Historia della Sacra Real Maestà di Christina Alessandra Regina di Svetia/7
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Libro settimo. La Regina dopo la cavalcata è ricevuta in San Pietro da quel Clero, e poi in Concistoro dal Pontefice. Visita Santa Maria Maggiore. Pranza col Papa. Dal Vaticano si trasferisce nel Palazzo Farnese, e vi vien visitata dal Sacro Collegio, e da Grandi della Città. Visita le chiese di San Gio: Laterano, di San Giacomo de gli Spagnuoli, del Giesù, e gli Monasterij di Torre de Specchi, e di San Sisto. Vede Castel Sant’ Angelo, la Sapienza, il Monasterio di Santa Catterina di Siena, la Chiesa de’ Greci, e gli Collegi Romano, & Urbano de Propaganda Fide. Tiene Academie, & è trattenuta con diverse attioni Drammatiche musicali.
Gionta la Regina a San Pietro, mentre che i Cardinali erano già smontati per andar ad assistere al Papa nel Concistoro publico, scese anche Sua Maestà, e gli Eminentissimi Orsini, e Costaguti la lasciarono a Cardinali Medici, e Sforza pur Diaconi, passandosene essi come Diaconi primi a vestire, e servire Sua Santità. Saliti i primi gradini, e caminato quello spatio piano, che si frappone per giongere a gli altri ultimi, ch’arrivano al portico della Basilica, quando vi fu gionta, si vide avanti su l’ultimo gradino Monsignor Scanarola Vescovo di Sidonia, Vicario dell’Eminentissimo Barberino Arciprete di San Pietro, e tutto il Capitolo di essa Basilica, che stava attendendola. Il detto Monsignore gli porse a baciare la Croce, & ella baciolla inginocchiata sopra un cuscino di broccato, sotto del quale era disteso un gran strato simile. In quel mentre, che un gran Coro di musici cantava l’Antifona Ista est speciosa &c. entrò essa dentro al Tempio in mezo de gli stessi Cardinali Medici, e Sforza. Lo stesso Vescovo gli diede nell’ingresso l’acqua benedetta, e da tutti i cori di musici fu intitolato l’Hinno del Te Deum. Questo sontuoso Tempio era tutto tappezzato di apparati proveduti dalla guardarobba del Sig. Cardinal Barberino, tra questi spiccavano cinquant’otto portiere sontuosamente riccamate d’oro, con le armi di Sua Maestà nel mezo, dieci delle quali erano abbellite di varie imprese alludenti alle glorie di questa Inclita Principessa. Così preceduta dal Clero, con la Croce, e dal detto Vescovo vicario, fu nel mezo de’ medesimi Cardinali condotta avanti il Santissimo esposto nell’Altar maggiore sotto la gran Cupola. Quivi fece oratione inginocchiandosi sopra un cuscino di broccato, con strato, e li due Cardinali sopra cuscini velluto cremesino. Finita l’oratione, fu guidata alla capella del Santissimo, e di là per la scala segreta, salì ad alto incontrata a piedi delle scale della sala Regia dalli detti due Cardinali primi Diaconi, cioè Orsini, e Costaguti, e da otto Prelati Vescovi assistenti, com’anche dal Duca di Poli di casa Conti Maestro del sacro Hospitio, e fu condotta al Concistoro in detta Sala Regia. Ella dunque avvanzatasi nella detta Sala, & entrata dentro il ristretto de’ banchi de’ Signori Cardinali, doppo haver fatto le tre genuflessioni, baciò il piede, e poi la mano al Pontefice, Sua Santità l’accolse con atto cortese. Le parole che Sua Maestà disse, esplicavano il giubilo, che ella haveva per esser passata alla Fede Cattolica, com’anche per vedersi honorata con tante dimostrazioni da Sua Santità. Il Papa rispose, che la di lei conversione valeva tanto, che in Cielo se ne facevano feste, & allegrezze maggiori di quelle, che ella vedeva in terra. Doppo di che finitasi la funtione, andossene il Pontefice verso il suo appartamento, tirando per la Sala Ducale, servito da tutti li Cardinali, eccetto che da sei Diaconi fermatisi per accompagnar la Regina, ch’entrando nella Capella di Sisto, e passando per l’appartamento vecchio, si portò alle sue stanze. Furono questi Medici, Sforza, Odescalchi, Raggi, Landgravio, e Carlo Barberini. Il Venerdì sera Vigilia del Santissimo Natale voleva Sua Maestà passar in seggetta incognita a veder la collatione solita darsi dal Pontefice ogn’anno in tal tempo a’ Cardinali; e così pure la stessa notte pensava di calare in Cappella ad osservare le funtioni de’ Matutini celebrati da Sua Santità; ma soprapresa da poco di male tralasciò d’uscir dalle sue stanze. La mattina seguente ella assistette publicamente alla Messa pur cantata da Sua Beatitudine. Il posto di lei era fuori del recinto, dove siede il Papa col Sacro Collegio, alla destra poco disgionto dalle scalinate dell’Altar maggiore, dentro un gabinetto parato nel di fuori di velluto piano cremesino, con guarnitioni. & allamari d’oro, e dentro di broccato, con una sedia sopra un strato alto da terra tre gradini. Calato il Papa con i Cardinali, e Prelati nella Chiesa, essendo salito al suo Trono dietro all’Altar grande ricoperto da una grandissima tenda di varie tappezzarie di seta, & oro; fece le sue orationi, e poi paratosi de’ vestiti Pontificali si condusse all’Altare, e quivi si assise in una sedia; In questo mentre fu la Regina levata dal suo posto, e da Cardinali Medici, e Sforza, con quattro Vescovi Assistenti guidata avanti Sua Santità, ove inginocchiata sopra un cuscino di broccato, ricevette per le mani di Sua Beatitudine il Sagramento della santa Confirmatione; Ve la tenne in nome della Maestà del Re Cattolico, il Cardinale de Medici, aggiongendo al nome di Christina quello ancora di Alessandra. Di là ritornò ella al suo posto accompagnata da medesimi Cardinali, e Vescovi assistenti, e si comminciò la messa dal Papa; doppo la communione de Ministri del sacrificio, avanti li Cardinali Diaconi si communicò la Regina, condotta a’ piedi di Sua Santità da sudetti Cardinali Medici, e Sforza con gli quattro Vescovi assistenti, che la ricondussero alla Cortina. Il doppo pranso andò Sua Maestà in seggetta alla Basilica di Santa Maria Maggiore assistita dalle guardie Svizzere, corazze, e lancie del Papa, e da numeroso corteggio de Principi, Cavalieri, & altri Signori, tra quali Don Antonio della Cueva, come Cavallerizzo maggiore stava servendola a piedi presso alla seggetta. Fu ricevuta alla porta dall’Eminentissimo Cardinale Bragadino, in luogo del Cardinal Antonio Barberino Arciprete di detta Basilica; doppo haver adorato il Santissimo fu condotta nella Capella di Sisto quinto a veder la santissima Cuna del Redentor del Mondo, la quale fu osservata, e venerata da Sua Maestà con molta divotione. D’indi poi veduta, ch’hebbe l’altra Capella sontuosissima di Paolo Quinto, il cui Altare era riccamente ornato, ritornosene al Vaticano. La Domenica seguente Sua Santità la tenne a pranso seco, e l’ordine della mensa fu il seguente. Erano due tavole disgionte l’una dall’altra circa due palmi. Quella dove mangiava il Pontefice era quattro dita più rilevata di quella della Regina; il Papa sedeva nel mezo sopra una sedia di velluto rosso, & una gran pradella alta mezo palmo; la Regina si posava sopra il seggio Reale fatto espressamente per quest’effetto alla parte destra sotto al Baldacchino, al piano del pavimento sopra un tapeto. Don Antonio della Cueva diede a Sua Maestà la salvietta, il Marchese Ippolito Bentivogli la servì di coppa, e’l Conte Francesco Maria Santinelli fece la credenza, o sia l’assaggio. Il pranso fu proportionato alla grandezza d’un Gran Principe verso una gran Principessa. Il Padre Oliva della compagnia di Giesù, fece quivi un sermone proprio del suo spirito, e talento; Sua Maestà con la solita sua eruditione havendo osservato, ch’il Padre in certo luogo poteva addure un passo di San Paolo lo motivò a Sua Santità, che restò grandemente edificato, dalla prontezza, & erudita vivacità di sì gran Donna, come pure ne restò ammirato il Predicatore quando lo intese, celebrando per maraviglioso l’intendimento di questa virtuosa Regina. Il doppo pranso fu divertita Sua Maestà da un Drama recitatogli in musica eccellentissima; e’l giorno seguente doppo essersi lungamente trattenuta col Papa, licentiossi da Sua Beatitudine; verso il tardi si trasferì dal Vaticano alla sua habitatione nel Palazzo Farnese, restando totalmente sodisfatta, & ammirata insieme del regio, e ben ordinato trattamento ricevuto nell’alloggio sudetto, dove in vero fu ottimamente servita per gli ordini molto propri osservatisi da gli ministri, con la direzione del Sig. Horatio Magalotti Cavalier Fiorentino, e cugino del già Cardinal Magalotti Vescovo di Ferrara, fratello di Donna Costanza Barberina cognata di Papa Urbano Ottavo, egli in questa occasione hebbe la sopraintendenza di tutto il detto alloggio, sotto gli ordini di Monsignor Farnese Maggiordhuomo di Sua Santità, sotto del quale eran pure l’Abbate Alessandro Magalotti, figliolo del detto Sig. Horatio, destinato a servir D. Antonio Pimentel Ambasciatore di Sua Maestà Cattolica, il Capitano Gio: Battista Massi, che assisteva al servitio di Don Antonio della Cueva, & il Signor Gio: Battista Minetti, a quello del Conte Montecucoli, con molti altri Signori per servire a gli altri Cavalieri della Corte di Sua Maestà. Nel giongervi, che ella fece, si compiacque di dar un’occhiata alla facciata del detto Palazzo, qual era tutto illuminato con torcie; Il frontispiccio era adornato, e messo a oro, con l’armi di Sua Maestà nel mezo, quella del Regno di Svetia alla destra, e l’altra della