamento, nonchè le ragioni che le consigliarono.

Questo fece appunto la Francia nel pubblicare il suo nuovo regolamento sugli esercizi della cavalleria, col farvi precedere [p. 14 modifica]cioè il rapporto presentato al Ministero della Guerra dal comitato incaricato della revisione di quello già esistente; e questo io caldeggio vivamente, inquantochè, è d’uopo sempre parlare all’intelligenza degli individui, se vuolsi svegliare in essi l’assopita disanima delle cose, ed abituare ad agire non per materiale applicazione, sibbene per raziocinio, frutto della comprensività delle disposizioni.

Così facendo, le varianti testè introdotte, ad esempio, nel nostro nuovo regolamento di esercizi, sarebbero apparse come naturale conseguenza dei criteri che le presiedettero e non come un’apparente manìa di riduzione.


IV.

Descrizioni e figure.

Nella guisa istessa che la sola descrizione del terreno, fatta a mezzo di parole, non riesce a dare a colpo d’occhio la sua configurazione, così la sola descrizione dei movimenti non vale, negli esercizi e nelle evoluzioni, a rappresentarci d’un subito ed esattamente gli atti successivi e finali, nonchè il passaggio da una formazione ad un’altra.

Eppertanto, come la topografia si serve essenzialmente della rappresentazione grafica e ricorre alle memorie descrittive solo per quel tanto che non può dare il disegno, così troverei conveniente che, nei nostri regolamenti, si facesse uso delle figure su vasta scala e si limitassero le descrizioni a ciò che è puramente e semplicemente necessario ed inevitabile.

Con tale sistema oltre ad indicare celeremente, e meglio, quanto si vuole ottenere, si eviterebbero le incertezze, i dubbi che spesso lasciano anche le più minute descrizioni. Ciò è facilitato, oggidì, dalla fotografia istantanea che permette di fissare anche gli atti del movimento, motivo per cui si può trovare in essa un grande ausiliario per la riproduzione ad es. del maneggio delle armi, del volteggio, delle andature del cavallo, ecc. per dare all’istruttore un’idea esatta di quello che deve spiegare ed ottenere.

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Un regolamento così illustrato stancherebbe anche meno il lettore e sopratutto eviterebbe lo studio letterale del medesimo, lo sforzo di memoria, mentre coltiverebbe in sua vece l’intelligenza; inquantochè gli istruttori sarebbero costretti a spiegare poi con parole proprie, ciò che dev’essere eseguito.

Inoltre, costringendo questi al confronto continuato e mentale fra la figura e l’individuo, essi si eserciterebbero e si formerebbero il colpo d’occhio.

È quest’ultima una delle qualità che ha bisogno di essere in modo particolare coltivata, dappoichè tutti saranno persuasi con me che, in oggi, i nostri graduati, e mi si lasci dire anche i nostri ufficiali giovani, nulla vedono, perchè non sono abituati all’esame del dettaglio, a fissare cioè l’occhio ai più minuti particolari; ond’è che come pei marinari tutti i cavalli si rassomigliano, e viceversa pei cavalieri tutti i bastimenti sono eguali, non essendo esercitati ad osservare i dettagli degli uni e degli altri, così avviene per le particolarità del nostro mestiere.

Ora poi che siamo costretti, per le necessità dei tempi, ad improvvisare i nostri graduati, una tale qualità è più che mai necessaria di coltivare in tutti i modi, inquantochè essi non hanno campo di formarsela, come i vecchi graduati d’una volta, con il lungo servizio.

Si aggiunga poi che, nulla aiuta maggiormente la memoria che l’associazione dell’idea pensata colla cosa rappresentata, essendo questo appunto uno dei tanti artifici mnemonici a cui ricorre, come si sa, la pedagogia nella sua missione.

Del resto è cosa tanto evidente che non vale la pena di spendervi parole attorno, perchè tutti ne saranno convinti sol che pensino ad es.: che è più facile ricordare le fattezze d’un cavallo o le particolarità di un terreno, quando siano state vedute coi propri occhi, anzichè se ci vennero descritte da altri.

Con tale sistema si costringerà adunque l’individuo all’esame delle figure, si sveglierà in lui lo spirito d’analisi, e l’imagine resterà assai più tenacemente impressa nella memoria che non le parole colla semplice ed anche replicata lettura del testo.

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V.

Prescrizioni tassative e di forma.

Già dissi, parlando dei principi e delle norme di massima, a cui dovrebbe essere informato il nostro regolamento di manovra che, attualmente, parevami esistessero ancora troppe prescrizioni tassative, ed aggiungerò ora che sembrami ve ne siano anche talune di forma, le quali potrebbero forse essere eliminate con vantaggio delle evoluzioni, ed essenzialmente per dare ad esse elasticità e celerità, nonchè per sviluppare l’iniziativa e l’abilità tattica dei vari comandanti.

À giustificare il mio asserto, onde non abbia l’aspetto di una affermazione gratuita e vaga, mi sia concesso (esclusa ogni idea di saccenteria) di accennare talune di queste prescrizioni.

Incomincerò anzitutto col far rimarcare com’io non trovi giustificata la disposizione che fa formare la colonna per uno, facendo rompere prima una squadra eppoi l’altra, anzichè seguire il principio di massima di compiere l’incolonnamento simmetricamente dal centro. La colonna per uno, lo dice lo stesso regolamento, (n. 54) dev’essere usata sol quando s’incontrino passaggi tanto ristretti da non permettere l’impiego della colonna di via; ed in allora il far avanzare la colonna degli individui di destra, mentre quella di sinistra si ferma, risulta così poco naturale che all’atto pratico, è raro che gli individui vi si attengano, incolonnandosi invece successivamente ed alternativamente dalla destra e dalla sinistra.

D’altra parte il succitato sfilamento crea inconvenienti non lievi; inquantochè i cavalli di sinistra, avendo naturale tendenza a seguire quelli che loro sfilano di fianco, s’intraversano e scalciano; senza contare che, oltrepassato l’ostacolo, non si può formare la colonna per due sino a tantochè non sono sfilate tutte e due le colonne, con l’aggravante che quella di sinistra deve poi portarsi all’altezza di quella di destra, perdendo un tempo immenso. Così pure, non si può formare la colonna per quattro senza prima costituire quella per due.

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Tale disposizione non è adunque pratica e ritengo la si debba alla formalità di non volere frammischiare, alternativamente, gli individui delle squadre; mentre all’opposto io propugno che ciò debba avvenire per radicare nella mente degli individui il principio di scomporsi e ricomporsi dal centro e sul centro e non prima dalla e sulla destra e poscia dalla e sulla sinistra. D’altronde, le squadre non costituiscono delle vere unità (tantochè non hanno speciali comandanti), ma delle semplici suddivisioni del plotone senza importanza, mentre non è del pari senza importanza il rompere ed il riformarsi in un modo piuttostochè nell’altro.

Altro sacrificio alla forma parmi sia pure la disposizione che, nello spiegamento del plotone, dalla colonna di via (n. 55), senza aumento di andatura, fa avanzare la guida e lo spezzato di testa di 20 passi prima che l’uno e l’altro diminuiscano la andatura. Difatti, gli individui degli spezzati che seguono possono subito obliquare in fuori (come realmente fanno), e per portarsi al posto hanno, dinanzi a loro, lo spazio sufficiente, dovuto alla profondità a cui si trovano incolonnati. Pertanto, l’avanzata dei 20 passi (rappresentante la fronte del plotone normale di 16 file), è di troppo, e sarebbero più che bastanti quattro o cinque passi.4

Ad un eccessivo omaggio alla regolarità, ritengo debbasi pure attribuire il modo col quale si effettua la formazione dello squadrone in colonna di plotoni dalla colonna di via (n. 81), facendo cioè spiegare, all’andatura comandata, il plotone di testa, mentre gli altri plotoni prendono tale andatura a mano a mano che giungono alla distanza prescritta e si spiegano poscia al comando del loro capo.

Ma, a parte la non chiara dizione, il movimento eseguito in tal modo, non credo risponda alle esigenze di uno sbocco sul terreno di manovra, scopo che noi non dobbiamo perdere di vista. Necessita invece, in tal caso, che i singoli plotoni si [p. 18 modifica]spieghino successivamente, appena sono sboccati, ond’essere in condizione, se urge, di concorrere a fronteggiare un attacco, caricando a scaglioni; oppure di serrare sul riparto di testa, appena spiegati ed all’andatura di spiegamento, per concentrare rapidamente lo squadrone nelle mani del comandante e per lasciare libero sbocco ai plotoni successivi.

Non minore attaccamento alla forma, opino sia infine la disposizione prescrivente al riparto centrale, nel passaggio del reggimento dalla massa alla linea di colonne, di proseguire nella sua direzione mentre gli altri si spostano in fuori. Se invece, colla formazione attuale su 6 squadroni, i due centrali si scostassero entrambi, l’uno dall’altro, oltrechè il movimento si effettuerebbe più rapidamente, non avverrebbe il grave inconveniente di far trovare il comandante in situazione eccentrica e di costringerlo a spostarsi onde portarsi al centro della linea col rischio di trascinarsi seco, in questo suo spostamento, e come dovrebbe avvenire, il riparto centrale, che deve sempre seguire il comandante.

Lo stesso dicasi pel passaggio inverso, cioè dalla linea di colonne alla massa.

Ora, per principio fisso, il comandante deve tracciare la direzione d’attacco e salvochè non voglia egli cambiare questa, non deve mai spostarsi e debbono invece essere i riparti che devono regolarsi su di lui, spostandosi per prendere l’intervallo dal centro, segnato dal suo asse.

Perchè poi specificare tassativamente, in questo movimento che lo squadrone centrale deve avanzare di 80 passi all’andatura comandata, prima di diminuirla di un grado? Non sarebbe forse meglio indicare più genericamente che lo squadrone, qualunque sia la sua forza, deve avanzare di uno spazio eguale alla propria profondità? In tal modo, oltrechè si risparmierebbe tempo e percorso, quando i plotoni fossero soltanto di 12 file e gli squadroni di 3 plotoni, si otterrebbe di far ragionare i comandanti in sott’ordine, onde abituarli a manovrare celeremente e con criterio. [p. 19 modifica]

Io però, debbo confessarlo francamente, non sono partigiano della scossa creata da questo avanzare del riparto centrale, e ritengo sia dovuta anch’essa alla formalità di volere ottenere che gli squadroni giungano sulla linea, già completamente raddrizzati.

L’importante, a mio modo di vedere, si è invece che vi giungano rapidamente i plotoni di testa delle singole colonne, il raddrizzamento di queste avvenendo poi in modo naturale coll’avanzata stessa del reggimento (od anche evitato, senza spreco di tempo, nell’immediato spiegamento). Il movimento dovrebbe quindi eseguirsi sempre con andatura di un grado superiore a quella di marcia del riparto centrale e gli squadroni dovrebbero forzare, più o meno, il cambiamento di direzione, esclusivamente per dirigersi, per la via più breve, al punto in cui il riparto di testa dovrà trovarsi sulla linea, evitando i troppo marcati giri di vettura. Si provi e si vedrà che oltre ad ottenere una maggiore celerilà, si ha pure una maggiore naturalezza nell’esecuzione del movimento; perchè tutto quanto io andrò affermando in queste pagine, è bene si sappia, non costituisce della pura teorica astratta, sibbene risultati di esperienze che ottennero l’approvazione di alte autorità.

Numerosi sarebbero ancora gli esempi che potrei citare di prescrizioni tassative o facenti, secondo il mio debole parere, troppo omaggio alla forma ed alla regolarità, ma avremo campo di rilevarli nella trattazione degli altri argomenti; prescrizioni la di cui abolizione imprimerebbe, certamente, un altro aspetto alle nostre evoluzioni, ma che non parmi, farebbe perdere ai riparti l’armonia e l’ordine. Difatti, a quelle forme, a quelle prescrizioni se ne sostituirebbero altre, a mio credere, meno rigide e più confacentisi alla nostra caratteristica.

Per ora vorrei intanto, che tutti fossero persuasi, non doversi, per massima, sacrificare mai lo scopo alla forma e che non conviene adottare una prescrizione tassativa per tutti i casi, unicamente per soddisfare l’estetica delle nostre evoluzioni di piazza d’armi, le quali assumono carattere ben diverso sul terreno naturale e di fronte al nemico, e per la cui unica eventualità esse debbono essere plasmate. [p. 20 modifica]

Si miri dunque allo scopo, ed in base a questo si cerchino i mezzi i più acconci per conseguirlo celeremente e bene.


VI.

Spiegamenti e ripiegamenti.