Regina a sinistra con diverse imprese, geroglifici, & inscrittioni. Tutta la spesa di questa facciata, che poteva ascender a tre milla scudi, come tutti gli addobbi veramente regij, e sontuosi del medesimo Palazzo, furono proveduti dalla magnificenza, e generosità del Serenissimo di Parma, per ordine del quale operò con intiera pontualità, & accuratezza il Marchese Giovan di Maria Residente di quell’Altezza. Nel trasferirsi Sua Maestà dal Vaticano al sudetto Palazzo, fu servita da nobile, e numerosa cavalcata di Principi, Prelati, e Gentilhuomini. Le fenestre, e strade, per dove passò, si trovarono tutte addobbate, e rese resplendenti da un’infinità di lumi; il concorso del Popolo fu sì grande, ch’a pena si poteva transitare con la detta cavalcata. Negl’honori fatti a questa gran Principessa ha Sua Santità fatto spiccare la cortese humanità dell’animo suo verso di lei, vi ha pur anche aggionte le dimostrazioni della generosità, e grandezza propria, con alcuni regali già accennati di otto bellissimi corsieri, con una carrozza, sella, valdrappa, sedia, e lettica, il tutto di valore di ventidue mila scudi in circa; in fine prima che Sua Maestà si trasferisse nel detto Palazzo Farnese, haveva il Papa commandato a’ suoi ministri, che lo provedessero abbondantemente, come fecero, di tutte le provisioni, e rinfreschi necessarj al mantenimento di Sua Maestà, e della Corte di lei per parecchi giorni. Poco prima, che la Regina giongesse in Roma, vi arrivorono i quattro Nuntij, che furono ad incontrarla, e servirla per lo Stato Ecclesiastico, e subito si portarono a’ piedi di Sua Santità per esporgli, come fecero il viaggio, e le funtioni loro. Furono accolti con gran benignità, e con espressione di esser restata Sua Beatitudine pienamente sodisfatta dell’opera loro. Vi andò pure poco doppo il sopranarrato Baldocci per dargli conto delle spese fatte in conformità de gli ordini impartitegli; onde la Santità Sua si dichiarò compitamente contenta del suo fedel impiego. La Regina godendo con gusto particolare del commodo della sua Regia habitatione, cominciò a ricevervi le visite de Cardinali, di tutti li ministri de’ Principi, de’ Prelati, e d’altri Grandi della Corte, porgendo a tutti saggi sempre più chiari de suoi rari, e virtuosi talenti; così anche non tralasciò di dar abbondanti prove della sua pietà, portandosi alla visita delle Basiliche, e Chiese principali, la prima delle quali da lei visitate fu quella di San Pietro, dove si condusse privatamente, e vi fece le sue orationi. Andò poscia a San Gio: Laterano la principale delle Basiliche di Roma. Entrò in Chiesa per la porta maggiore, e quivi fu ricevuta dall’Eminentissimo Cardinal Colonna Arciprete, e da tutto il Capitolo in habito; s’inginocchiò avanti al Santissimo, e gli fu detta la messa da Monsig. Serlupi, doppo la quale si condusse a vedere le teste di San Pietro, e di S. Paolo. Uscita dalla Sagrestia calò in San Gio: in fonte, dove fu battezzato Costantino Imperatore, e di là uscì, essendovi stata accompagnata, e servita dal sudetto Cardinale. La matina precedente era stata Sua Maestà alla Chiesa di San Giacomo de gli Spagnuoli in Piazza Navona, dove si faceva la festa per la traslatione di detto Santo. Alle scalinate di essa Chiesa si trovarono gli due Ambasciatori di Spagna Duca di Terranuova, e Don Antonio Pimentel, che la riceverono, e l’accompagnarono all’Altar maggiore riccamente adornato. Don Francesco di Vides, e Don Diego di Caravachal Amministratori d’essa Chiesa, soggetti di qualificate conditioni, la incontrarono alla porta della medesima, ch’era tutta parata di superbi, e sontuosi broccati d’oro. Nella cappella maggiore stava dirizzata una trabacca in forma d’una cameretta, che serviva di baldacchino. Qui la Regina udì la santa messa celebrata da Monsignor Sersale Vescovo di Bari Cavalier Napolitano, doppo la quale girò ella per tutta la Chiesa, osservando le cose più notabili, poi montata in carrozza col Pimentel, e Don Antonio della Cueva seguitata dal Duca di Terranuova, e dal corteggio diede una girata per Piazza Navona, per osservare la bella fontana fabricatavi dalla felice memoria d’Innocentio Decimo. La grandezza, e vaghezza di questa mole supera certo ogn’altra di Roma. Rappresentasi in questa un scoglio scabroso su la sommità del quale ergesi una bellissima guglia; Alli quattro angoli posano sedendo quattro colossi rappresentanti i fiumi principali delle quattro parti del Mondo. Da questi diruppi scaturiscono diversi rivi di acqua, che vien ricevuta in una gran conca di marmo, in mezo della quale è situata tutta la machina. Il pensiero dell’opera è del famoso Cavalier Lorenzo Bernini, lo scarpello del quale dà lo spirito a marmi stessi per ricever da loro applausi eterni di gloria. L’acqua derivata costà è una parte di quella della gran fontana di Trevi, la più salubre di Roma, ch’emola della felicità di questa sospira di vedere un giorno compiti i dissegni principiati dallo stesso artefice. Osservò pure Sua Maestà il bel Palazzo con la chiesa in forma di rotonda, innalzato dal sopranominato Sommo Pontefice Innocentio Decimo. Continuando poi Sua Maestà a render sempre più riguardevoli le sue virtù con la divozione, ch’è il vero ornamento de gli animi grandi; volse il primo giorno dell’anno favorire la Chiesa del Giesù, e per farlo con maggior solennità, vi andò il doppo pranso con cavalcata cospicua, essendo accompagnata da gran quantità di Cavalieri, e Signori di Roma. Haveva pensiero di entrare per la porta principale della Chiesa; ma fu sì grande la folla della gente concorsavi, per vederla, che non puoté in modo alcuno riuscir il pensiero, onde entrò per la porta della casa, dove pure pruovò gran stento, per la moltitudine del Popolo. Fu ricevuta dal Padre Generale Gosvino Nikel, accompagnato dalli Padri Assistenti, e da tutti gli Padri più gravi, non solo della Casa Professa; ma anche de gli altri luoghi, che hanno in Roma. Entrata in Casa ascese primieramente alla Cappella domestica di Sant’Ignatio, ch’è la stessa stanza, nella quale egli habitò, e morì, ove venerò le memorie di quel Santo, e vide la ricchezza, e vaghezza de gli ornamenti proportionati a quel luogo. Di là fu condotta al Gabinetto, verso l’Altar maggiore, donde poteva vedere tutta la Chiesa, e la grandissima moltitudine della gente, che vi era; ma perché da quel luogo non poteva sentir molto bene la musica, con la quale si cantava allhora sollennemente il Vespro, si trasferì in un altro sito molto più commodo, e capace, che era già stato ornato con ricchi damaschi, e velluti, & accomodato in guisa, che avanti al luogo dove stava Sua Maestà con alcuni pochi, restava un altro choretto maggiore, che serviva quasi di anticamera. Qui stette la Regina sin che fu detto il Vespro, pascendo insieme, e la vista dell’apparato superbo con cui era ornato l’Altar maggiore, e l’udito della musica eccellente, che a più cori vi si faceva, composta dal Sig. Bonifatio Graziani Maestro di Capella di quella Chiesa, e soggetto chiaro, per le opere già da lui stampate. Finito il Vespro, havendo Sua Maestà gradito con somma affabilità gli ossequij di tutti que’ Padri, e gustato della Festa se ne andò, ne giorni seguenti si trasferì Sua Maestà al Monasterio di Torre de Specchi, dove gionta fu ricevuta alla porta del medesimo Monasterio dal Marchese Valerio Santa Croce, Signori Agostino Maffei, e Paolo Maccarani Deputati del detto luogo, e dalla Madre Donna Maria Giacinta Cesi Pressidenta, con molte altre Signore di quel luogo delle più anziane. Salì di sopra nella Chiesa, dove facendo oratione gli fu cantato un mottetto fatto a posta con soave, e grata melodia. Erano con la Regina gli Monsignor Arcivescovi Colonna, e Torreggiani, Don Antonio della Cueva, con Madama sua moglie, il Principe di San Gregorio, il Marchese Bentivogli, i Conti Santinelli, i paggi, & altri Signori della Corte di Sua Maestà. Uscita dalla Chiesa portossi a vedere, e riverire l’habitatione della Gloriosa Santa Francesca Romana, e venerò diversi corpi de Santi, che ivi si conservano, con altre reliquie. Prima di arrivare a questo luogo, passò avanti ad una stanza in cui era preparata una nobilissima collatione di confetture, & altre gentilezze solite farsi da quelle Dame, di che assai Sua Maestà si compiacque. Veduto poscia il rimanente delle cose più osservabili, si partì sodisfattissima de gli honori fattigli dalle dette Signore, dalle quali fu anche la mattina seguente regalata di diverse gentilezze, e galanterie, particolarmente di fiori bellissimi di seta superiori, per così dire alla vivacità de’ naturali. Questo Monasterio di Torre de Specchi gode per unico privileggio concessole da’ Sommi Pontefici, di poter a lor piacere quelle Dame uscir fuori, e ricever dentro altre, gratia non concessa a niun’altre Monache. La Vigilia dell’Epifania tornò Sua Maestà doppo il pranso alla sopradetta Basilica di San Gio: Laterano, accompagnata da Monsig. Farnese Maggiordhuomo di Sua Santità, e servita dal suo proprio corteggio. Assisté al Vespro, doppo del quale seguita dal Capitolo alla Scala Santa, la salì in ginocchio. Salita che fu havendo per sé, e per Madama della Cueva un Breve Pontificio di potere entrare nel Sancta Sanctorum vi fu condotta, e le furono mostrate la faccia del Salvatore, & altre Reliquie innumerabili. Uscita di là entrò in San Giovanni per la porta maggiore, e si condusse in Sagrestia ove stavano, esposte sopra un bellissimo Altare molte Reliquie dentro a molti tabernacoli, ad una, ad una le furno mostrate da due Canonici, che furono Monsignor Antaldi, & Angelo Paracciano con altri Assistenti. Vidde la Croce di Costantino Imperatore, e quella di San Silvestro Papa, come anche il piviale, che questi adoprò quando consecrò essa Chiesa. Uscita dalla Sagrestia le fu mostrato la Verga di Moisè, il Pastorale di Aron, l’Arca Federis, & un Altare dove predicava S. Gio. Evangelista, il quale di dentro è tutto pieno di reliquie; la Tavola dove N. Sig. fece l’ultima Cena, & instituì il Santissimo Sacramento. Osservò pur anche l’Altare dove celebrava S. Pietro, nel quale non può celebrare alcun altro, che il Sommo Pontefice, uscita di là fu accompagnata dal medesimo Capitolo sino alla porta, e se ne ritornò a Farnese. Alli 7 di Gennaro, passando per lo Corridore, che unisce il Palazzo Vaticano a Castel Sant’Angelo, andò a vedere il detto Castello, accompagnata dagli Ambasciatori di Spagna Duca di Terranova, e Don Antonio Pimentel, da’ Monsignori Farnese, e Paluzzi Chierico di Camera, e Sopra intendente generale dell’Armi, e Fortezze dello Stato Ecclesiastico, da Don Antonio della Cueva suo Cavallerizzo maggiore, e dal Cavalier Iacquetti suo Cavallerizzo, dal Marchese Ippolito Bentivogli, dal Signor di Lilliecron, Conti Francesco Maria, e Lodovico fratelli Santinelli Gentilhuomini della camera, e da altri Signori della sua Corte. All’ultimo rastello, che divide la Fortezza fu incontrata dal Vice Castellano Conte Girolamo Gabrielli accompagnato da’ suoi Officiali principali, che la servì per tutto. Subito che fu gionta in vista della Piazza d’arme dove era squadronata la gente del presidio, fu salutata dalla moschettaria, alla quale seguirono doicento tiri di mortaletti, e cento di cannone. Doppo haver Sua Maestà vedute le cose più curiose, e notabili, essendosi degnata di entrar nell’appartamento del Vice Castellano antedetto, fu regalata d’un rinfresco di cinquanta baccili di confetture di tutte le sorti più isquisite, di sessanta libre ogn’uno, che immediate doppo haver Sua Maestà assaggiata un poco di pistacchiata in un momento furono date a sacco. Vi erano pur vini eccellentissimi, & acque limonate, e cannellate, delle quali volendone Sua Maestà gustare fu servita di coppa dal sudetto Marchese Bentivogli, e di salvietta dal Signor Duca di Terranova. Fu considerata questa collatione per la copia, e per la lautezza proportionata alla generosità del detto Conte, che alla nobiltà de’ natali porta congionta la vera esperienza del valore militare. Gradì sommamente Sua Maestà le dimostrazioni fattale da questo Cavaliere, & al maggior segno contenta d’haver veduta sì bella, e sì ben intesa Fortezza, ritornossene al suo palazzo, salutata nell’uscire prima dalla moschettaria dello squadrone antedetto, disposto nella Piazza d’armi, e doppo da tutti i mortaletti, e artegliarie, come nell’ingresso. Il primo recinto di questo Castello è di forma quadrata, fatta di marmo, con molta industria edificato; nel mezo di questo è una machina, o mole rotonda di eccelsa grandezza, e sì larga nella sommità, che con fatica vi si arriva con un trar di mano. E’ questa fabrica antichissima, poiché fu edificata da Elio Adriano Imperatore, che perciò fu chiamata sempre la Mole d’Adriano, sin che si commutò nel titolo di Sant’Angelo, per essersi veduto nella sommità del medesimo l’Arcangelo Michele rimettere la spada sanguinosa dentro al fodero, nel punto che passava di là S. Gregorio accompagnato dal Clero, e dal Popolo Romano per andare a San Pietro. Urbano Ottavo Pontefice di gloriosa memoria, lo fece fortificare con diversi balloardi ben intesi, fosse, e terrapieni, e con diverse commodità di fabriche per la Soldatesca del presidio havendovi in oltre eretta un’armeria di belle armi, & arteglierie. Nel Maschio di questo Castello sta l’Erario seniore, in cui il Sommo Pontefice Sisto Quinto pose il tesoro, che non s’apre mai, essendo sottoposto alla Bolla Pontificia; sopra vi è un altro Erario nel quale si conservano i Regni sontuosissimi del Papa, che si vedono nelle Processioni solenni tutti arricchiti di gioie di valor inestimabile; vi è poi anche l’Archivio dove si mettono le scritture più importanti di Santa Chiesa, e n’è Custode al presente il Sig. Carlo Cartari Avocato Concistoriale. Vi è un Coridore coperto, che dal Palazzo Vaticano porta nel medesimo Castello, fabricato dal Sommo Pontefice Alessandro Sesto, & hora si può chiamare una delle buone Fortezze d’Italia per la qualità del sito, e delle mura. Il rimanente del tempo era speso da Sua Maestà in ricevimenti di visite, & in altri trattenimenti nobili, e degni delle sue virtuose prerogative, e sopra tutto de’ suoi gran talenti nella letteratura. Hebbe perciò questa erudita Principessa genio particolare di portarsi alla visita della Sapienza, che è un Palazzo nobilissimo, o sia il Liceo destinato a’ studij publici. Alla porta fu incontrata, e servita dal Cardinal Rapaccioli Procamerario in vece del Cardinal Antonio Barberino, che come Camerlengo è capo di quella Università, accompagnato da Monsignor Bichi Auditor di Rota, come Luogotenente del Cardinal Camerlengo e da tutti gli Avocati Concistoriali. La sala grande, e l’antecedente minore erano riccamente parate. Sopra la porta della prima stava il ritratto di Sua Maestà in piedi; nel prospetto della medesima sala era alzato un baldachino, nel cui mezo si posò la Regina, & alla sinistra il detto Cardinale, gli Avocati assistevano in piedi dalle parti; nel basso del soglio facevano corona tutti li Lettori in piedi, & i Bidelli alla testa con le loro mazze d’argento in mano. Su la destra stava preparata una cattedra, per i Lettori, che fossero stati comandati di salirvi ad ogni richiesta di Sua Maestà. Si compiacque essa di sentire un Teologo, fu subito ciò adempito dal Padre Maestro Pietro Maria Passerino Modenese Procuratore Generale dell’Ordine di San Domenico, che fece spiccare i suoi talenti, e la sua profonda dottrina; dietro a questi fu da Sua Maestà desiderato un Medico, onde il Signor Gio. Benedetto Sinibaldi eruditissimamente, e con franchezza uguale all’applauso, adempì a’ suoi doveri, facendo un dotto & elegante discorso dell’Efimera. Venne poi chiamato il Signor Henrico Chifellio Fiamengo Humanista, il quale benché da moltissimo tempo in qua privo della luce degli occhi, fece conoscer d’haver veduto molto nella cognitione delle belle lettere. Sua Maestà mostrò piacere di sentire il Filosofo, & il Padre Maestro Gio. Battista di Lezana Carmelitano non mancò di rendere lodevolissime prove del suo sapere. A questo succedé il Canonista Signor Giacomo Cincio Romano, il quale sodisfece egregiamente alle sue parti, & al gusto di Sua Maestà. Lo stesso fece il Mattematico, che fu il Padre Don Antonio Santini Sommasco, che nel far la sua dimostrazione in carta calò giù dal foglio per sodisfare alla curiosità, ch’ella haveva dimostrato di vederla da vicino. Doppo fu richiesta se gli fosse piaciuto di sentire i Professori delle lingue; onde dimostrandosene ella bramosa, salirono l’un dietro all’altro in Cattedra diversi di quei Professori, sodifacendo pienamente a genio di Sua Maestà. Il primo fu il Signor Gio. Battista Giona Galileo, ch’esplicò in lingua Hebraica un passo della Genesi. Il secondo il Signor Guglielmo Artio, che discorse della Filosofia in idioma Greco. Il terzo il Signor Abramo Ecchlensio, che in lingua Siriaca spiegò alcuni punti della institutione della medesima. Il quarto il Padre Don Filippo Guadagnolo Chierico Regolare Minore, il quale argomentò in lingua Arabica, e Caldea contro alcuni punti dell’Alcorano di Maometto. Terminatosi questo Regio trattenimento gli Avocati Concistoriali gli presentorno in cento, e dodici volumi le opere stampate de Lettori del medesimo Studio sì di quelli, che vivono di presente, come di quelli che son morti di fresco, li quali volumi erano tutti riccamente legati in oro con l’arme di Sua Maestà. Gli fu consegnato ancora un Cattalogo stampato delle opere sudette con un elogio composto dal Conte Carlo Emanuele Vizzani uno degli Avocati Concistoriali Bolognese soggetto insigne. Terminandosi in tal modo la visita, con straordinaria sodisfattione di lei, per lo nutrimento, che col suo raro intelletto haveva trovato nelle doti di soggetti tanto eminenti. Restando pur anche questa gran Principessa ammirata sì della varia, e soda litteratura, e dottrina, come delle altre parti, che con la finezza del suo giuditio riconobbe nel detto Cardinal Rapacciolo. Hebbe pur anche gusto di vedere il nobile Monasterio delle Monache di Santa Caterina da Siena dell’Ordine di San Domenico, situato sopra il monte chiamato Magnanapoli, nel quale non si sogliono ricevere, che Dame di gran qualità. Alla porta del detto Monasterio fu ricevuta dalla Madre Priora Suor Emilia Cenci, con altre Madri dall’una, e dall’altra parte del corridore di essa porta schierate. In compagnia della Regina entrarono il Padre Generale de’ Domenicani de’ Marchesi Marini di Genova soggetto riguardevole per qualità della nascita, per integrità