«Lo spiegamento deve durare il meno che sia possibile. A raggiungere questo scopo, nei piccoli riparti (colonna di via nel plotone, colonna di plotoni nello squadrone) è sufficiente eseguire il movimento aumentando l’andatura; nei riparti maggiori invece, a causa della profondità della colonna, l’aumento di andatura dev’essere combinato con un rallentamento della testa» (n. 10).

Così si esprime il nostro regolamento, ed il principio non potrebbe essere più giusto, sempre quando, ben inteso, si riferisca al passaggio dalla colonna alla linea, unico caso contemplato dalla suddetta dizione, non essendovi cioè compreso in essa il vero e proprio spiegamento del reggimento dalla massa alla linea di colonne, od alla linea spiegata.

Prescindendo da questa omissione, non parmi però che il principio suddetto sia poi rispettato od affermato.

Vedemmo difatti, nel precedente paragrafo, parlando appunto della formazione della colonna di plotoni da quella di via che, anche quando i reparti si spiegavano con comandato aumento di andatura, essi dovevano però prima serrare sul precedente all’andatura di marcia ciò che rendeva illusorio tale aumento.

Inoltre, se è bensì vero che, in tutti gli spiegamenti, viene specificato doversi di solito comandare aumento di andatura (n. 54), non è per altro men vero essere del pari prescritto che, quando non è comandato questo aumento (n. 55) la guida e la frazione di testa debbono diminuirla di un grado.

Ora è l’inverso che dovrebbe sancirsi in modo assoluto, prescrivendo tassativamente cioè: che lo spiegamento dovesse effettuarsi sempre con aumento di andatura, ammenochè venisse comandato diversamente; sia perchè è questo il caso che si avvererà sempre dinanzi al nemico; sia perchè è [p. 21 modifica]necessario evitare, per quanto è possìbile, i comandi; sia perchè la cosa deve risultare come naturale onde impedire che nel trambusto del combattimento possa nascere incertezza; sia infine perchè è l’unico modo per ottenere che la truppa segua il comandante e manovri senza comandi.

Un tale principio è anche necessario per affermare la massima, sin dalla scuola di plotone, che siccome gli spiegamenti precedono l’attacco, così è conveniente abituare i riparti non solo a spiegarsi celeremente, ma ben anco a proseguire subito dopo con veloce andatura (N. 10).

In tal modo gli individui ed i riparti si abitueranno a preparare i cavalli ad essere pronti a partire, senza scosse e senza tempo di arresto, allorquando gli individui od i riparti d’ala stanno per giungere sulla linea, come appunto debbono regolarsi i vari comandanti ed esigere che lo facciano i propri dipendenti.

Eppertanto la stessa regola dovrebbe, a più forte ragione, seguirsi pel passaggio del reggimento dalla massa alla linea di colonne od alla linea spiegata, senza che lo squadrone centrale prosegua all’andatura della marcia, od a quella comandata per 80 passi (N. 139-140) per quindi diminuirla di un grado.

Comprendo che, nel modo attuale, si assicura la formazione con più apparenza, ma si ha il grave inconveniente, come ben rileva il rapporto del comitato francese, di presentare un arresto al momento in cui non vi sarebbe tempo da perdere ed allorquando sarebbe necessario conservare a tutte le truppe lo slancio; arresto che non sfuggirà all’avversario e che potrà aumentare la sua confidenza ed esaltare il suo ardore.

D’altronde, chi comanda deve avere occhio e criterio; e per agevolare lo spiegamento, egli potrà trattenere, senza fargli cangiare andatura, il riparto centrale, sino a tanto che gli altri non siano giunti sulla linea.

Anzi io vorrei di più, vorrei cioè che, per principio, gli spiegamenti che precedono l’attacco, se non è ordinato altrimenti venissero eseguiti sempre di galoppo e che, sino [p. 22 modifica]allo squadrone, i riparti fossero esercitati a spiegarsi al galoppo allungato; mentre per gli spiegamenti della colonna di via in colonna di plotoni o per l’ammassamento dovesse usarsi l’aumento di un grado di andatura col contemporaneo rallentamento della testa.

Difatti, i veri spiegamenti non si eseguiscono che allorquando si voglia attaccare; ed una volta deciso l’attacco, è duopo partire a fondo colla massima celerità, onde colpire possibilmente l’avversario in piena crisi di spiegamento, oppure nella direzione più favorevole, senza dargli tempo di parare il colpo. Dunque, lo spiegamento al trotto è un errore, inquantochè, o lo spiegamento è prematuro, oppure si corre il rischio d’esser colpiti dall’avversario come sopra è detto.

Pertanto, il galoppo è la sola andatura che si deve normalmente usare negli spiegamenti dinanzi al nemico, e non deve esservi bisogno alcuno di comandarla per farla prendere. Quando invece, per istruzione o per eccezione, vorremo servirci del trotto, allora sarà il caso d’indicarla; ma, per quanto è possibile, torno a ripeterlo, si risparmino i comandi, se vogliamo evitare confusioni, incertezze o ritardi; e sopratutto facciamo che ciascuno sappia come deve regolarsi in ogni circostanza, senza dover ricevere sempre l’imbeccata del comando.

Soltanto in questo modo si potrà ottenere di avere una cavalleria manovriera per eccellenza, inquantochè saprà imporre la propria volontà all’avversario, conservandosi sino all’ultimo momento nelle mani del proprio comandante.

Certamente tutto ciò non si può ottenere di un subito, necessitando anzitutto che i riparti siano affiatati all’uso del galoppo allungato.

Lo stesso principio dovrebbe pure presiedere ai ripiegamenti; i quali essendo imposti generalmente dal terreno, dovrebbero anch’essi durare il meno possibile, inquantochè essi rappresentano un periodo di crisi. Perciò, di massima, i ripiegamenti (come gli spiegamenti) dovrebbero sempre eseguirsi con aumento di andatura, senza comandi di sorta, salvo ad ordi[p. 23 modifica]narli diversamente, se si vorranno ottenere, in via eccezionale, in altro modo.

Da questo poi al passare all’incolonnamento coll’andatura assunta dal comandante, senza ordini e per puro spirito di imitazione, non sarà che un passo assai facile, come vedremo a suo tempo.


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VII.

Cambiamenti di direzione, conversioni e cambiamenti di fronte.

I cambiamenti di direzione, le conversioni ed i cambiamenti di fronte, sono in oggi tre modi differenti di girare di un riparto.

Cambia direzione un riparto in colonna, ed affinchè questo cambiamento non porti scosse lungo la medesima, è necessario che il perno non si arresti, onde contro di esso non vada ad urtare il riparto che segue. Ecco perchè il cambiamento si fa avanzando, descrivendo col perno un arco molto pronunciato e facendo regolare il movimento dalla guida che conserva la cadenza.

Dicesi invece che converge il riparto in linea, quando gira a perno fisso. Questo modo di girare non è però cavalleristico, perchè alle celeri andature provoca un brusco arresto del perno, costringe questo a girare ed a spostarsi sul posto e rende tanto più rigido il movimento quanto più estesa è la fronte del riparto.

Le conversioni adunque, secondo il mio modo di vedere, dovrebbero eseguirsi anch’esse a perno mobile, ma solo di quel tanto che valga ad evitare gli inconvenienti succitati, vale a dire facendo descrivere al perno un arco di piccolissimo raggio. [p. 119 modifica]

Si obbietterà che, in allora, sarebbe impossibile disporre di fianco e sul posto una linea od una massa senza farla avanzare; ma questo movimento non può essere imposto che dalla necessità di spostarsi da quella parte, dunque tanto meglio se essa incomincerà a spostarsi fin dall’inizio del movimento stesso.

Un’altra obbiezione, che mi si potrà affacciare, sarà che, se il movimento dei plotoni a destra (o sinistra) non incontrerà difficoltà ad essere eseguito avanzando, quando si tratti di connettere lo squadrone (dalla colonna alla linea) altrettanto non sarà nel caso inverso, quando cioè si debba sconnetterlo (dalla linea alla colonna), perchè il perno andrà ad urtare contro l’ala marciante del plotone situato dalla parte verso cui si gira. Ciò però non deve avvenire; inquantochè, mentre il perno diminuisce subito l’andatura e gira lentamente, l’ala marciante all’opposto dovrà avanzare e girare raddoppiando di velocità; ossia, se il movimento è eseguito ad es. al trotto, il perno si metterà al passo, mentre l’altra ala prenderà il galoppo, com’è appunto prescritto nel girat. Del resto la fila cieca (che non esiste in Francia) facilita presso di noi di molto lo sconnettimento, il quale avverrebbe inoltre senza l’altro poco cavalleristico spostamento sul posto, tanto marcato, dei quadrupedi del perno di 2a riga.

Finalmente, una terza obbiezione mi sarà fatta pel dietro fronte, facendomi osservare che nel girare avanzando, non si potrà impedire che le ali vadano ad urtare nei reparti viciniori; ma oltrechè ciò sarà evitato coll’esercizio, coll’ottenere cioè che i perni descrivano archi eguali, si eviterà sopratutto dai comandanti di plotoni, i quali sposteranno se occorre il proprio riparto, onde penetri esattamente nell’intervallo che a lui spetta, tanto più che anche attualmente se la guida non sa girare convenientemente, e si sposta in fuori, costringe l’ala marciante a spostarsi anch’essa mandandola ad urtare contro il perno del riparto viciniore.

Sia poi che si voglia conservare o no la conversione a perno fisso, in tutti i modi, tanto il cambiamento di fronte, quanto il dietro fronte del plotone, che rispondono ad una [p. 120 modifica]impellente necessità di spostarsi, di far fronte al nemico, o di ritirarsi non debbono essere eseguiti facendo diminuire di un grado l’andatura della guida come è attualmente prescritto.

Si dirà che, se si vuole effettuare il dietro fronte od il plotone a destra (o sinistra) in questo modo, basterà ordinare l’andatura di un grado superiore; ma a parte l’anomalia di dover comandare un acceleramento di andatura per far sì che la guida (incaricata di mantenere la cadenza) conservi quella che ha, sta contro tale prescrizione il principio di: evitare i comandi per quanto è possibile, onde meno facili riescano gli equivoci, per non essere stati compresi. Giova d’altra parte tener presente che di fronte al nemico, scopo a cui debbono mirare le nostre evoluzioni, i movimenti debbono avere l’impronta della celerità e che quando quei movimenti si vogliono eseguire con una diminuzione di andatura della guida, allora si potrà ordinarla; ciò che trovo sia più razionale che non l’inverso. Senza contare infine che, attualmente, eseguendo il movimento al passo, la guida dovrebbe prendere un’andatura inferiore della metà, cioè un passo che non esiste.

Il cambiamento di fronte poi dello squadrone in linea, a perno fisso, e quand’anche limitato ad un semplice diagonale dovrebbe, a mio credere, bandirsi assolutamente dalle nostre evoluzioni, lasciando che desso sia riserbato alle armi a piedi, ma non all’arma a cavallo, la quale esige, per la scioltezza dei suoi movimenti, per la conservazione dei quadrupedi e pel suo modo di combattere, di manovrare sempre avanzando e senza scosse od arresti. In tal modo la guida potrebbe fare a meno di convergere con andatura inferiore di un grado a quella che aveva o che venne comandata, limitandosi semplicemente a rallentare alquanto il trotto od il galoppo per facilitare il movimento.

Altra osservazione puossi fare a riguardo del cambiamento di fronte del reggimento dagli ordini in linea che, allo stato attuale delle cose, col far convergere la fronte come in un pezzo solo, per la regolarità e l’apparenza del movimento, [p. 121 modifica]converte in un sistema rigido e tardo, un nucleo di riparti snodati ed indipendenti, quali sono appunto gli squadroni.

l cambiamento di fronte, l’ho già accennato e torno a ripeterlo, risponde al bisogno di parare un attacco che si presenta in direzione obliqua, ond’è necessario che si abbiano anzitutto e sollecitamente gli squadroni nella nuova direzione.

Non è però col girare su enormi archi di circolo, come si vede in figura, che ciò si potrà ottenere; inquantochè oltre ad essere questo movimento lunghissimo, v’è l’aggravante che nessuno squadrone è al caso di fronteggiare l’attacco sino a tanto che l’intero reggimento non ha compiuto la conversione. L’ideale da raggiungersi è invece che: il comandante, senza tanto specificare andature e cambiamenti diagonali, si slanci nella nuova direzione, seguito dal riparto centrale, e che tutti gli altri imitino il movimento, cambiando dapprima direzione alla fronte e portandosi poscia sulla linea ed al giusto intervallo, di galoppo e pel più corto cammino.