de’ costumi, e per l’eminenza delle lettere; il Padre Guemes Confessore di Sua Maestà, Monsignor Arcivescovo Torregiani, & altri quattro Padri de’ più conspicui della Religione Domenicana. Passò ella subito nel Coro, ove l’arrivo di lei fu festeggiato dal concerto di varij strumenti musicali, sentendovi anche con molto compiacimento un mottetto isquisitamente cantato da buona voce. Di là fu condotta in una sala con baldacchino, nella quale stavano preparate due tavole con una gentilissima, e nobilissima collatione. Qui fermatasi un poco, volle poi salire su la torre, dalla quale scoprendosi non solo tutta Roma, ma buon tratto di paese all’intorno, si compiacque tanto di quella prospettiva, che vi si trattenne più di due hore con molto gusto. Calata poi in Chiesa, & uditavi la Messa, ritornossene al suo palazzo, dove dalle Monache gli furono mandati a donare, oltre la detta collatione molte altre galantarie con una cassettina di raso incarnato ricamato d’oro, in cui era una reliquia di Santa Christina, & un stinco di San Romano, con ornamenti di picciole statue d’argento; una reliquia di San Nicolò da Bari legata in christallo di montagna alta un palmo con sei ampolle della manna dello stesso Santo tutte riccamate d’argento; due cuscinetti di broccato d’odore, con sei misure del Santissimo Padre San Domenico, due scattole di manteche isquisite riccamate, con diversi fiori d’ambra, e di seta. Il tutto fu sommamente gradito da Sua Maestà, come una dimostrazione della generosa osservanza di quelle Dame verso la sua persona. Si compiacque pur anche di dare una vista al Convento delle Monache di San Sisto dell’Ordine nobilissimo di San Domenico situato nel Quirinale a Monte Magnanapoli, di nobiltà, e di bellezza uguale all’altro ivi contiguo di Santa Catarina da Siena dell’Ordine istesso. Vi entrò Sua Maestà accompagnata da Monsignor Torregiani, dal Padre Generale, dal Padre Procuratore, e dal Padre Confessore di Sua Maestà tutti Domenicani. La Madre Suor Raimonda Colonna assistita da tutte le altre Monache la ricevé alla porta, e la servì per tutto il Convento, e giardino. Restò ella sodisfattissima della bellezza, e pulitezza di quelle fabriche, e della vaghezza del sito. Era apparecchiata una tavola di varie gentilezze, delle quali fu poi mandata a regalare. Il giorno 16 di Gennaro entrando Sua Maestà nella carrozza donatale dal Pontefice, accompagnata da’ Prencipi, Prelati, & altri Cavalieri andò alla Chiesa de’ Greci. Era questa parata di ricche tapezzarie massime il claustro chiamato Sancta Sanctorum come anche la porta della Sagrestia Greca. Eravi il Trono per Sua Maestà acciò potesse meglio vedere le cerimonie, che in tanto di dentro il Sancta Sanctorum si facevano. Fu ricevuta nella Chiesa dal Padre Giovanni Rho Provinciale della Compagnia del Giesù, e dal Padre Ottavio Massa Rettore di quel Collegio Greco. All’arrivo di lei si cominciò la Messa alla Greca, che fu cantata da Monsignor Lorenzo Costantino, Tessalonicense Arcivescovo di Cassandra, con tre Sacerdoti un Diacono, & un Subdiacono. Si fecero le cerimonie costumate dalla Chiesa Greca, quando celebra il Vescovo solennemente, vestendosi il detto Prelato l’habito Pontificale in mezo del Coro su un picciol trono. Si compiacque molto Sua Maestà di quella cerimonia, e mostrando d’intender benissimo quei riti, n’andava discorrendo col Signor Allatio della Città di Scio Teologo del Signor Cardinal Francesco Barberino, soggetto eruditissimo, e di famosa litteratura, trovatosi espressamente per servire a Sua Maestà nelle informationi, che ella havesse desiderato. Sodisfece alla Regina la communione di quei Collegiali alla Greca, e nel fine della messa essendogli stato portato da un Sacerdote il pane benedetto, essa ne gustò un boccone. Finite le dette cerimonie si levò contentissima d’havere in ciò pagata la sua curiosità vaga di saper tutto, e d’intendervi tutto. Fu accompagnata sin fuori della Chiesa da i sopradetti Padri, & altri Signori. Come non teneva mai otiosi i suoi talenti, così per render l’animo continuamente esercitato, e trattennuto in habiti nobili, e virtuosi; oltre a’ concerti musicali, che di quando in quando faceva fare la sera nelle sue stanze coll’intervento di Personaggi grandi, ordinò al Conte Francesco Maria Santinelli Gentilhuomo della sua camera, che gli portasse la lista de’ soggetti benemeriti delle lettere, & esperimentati nelle Accademie di Roma, e facesse intender loro il giusto desiderio, che havrebbe, che avanti di lei si tenessero le Accademie, e come cercava giustamente ogn’uno di ossequiarla non solo col tributo della riverenza; ma con i talenti del proprio ingegno, così trovaronsi tutti disposti di secondare i cenni di Sua Maestà, anzi su le notitie havutesi del compiaccimento di questa Virtuosa Principessa uscirono subito in ossequio delle glorie di lei, parti fecondissimi da gli ingegni più sublimi, de quali abbonda sempre la Corte di Roma. Gli Padri della Compagnia del Giesù, che con ragione possono chiamarsi oracoli, e mostri delle scienze non tenendo adormentata la sublimità de gli ingegni, ne otiosa la felicità delle penne loro; onde come sapevano, che la Regina tanto parziale de’ studij non havrebbe tralasciato di vedere il loro Collegio Romano scuole fortunatissime delle scienze, e della Pietà; così si diedero a metter insieme quelle compositioni, che stimarono non tanto convenienti all’ornamento di quel Ginasio, quanto dicevoli al ricevimento d’una Donna, che nella cognizione della Letteratura più recondita superava la capacità degli huomini, e per verità trovarono nella ricca miniera de loro eruditi ingegni tanta materia, che non vi fu alcuno, che nel vederla non cedesse a gli sforzi della meraviglia, e non stupisse delle numerose, e ben proportionate applicationi di tante imagini, imprese, geroglifici, & emblemi tutte alludenti alla sola persona di questa Gran Principessa. Il doppo pranso delli 18 Gennaro Sua Maestà si trasferì al detto Collegio col corteggio suo solito, accompagnata da concorso di tante persone curiose, che fu più che difficile a lei medesima l’ingresso, benché la porta si trovasse ben custodita dalle guardie Svizzere postevi espressamente, per impedire gli disordini, che nelle calche, e folle simili sogliono succedere. Nell’ingresso del detto Collegio si trova un gran cortile quadrato, cinto tutto all’intorno di loggie sostenute da pilastri, sotto delle quali loggie si stendono in tre parti le scuole, cioè verso la Piazza, e strada publica, e verso i due fianchi laterali. Tutti i pilastri eran adornati con l’effigie delle Donne segnalate in lettere con le loro medaglie di basso rilievo colorite a bronzo, e sotto due cartelloni di basso rilievo simile. Nel primo si leggeva l’elogio di ciascuna, applicato sempre alle qualità della Regina, e nel secondo vedevasi un’impresa sopra lo stesso soggetto. Ne’ semicircoli de gli archi stavano con la loro inscrittione dipinte le Università, Collegi ne quali insegnano i Padri della Compagnia di Giesù. Tra gli pilastri, e ciascuna porta delle scuole eran effigiati gli donativi più propri di cadauna Città offerti ad essa Regina, e spiegati di sotto con un’epigrama scritto dentro una fascia sostenuta da un Angelo. Il secondo luogo era la stanza della Portaria per cui s’entra nelle habitazioni del Collegio; In questa si rappresentavano schierate le statue delle Regine insigni per governi loro espresse a chiaro scuro, poste sopra le loro basi, sotto delle quali in cartelloni appartati pendevano gli Elogi loro tutti applicati alla Maestà della Regina. Fra una statua, e l’altra sopra un cartellone messo a oro erano gli Emblemi concernenti le Virtù, che si richiedono ne’ Prencipi, e sotto gli Epigrami dell’emblema. Tutta questa stanza sembrava adobbata di damaschi rossi trinati d’oro, così pennelleggiati el vivo, che inganavano l’occhio se non era assicurato dalla mano. I fiorami di questo havevano alternativamente stampate l’armi di Sua Maestà, e le imprese applicate a dette virtù. In terzo luogo s’estendevano i piccioli corridori, che sono dietro a questa stanza, ne quali come contigui al giardino fu rappresentato dalla maestria del pennello un giardino vaghissimo, con una prospettiva di varij pillastri, e scabelloni, ne quali si vedevano scritte Odi, & Elogi sopra le Imperatrici, e Regine, per titolo di Virtù, e di pietà celebrate. Su le porte de’ sodetti corridoretti erano delineati quattro Emblemi con i loro Epigrammi. Il quarto, & ultimo luogo era l’anditto tra la Sagrestia, e la Chiesa, & ivi si vedevano effigeate le Imperatrici, e Regine, capitate in Roma, per riverirvi i Vicarij di Christo. La pittura mostrava la campagna in cui si ergevano gran piramidi, in ciascuna delle quali era impresso un Elogio in lode di quella imagine, riferendosi sempre alla Regina di Svetia. Fra l’una piramide, e l’altra eravi un termine finto di bronzo, che teneva sopra il medesimo soggetto un’ode, & in altro fra questi vi era pendente una cartella con un Epigramma. La Chiesa poi del detto Collegio dedicata a Sant’Ignatio fondatore della Compagnia del Giesù, benché non ancor finita, era tutta addobbata vagamente. Nell’entrar che fece Sua Maestà per il Portone, vide sul primo arco di dentro una inscrittione continente l’argomento di tutto l’apparato, e nell’andito tra il Portone, e le loggie del cortile alla destra dipinta la Divina Sapienza domandata da Salomone, e anteposta alle ricchezze, & a gli Regni, alla sinistra Pallade la sapienza de gli antichi Gentili, che con l’Asta faceva sorgere un olivo a contesa di Nettuno, che faceva nascere un cavallo. Tutto questo era spiegato in quattro Ode scritte in cartelloni sostenuti da termini in quattro pilastri, & in altri quattro le Sibille, e le Muse, che con vaticinij, e con versi, alludevano a Sua Maestà, Salì poscia ella alla stanza della Portaria dove era apparecchiato il trono, e qui fu riverita dal Padre Lodovico Bompiani Rettore di detta Università, con oratione latina. Tornata fuori nel Cortile, girò per tutte le Scuole, in ciascuna delle quali fu salutata da uno de scolari più riguardevoli della medesima, con un breve Epigramma. Doppo rientrata nella sodetta stanza della Portaria gli fu dato raguaglio del contenuto di quell’apparato, e letti i nomi di quelle Principesse illustri dal Padre Rho Provinciale. Calò di là nella Chiesa dove ascoltò un motetto in buona musica, e poscia se ne partì. Fu molto curioso, e celebre questo virtuoso apparato, e però grandissimo il concorso di persone a vederlo, & ammirarlo. Il primo di Febraro si trasferì la Regina al Collegio Urbano de Propaganda Fide. Il Cardinal Capponi come Vice Prefetto di quella Congregatione si trovò in assenza del Cardinal Antonio Barberino, che n’è Prefetto, a ricevervi Sua Maestà. Fu condotta primieramente in quella Stamperia copiosa di ventidue Idiomi, ove vide stamparsi in un subito alcuni fogli in otto linguaggi, ne quali eran le seguenti parole. Eternum Christina vivat. Eran questi Idiomi Latino, Greco, Siriaco, Arabo, Gebraico, Caldeo, Cofto, & Armeno. Passò doppo nella Sala grande, tutta parata di damaschi cremesini, trinati d’oro. Qui si assise sotto un baldacchino in una sedia alta da terra due gradini, & il Cardinale si pose a sinistra nel medesimo piano in un’altra sedia inferiore. Ne gli quattro angoli della medesima Sala eran affissi quattro Epigrammi sopra le quattro parti del Mondo. All’ingresso fu riverita da quegl’Alunni in 22 linguaggi, non passando però alcuno di loro due periodi, che gli furono poi anche donati in stampa dentro d’un libro col titolo Concordia linguarum ad laudem Christinæ Svecorum Reginæ encomia celebranda. Finì quest’attione coll’invito d’un Alunno a tutti gli altri di dire nella sola lingua latina, per compendio di quanto poteva esprimere tutto il Collegio le medesime parole, che furono stampate, cioè Eternum Christina vivat, e fu corrisposto non solo da gli Alunni; ma da tutti gli Astanti con grandissimo godimento di Sua Maestà. Ella poi accompagnata dal medesimo Cardinale passò alla Libraria, nella quale si conservano tutti i libri stampati, e qui pure si trovarono sei Alunni con sei gran bacili d’argento, ne quali in vece di confetture gli furono, con avvedimento proportionato al buon gusto di lei, donati settanta due volumi di diverse opere in ventidue linguaggi da lei sommamente graditi. Nell’uscire dalla Libraria gli furono pur anche presentati alcuni componimenti in diversi idiomi stampati in lode di lei, alla quale fu mostrato in oltre un gran magazino pieno di volumi impressi per servitio de Missionarij Apostolici, tutti in diversi linguaggi, confessando Sua Maestà non trovarsi in alcun’altra parte del Mondo stampa più copiosa di lingue. Tutto l’ordine sudetto caminò sotto la direzione di Monsignor Dionisio Massari Segretario della detta Congregatione. Per la grandissima folla del popolo, non havendo Sua Maestà potuto godere con aggio proportionato al suo genio, la moltiplicità de’ componimenti, delle pitture, delle imprese, & inscrittioni esposte nell’antedetto Collegio Romano, risolse di portarvisi la seconda volta, e vi entrò privatamente per la porta segreta. Fu ricevuta dal Generale, dal Padre Gio: Rho Provinciale, dal Padre Lodovico Bompiani Rettore, e da molti altri di quei principali Religiosi. Salì ella subito nella Libraria, che si conserva qui nobilmente in una gran Sala, la quale oltre il numero infinito de volumi più rari, è anche vagamente adornata de’ ritratti di tutti gli Cardinali di questa Religione, de Religiosi loro, che hanno dato libri alle stampe, e de benefattori insigni della loro compagnia. Fra questi era più d’ogn’altro riguardevole l’effigie del già Monsignor Gio: Battista Coccino Venetiano Decano della Ruota, il quale stimò di non poter stabilir meglio le memorie delle sue glorie, & immortali fatiche, e della sua incomparabile benemerenza, sì verso il servigio della Sede Apostolica, come verso tutti i letterati, che con lasciar, come fece, al detto Collegio Romano quella sua pretiosissima, e copiosissima Biblioteca, con tutti i suoi preggiatissimi manuscritti. Quivi trattenutasi qualche spatio di tempo in vageggiar il numero di tanti volumi, godé pur anche di mirare il modello, e pianta di rilievo della Città di Gerusalemme, opera lasciata qui dal Padre Villalpando, con la descrittione delle strade, e luoghi santi, consagrati da viaggi, e passione di Nostro Signore Giesù Christo. Girando poi gli altri lati, scorse alcuni manuscritti Greci, e Latini, che trovò aperti sopra una tavola, e seppe dar giuditio de gli Autori, mostrando eruditione non volgare. Di qui passò alla Galleria vicina, dove il Padre Atanasio Kirken gran Matematico, teneva apparecchiate le cose più curiose, & osservabili, sì nella natura, come nell’arte. Erano queste in sì gran numero, che Sua Maestà hebbe a dire, richiedersi più tempo, e minor folla per considerarle con la dovuta attenzione. Si fermò nondimeno qualche tempo a considerrar l’herba nomata Fenice, che a guisa apunto della Fenice germoglia nell’acque perpetuamente dalle sue ceneri. Vidde le fontane, & horologi, che dalla virtù della calamita con occulta forza si raggirano. Passando poi per la Sala, ove diede un’occhiata ad alcune pitture di mano eccellente, si portò per le loggie, e giardino nella spetiaria, & ivi gli fu mostrato l’apparato de gli ingredienti di herbe, piante, metalli, gemme, & altre cose più rare, per comporre la teriaca, & il balsamo della vita. Fugli fatto anche vedere il magisterio di perle, e di corallo. Vide distillare col fuoco d’un fornello medesimo sessanta cinque sorti di herbe in altre tanti lambichi distinte. Gli fu fatta la calcinazione filosofica dell’avorio, e simili. Furono estratti gli spiriti del vitriolo, del sale, e dell’acqua forte, come pure ammirò una giara d’acqua pura con due sole goccie di quinta essenza di latte, trasformarsi in vero latte, medicamento unico per l’asma, & affettioni del petto. Regalata in fine di teriaca isquisita, e di ogli pretiosissimi, s’incaminò alla Sagrestia. Qui gli furono aperti tutti gli armarij ne quali si conservano le supelletili, le argentarie, e reliquie della Chiesa con gli torcieri, e vasi grandi lasciati in dono dal già Cardinale Lodovico Lodovisio Fondatore di quella Chiesa. Venerò particolarmente il sangue di Santa Esuperantia Vergine Martire, che doppo mille trecento anni si conserva liquido come se fosse sparso di fresco; indi passata in Chiesa udì messa, e nel partirsi diede a’ Padri segni di particolare gusto, e gradimento. Fra questi trattennimenti, o sagri, o curiosi non si scordò la Regina di quelli, che l’animo di lei godeva tra le ricreationi delle lettere. Alcuni de Signori Academici primarij di Roma, invitati dal nobilissimo compiacimento di Sua Maestà concorsero più che volentieri con loro virtuosi ossequij, e talenti ad obedirla, tenendo una volta la settimana avanti di lei le loro Academie. Erano questi Don Pompeo Colonna Principe di Gallicano, il Principe di S. Gregorio, il Marchese Scipione Santa Croce, il Marchese Fedrico Miroli, il Conte Lodovico Santinelli, il Conte Ulderico Fiumi, il Conte Francesco Maria Santinelli, il Sig. Carlo Rappaccioli, il Sig. Ottavio Falconieri, il Marchese Francesco Ricci, l’Abbate Francesco Cesis, il Sig. Giovanni Lotti, il Signor Sebastiano Baldini, il Sig. Gio: Francesco Melosio, il Signor Antonio Abbati, il Sig. Camillo Rubiera, il Sig. Tiberio Cevoli, l’Abbate Vincenzo Maculani, il Cavalier Marc’Antonio Meniconi, Don Cesare Colonna, e’l Sig. Gio: Francesco Sinibaldi. La prima Academia cominciò la sera di 24 Gennaro, in cui il Principe di Gallicano fece spiccare la sua ben fondata letteratura, & ingegno, con un’eruditissima lettione in honore del Pontefice Alessandro, secondando gli altri Academici co’ loro componimenti, gli applausi molto ben dovuti a chi nel soglio Vaticano fa risplendere, con sì bella unione la Pietà, e le lettere. Nella seconda Academia discorse il detto Principe di S. Gregorio provando spiritosamente, che le scortesie, e rigori delle Dame sono talvolta argomenti, e finezze d’Amore. Alla terza fece il Problema il Marchese Fedrico Miroli, dando saggi abbondanti di non esser meno cospicuo per i talenti delle scienze, di quello sia per lo valor delle armi; trattò qual fusse più a proposito per il furor poetico il giorno, o la notte, e nell’occasione medesima sopra lo stesso soggetto parlò dottamente il Sig. Gio: Francesco Sinibaldi, facendo pompa della sua virtuosa habilità. La conclusione seguì a favor della notte, la