La fronte, in tal modo, si cangia da se sul centro anzichè su di un’ala, senza comandi o tutto al più col comando o suoneria: fronte al nemico, senza perdita di tempo, di quel tanto [p. 122 modifica]che il comandante vuole ed anche con spostamento verso la destra o la sinistra di quanto fosse necessario per meglio colpire l’avversario e senza che il capo sia costretto a seguire rigidamente la traccia fissata dal regolamento che, a parte il lungo percorso, non sarà spesso la più conveniente per ben dirigere l’attacco.

In una parola: il cambiamento dovrà avvenire a guisa di scaglioni di squadrone, per essere ciascuno pronto subito a fronteggiare corrispondenti riparti nemici od a parare attacchi avvolgenti, e tanto meglio se si avrà poi il tempo di riportarli tutti sulla linea; mentre intanto al 2° tempo se ne avranno già due (i centrali), poscia nell’avanzare, fronteggiando sempre il nemico, cioè al 3° tempo, gli altri due laterali, e finalmente anche gli esterni. A tal uopo, il comandante dovrà regolare l’andatura dei reparti centrali per favorire l’avanzata di quelli d’ala, mentre i riparti del perno dovranno a loro volta regolarsi su quelli di base per ritornare sulla linea ed al giusto intervallo, spostandosi se occorre in fuori od in dentro a seconda delle circostanze.

Nel caso infine della massa, non deve essere necessario di comandare e far eseguire dapprima il cambiamento di fronte e poscia lo spiegamento, inquantochè il comandante, nell’ordinare lo schieramento, cangerà nel tempo stesso direzione, seguito dal riparto di base, e gli altri approfitteranno dello spostamento che debbono fare per venire contemporaneamente a spiegarsi sulla nuova linea.

Colà dove si dirige e va il capo, tutti gli altri, a cominciare dal riparto centrale debbono seguirlo; ecco il gran principio per ottenere la rapidità della manovra e specialmente i rapidi cambiamenti di fronte.

Con truppa così addestrata sarà facile di poterla maneggiare in spazi e tempi ristretti, per fronteggiare qualunque eventualità, epperciò di raggiungere una illimitata superiorità su altra più numerosa, ma meno manovriera e non altrettanto alla mano del comandante. Questi potrà, in allora, attendere ad es.: che l’avversario abbia iniziato il suo spiegamento a [p. 123 modifica]distanza forte e si trovi nell’impossibilità di cambiare rapidamente di fronte, per piombargli addosso obliquamente su di un’ala, con rapido cambiamento di direzione della massa, contemporaneo allo spiegamento.

Concludendo, canone fondamentale dei cambiamenti di fronte (come in generale di tutte le evoluzioni) dev’essere che: gli squadroni si rechino al loro posto per la via più breve, col minor numero di movimenti possibili ed all’andatura che maggiormente facilita e senza brusche scosse, la nuova formazione; andatura però che, normalmente, a partire dal centro verso l’ala esterna, sarà, pei cambiamenti di fronte, il galoppo, senza che vi sia bisogno di specificarla col comando.


VIII.

Delle andature.

Dopo quanto venne detto, relativamente: agli spiegamenti, ai ripiegamenti, ai cambiamenti di fronte, di direzione, ecc., sarà facile il persuadersi che: l’andatura non è che un mezzo, del quale ciascuno deve sapersi servire a seconda delle circostanze. Intendo, non già a capriccio, sibbene seguendo principi e norme nettamente tracciate, e ciò sempre in omaggio all’ordine ed alla disciplina, che debbono essere base d’ogni manovra; con questa differenza però che, attualmente, il regolamento fissa tassativamente che l’andatura dev’essere comandata, e la prescrive per ogni formazione, mentre io opino invece essere inutile, o meglio non necessario ed anzi da evitare d’indicare col comando, caso per caso, l’andatura da usarsi.

L’andatura dev’essere fissata come principio e norma di massima pel caso più generale e per quello che corrisponde all’eventualità di avere il nemico di fronte e che facilita le evoluzioni. Essa deve quindi risultare in modo naturale ed essere assunta senza bisogno di comandi; salvo invece a specificarla quando il movimento, per istruzione ed in tesi generale, per eccezione, si voglia eseguire altrimenti; come appunto venne fatto rilevare nei paragrafi precedenti.

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Regola generale deve inoltre essere la seguente: l’individuo od il riparto di base, deve seguire il comandante alle varie andature che esso prende, e tutti gli altri, informandosi al criterio che lo scopo deve avere la preminenza sui mezzi, si regolano, per spirito d’imitazione e d’iniziativa sull’individuo o sul riparto centrale, non perdendo mai di vista l’obbiettivo da seguire e secondando il comandante nelle sue intenzioni.

Pertanto il comandante parte al trotto, e tutti gli individui e i riparti fanno altrettanto; il comandante incontrando una stretta, rompe al galoppo, ed il riparto centrale, seguito ed imitato successivamente dagli altri, s’incolonnano colla fronte più ampia possibile; superata la stretta il terreno consente di riformarsi come prima ed il comandante diminuisce l’andatura o si arresta ed i riparti successivamente si riformano e si arrestano; il capo ordina lo spiegamento, e gli squadroni al galoppo, prendono l’intervallo e si spiegano poi al galoppo allungato; il comandante vuol facilitare agli squadroni d’ala, rimasti alquanto indietro per le circostanze del terreno, di portarsi più facilmente in linea, ed egli rallentando l’andatura, costringerà i riparti già spiegati a fare altrettanto; ecc.

In tal modo saranno soppressi i dettagli ed i comandi inutili, dovendo bastare a tutti l’indicare l’obbiettivo, lasciando che ciascuno lo raggiunga a sua volta, in base al concetto generale al quale dev’essere improntato il nostro regolamento, pel più corto cammino, nel tempo minore e nelle migliori condizioni possibili; senza dimenticare mai che tanto gli spiegamenti, quanto i ripiegamenti imposti dal terreno in presenza del nemico, rappresentano dei momenti di crisi.

L’andatura normale di manovra dovrebbe adunque essere il galoppo, riserbando il trotto puramente e semplicemente per le marce e per istruire, non mai per esercitare i riparti, perchè solo col galoppo si potrà rimediare all’attuale lentezza dei movimenti e rendere una cavalleria manovriera per eccellenza.

In Russia venne difatti adottato non solo il galoppo di manovra (di circa 284m al minuto), ma benanco il galoppo di [p. 125 modifica]campagna (di 426m), mentre da noi si continua ad evoluzionare a base di trotto e di trotto di strada, di appena 200m al minuto, riservando il galoppo quasi esclusivamente per la marcia di fronte per l’attacco.

Ciò dipende dal fatto che il regolamento specifica potersi usare, per ogni movimento, il trotto ed il galoppo, quasichè in presenza del nemico si potesse, a piacimento, evoluzionare con l’una o l’altra andatura.

Se vogliamo invece che, in allora, si usi esclusivamente il galoppo, per guadagnare il fianco dell’avversario, per non fare spiegamenti prematuri, ecc., bisogna, fin dal tempo di pace, esercitare i nostri riparti e costringerli a manovrare a tale andatura; perchè in cavalleria nulla s’improvvisa e finiremo altrimenti coll’avere una cavalleria la quale farà bella mostra di sè in piazza d’armi, pel suo modo ordinato e tranquillo di evoluzionare, ma che non sarà mai una cavalleria manovriera, la di cui caratteristica sia la rapidità.

Questo basti a dimostrare quanto urga, a mio credere, di incamminarsi sulla nuova via, ed a spiegare il perchè io mi sia deciso a scrivere queste pagine, abbenchè sia stato pubblicato, or ora, il nuovo regolamento di esercizi e di evoluzioni.

Nè vi sarà a temere che possa avvenirne un logoramento maggiore nei quadrupedi; inquantochè ciò che sciupa il cavallo non è il galoppo, ma sono i bruschi arresti, il manovrare su piazze d’armi ghiaiose o su terreni duri che, specie nell’estate, quando le unghie aride dei piedi sono poco elastiche, producono col ferro percosse tremende sulle articolazioni.


IX.

Della guida e della direzione.

Coll’adozione della guida al centro si dimostrò di avere compreso come, in cavalleria, spettasse al comandante, e non alla fila d’inquadramento di destra o di sinistra di trascinare il riparto all’attacco, e come senza la guida al centro, il comandante non potesse mai avere la propria truppa alla mano, sia [p. 126 modifica]per ben dirigerla nel punto preso di mira, sia per comunicarle immediatamente la propria volontà.

Tale guida al centro non deve adunque mai cessare, in nessuna circostanza, vuoi nelle marce di fronte, vuoi negli spiegamenti ed i ripiegamenti, vuoi infine nei cambiamenti di fronte, sia che questi si facciano a perno mobile e snodati, sia che si vogliano a perno fisso e rigidi. In una parola: noi dobbiamo manovrare col centro e sul centro, e non altrimenti.

Però, se la guida al centro, presso di noi, si ottenne pel plotone, altrettanto non si raggiunse per lo squadrone, il mezzo reggimento ed il reggimento.

Difatti, affinchè una truppa possa, in certa guisa, essere collegata col proprio comandante è necessario, ed è anche suffìcente che: la fronte del riparto sia resa solidale con la direttrice di marcia tracciata dal capo, ossia colla normale passante pel centro del riparto e che ne rappresenta l’asse. Ora, ciò avviene appunto pel plotone, in cui, l’individuo del centro trovasi in corrispondenza e segue il comandante. L’asse è pertanto materializzato da due individui e variando esso di posizione, la fronte è costretta anch’essa a convergere a destra od a sinistra, secondochè l’asse si volge dall’una o dall’altra parte.

Nello squadrone, nel mezzo reggimento e nel reggimento invece, nei riparti cioè in cui maggiormente si fa sentire il bisogno della guida al centro, il comandante viene a trovarsi in corrispondenza dell’intervallo segnato dai due plotoni o dai due squadroni centrali; epperciò l’asse non è rappresentato che da un solo punto, non avendo egli sulla fronte dello squadrone o del reggimento altro individuo di riferimento e di collegamento.

Come può pertanto il comandante, dell’uno o dell’altro riparto, assicurare la direzione d’attacco ed imprimerla mediante quella segnata dal proprio cavallo, nonchè di far eseguire un cambiamento di direzione od uno spiegamento obliquo con celerità ed esattezza?

Persuadiamoci che, un comandante di cavalleria, non potrà essere padrone del proprio riparto, non potrà cioè dire di averlo [p. 127 modifica]alla mano, se non quando potrà comunicargli la sua volontà d’un sol colpo, d’un sol comando, d’un sol gesto rapido come il fulmine e non con ordini dettagliati, o con comandi lunghi.

Dobbiamo dunque attribuire alla mancata traccia della direzione, nonchè dal non essere abituati a seguire il comandante, tutte le volte che, nel momento convulso dell’azione, i riparti sfuggono dalla mano del capo, o dall’orientazione dello spiegamento e dell’attacco, perchè in allora il comandante avrà un bel gridare, gli squadroni, a guisa di voce dal sen fuggita, che richiamar non vale, continueranno a puntare per loro conto o nel vuoto.

S’aggiunga poi che, presso di noi, allorchè il comandante si allontana momentaneamente, l’incarico di mantenere la direzione, negli ordini in linea (N. 13) è assunto: dal comandante del riparto centrale per lo squadrone, e pel reggimento, dal più elevato in grado o più anziano dei due comandanti di mezzo reggimento. Io domando però, tanto l’uno quanto l’altro, ma specialmente quest’ultimo, come possono guidare dalla posizione eccentrica in cui vengono a trovarsi? Senza contare che, se si dirigono nella direzione designata dal comandante, non potranno fare a meno di portare una oscillazione ed uno spostamento della fronte.

Da quanto sopra ne emergono quindi questi tre principi dì somma importanza, cioè:

1° Che il comandante di qualunque riparto, deve trovarsi dinanzi ed al centro della fronte, onde possa essere veduto da tutti, e possa tracciare l’attacco, ossia costituire la guida di direzione.

2° Che desso dev’essere collegato col riparto centrale, a mezzo del comandante di questo, incaricato di seguirlo e segnare la guida d’allineamento.

3° Infine, che la direzione non deve sparire coll’assentarsi, anche momentaneamente, del capo e dev’essere conservata dal comandante in sottordine che trovasi sull’asse.

Per noi, allo stato attuale delle cose, e come ripiego ogni qualvolta la fronte sia costituita da un numero pari di riparti, [p. 128 modifica]l’unica soluzione possibile si è quella di porre, come in Francia, il comandante dello squadrone e del reggimento in corrispondenza del riparto così detto centrale (ma che non lo è affatto), ossia sull’asse tracciato dal comandante il 2° plotone e del 3° squadrone; ma si avrebbe pur sempre l’inconveniente di non avere realmente la guida al centro, motivo per cui non sarebbe agevole, al comandante, di centrare l’attacco.