quale comparve preceduta dalle dodici hore, ch’eran persone abbigliate vagamente, con torcie accese in mano, seguitate da quattro stelle, ch’eran pur artificiosamente vestite, e questi eran i due fratelli Conti Santinelli, e due altri loro amici. La notte cantò alcuni versi in ringratiamento d’haverla gli Academici honorata nella scielta fattasi di essa per teatro de’ loro ingegni, e le quattro stelle batterono un canario con molta leggiadria, e gentilezza; fu questa inventione del Conte Francesco Maria Santinelli, al quale essendo toccato di far il problema nella quarta Academia, fece apparire i suoi virtuosi talenti con un lotto academico, nel quale ogn’uno recitò qualche cosa sopra la materia toccatagli nel medesimo lotto. L’ultima, che chiuse il Carnevale terminò il Problema l’Abbate Francesco Cesis, e’l Signor Francesco Melosi, sopra qual amor fosse più durevole, & efficace, o quello che nasce d’improviso, o quello che vien partorito dalla conversatione. A trattenimenti delle lettere, non era dovere, che mancassero quei dell’armi; e però il Principe di Pellestrina con una mano di Cavalieri al numero di ventiquattro, per mostrar i proprij ossequij verso Principessa sì grande, imaginandosi, che alle pupille avezze a’ bellicosi rigori del Settentrione, potessero riuscir anche cari, e graditi gli oggetti martiali, ma però più placidi del Lazio, risolsero di fare una festa de caroselli. L’animo grande, e generoso de’ Signori Barberini aggionse a queste ricreazioni il trattenimento di tre Drammi musicali, che fecero recitare sontuosamente nel lor Palazzo alle quattro fontane. La sera dunque dell’ultimo giorno di Gennaro, si recitò primieramente un’opera in musica intitolata il Trionfo della Pietà, o sia la Vita humana. La materia era tutta morale, e molto degna per l’apparato delle scene, che furono vaghe al maggior segno, per la dottrina, e bellezza della compositione, come anche per la soavità della musica, che fu isquisitissima. Rappresentava questo componimento le arti, e gli inganni, con i quali il piacere, e la colpa cercano ogni hora di sbattere l’innocenza, e l’intendimento. Il rimorso della Vita nel secondarli, la costanza nel rigettarli, e la fragilità nel compiacerli. Abbassata una tenda apparve in ombrosa Scena figurata la notte. Cominciò a sorger l’Aurora, doppo a poco a poco il Sole, che illustrò poi con mirabil artificio tutto il teatro. L’Aurora spargendo dall’argentato suo carro quantità di fiori odoriferi, e risvegliati i pastori all’opere, servì di prologo gratiosissimo. Doppo di che rimase in vaghissima prospettiva una Città con due Rocche opposte all’incontro, una dell’Intendimento, l’altra del Piacere, che passarono insieme un dialogo contentioso, cercando ogn’uno abbattere i sentimenti dell’altro. Uscita poi fuori la Vita humana tra la Innocenza, e la colpa, cercò ciascuna di queste di espugnare i sensi della vita. Il piacere, e la colpa insinuavano il diletto, ch’è la machina più adattata a mover la volontà e con questo l’eccitavano hor alla lascivia, ch’è un eccesso del desiderio senza ragione, hor all’otio, ch’è Padre d’ogni vitio, hor alla crapola, ch’è madre della lussuria, hor all’avaritia, che ruina la fede, e la bontà, hor alla superbia, che guasta, & abbatte ogni virtù, hor all’ira, ch’è un principio di pazzia, & hor all’invidia, che guasta le amicitie, e contamina le glorie altrui. L’intendimento, e la innocenza all’incontro anteponevano alla vita, per contraposto della lascivia, la bellezza della temperanza, ch’è il fondamento della vita felice dell’Huomo. Contro l’otio oponevano l’esercitio, e lo studio, che sono i genitori delle Virtù, e delle glorie. Alla crapola contradicevano con l’astinenza vera arma per vincer le tentationi sensuali. All’avaritia con la liberalità, anima della riputazione, e guida al Paradiso. Alla superbia coll’humiltà, che fa degni di compassione presso a gli huomini, e di misericordia con Dio. All’iracondia con la patienza, che vince, e supera tutte le difficoltà: E finalmente all’invidia col disprezzo delle cose terrene, una delle più gran parti della generosità. Da stimoli, & incentivi bersagliata la vita, hor cedeva alle lusinghe del piacere, e della colpa, hor si ravedeva, & aderiva alle amonitioni dell’intendimento e dell’innocenza; e garreggiandosi con tali discorsi tutti morali, e ripieni di gran scienza eccellentemente cantati, si fecero diversi atti, e si cambiò la scena la seconda volta, che con mirabilissima vaghezza, rappresentò un delitioso, e ben compartito giardino, ornato di figure, e di compartimenti tali, che aggiontovi le fontane, & una cascata d’acqua maravigliosa, si rese una delle più vaghe prospettive, che si possan figurar gli occhi; finalmente nella terza scena, in cui si vedeva un amenissimo prato ripieno di alberi, frutti, e fiori, & una lontananza, dove apparivano il Palazzo Vaticano, la Facciata, e cupola di S. Pietro, Borgo nuovo, e Castel Sant’Angelo, la colpa, & il piacere mascheratisi da intendimento, & innocenza, procurano d’ingannare la vita, con gli stimoli, & artifizii più propri della malitia, e della sagacità de’ tristi; ma uscendo fuori l’Intendimento, e l’Innocenza con le proprie sembianze vere, e trovata la vita in quelle insidie, scopertili gl’inganni, con i quali il piacere, e la colpa cercano di addormentarla, e tradirla, la rendono avveduta del proprio errore, e della sua fragilità; anzi per dargli maggior vigore, e schermirla da ogni altra sorpresa, & aguato, che se gli potesse tendere li donano un annello d’oro con una testa di morto in vece di gioia, ammonendola, che se di continuo ella pensarà alla morte, dopo la quale ogni cosa più grande si riduce al niente, comprenderà, che chi pensa a morire, non tralascia mai di ben vivere; e con questa chiusa si diede fine all’opera, nella quale seguirono diversi intermedii di balletti, e di concerti di musica, e d’instrumenti molto confacevoli al gusto di così virtuosa ricreazione; concludendo poscia con una ciaccona danzata mirabilmente da due eccellenti Ballerini, e coll’apparenza del gioco di una girandola ripiena di fuochi d’artifitio, accompagnata dallo sparo di gran quantità di mortaletti. La Regina doppo essersi compiaciuta di osservare la nobiltà delli appartamenti, la ricchezza degli addobbi di quel regio Palazzo, ornato anche di pitture eccellenti, calò per una scala segreta nel teatro, e nel mezo di quello dentro una cancellata, e sotto un riguardevole baldacchino gustò con tanta attenzione, e contento la moralità di quell’attione, che havendola giudicata molto adequata al suo raro intendimento, volse poi assistervi altre due volte, lodando grandemente il soggetto, e la compositione, parto del finissimo ingegno del Sig. Abbate Rospigliosi soggetto altretanto cospicuo nelle scienze, quanto riguardevole per le sue nobili conditioni, bastando il dire, che egli sia ben degno nepote di Monsignor Rospigliosi Segretario di Stato di Sua Santità, che alla intelligenza di ogni grand’affare ha congionta bontà, e litteratura in grado più che eminentissimo. La musica fu del Signor Marco Marazzoli Musico della Cappella Pontificia celebre virtuoso; e quelli che recitarono furono i Signori Bonaventura Argenti, che fece la parte della Vita humana, il Signor Domenico Rodamonti quella dell’Innocenza, il Signor Domenico del Pane quella della Colpa, il Signor Lodovico Lenzi quella dell’Intendimento, il Signor Francesco de Rossi quella del Piacere, & il Signor Gioseppe Sorilli fece il Prologo, tutti Musici isquisiti nella musica, e nella leggiadria del recitare. La Regina in tanto visitò alli 8 di Febraro la Basilica Vaticana di San Pietro, ricevuta alla porta da tutto il Clero. Erano 30 Canonici con rocchetti, cappe, e pelli bianche, 38 Beneficiati, e 26 Chierici Beneficiati con cotte, e pelli cenerine, ch’andarono servendo Sua Maestà, la quale doppo haver riverito il Santissimo, calò alle grotte sotto alla Chiesa, ove udì Messa ad una Cappella vicina a gli Corpi degli Apostoli santissimi Pietro, e Paolo. Andò poi vedendo quelle memorie, che vi sono de’ depositi de’ Pontefici antichi, e nel tornare di sopra fu condotta da Monsignor Farnese, Monsignor Febei, e Monsignor Marescotti tutti tre Canonici di San Pietro, a vedere le Reliquie insigni, e miracolose della Lancia, che trafisse il costato di Christo, una parte della Croce in cui fu crocifisso, & il santissimo Sudario di Santa Veronica, reliquie tanto stimate, e così gelosamente custodite, che non possono essere da vicino vedute da alcuno, etiamdio che fosse Cardinale, se non è Canonico di essa Basilica, senza gratia speciale del Sommo Pontefice, che in tali casi ne fa spedire un Breve, come fu fatto alla medesima Regina con la clausula sibi soli ostendatur. Ammirò Sua Maestà con particolar divozione le dette reliquie, e di là si trasferì a vedere tutte le altre cose singolari, che vi si conservano con ogni maggior decoro dentro una Cappella della Sagrestia. Due giorni doppo si trasferì alla Chiesa de’ Padri Minori Conventuali di San Francesco dedicata a’ SS. Apostoli. Vi fu incontrata, e servita dal Padre Maestro Felice Gabrielli d’Ascoli Generale di quella Religione, e da’ Padri più qualificati del Convento. Nell’entrare che fece S. Maestà nella Chiesa si diede segno d’allegrezza col suono delle campane, organi, e musica; & il Padre sudetto li diede l’acqua benedetta. Venerato che hebbe il Santissimo, e gli due Altari di San Francesco, e di S. Antonio da Padova nell’Archiconfraternita de’ quali volse essere ascritta, sentì Messa, e poi se n’andò. La Domenica seguente si trasferì Sua Maestà la seconda volta alla Chiesa delle Monache Benedittine dette della Concettione di Santa Maria in Campo Marzo; e come la prima volta non vidde che la Chiesa, volse hora visitare il Monasterio. Vi entrò per tanto accompagnata da Monsignor Vicegerente, ricevuta, e servita alla porta da Donna Tecla Rotolante Abbadessa, da Donna Deodata Baccini Priora, e da tutte le altre Decane, e Monache. Fu condotta Sua Maestà al Coro, e v’intese la Messa con un mottetto cantato dall’angelica voce di Donna Maria Alessandra Galvani. Passò doppo ad una stanza grande, parata di damaschi cremesini frangiati d’oro col suo baldacchino, sedia, e pradella simile. Ivi sentì, non senza offesa della sua modestia, un bellissimo motetto cantato in sua lode, onde molto più si compiacque di diversi altri spirituali, la soavità de’ quali raddolcì le amarezze instillategli dal primo. Doppo questo fu dato a Sua Maestà una gentilissima collatione, la quale fu secondata dal regalo di sette baccili di varie galanterie, mandatigli a casa, che dalla somma benignità di lei furono gratiosamente gradite. Il giorno 15 di Febraro si trasferì poi Sua Maestà come sopra modo curiosa di vedere le cose più riguardevoli di quella gran Città di Roma, a dar un’occhiata alla Vigna del Principe Don Camillo Panfilio chiamato di Belrespiro vicino a San Pancratio. Qui si trovò lo stesso Principe accompagnato da Monsignor Torreggiani, e molti Cavalieri titolati camerate di Sua Eccellenza, che la servì per tutto il giardino, & appartamenti del palazzo, porgendo alle mani di lei una molletta, o sia bastone tutto rimesso a oro, e intrecciato di pietre pretiose. Doppo haver Sua Maestà, con sommo godimento, accompagnata dallo stesso Principe, che mai permise, che stesse scoperto; passeggiato tutto il giardino, che si può numerare tra i più belli, e vaghi di Roma, fatto fabricare dal medesimo Principe, con disegno, e spesa immensa, entrò nel palazzo tutto addobbato delli più pretiosi arredi, che possino dar lustro, e magnificenza ad una habitazione, ove trovossi preparata una regia collatione di canditi, e confetture delle più isquisite. Si fermò qui qualche tempo, il Principe la servì di coppa, & il Duca di Ceri gli diede la salvietta: osservando poscia le pitture, che vi sono in quantità, e sommo grado eccellenti, si compiacque tra le altre di una Danae opera insigne di Annibale Caracci. Il Principe accortosi del compiacimento della Regina, senz’altro dire gli la fece presentare con un’altra delle migliori, nel punto stesso, ch’ella ritornò al suo palazzo, come pure nel partir ella dalla vigna, fu regalata della sudetta molletta gioiellata. Alcuni giorni avanti havendo il sudetto Principe penetrato, che la Regina voleva far fabricare un carrozzino per uso proprio, Sua Eccellenza gli ne mandò a donare uno di velluto cremisino, & argento, lavorato con maestosa, & artificiosa pompa nella Galleria del Serenissimo Gran Duca di Toscana. Avvicinandosi poscia il Carnevale, che si fa in Roma i soli dieci giorni avanti la Quaresima, haveva la Regina pochi giorni prima fatto accennare a questo Principe, che voleva essere alla casa di lui a godere le mascherate, e la corsa de’ pallii, che in tali tempi si soglion fare. Onde godendo Sua Eccellenza al maggior segno d’un tanto honore; la notte medesima del Sabbato, nel quale si comincia, fece sorgere avanti il suo Palazzo un lungo palco con sollecita, e ben intesa architettura. Rappresentava questi una longhissima Ringhiera sostenuta da un primo ordine di colonne, e da i lati formava due bracci ritirati dentro un tantino, in uno de’ quali, si dovevano trattenere gli Cavalieri della comitiva di Sua Maestà, e nell’altro le Dame. Nel mezo poi con bell’ordine di pilastri, e capitelli d’oro, e con cornici di metallo, si andavano restringendo l’historie di Alessandro Magno con vaghe, e nobili pitture. Era la ringhiera destinata a Sua Maestà, con parapetto di ferro indorati con l’imprese di Svetia, & era difesa dall’aria da lunghi spatii di finissimi christalli contesti d’oro, pur con le spighe dell’impresa della Maestà Sua. Era il di dentro guernito di ricami d’oro sopra il raso di velluto turchino col soglio, e baldacchino regio, e per lo più con l’imprese di Sua Maestà, e suoi Regni di ricchissima canutiglia. Questa, come ogni altra cosa fatta in tale occasione, fu disegno, & architettura di Sua Eccellenza medesima, dotata in ogni materia di spiritoso, e raro intendimento. Tutte le volte, che Sua Maestà honorò la casa di questo Principe, fu regalata col suo seguito di lautissime collationi di confetture, e canditi, vini, & acque condite, e si tenne corte bandita con ogni splendidezza; ogni sera fu illuminata la Ringhiera con infinito numero di torcie bianche, e nelle prime tre sere si fecero bellissimi fuochi d’allegrezza. Il trattenimento dato a Sua Maestà la prima sera, fu un Dramma in musica rappresentato da tre Damigelle della Principessa di Rossano Consorte di Sua Eccellenza, che piacque tanto a Sua Maestà, che volse la sera seguente rigoderlo, benché la Principessa gl’havesse fatto preparare un altro simile divertimento, il quale differito alla terza sera, fu poi dalla Regina sentito con lo stesso applauso, e con la medesima fortuna di esser replicato ancora più volte. La compositione delle parole era del Signor Giovanni Lotti, e quella della musica del Tegnalia soggetti celebri. Con tali ricreazioni andò il Principe trattenendo Sua Maestà sino all’ultima sera di Carnevale, nella quale Sua Eccellenza fece spiccare a maraviglia il proprio ingegno, e generosità; imperoché doppo una collatione regia, & abbondante di tutti li frutti novelli, che potero trovarsi ad onta de’ rigori della stagione; condusse la Regina in una gran stanza apparata sontuosamente di pretiosi, & inestimabili arredi. Quivi assisa sotto al baldacchino mirò sparire in un baleno dalla camera l’apparato, restandovi finto in gratiosa prospettiva un mare bellissimo ingegnosamente architettato dentro all’angustia di quel sito. Si vidde poi immediatamente Venere, & Amore scendere dall’alto sopra un carro tirato da due colombe industriosamente condotto, senza discernersi come si mantenesse in aria; onde la Regina, e quanti vi erano restarono attoniti; e meravigliati. Scesa Venere in terra con Amore ascoltò le querele del figlio, che accusava di troppo rigide le Dame del Tebro, ne valendo a rafrenare il di lui sdegno l’autorità della madre, scoccò egli alcuni strali verso le Dame, & unitamente con Venere ritornò al carro, unendo ambedue il canto alle lodi di Sua Maestà. Nello sparire cantarono insieme una canzonetta, invitando alcune Dame già seguaci d’Amore a dar col ballo qualche rifrigerio a quelle, che egli haveva soggettate al proprio imperio. Sparita la machina, uscirono da i lati della scena maritima otto Dame della sopradetta Principessa superbamente abbigliate con torcie accese in mano, e fecero un balletto a meraviglia bello, che tra la instabilità de’ suoi moti stabiliva gli amori, e con misura di brevi distanze assicurava i moti delle volontà. Doppo questo ritornò la stanza apparata come prima, e Sua Maestà ne restò sodisfatta, a segno che si dichiarò publicamente di non haver goduto in Roma cosa di sua maggior sodisfattione. Le parole di questa compositione furono parti dell’ingegno del medesimo Principe Don Camillo, il quale diede in oltre a Sua Maestà una canzone composta da lui sopra la renuncia fatta dalla Regina de’ suoi Regni; il qual componimento fu da lei commendato al maggior segno, celebrando il Principe per soggetto virtuoso, e degno d’ogni lode, & applauso. In tutte queste attioni si trovarono sempre presso alla Principessa di Rossano molte Principesse, e Dame, e diversi Principi, e Cavalieri parenti, e Titolati camerate del Principe, il quale ogni giorno si mutò di habiti superbissimi con bizzarre, e nuove inventioni. Il medesimo fece la Principessa accompagnandosi sempre tra loro le gioie di concerto di inestimabile valore. Questa Principessa con la sua prudenza, e con i suoi tratti spiritosi, e grandi, fece conoscere, che ella non è meno illustre, e generosa d’animo di quello, che è di nobiltà di sangue, essendo nipote di molti Pontefici, oltre la stretta attinenza che ha con molti Potentati d’Italia. A tutte queste funtioni assisterono sempre l’Abbate Cesare Malvicino Segretario, & il Signor Carlo Cento fiorini Cavallerizzo maggiore di detto Principe, ambidue Gentilhuomini riguardevoli, come fece anche il Signor Mario Baviera pur gentilhuomo domestico di S. Eccellenza, che vi s’impiegò con ogni ardenza, & applicatione. Ne’ giorni carnevaleschi andò la Regina tra questi virtuosi trattenimenti, mischiando gli effetti della sua pietà con diverse visite di Chiese, e particolarmente di quella del Giesù, dove con apparato nobile, furono esposte le 40 Hore. Appariva sul palco un Aggregato con bella dispositione de’ sei Monti, che porta S. S. nell’impresa di sua casa, sopra di cui come sia