D’altra parte, non seguendo il sistema suddetto, è impossibile che non si manifestino nella fronte tutte quelle oscillazioni che ora si lamentano; vuoi pel fatto che il comandante dello squadrone, nello spiegamento, deve portarsi al centro di figura, vuoi perchè è assolutamente non pratico che il comandante del plotone centrale possa regolarsi, per la direzione, sul proprio comandante di squadrone, e l’uno o l’altro sul comandante il reggimento, stante la loro eccentricità rispettiva, che li condanna ad un continuo sforzo di orientamento per approssimazione.

L’ideale sarebbe adunque di costituire lo squadrone ed il reggimento in formazioni dispari, cioè: l’uno costituito da tre plotoni e l’altro da cinque squadroni.

Non conviene costituire anche lo squadrone su cinque plotoni perchè risulterebbero troppo piccoli, specie durante il tempo di pace, giacchè anche attualmente si trova difficoltà a formarne quattro; sicchè spesso si è costretti a scomporne uno per rinforzare gli altri. Ciò è di non lieve gravità, inquantochè i plotoni, che formano la base dello squadrone, sia per ragioni disciplinari, sia per quistioni tattiche e tecniche, non dovrebbero mai sfuggire dalle mani del proprio comandante.

In secondo luogo poi, con tre plotoni soltanto, gli spiegamenti sarebbero più rapidi che non su cinque, come lo sarebbero anche rispetto agli attuali su quattro, stante il ritardo del quarto plotone per portarsi in linea, mentre invece si può dire che lo spiegamento del 2° e 3° è quasi contemporaneo, gettandosi l’uno sulla destra e l’altro sulla sinistra.

La forza organica di questi plotoni dovrebbe essere di 38 cavalli nelle file, ossia 20 in prima riga e 18 in seconda.

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A primo aspetto essa sembrerà un po’ forte, ma se si pensa che ben difficilmente arriveremo a mobilitarci colla forza al completo e che, in tutti i modi, dopo i primi giorni, andrà subito diminuendo, si vede che sarà molto se potremo raggiungere quella che dovrebbe essere ora normale (di 16 e 14), specie quando vi si difalchino tutti gli individui che saranno comandati in servizio isolato.

I reggimenti, ho detto, vorrei che fossero costituiti su cinque squadroni, onde renderli anche più maneggevoli, qualità assolutamente indispensabile per noi5.

Le brigate invece dovrebbero essere composte di tre reggimenti, perchè se è importante che il reggimento possa essere guidato dal comandante, a più forte ragione lo è la brigata quando debba costituire la prima schiera, o meglio ancora costituirsi in schiere; giacchè io ritengo che, la nostra unità tattica per eccellenza debba essere la brigata, composta come sopra è detto, rinforzata da 1 batteria a cavallo, non consentendo i nostri terreni l’impiego di unità maggiori sotto l’impulso diretto di un sol comando. Nulla vieta però che, ad ognuna delle armate, siano assegnate due di queste brigate, normalmente dipendenti entrambe soltanto dal comandante supremo d’armata; ed in circostanze eccezionali di tempo e di luogo, riunite sotto il comando di un solo.

Queste brigate dovrebbero inoltre essere costituite in modo permanente, giacchè se v’è un’arma che richieda affiatamento fra i vari comandanti e le unità dipendenti questa è appunto la cavalleria, senza di che è impossibile, alle celeri andature, trascinare, guidare e farsi comprendere dai propri riparti.

Lo stendardo del reggimento dovrebbe poi essere affiancato al comandante del plotone centrale, onde fosse bene in vista a tutti ed affinchè quel riparto costituisse la base [p. 130 modifica]d’allineamento; perchè, è inutile illudersi, è essenzialmente su di esso che gli altri riparti prendono norma per allinearsi, specie nei cambiamenti di fronte, mentre in oggi non è designato da nulla.

Difatti, la fronte d’attacco, oltrechè non può essere segnata dal solo comandante il riparto centrale, non può nemmeno essere rilevata dai comandanti dei riparti eccentrici, senza il concorso di questo riparto, che la traccia invece in modo chiaro. Ora tutti comprendono quanta importanza abbia la fronte d’attacco, perchè io abbia bisogno di spendervi parole attorno, per dimostrare la necessità che sia designato con appariscenza il riparto di base.

Eppertanto lo stendardo varrà a trascinare gli squadroni sulla via della vittoria, a non sfuggire dalle mani del comandante, e sopratutto a guidarli nella direzione d’attacco; tale appunto dovendo essere la sua elevata missione, col richiamare e designare la guida al centro.

Sopprimerei poi senz’altro la suddivisione in mezzi reggimenti, ed i relativi ufficiali superiori, non avendo essi nessuna ragione, nè amministrativa, nè tecnica, nè tattica di esistere; e conserverei soltanto un comandante in 2a a 10 passi dietro il comandante in 1a, per sostituirlo nella direzione, quando egli si assenta e per comandare due degli squadroni, quando venissero distaccati (gli altri tre dovendo in allora rimanere agli ordini del comandante il reggimento).

Anzi, gli ufficiali superiori, dinanzi alla fronte, ritengo siano dannosi, inquantochè sono un’altra delle cause per cui gli squadroni fuggono spesso dalla mano del comandante il reggimento. Difatti, dovendo gli squadroni seguire il proprio comandante di mezzo reggimento, perdono di vista il colonnello e la guida al centro, talchè avviene che, nell’orgasmo della azione, gli ufficiali superiori, puntando per loro conto, lasciano il comandante il reggimento senza truppa dietro di sè, mentre gli squadroni non debbono avere che un solo capo diretto e seguirlo: il colonnello.

Inoltre, è impossibile che gli ufficiali superiori possano segnare l’intervallo giusto dal centro, non avendo sulla propria [p. 131 modifica]linea, in corrispondenza dell’asse, alcun punto di riferimento, motivo per cui creano continue oscillazioni nella fronte. Di più nel mezzo reggimento di destra, risultano adesso due squadroni centrali, uno cioè di mezzo reggimento, che deve seguire l’ufficiale superiore, ed un altro di reggimento che deve regolarsi sul primo e contemporaneamente seguire il comandante il reggimento.

L’abolizione degli ufficiali superiori renderebbe per giunta gli squadroni più indipendenti nella formazione del reggimento, sia nella raccolta, sia nell’ammassamento, mentre in oggi essi debbono portarsi sulla destra o sulla sinistra, intraversandosi e creando magari inciampo all’adunata, secondochè appartengono all’uno od all’altro mezzo reggimento; contrariamente al principio delle riunioni sul centro successivamente ed alternativamente a destra ed a sinistra qualunque sia il numero d’ordine amministrativo dei riparti. Lo stesso dicasi per quanto riguarda i ripiegamenti, che avverrebbero sul centro, alternativamente, dalla destra e dalla sinistra in modo più naturale e con minori arresti.6

Ravvicinerei anche il comandante del reggimento, portandolo a soli 23 passi dai comandanti di squadrone, inquantochè la linea spiegata venendo assunta soltanto all’alto dell’attacco [p. 132 modifica]e quando non vi è più possibilità alcuna di manovrare, non è necessario che il comandante sia molto distante dalla fronte, ed anzi sarà più facilmente raggiunto dai riparti (come vuole il regolamento), mentre attualmente è impossibile che in 150 o 200 passi di carica, essi ne possano guadagnare 50, sul percorso del comandante, per raggiungerlo.

Si noti infine che, dalla distanza di 23 passi, dal comandante il riparto centrale, egli potrà imprimere meglio alla linea, la fronte che intende di darle, inquantochè quanto più è vicino ad essa e tanto più celeremente e più fortemente è marcato il proprio spostamento nella nuova direzione.7

Così pure trovo che non v’è alcuna necessità che il comandante lo squadrone stia a 7 passi dal capo plotone nell’ordine in colonna e si porti poi a 15 passi in quello in linea, obbligandolo, ogni volta, a fare uno slancio avanti od un arresto nello spiegamento o nell’incolonnamento, che, se fosse realmente eseguito, potrebbe creare dei malintesi nel plotone centrale, e che in tutti i modi perturberebbe l’andamento delle evoluzioni. Proporrei quindi che fosse lasciato sempre a 5 passi di distanza, anche per le ragioni accennate pel comandante il reggimento.

L’ordine di schieramento sarebbe pertanto il seguente:


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Coll’istituzione poi della guida al centro, le file d’inquadramento hanno perduto molto della loro importanza e ne ha invece acquistata una grandissima l’individuo destinato ad essere il centro del plotone. Quivi adunque, dovrà essere destinato il più elevato in grado, dopo il comandante del plotone, ed in mancanza di graduati, il cavaliere più intelligente; anche perchè qualora cadesse il comandante, l’altro potesse subito sostituirlo nel comando, con un salto avanti.8

Per ultimo gli zappatori dovrebbero rimanere alle ali della 2a riga; onde non scomporre tutto il plotone quando occorra chiamarli fuori, per aprire celeremente dei passaggi o per altra missione di loro spettanza, e dovrebbero far parte, per la stessa ragione del plotone di testa nella colonna che, diviene poi centrale nello spiegamento.

Riguardo agli intervalli, parmi che sia di troppo l’averli fìssati a 10 passi fra squadrone e squadrone e 15 fra i due mezzi reggimenti in linea; giacchè per quanto si predichi che questi intervalli sono fatti per dare elasticità di manovra e che debbono sparire all’atto dell’urto, il più spesso avviene che sono invece aumentati, sicchè i comandanti di reggimento, che dovrebbero essere destinati a sfondare la linea avversaria, caricano invece non sostenuti da nessuno e con un largo vuoto dietro di loro.

È anche per questo motivo che io propugno sempre più lo schieramento su cinque squadroni e che l’intervallo sia ridotto, per tutti, a 5 passi.9

Il sesto squadrone, poi, quando non si credesse di dovere variare l’organizzazione attuale, dovrebbe portarsi al centro e dietro la linea, per costituire lo squadrone di riserva pronto a parare ogni evenienza; tanto più che la nostra fronte, quando anche costituita su 5 squadroni di 4 plotoni l’uno, sarà sempre eguale o superiore a quella dei reggimenti delle altre potenze.


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X.

Dello spirito d’imitazione e d’iniziativa.

Nello svolgere i precedenti paragrafi, mi si porse sovente l’occasione di accennare alla necessità che, nella cavalleria, fosse sviluppato lo spirito dell’imitazione e dell’iniziativa, che per me rappresenta l’anima vera della nostra arma, il fondamento della sua azione e d’ogni suo successo, come pure la migliore sua egida.

Senza questo ben inteso spirito, il comandante è forzatamente costretto ad intervenire in tutti i dettagli, a dare un’infinito numero di disposizioni, di ordini e di comandi; e siccome per quanto si moltipli e pensi, specie nel trambusto dell’azione (quando deve essenzialmente tener d’occhio il nemico), non può trovarsi dappertutto, nè indicare tutto, così è che, tosto o tardi, il difetto d’iniziativa si manifesta: con uno spiegamento non prontamente eseguito, con un cambiamento di fronte non riuscito, con una sorpresa di cui il riparto è vittima, con un’arresto di fronte ad un ostacolo, e con tanti altri sgraziati incidenti che decidono spesso della sorte di una cavalleria.

Eppertanto, io ritengo della massima importanza che questo spirito d’imitazione e d’iniziativa sia sancito dal regolamento, onde sia sviluppato e coltivato in sommo grado e sotto sani principi di massima, affinchè non degeneri in anarchia e licenza; inculcando in tutti che: l’iniziativa e l’imitazione debbono estrinsecarsi, esclusivamente, per mantenersi nelle mani del proprio capo, per agevolargli il comando, non perdendo all’uopo mai di mira, nè il comandante, nè lo scopo che egli si propone.

Io mi limiterò qui ad accennare alcuni casi, nei quali lo spirito d’imitazione e d’iniziativa deve esplicarsi, e dove il difetto di esso debba costituire una grave colpa, imperdonabile pel comandante in sott’ordine, o per lo meno servire a giudicare della sua intelligenza, della sua abilità e della sua attività.

Considerando anzitutto le andature, dev’essere sottinteso, che le medesime, senza bisogno di sonerie o di comandi (che [p. 135 modifica]impediscono ogni avvicinamento di sorpresa) debbono venire assunte per imitazione di quanto fanno il comandante ed i riparti viciniori ed in base ai principî precedentemente stabiliti.

Pertanto, è per spirito d’imitazione che i vari riparti e gli individui di una colonna in marcia debbono regolarsi per: partire, fermarsi, cambiare andatura, sdoppiare e raddoppiare, estrarre o rimettere la sciabola, rendere onori, ecc., a seconda di quanto vedono fare successivamente da quelli di testa; ed anzichè produrre continuamente scosse per serrare e riprendere le distanze perdute, ciascuno deve conservare la cadenza riguadagnando poscia la distanza prescritta coll’attendere a diminuire l’andatura od a partire quando lo fa il riparto che precede.

Insomma si deve avere una colonna elastica e non un riparto rigido che si muove, poco praticamente, tutto d’un pezzo con suonerie; cosa del resto che non si potrà mai ottenere: sia perchè le suonerie non si trasmettono a guisa di scosse elettriche, ma successivamente; sia perchè è nell’istinto dell’uomo e del cavallo di non partire o di non fermarsi se non lo fa l’individuo od il quadrupede che lo precede.

Cosi pure è per spirito d’imitazione che i riparti e gli individui delle ali o retrostanti debbono regolarsi per obliquare, convergere, incolonnarsi, spiegarsi, ed in tesi generale per far fronte al nemico.

Nelle marce poi d’avvicinamento, spetta ad ogni singolo comandante di provvedere alla sicurezza dei fianchi durante le soste; ed a quello di coda di premunirsi contro ogni attacco da tergo.

Disposizioni analoghe debbono prendere i riparti d’ala durante il periodo d’ammassamento e d’aspettativa, coll’inviare pattuglie di combattimento; e tutti indistintamente i comandanti debbono assicurarsi il facile sbocco, facendo per tempo abbattere ostacoli, aprire passaggi, esplorare il terreno, ecc.

Durante l’azione, spetta ai comandanti d’ala di parare agli attacchi avvolgenti, di costituire la scorta dell’artiglieria collocata da quella parte e di correre in suo aiuto se minacciata da altra cavalleria.

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Finalmente, è incarico del comandante della riserva a cavallo, durante l’appiedamento di garantire la sicurezza dei cavalli scossi, a mezzo di posti d’avviso collocati in punti favorevoli.

Laddove però si manifesta spiccato il carattere dell’iniziativa e che costituisce la pietra di paragone di una cavallerìa, si è nel passaggio degli ostacoli, ed in ispecie dei terreni difficili. In tali circostanze, vediamo generalmente, tanto i riparti quanto gli individui, tendere a passare l’uno dietro all’altro, come i montoni di Panurgio; ciò che è la negazione d’ogni iniziativa, e l’errore più grave che possa commettere una cavalleria; giacchè così operando, il passaggio dura un’eternità, la colonna si allunga enormemente, e si protrae indefinitamente la crisi durante la quale il riparto è paralizzato d’ogni sua azione.

A partire invece da ogni singolo riparto, da ogni singolo individuo, è necessario che ciascuno provveda ad aprirsi, a cercarsi per suo conto un passaggio, allargandosi sulla fronte e non allungandosi in profondità, salvo a ricostituire il proprio riparto appena siano cessate le difficoltà del terreno. Sarà solo col regolarsi in tal modo che si vedranno le masse allargarsi, sconnettersi, restringersi, riformarsi, con calma, in silenzio, senza sensibile arresto, senza comandi, e quel che più monta, sempre pronte al cenno del comandante, a parare qualsiasi eventualità. Quivi adunque si parrà la vera disciplina, nonchè l’abilità di una truppa e si proverà la sua solidità.

Io non nego che anche pel passato si sia fatto uso dell’iniziativa e dell’imitazione, ma non in quella misura che io ritengo necessaria per poter manovrare, senza comandi, sui nostri terreni; e le circostanze suaccennate, che avrei potuto moltiplicare all’infinito, nelle quali spessissimo vediamo non applicarsi nessun atto d’iniziativa e d’imitazione, sono là ad attestarci che queste qualità non possono essere lasciate all’arbitrio degli individui, ma che vogliono invece essere sancite e sviluppate in sommo grado in virtù dei nostri regolamenti, tanto nel comandante in capo, quanto nell’ultimo soldato.

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Sarà forse esagerazione la mia, ma sono convinto che, dati nostri terreni di manovra, una cavalleria che sia priva dello spirito dell’imitazione e dell’iniziativa, oltrechè vi si troverà impacciata come un pulcino nella stoppa, sarà fatalmente preda sia delle altre armi, sia d’ogni cavalleria che sappia avvalersi di quelle due impareggiabili qualità.


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XI.

Manovra a segnali.

Dall’Invalido Russo e dalla Revue du Cercle Militaire, rilevai or non è molto che, il regolamento di manovra per la cavalleria, ha subìto in Russia numerose ed importanti modificazioni, ed in ispecie quella dell’esecuzione dei movimenti a mezzo di segni convenzionali e seguendo l’esempio del comandante.

In non so con quale larghezza di applicazione sia stata sancita colà una tale disposizione, non avendo ancora potuto avere sotto mano la traduzione del testo originale; ma mi sia concesso di rilevare che dessa venne da me patrocinata ed espressa sin dal gennaio 1892 nel 1° fascicolo della mia Biblioteca Ridotta, unitamente ad altre idee sulla semplificazione delle nostre evoluzioni.

Difatti, a pag. 30 di detto fascicolo io esternava l’aspirazione ad un futuro prossimo, colle seguenti parole:

«Le evoluzioni di cavalleria, ritengo per fermo, dovranno essere quanto prima (e lo furono testè) semplificate al massimo grado, nonchè raccorciati i comandi e ridotti questi al minor numero possibile.

«Sono convinto dell’assoluta necessità che, per l’avvenire, il comandante di un corpo di cavalleria debba [p. 228 modifica]limitarsi ad indicare con segnali10, con comandi, o con ordini dati al riparto di base, la formazione che vuol ottenere, e gli altri, in seguito al segnale, al comando, o per imitazione, dovranno portarsi al loro posto il più celeremente possibile. La direzione poi e l’andatura, a movimento compiuto, dovrà essere quella assunta dal comandante in capo.

«Così si potranno abolire molti dettagli inutili, circa l’andatura da prendersi per l’esecuzione del movimento, il modo di eseguirlo, la direzione, ecc.... lasciando all’iniziativa ed al criterio dei singoli comandanti in sott’ordine, di regolarsi al riguardo; come ad es: di portarsi a formare lo spiegamento diagonale (senza comando) se per far fronte al nemico il riparto di base prende una direzione obliqua rispetto alla direzione di marcia sino allora seguita.

«In una parola, bisogna partire dal principio che in guerra vera, l’orgasmo, il terreno, e tanti altri fattori, non permetteranno quasi mai di poter manovrare a comandi sul campo di battaglia, come si usa oggidì sulle piazze d’armi; epperciò se vorremo possedere davvero una cavalleria manovriera e non rigida, dovremo cercare di farla muovere e di dirigerla colla semplice indicazione dello scopo da raggiungere.»

Ma, si dirà, il regolamento nostro ammette già che si possa far uso delle indicazioni di sciabola per le formazioni, giacchè la dizione del N. 16 toglie ogni dubbio al riguardo.

Mi si permetta per altro di far distinguere che le indicazioni accennate dal succitato numero non si riferiscono che: all’obliquare, al cambiar direzione o fronte, convergere, diminuire le andature, fermare ed adunare, le quali non hanno nulla a che vedere con le formazioni, implicanti il passaggio [p. 229 modifica]da un ordine all’altro; e che onde le indicazioni per tali passaggi siano comprese da tutti e divengano abituali non possono essere lasciate alla immaginativa d’ogni comandante.

Ora, è fuor di dubbio che la manovra a segnali contribuirà efficacemente a rendere rapidi i movimenti, inquantochè faranno seguito, colla velocità del pensiero, al comando del capo. Attualmente invece, questi deve anzitutto indicare il comando al trombettiere, che a sua volta deve ripeterlo a voce, prima di trasformarlo in squillanti note, le quali sono comunicate, generalmente, ai comandanti di squadrone a mezzo dei rispettivi trombettieri (giacchè per quanto si faccia, non tutti gli ufficiali giungono mai a comprenderle); i capitani debbono poi convertirle nuovamente in comandi e questi infine sono fatti eseguire dagli individui per mezzo dei comandanti di plotone con altri comandi. Come si vede, data questa lunga trafila, per la quale deve passare un comando, è assolutamente impossibile che il capo possa attendere sino all’ultimo momento per eseguire ad es. uno spiegamento, un cambiamento di fronte per colpire il nemico all’istante opportuno e nella direzione più conveniente.

Mi si obbietterà che egli potrà però trasmettere più rapidamente il suo pensiero a mezzo di comandi a voce; ma a parte che non tutti hanno un timbro forte e sonoro su cui fare a fidanza, non è poi nemmeno certo che, nel frastuono e nell’orgasmo del combattimento, possa subito essere compreso, tanto più che i comandanti in sott’ordine non sono costretti ed abituati, come quando si manovra a segnali, a non perdere mai di vista il capo e non sono sopra tutto esercitati a comprendere a volo il suo pensiero e lo scopo da conseguire.

Si aggiunga poi che, per quanto con il comando si cerchi di esprimere con esattezza il movimento da effettuarsi, i comandanti in sott’ordine debbono a loro volta pensare a dare il comando corrispondente e tutto questo fa sì che un povero comandante di reggimento non veda eseguire, che con molto ritardo i suoi ordini; ciò che per la cavalleria è inconveniente assai grave, sia perchè in questo frattempo sfugge l’occasione [p. 230 modifica]propizia d’attacco, sia perchè da noi, in generale, il terreno di manovra ha limiti assai ristretti ed alle celeri andature lo spazio è presto divorato.

Per la nostra arma invece, fra il comando e l’esecuzione del movimento deve correre il minor tempo possibile, dev’essere come una trasmissione elettrica, inquantochè il comando deve rappresentare, nè più nè meno, che il colpo di barra del timoniere, sotto il cui impulso la barca si piega ubbidiente ai suoi voleri; e questo, torno a ripeterlo, non si potrà ottenere che per mezzo di segnali di convenzione e con alcune norme di massima, da fissarsi antecedentemente e che sarebbero le seguenti:

1° Tutti devono tenere lo sguardo al comandante del riparto, (sino al comandante in capo), seguirlo sempre e cercare di comprenderne le intenzioni.

2° Ricordarsi che nelle evoluzioni la vera unità di manovra è il plotone e che questo deve considerarsi come un solo individuo.

3° Che tutti i plotoni debbono eseguire ciò che il proprio comandante indica o fa, ossia effettuare il dietro fronte, spostarsi, ecc... se egli indica ed eseguisce il dietro fronte, l’obliquo, ecc..; oppure prendere il passo, il trotto, il galoppo se egli fa passare il proprio cavallo ad una di queste andature; e così via. In una parola tutti debbono mettere in pratica, ciò che Enrico IV ordinava a coloro che lo avevano richiesto sul come dovevano regolarsi nel combattimento che stava per essere impegnato: suivez toujours ma panache blanche.

4° Che gli spiegamenti, i ripiegamenti ed i cambiamenti di direzione, che dinanzi al nemico rappresentano altrettanti momenti di crisi, specie se imposti dall’azione dell’avversario, dal terreno o dal fuoco, debbono durare il minor tempo possibile, epperciò essere eseguiti a celere andatura. Nello esercitare adunque i riparti nella manovra a segnali, il galoppo dev’essere l’andatura normale, e gli spiegamenti degli squadroni debbono essere fatti al galoppo allungato; riserbando il trotto solo per istruire, oppure comandando tale andatura quando si voglia usarla. [p. 231 modifica]

5° Che fra i vari riparti non dev’esservi rigidezza, ma ciascuno deve considerarsi come libero nell’esecuzione del movimento, onde questo avvenga non solo con scioltezza e rapidità, ma affinchè, essenzialmente, il comandante possa avere al più presto alla mano, ed a partire dal centro, il maggiore numero di riparti per fronteggiare l’avversario o per lanciarli all’attacco se così urgesse.

Questo, a mio credere, è il principio al quale dovrebbe informarsi tutto il regolamento, mentre in oggi ad es: nei cambiamenti di fronte, come già si disse, nessun squadrone si trova nella nuova direzione sino a tanto che il movimento non è compiuto; inquantochè tutti regolano la propria andatura su quella del perno, come se si trattasse di una linea rigida, anzichè portarsi, a partire dal centro e per proprio conto, a libera e celere andatura, dietro al comandante e sulla linea dello squadrone di base.

6° Infine, che in tutti i comandanti in sott’ordine dev’esservi quello spirito d’iniziativa e d’imitazione, per cui ciascuno, comprendendo lo scopo da raggiungere o vedendo il movimento del riparto viciniore, deve del pari eseguirlo s’anco non vide o non comprese il relativo segnale.

Per quanto poi si riferisce ai segnali di manovra, fermi restando quelli già considerati dal regolamento, in ordine: all’obliquare, al convergere, ecc....11 dovrebbero essere aggiunti i seguenti, che sono quasi direi naturali, esprimendo chiaramente meglio indicando essi quanto vuolsi eseguire.

1° Per far compiere il dietro fronte ai plotoni, roteare orizzontalmente la sciabola al disopra della testa e contemporaneamente eseguire, col proprio cavallo, ed all’andatura voluta, il dietro fronte dalla parte che vuolsi, perchè è essenzialmente questo che deve indicare a tutti, senza possibilità di [p. 232 modifica]equivoco ciò che i plotoni (considerati come un sol tutto) debbono effettuare per imilazione. In una parola il segnale di sciabola è l’avvertimento, ed il movimento del cavallo il comando di esecuzione.

2° Per passare dalla massa alla linea di colonne distendere replicatamente la sciabola a destra od a sinistra, o da entrambe le parti, onde segnare agli squadroni di aprire gli intervalli dalla parte indicata o dal centro.

3° Per spiegarsi sia dalla linea di colonne, sia direttamente dalla massa, disporre la sciabola nella posizione della carica per la 2a riga; e per caricare slanciarsi al galoppo e quindi alla carica puntando innanzi.

4° Finalmente per riformare la massa, tanto dalla linea di colonne, come dalla linea spiegata, agitare la sciabola in alto come per l’adunata. Questo segnale dovrebbe naturalmente valere anche per lo squadrone già raccolto ed in linea per farlo passare invece in colonna di plotoni.

Si potrebbe anche aggiungere il segnale per passare dalla linea spiegata alla linea di colonne, ma oltrechè non è di somma importanza, perchè se questo passaggio non è imposto dal terreno (il che è allora inutile qualunque comando, data l’iniziativa che debbono avere i comandanti dei riparti), ad uno spiegamento in linea non può seguire che la carica, l’inseguimento o la raccolta.

Del resto questo segnale è facile ad indicarsi, inquantochè nello stesso modo che l’attuale suoneria per la formazione della linea di colonne si compone di due parti, tolte: l’una alla suoneria della linea spiegata, l’altra a quella della colonna, quasi ad indicare che vuolsi una linea spiegata ma di colonne, così per analogia per segnare il passaggio dalla linea spiegata alla linea di colonne si dovrebbe dapprima fare il segnale della raccolta (roteando la sciabola) per indicare agli squadroni di formarsi in colonna; e poscia farlo subito seguire da quello della linea di colonne (distendendo la sciabola a destra e sinistra) per significar loro che debbono rimanere cogli intervalli aperti. [p. 233 modifica]

Come si vede adunque, con pochi segnali e con le norme di massima sopra citate, sarà facile di eseguire qualunque movimento di vera manovra, di quelli cioè che realmente si eseguiranno di fronte al nemico.

Taluni obbietteranno però che non sempre il terreno permetterà al capo di far conoscere a tutti i comandanti in sottordine i propri segnali; ma oltrechè in tal caso egli avrà pur sempre a sua disposizione, sia la voce, sia la tromba, non è men vero che, in allora, egli dovrà contare essenzialmente sullo spirito d’iniziativa e d’imitazione.

Anzi, la manovra a segnali, non è che la preparazione a questa manovra ideale; inquantochè, come abbiamo visto, non basta l’applicazione pura e semplice dei segnali per ritenere di poter manovrare senza comandi; esigendosi, con un primo passo, che si metta in azione, in base a norme e principi ben definiti, lo spirito d’iniziativa e d’imitazione.

In cavalleria, tutti lo sanno, non s’improvvisa nulla, e tanto meno si potrà contare sullo spirito d’iniziativa, e d’imitazione, che richiede il concorso di tutti, dal più elevato in grado sino all’ultimo soldato, se non si portò a questo spirito tutta la nostra attenzione per esercitarlo e per svilupparlo, in base a prescrizioni sancite dal regolamento.

Una truppa che non sia stata abituata a manovrare, come sopra è detto, potrà dare, è fuor di dubbio, come lo ha dato pel passato, per merito di qualche suo comandante, degli atti d’iniziativa e d’imitazione, ma questi atti non saranno o saranno mal secondati dai suoi dipendenti, creando confusione e disordine, mentre è in quelle difficili circostanze, che l’abitudine deve produrre: la calma, la celerità, l’ordine nell’apparente disordine, in una parola la disciplina del movimento.

D’altronde, se non vogliamo fare astrazione dai nostri terreni, frastagliati e coperti; se non vogliamo dimenticare che la cavalleria fu e dovrà essere, specie in oggi, l’arma delle sorprese, ne viene di conseguenza che, in generale, sarà su quei terreni che essa dovrà agire; sia per seguire e coadiuvare [p. 234 modifica]l’azione delle altre armi, sia per non essere distrutta, in rasa campagna, dal fuoco della fucileria e dell’artiglieria.

Ora, su quei terreni, se un comandante di cavalleria vorrà conservare il carattere della sorpresa, non sarà certamente nè con la voce, nè con la tromba, che potrà far manovrare la sua truppa, ma solo con segnali, con avvertimenti, dati al riparto di testa o di base, ripetuti da questo ed imitati successivamente dagli altri, con ordine e senza incertezza; inquantochè, tutti essendo rotti a manovrare in tal modo, dal primo sino all’ultimo individuo, sapranno cosa debbono fare e come regolarsi.

Pertanto, in terreni piani e scoperti la manovra a segnali sarà l’ideale da usarsi; e nei terreni coperti e frastagliati, quella per spirito d’imitazione e d’iniziativa (cui serve di preparazione quella a segnali) sarà la manovra che ci sarà imposta nostro malgrado.

Concludendo: corrieri, suonerie, comandi, segnali ed avvertimenti debbono rappresentare altrettanti mezzi, messi a disposizione del comandante, per la trasmissione della sua volontà; ma ogni qualvolta sia possibile: le suonerie, debbono sostituire i corrieri; — i comandi, le suonerie; — i segnali e gli avvertimenti, i comandi; — ed infine le norme di massima e l’imitazione i segnali, inquantochè per la cavalleria gli istanti sono preziosi, ed un comandante deve stabilire fra se ed i suoi dipendenti, tali vincoli di pensiero e d’azione, da trascinare (anzichè comandare i propri riparti) col cenno e coll’esempio; senza contare che quando avremo abituata la cavalleria a manovrare a segnali e per ispirito di imitazione sarà cosa da nulla il farla evoluzionare a comandi od a suonerie, mentre non è punto vero l’inverso. Nè è da credere che, per questa manovra dell’avvenire, si richiegga uno sforzo d’attenzione enorme; dappoichè, quando gli squadroni vi hanno fatta l’abitudine (il che si ottiene in brevissimo tempo) risulta per loro tanto naturale da preferirla, senza confronto, all’attuale; come sarà facile il persuadersene facendone la prova, quando per altro abbiamo compreso non solo i segnali, ma ben anco i principî e lo spirito che la informano.

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XII.

Dell’attacco.

Condizione prima, perchè una carica riesca efficace, è senza dubbio quella che i riparti avanzino di galoppo: con tranquillità, ordine e vigoria; ma al momento risolutivo è sopra tutto indispensabile che nulla si sacrifichi alla forma.

Eppertanto, siccome nella carica in ordine chiuso, si richiede essenzialmente che l’urto avvenga colla massima velocità e compattezza, (onde ottenere appunto il massimo effetto), così non parmi raggiunga questo scopo la disposizione prescrivente che la guida faccia uso soltanto di tutta la celerità consentita dai cavalli meno veloci, inquantochè in tal modo la guida viene a perdere ogni suo slancio, col quale all’opposto deve trascinare il proprio riparto. Piuttosto, onde si mantenga la voluta compattezza, occorre assolutamente che si curino le seguenti avvertenze:

1° Che l’aumento dell’andatura si faccia con progressione, abituando i cavalieri a crescerla senza scosse, come all’opposto invece avviene in oggi nello sviluppo delle andature col mezzo degli avvertimenti (che si riducono in comandi) dati dagli indicanti, mentre questi non dovrebbero che servire di semplice norma ai cavalieri per regolarsi, da loro stessi, nello spingere gradatamente il proprio cavallo, in guisa che rompa al galoppo, poscia allunghi, e quindi passi alla carriera.

2° Che i cavalli meno veloci siano messi in seconda riga.

3° Che lo spazio da percorrersi alla massima andatura sia relativamente breve, vuoi per non sfiatare o lasciare indietro dei cavalli, vuoi perchè è più difficile alla carica il mantenere l’allineamento di una fronte, specie se questa è alquanto estesa.

4° Infine, che da tutti si segua scrupolosamente il proprio comandante immediato, nonchè si osservi la guida al centro e che si chiuda immediatamente ogni vuoto che, per qualsivoglia ragione, (dipenda questa da un cavallo rimasto indietro, morto, ferito o semplicemente caduto) si faccia nelle righe.

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Così pure non nego che su di una piazza d’armi possa fare un bell’effetto il vedere avvenire l’urto con due righe ben distinte, ma non credo sia questo che si debba cercare di ottenere in pratica; anzitutto inquantochè onde la seconda riga possa portare il suo concorso, sia nell’urto, sia nella compattezza, e non vada ad urtare nella riga che sta dinanzi anzichè contro il nemico, non dovrà rimanersene indietro, ma si dovrà compenetrare nella prima, disponendosi al momenti della carica in corrispondenza dei vuoti, fra fila e fila; tanto più che ciò è anche necessario onde i cavalieri di 2a riga non siano travolti nelle cadute dei cavalli antistanti o facciano sovrapposte ai medesimi.

Confesso poi francamente e l’ho ripetuto in vari miei scritti, io non ho nessuna fiducia negli attuali esploratori del terreno; perchè, se si tratta di agire contro cavalleria, se vi saranno ostacoli insuperabili, essi lo saranno tanto per l’una quanto per l’avversaria; e se potranno superarsi, i comandanti stessi che cavalcano davanti e fanno da guida, tracciano loro, l’entità e la natura dell’ostacolo che si para dinanzi. Se si deve poi operare contro fanteria: in terreno scoperto e sotta il fuoco nemico, sarà difficile il farli avanzare da soli; ed in terreno coperto non servirebbero che a smascherare l’avanzarsi della cavalleria, la quale in oggi deve contare molto sulla sorpresa, per avere speranza di successo nei suoi attacchi. In tutti i casi a nulla avrebbero servito se all’ultimo momento s’incontrasse un intoppo che impedisse di procedere.

A mio modo di vedere l’esplorazione del terreno dev’essere effettuata, sempre che sia possibile, di nascosto, in precedenza, dallo stesso comandante o per lo meno da ufficiali arditi ed intelligenti, che sappiano, col concorso pure della carta, bene apprezzare la natura del terreno che sta dinanzi.

Il comandante di una cavalleria se vuole poter approfittare di tutte le circostanze favorevoli non deve attaccarsi al suo reparto come ostrica adesa in sullo scoglio; ma a tempa e luogo, dando semplici e brevi direttive a colui che deve sostituirlo, in ordine a date eventualità o per l’avanzata in una [p. 237 modifica]data direzione, deve sapersene allontanare di quel tanto che basti per poter abbracciare la situazione, o per potere eseguire una rapida ricognizione; giacchè nulla è più appropriato a tal riguardo del detto che «chi vuole vada, chi non vuole mandi; senza contare che fra il mandare e il farsi riferire passa sovente l’istante prezioso favorevole ad una data azione, e che ben altro è il vedere ed il giudicare coi propri occhi da quello che può essere riportato da seconda o terza persona.

Non comprendo poi come, in presenza del nemico, possano i cavalleggeri non aver già estratta la sciabola e come si possa aspettare ad estrarla appunto al momento di prendere il galoppo per la carica, creando uno scompaginamento inutile e senza che i cavalieri abbiano il tempo di far passare la dragona nel polso. So bene che il De Brack voleva che l’estrarre la sciabola ed il cadere addosso all’avversario fosse una cosa sola, ma ben diverse erano le condizioni nelle quali si effettuava in allora una carica.

Così pure troverei inutile il comando: per la carica che precede quello del galoppo; sia perchè tutti debbono avere già compreso che si tratta di caricare, sia perchè esso induce i cavalieri a caricare anzi tempo ed a sfuggire di mano, sia infine perchè non ha l’equivalente nel segnale di tromba.

Coll’insieme poi delle altre norme che si danno per l’attacco contro cavalleria, parmi nulla si faccia per impedire che le nostre cariche si sottraggano a quel solito apparato scenico, pel quale i due partiti, appena si scorgono, si spiegano e si caricano in un modo sempre identico.

Difatti, noi non vediamo mai negli attacchi di cavalleria contro cavalleria, quella manovra che deve prepararli, sia per attrarre l’avversaria sotto il fuoco della fucileria e dell’artiglieria in terreno sfavorevole; sia per costringerla a spiegarsi innanzi tempo per potere poi, con uno spostamento rapido, gettarsi obliquamente su di una sua ala; o finalmente per obbligarla ad abbandonare, magari col fuoco, una posizione di sbocco. In una parola, per la cavalleria non vedo che esista realmente ciò che si chiama tattica e questo per me ritengo sia un grave [p. 238 modifica]errore, inquantochè l’azione di una cavalleria contro altra cavalleria, salvochè non rappresenti la sorpresa, deve paragonarsi ad un vero duello, in cui i due veri avversari si stanno di fronte spiandosi a vicenda e con abili mosse ciascuno cerca di far scoprire l’antagonista, per essere pronto ad approfittare dei suoi falli.

Naturalmente, per poter però manovrare senza correre il rischio di essere colti in flagranza di crisi, occorrerà che il comandante conosca esattamente qual sia l’abilità manovriera dei propri squadroni e sappia usarne, nella guisa istessa che un abile marinaio deve conoscere l’ubbidienza al timone della propria nave onde valersene nelle varie contingenze della navigazione o del combattimento.

Per noi poi, quest’abilità manovriera, questa tattica è tanto più necessaria, inquantochè possedendo poca cavalleria, non potremo lottare con speranza di successo che col moltiplicarci per quanto è possibile sul teatro della lotta, coll’apparire improvvisamente colà dove non si possa essere attesi, e col saper schivare il combattimento quando non ci si trovi in condizioni favorevoli, e viceversa darlo quando se ne presenti l’occasione propizia!

So bene che taluni mi tireranno fuori la solita massima, causa prima degli attacchi scenici, che la cavalleria non deve mai lasciarsi attaccare, ma prendere sempre l’iniziativa dell’attacco, per cercare d’imporre la propria volontà all’avversario, infliggendogli lo svantaggio della difensiva; e questo principio è giustissimo, quando però si sappia interpretare a dovere ed applicare con criterio.

Tale non sarebbe però, ad esempio, lo spiegarsi anzitempo per correre addosso ad una cavalleria che si trova a distanza forte, per la quale essa abbia tutto il tempo per eseguire non solo il proprio schieramento, ma fors’anco un cambiamento di fronte diagonale; perchè è bensì vero che in allora si avrebbe l’iniziativa dell’attacco, ma si passerebbe poscia dall’offensiva alla difensiva coll’essere costretti alla nostra volta a cambiare fronte e per giunta in condizioni sfavorevoli. [p. 239 modifica]

Quel principio pertanto vuol essere inteso nel senso di attaccare il nemico: possibilmente per sorpresa, onde coglierlo, in momenti di crisi; con rapidità di mosse per costringerlo alla manovra difensiva; e sopratutto giunto l’istante e deciso l’attacco, andando a fondo celeremente, passando con rapidità fulminea, dalla forma concentrata, allo spiegamento ed alla carica.

Contro fanteria è prescritto che l’attacco venga preparato da qualche riparto a stormi se dessa ha sulla fronte una catena rada, ma che invece se ha dinanzi una catena fitta e continua, conviene, per scompaginarla, dirigere su questa il primo scaglione compatto senza far precedere gli stormi, mentre i successivi scaglioni, rotta la catena, debbono mirare ai riparti retrostanti in ordine chiuso.

Io ritengo per altro che, data la micidialità delle armi a fuoco moderne, salvo assoluta necessità, si debba evitare di attaccare della fanteria che ancora si trovi in quelle condizioni, ammenochè possa farlo per sorpresa, ed allora qualunque disposizione è superflua, l’importante si è caderle addosso al più presto.

Posto però che della cavalleria sia chiamata a sacrificarsi, per arrestare ad esempio l’avanzata del nemico, allora l’attacco principale della cavalleria, a mio credere, dev’essere sempre coperto da un riparto a stormi che richiami su di se il fuoco della fanteria, mentre il grosso spostandosi contemporaneamente e rapidamente dalla direzione del tiro attacca spiegandosi celeremente, evitando cioè l’ordine profondo che sarebbe consigliato dal nostro regolamento.

Tutti sanno difatti che l’attacco il più vicino, s’anco è di minore importanza, non può a meno di essere quello che preoccupa maggiormente il nemico; epperciò, il sacrificio di quei pochi uomini, permetterà al grosso di avanzare senza gravi perdite, tenuto calcolo specialmente che, com’è dimostrato dalla esperienza, il tiro è sempre diretto verso il centro del bersaglio, che non sarà quello del grosso, perchè segue una direttrice di marcia alquanto differente. Tutto ciò deve peraltro essere naturalmente compiuto con tale rapidità di concetto e [p. 240 modifica]di esecuzione a cui potrà solo aspirare una cavalleria veramente manovriera.

In tutti i modi l’ordine profondo vuolsi evitare, perchè la caratteristica del fuoco moderno, tanto della fucileria, quanto dell’artiglieria è appunto la profondità della rosa delle pallottole12: epperciò, se la cavalleria non vuole correre al suo sfacelo, deve assumere per l’attacco, contro le dette armi, alle distanze di tiro efficace, forme leggere di linee a scaglioni, con concomitanza e successione di attacchi, tali cioè da non dare tempo alla fanteria od all’artiglieria, come suol dirsi, di riprendere fiato.

L’ordine fondamentale d’attacco, dev’essere adunque sempre la linea spiegata e scaglionata, preceduta da stormi, quando si tratti di colpire fanteria od artiglieria, i quali, oltre a richiamare su di loro il fuoco dell’avversario, costituiranno i veri esploratori del terreno e completeranno la rapida ricognizione fatta, in precedenza, se fu possibile, da ufficiali o dal comandante stesso. Saranno questi stormi che potranno, e con esattezza, indicare la natura degli ostacoli che si parano dinanzi e che segneranno, in certo qual modo, la strada da seguire, ma non gli attuali esploratori non guidati da alcuno, e non spinti innanzi da nessuno e da nessun esempio.

La formazione in linea di colonne, adunque non può essere un ordine fondamentale nè contro la fanteria, nè contro l’artiglieria; epperciò è necessario che la cavalleria, quando è giunta nella zona di efficacia del tiro, abbandoni l’ordine concentrato e profondo e passi senz’altro dalla massa alla linea spiegata.

La linea di colonne, non può essere neppure un ordine fondamentale contro cavalleria, perchè desso è un parziale spiegamento con fronte presso a poco eguale a quella della linea spiegata, motivo per cui il comandante si mette, con esso, nella condizione di non potere, che con difficoltà, modificare la sua [p. 241 modifica]direzione d’attacco; e meglio vale allora che parta direttamente e subito a fondo spiegandosi immediatamente.

Il comandante di una cavalleria che vuole puntare contro altra cavalleria deve conservare sino all’ultimo momento, la sua massa concentrata, ed appena ha deciso l’attacco ed è giunto alla distanza che egli ritiene necessaria e sufficiente per spiegarsi nonchè per colpire con vigoria, deve, da quella stessa formazione di concentramento, spiegarsi e cascare addosso all’avversaria tentando di colpirla in direzione obliqua, onde scompaginarne la fronte.

Operando diversamente, un comandante smaschera anzitempo il suo giuoco, paralizza le sue mosse e se ha di contro un avversario intelligente ed ardito manovriero, non può a meno di avere la peggio.

L’attacco di una cavalleria contro altra cavalleria deve rassomigliare, mi si passi il confronto, a quello del gatto verso il sorcio, cioè ad un concentramento di aspettativa e di manovra per essere pronti a scattare nella direzione più opportuna.

Per la carica in ordine aperto è detto poi che i cavalieri di 2a riga si debbano portare a sinistra del loro capofila, e ciò in discrepanza di quanto generalmente si suol fare, inquantochè gli uomini appartenenti alla squadra di destra, sia nei raddoppi, sia negli spiegamenti sono abituati a portarsi sulla destra. Per non cambiare adunque principio di massima, io troverei che analogamente dovrebbero fare per passare dall’ordine chiuso a quello aperto.

Mi sia concesso per ultimo di osservare che, in tutte queste norme d’attacco, non si fa mai menzione della cavalleria appiedata, in tutto od in parte, facendo rilevare l’importanza da essa assunta sotto questo rapporto, dopo che venne armata col nuovo moschetto. Eppure io sono convinto che, specie nei nostri terreni coperti e frastagliati, la cavalleria non potrà, in oggi, conseguire grandi risultati sul campo di battaglia se non saprà combinare insieme l’azione del fuoco e del cavallo; l’azione cioè del cavallo per caricare sui terreni e nei momenti favorevoli, nonchè per spostarsi rapidamente da un punto ad un [p. 242 modifica]altro; e l’azione del fuoco sul fianco e sul rovescio di una truppa in marcia od in posizione non accessibile al cavallo, per sparire ancor più rapidamente, creando dovunque la preoccupazione ed anco distogliendo parte delle forze nemiche dall’attacco principale.

Insomma si dovrebbe accennare qui che la cavalleria sul campo di battaglia deve avere la febbre del movimento, non per correre all’impazzata di qua o di là, ma col sapere afferrare tutte le occasioni d’intervenire nel combattimento a piedi ed a cavallo, studiando all’uopo il terreno e le varie fasi dell’azione, e traendo partito della rapidità delle sue mosse per mettere, se occorre, le ali al moschetto, onde rendersi più che mai temibile, vuoi con cariche di sorpresa, vuoi con fuochi micidiali inaspettati.


XIII.

Della raccolta.

Uno dei mezzi più sicuri, per accertarsi dell’abilità di una truppa di cavalleria, ed uno dei fattori più importanti per la sua azione è la rapidità con la quale essa effettua la raccolta.

Il nostro regolamento, collo specificare che al segnale dell’adunata i cavalieri si raccolgono, al più presto che sia possibile, dietro al proprio capo, procurando di formare sollecitamente le due righe, senza riguardo alla prima disposizione, segnò già un vero progresso.

Mi è duopo però far rilevare che tale prescrizione non è, nè esatta, nè completa, inquantochè non considera che la speciale raccolta dopo la carica. Inoltre, anche in questo caso, è ancora poco osservata dai riparti, vuoi perchè sussiste pur sempre l’influenza del passato, che si atteneva molto al formalismo.

Non sarà adunque male che io vi spenda alcune parole attorno; e primieramente quand’è che può aver luogo una raccolta? Evidentemente nei seguenti casi:

1° Quando i riparti minori (plotoni o squadroni) agiscono per loro conto.

2° Dopo il passaggio di una stretta o di un ostacolo. [p. 243 modifica]

3° Per riunire i foraggeri.

4° Infine, dopo una carica, per l’inseguimento o per riunire gli avanzi di un insuccesso.

Esaminiamo ora partitamente ciascuno di essi.

1° Nel primo caso, non si tratta che di riunire dei riparti già costituiti in riparti maggiori, cioè gli squadroni, i mezzi reggimenti ed i reggimenti. In allora, è evidente che la prescrizione suddetta, non deve più riguardare la formazione delle due righe sibbene applicarsi all’ordine dei riparti nel riparto successivamente maggiore. Eppertanto, in tesi generale, il primo riparto che giunge sul sito, qualunque sia il suo numero d’ordine amministrativo deve collocarsi dietro al comandante e gli altri successivamente dietro od ai fianchi di quello; sia per stabilire subito la base della raccolta, sia perchè il comandante possa avere alla mano ed al più presto, il maggior numero di riparti possibile per poter agire.

Così ad es: nella riunione dello squadrone, il primo plotone che arriva si deve collocare dietro al capitano, il secondo sulla destra, il terzo ed il quarto se vi è, sulla sinistra, quando la raccolta fu ordinata in linea; oppure uno dietro l’altro secondo l’ordine del loro arrivo, se venne disposto per la formazione in colonna di plotoni.

La raccolta invece del reggimento, deve sempre essere fatta in massa, sia perchè è più facile, sia perchè non si deve mai, e specialmente in questo caso, prestabilire la fronte di spiegamento, fornendo così all’avversario il modo di colpirci di fianco, senza possibilità alcuna, in quel momento di crisi, di potere cambiare fronte. Dalla massa invece sarà facile, anche durante la raccolta, convergere a destra od a sinistra, e contemporaneamente spiegarsi per parare l’attacco.

Nel formare poi la massa, il primo squadrone, come al solito si porterà dietro al comandante per formare il centro e gli altri successivamente a destra od a sinistra, secondochè appartengono al mezzo reggimento di destra o di sinistra.13 [p. 244 modifica]

Nel portarsi al posto però è della massima importanza per tutti di attenersi alle seguenti norme:

a) di non intraversarsi mai nè sul fronte, nè sul rovescio, sia per non impedire al comandante di potere agire, sia per non ostacolare la riunione agli altri riparti;

b) di marciare per la via più breve per portarsi al proprio posto;

c) di eseguire il minor numero possibile di movimenti, e sopratutto di evitare i giri di vettura, che sono lenti e che fanno ostacolo agli altri riparti;

d) infine, dovendo eseguire dei dietro fronte di plotone di tenere calcolo dell’avanzata della massa, se questa è in marcia, per dare il comando per tempo, e di eseguirlo sempre verso la parte interna, sia onde gli altri riparti, che stanno per arrivare, possano regolarsi nel prendere l’intervallo, sia perchè, in caso contrario, anche rasentando lo squadrone che già trovasi a posto, l’intervallo riuscirà sempre eguale alla fronte del plotone e non mai di 10 passi com’è prescritto, o di 5 se lo sarà in avvenire.

Una cosa è inoltre da proibirsi in modo assoluto ed è la tendenza, ormai invalsa in tutti, di disporre a frotta il proprio plotone, già formato, per riunirsi allo squadrone. Ciò dimostra però, sia di non aver compresa la ragione di essere della frotta, fatta esclusivamente per poter attraversare con facilità terreni rotti frastagliati; sia la mancanza di abilità manovriera. I riparti debbono sempre, e possibilmente, portarsi a posto già costituiti, vuoi perchè quando il terreno non presenta ostacoli, la riunione si eseguisce in modo egualmente sollecito tanto a frotte quanto col riparto ordinato.

La frotta deve usarsi soltanto quando il terreno non consente di marciare altrimenti e quando il riparto non trovasi già riunito; ma anche allora il capo deve cercare, cammin facendo di riformarlo.

Non facciamo adunque abuso delle frotte, che debbono rappresentare per noi formazioni primordiali di esercizio per una truppa, o formazioni transitorie.

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Ricordiamoci inoltre che la frotta non deve essere confusa con gli stormi, essendo questi una vera e propria formazione di combattimento, e l’altra una formazione di marcia; eppertanto se dobbiamo cercare di abilitare gli individui nella manovra a stormi (per spiegarli, per raccoglierli, per cambiare fronte, ecc....), esercizio di somma importanza perchè mette, come nessun altro, gli uomini nella mano del proprio comandante; altrettanto dobbiamo evitare, con truppa già istruita, di usare la frotta; avvegnachè nella marcia gli individui debbono, per quanto è possibile, conservare l’ordine. La frotta, torno a ripeterlo, e non mai abbastanza, deve riservarsi esclusivamente per la marcia in terreno rotto, cercando anche qui di possibilmente allargare la fronte a stormi anzichè estendersi in profondità, e, come istruzione, per passare con celerità dal disordine all’ordine, ma per nessun altro scopo.

2° Il passaggio di una stretta non può effettuarsi che col centro, mentre si ripiegano le ali; e quindi per riformare i riparti, gli individui che sono rimasti indietro, non hanno che a portarsi in linea, regolandosi, in tutto e per tutto, come per la formazione della colonna dalla linea e viceversa.

Tanto l’ostacolo poi, quanto il terreno rotto, già l’ho accennato, si deve cercare di superarlo, per quanto è possibile, con ordine che si avvicini più agli stormi che alla frotta, inquantochè l’allungamento trae seco l’arresto della colonna e produce una perdita più o meno grande di tempo, che può essere preziosissimo. In tutti i modi, gli individui si troveranno sempre nella condizione di poter riprendere il loro posto primitivo, inquantochè non avranno che a serrarsi ed a disporsi in due righe oppure a portarsi in linea, secondochè si trovavano in formazione di stormi o di frotta.

3° Dopo una carica in foraggeri, la cosa sarà ben diversa, inquantochè non tutti saranno fortunati di poter rispondere all’appello, epperciò tanto in questo caso, come in quello che considereremo nel numero successivo, non v’è che un sol modo di raccogliersi, ed è quello delineato dal regolamento, cioè: i cavalieri si riuniscono dietro la guida il più presto possibile, senza tener conto, nè del numero, nè della riga [p. 246 modifica]che occupavano prima. L’unica norma da osservarsi, sarà la seguente: i primi giunti si collocano al centro, gli altri successivamente sulle ali per formare la prima riga, poco importa se dessa avrà un individuo di più od uno di meno, ed il resto si porta in seconda riga; l’importante essendo di abituare gli individui a riunirsi ed a seguire il proprio capo, perchè in tali circostanze non si deve manovrare, nè per due, nè per quattro, ed occorre solo di potersi trascinare dietro gli avanzi, e se necessita, di servirsene per caricare nuovamente sul tergo o sul fianco dell’avversario.

4° In modo perfettamente analogo devesi procedere per l’inseguimento, o per la raccolta dopo una carica. Il regolamento prescrive invece (pag. 96) che gli ufficiali, nel secondo caso, si rechino pei primi al loro posto per facilitare la formazione dei riparti dipendenti. Io però non sono di questo avviso, inquantochè anzitutto la raccolta si convertirà in una fuga disordinata, di cui l’ufficiale ne darà l’esempio; e secondariamente gli individui perdendo di vista il proprio capo plotone, che n’è il vero comandante, si dirigeranno a caso e si recheranno con probabilità all’ala opposta in cui dovrebbero andare e creeranno sul sito di riunione una vera babilonia, con calci, vocìo e movimento incessante di cavalli.

Ora, tutti questi inconvenienti sarebbero evitati, se i capi plotoni ripetendo il segnale od il comando di raccolta, senza fuggire, cercassero di riunire i superstiti cammin facendo, colle norme suaccennate, dirigendosi contemporaneamente, con non esagerata andatura, onde possano essere raggiunti dai ritardatari, verso il luogo di riunione per portarsi, col proprio riparto sufficientemente in ordine, al posto già specificato. Ricordiamoci che, con i soli capi plotoni, non si può fare la carica e quindi è perfettamente inutile che essi si portino pei primi e da soli sulla linea.

Precetto invece fondamentale in ogni raccolta dev’essere quello di abituare: gli individui ed i riparti a passare celeramente con calma e silenzio dal disordine all’ordine, di far sì che seguano il proprio capo dovunque e sempre, cercando nel tempo stesso di riordinarsi a partire dal centro e sul centro.


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Con ciò pongo fine a queste modeste idee, a questi concetti inspiratimi dal desiderio intenso d’infondere in tutti la profonda convinzione che io nutro sulla urgente necessità di dare alle nostre evoluzioni, alla nostra tattica, la speciale caratteristica imposta dalle nuove armi da fuoco e dai nostri terreni rotti, frastagliati e coperti; creando cioè tattica ed evoluzioni di riparti snodati, leggeri, elastici in cui regni sovrano in ogni singolo individuo lo spirito d’iniziativa e d’imitazione.

Io potrò errare, e desidererei esserne persuaso, ma è per questa stessa ragione che io ritengo troppo rigido il nostro dispositivo delle schiere, nonchè troppo pesante il nostro reggimento; ed a questa convinzione mi trassero: sia le manovre reali o sulla carta a cui presi parte; sia lo studio dei terreni delle nostre passate battaglie e di quelli su cui sarà probabilmente chiamata ad agire la nostra cavalleria nelle future lotte.

Dappertutto trovai terreni sui quali ben difficilmente una enorme massa di cavalleria, qual’è la nostra divisione, avrebbe potuto agire sotto l’impulso diretto ed immediato del comandante in capo, eseguire cioè: ammassamenti, avanzate, spiegamenti ed attacchi, nelle forme che noi eseguiamo sulle eccezionali brughiere di Somma e pianure di Pordenone; tantochè ritengo che, se queste sono utili per alcuni rami d’istruzione per dare aria, come suol dirsi, alla cavalleria, per evitare danni alle proprietà, parmi invece siano d’altra parte nocive in quanto fanno smarrire il concetto reale dei nostri terreni e delle nostre evoluzioni.

La Francia e le altre potenze, partendo dal principio di tracciare anzitutto le regole della tattica della divisione, unità di combattimento per la loro cavalleria e pei loro terreni, hanno poscia cercato le evoluzioni che meglio rispondevano a questa tattica. Altrettanto dobbiamo fare noi, ma non perdendo però di vista che diversi sono in generale i nostri terreni di manovra e che è sopratutto sulla natura di essi, come accennai nel primo paragrafo, che noi dobbiamo basare: il nostro armamento, i nostri dispositivi, le nostre evoluzioni e la nostra tattica.

F. D’Ottone.

Note

  1. Anzi, se mal non m’appongo, ritengo sia stata per questa considerazione che il ministero della Guerra (al quale fu trasmesso questo studio) nel parteciparmi (con foglio n. 1655 in data 10 ottobre 1896) che poteva essere pubblicato soggiungeva: che avrebbe potuto pure fornire oggetto di interessanti e proficue conferenze, per gli ufficiali dell’arma, anche per la feconda discussione cui avrebbe dato luogo.
  2. Quest’avvertenza, opinerei per altro, avrebbe posto più appropriato in testa al Tomo II, che tratta appunto degli ordini e delle formazioni, onde non vada dimenticata e confusa cogli esercizi individuali.
  3. Pubblicate poscia nel febbraio 1891.
  4. In Francia non avanzano che di 6 passi.
  5. Presso le altre potenze i reggimenti sono o si mobilitano su 4 o 5 squadroni, e non vi è ragione per cui noi si debba avere questa unità maggiormente pesante, mentre i nostri terreni, le nostre evoluzioni, la nostra tattica, la esigono invece più leggera.
  6. Gli organici attuali permetterebbero così di aumentare di 6 il numero dei reggimenti, formandone, per le ragioni già accennate, brigate di 3 ciascuna; come si può facilmente riscontrare calcolando: 10 brigate, 30 reggimenti, 150 squadroni, 450 plotoni; le prime comandate da maggiori generali o colonnelli, i secondi da colonnelli o tenenti colonnelli, i comandanti in seconda costituiti da tenenti colonnelli maggiori, i relatori da maggiori, ed abolendo i capitani a disposizione. Di questi 30 reggimenti, dodici varrebbero pei 12 corpi d’armata, e diciotto per formarne 6 brigate o 3 divisioni di cavalleria indipendente.
         S’intende che non vorrei soppresso neppure uno degli squadroni attuali, perchè come dimostrerò in altro mio studio avente per titolo: Storia e determinanti della funzione strategica della cavalleria, ritengo sia assolutamente indispensabile, appena si potrà, di aumentare quest’arma, senza di cui è impossibile l’attuazione di qualsiasi concetto strategico o d’impedire quello dell’avversario, che nelle guerre future si baserà sulle grandi masse di cavalleria.
  7. Una distanza molto forte, non è neppure necessaria per facilitare la propagazione del comando; inquantochè, come vedremo, è essenzialmente a segnali e per spirito di imitazione che si deve manovrare; e d’altronde una volta spiegati non v’è altra manovra da eseguire che partire celeremente a fondo, non dovendo subordinare le evoluzioni reali a quelle di piazza d’armi.
  8. Ricordiamoci inoltre che noi si manovra, si attacca e si sfonda col centro e qui deve esservi adunque l’elemento migliore e su cui dobbiamo fare a fidanza per essere seguiti.
  9. In Germania è di 6 passi per tutti.
  10. Attualmente chiamansi segnali le indicazioni date a mezzo di suonerie, mentre il segnale porta con sè l’idea del segno di convenzione, del gesto che rappresenta ciò che vuolsi indicare. E pertanto, si dovrebbero più propriamente chiamare: comandi le indicazioni date colla voce; suonerie quelle impartite colla tromba; e finalmente segnali quelle tracciate colla sciabola, come appunto farò nel presente scritto, a scanso d’ogni equivoco.
  11. Coerente al mio principio, sopprimerei però nella conversione l’accenno al perno di fermarsi, lasciando soltanto l’indicazione all’ala marciante di avanzare anche perchè quel doppio segnale crea confusione, ed il perno deve comprendere lo stesso che deve diminuire l’andatura per agevolare il movimento.
  12. Si aggiunga che lo shrapnell perde ogni sua efficacia, tanto se scoppia all’indietro della fronte, quanto ad una distanza superiore ai 50 metri innanzi ad essa.
  13. Questo ben inteso finchè sussiste il riparto in mezzi reggimenti che io vorrei però vedere soppresso.