hoggidì posta la Chiesa giusto la Profetia d’Isaia, sul giogo del più rilevato de’ quali vedevasi la Chiesa sedente in bella forma, che mentre con la sinistra mano sosteneva la Croce, con l’altra additava il Trono sublime di Gloria, in cui si scorgeva il Salvator del Mondo. Nelli dui contigui monti stavano rizzate in piedi due figure dinotanti la Religione, e la Contemplatione, mentre le Virtù Teologali disposte nelli tre monti più bassi, con gli propri simboli la corteggiavano. A piedi de’ monti da ogni parte si vedevano incaminate turbe de’ popoli per fare homaggio a quella gran Monarchessa, e cattivar gl’intendimenti convinti in ossequio della Cattolica Fede. Spiccavano poscia quei personaggi illustri nelle divise, li quali stimati havevano cosa degna, e gloriosa il proporre l’obbrio della Croce alle grandezze mondane. Si rappresentavano ancora Principi, Regi, Imperatori, che ben mostravano non pregiarsi de’ loro titoli, per altro che per havere qualche degno argomento, onde noto facessero in qual conto tenevano la vera Religione, mentre per amor di lei tali fregi sprezzavano. Vi erano pur Principesse, e Regine, la cui pietà non era stata men generosa: e come la isquisitezza de’ Pittori haveva data co’ loro pennelli vivacità alle tavole, & eloquenza a’ colori, si compiacevano tutte ben sì della loro sorte; ma in certa guisa si confessavano vinte dal moderno miracolo di coraggiosa viragine, che, riguardevole in mezzo all’altre, con un volto spirante maestà, non men che divozione, quanto più si sforzava di oscurare i titoli di Regina, tanto più ne acquistava. Le tre Corone, e gli Scettri vittime a lei imolate alla Cattolica Fede, non mirava già ella; ma amiravale ogni altro, e pareva volesse in quel monte piantarli, giudicandolo degno d’haver scettri per alberi, e diademi per fiori, tra cui ponessero i suoi nidi, in vece di augelli; i Monarchi, e Principi stimolati dall’esempio singolare. A questa gran Signora chinava il volto la suprema Dominatrice del Monte, quasi a lei dicesse Multæ filiæ congregaverunt divitias, & supergressa es universas. Giurato havresti, che in così grata vista Santa Chiesa succhiando con le pupille consolazioni, qual latte quasi da tante mammelle, quanto quivi erano anime trionfali, crescesse a occhi veggenti, e con quei monti per qualche spirito invisibile vegeti, vie più si sollevasse. Dietro a quei monti, e personaggi si scorgevano varie, e vaghe lontananze, e tanto si trovava nella bassa regione. Ma inalzandosi l’occhio, entrava in un Paradiso, che spalancato, mentre voleva essere spettatore di quanto in terra facevasi, diventava delitioso, e beante spettacolo de’ viatori. Si stendeva in molti giri proportionatamente sempre maggiori, e ripieni di bellissime figure di gruppi, di Serafini, di Cherubini, di Angeli, e de Santi sino alla sommità dell’arco, e profondità della Tribuna la ben congregata Gloria, la quale ne pure fra termini sapevasi contenere, vedendosi gratiosi gruppi anche fuori dell’arco. Il Santissimo Sacramento ascendente, & Horoscopo di santa Chiesa, al pomposo sistema, stava quasi in mezo del Cielo, ne sapevasi discernere come, o dove mai posasse, e pure, fisso si stava: le beate menti che l’adoravano, come mostravano già di godere delle glorie di lui, ad onta di Lutero, acquistate, così ancora presaggivano, mercè i suoi influssi, felicità maggiori al Mondo Cattolico, e qui pareva s’udisse, che a quei suoi monti dicessero Suscipite montes pacem, al quale annuntio, exultabunt ut arietes, per la speranza in cui vedevasi; che entravano. Di tutto ciò era contemplatore il Padre eterno, quale appunto ce lo rappresentiamo allora, che data al Mondo l’ultima mano, tutto il fatto come buono lodò, tale quivi in sé stesso sostenuto appariva, e congiungendo l’alto col basso, la Terra insieme col Cielo, quasi facevano una sola Regione. Come poi fosse sì nobil machina illuminata, si può comprendere dalle stelle, che splendono, benché il Sole fonte della loro luce non facea il suo personaggio nella scena del Cielo. Certo è, che da ogni parte rifolgorava la mole. Scorgevansi compassati chiarori, ne si rinveniva dove mai derivassero: non sapevasi decidere se fossero nelle pitture nascenti, o imprestati da qualche sole congregato dall’arte. Così con cento, e mille inganni gratissimi di lontananze vicine, e di vicinanze lontane, di fughe stabili, e di finimenti, che havevano dell’infinito, dolcemente perdevasi la curiosità, e lasciava libera la divozione, sì che ne’ suoi santi esercitij impiegar si poteva. In questi giorni pure nel Teatro sudetto de’ Signori Barberini furono rappresentati due altri Drami assai spiritosi in musica, con apparati, e mutazioni di scene; con intermedij balletti, & armonie isquisite; & il soggetto d’ambi due fu graziosamente tradotto dalle vivezze Spagnuole. Uno era intitolato Le Armi, e gli Amori, il contenuto del quale versava nel simultaneo concorso de’ varij avvenimenti insieme amorosi, & armigeri, che vicendevolmente sogliono accompagnare le fortune de’ seguaci di Marte, e di Venere. L’altro chiamato Del Male il Bene, conteneva pur un nodo di varij accidenti amorosi, ne’ quali intrecciandosi a caso la Virtù, e l’Amore, si dava a conoscere, che bene spesso dal male ne resulta il bene, e dalle disgratie sovente nascono le maggiori fortune, comprobandosi il detto, che pericolati saressimo, se pericolati non fossimo. A tutte queste attioni assistette sempre la Regina col godimento dell’animo suo tutto dedito, & applicato alle cose, che hanno del Virtuoso, e del nobile. Il Collegio Germanico incontrò anch’egli volentieri le opportunità di applaudere co’ suoi ossequij alle glorie di questa gran Principessa nel fargli rappresentare, come fece, un’opera musicale nomata il Sacrificio d’Isacco; il contenuto era in sostanza, che il Dio delle vittorie Re supremo, e primo fonte di ogni potenza, ama sopra tutte le vittime la rationale, e sopra tutti gli sacrifizij l’incruento dell’obedienza, in cui si sviscera un cuor contrito, si cattiva un intelletto fedele, e si soggetta una pia volontà a’ cenni del suo Signore. Per intermedio vi fu inestato l’animoso, e ben avventurato fatto di Giuditta, & il tutto alludeva alle glorie della Regina, per la rinuncia fatta del Regno, e per la professione della Fede Cattolica. La compositione delle parole uscì dalla penna d’un Padre della Compagnia del Giesù, e la musica dal valore del famoso Signor Carissimi già Maestro di Capella di questa Chiesa dell’Apollinare. La sera de 28 di Febraro nel sudetto Palazzo de’ Signori Barberini alle Quattro Fontane, si fece la festa de’ Caroselli, la quale come per le comparse, e per le machine meritò l’applauso universale, così mi obbliga a farne un succinto racconto, lasciando io che le particolarità più distinte ne siano portate alla notitia commune da penna più erudita, e felice. Fu destinato per Teatro di questa operazione il cortil maggiore del medesimo Palazzo, che è di forma bislunga assai spatiosa. Questi Signori col fare anche demolire alcune loro case ivi contigue, fecero dirizzare due larghe, e commode scalinate nella parte sinistra. Erano queste capaci di 3000 persone in circa. In mezzo di loro si ergeva un magnifico portone all’incontro del posto della Regina abbellito di varie figure, che intorno all’arme di Sua Maestà invaghivano una prospettiva di nobili imprese. Nella sommità di detto portone in quattro gran fenestre, con finte gelosie, si stendeva un Coro per i musici, che con varietà d’instrumenti, fecero melodie isquisite. Nel fianco del Palazzo, che si erge all’incontro dal piano dello stesso cortile, furono alzate due fila di palchi, l’una sopra l’altra, coperte di ricche tapezzerie, e così pure con proportionata simetria dall’uno, e dall’altro de’ lati ne caminavano due altri ordini corrispondenti. Di modo che l’industria ingegnosa haveva ridotto quel cortile in un vaghissimo teatro. Per dar lume al campo, oltre alle spalliere di grosse torcie di cera bianca, e di materiali di arteficio, che ardevano sopra diversi collonnati, finti sopra le scalinate, e da’ capi dello steccato, erano sedici gran stelle artificiosamente composte di filo di ferro, ogn’una delle quali alzata, e librata in aria con moderna, e non più veduta inventione, nel mezo del campo, conteneva sedici gran torcie; sì che a buon calcolo questa sola illuminatione costava più d’un migliaio di scudi. Nel mezo del fianco sudetto sul primo piano degli appartamenti si trovava rizzato per Sua Maestà un palco assai capace, parato dentro, e fuori di broccati ricchissimi, col suo baldacchino di damasco cremesino tutto listato, e frangiato d’oro. Tutti quegli appartamenti veramente regij, si viddero parati di pretiosissimi addobbi, & affatto corrispondenti alla grandezza, e generosità dell’animo de’ Padroni. Appresso Sua Maestà si trovarono quattro Cardinali, cioè Retz, Imperiale, Borromeo, & Azzolino, e tutti gli Gentilhuomini della Corte di lei. Gli altri Eminentissimi hebbero per posto loro la ringhiera, o sia poggio di marmo nel piano superiore a quello della Regina, come pure le finestre di tutte queste stanze ancor esse nobilmente addobbate, furono ripiene d’altri soggetti riguardevoli. Ne’ secondi palchi tra le sudette due ringhiere stavano le Principesse, e Dame tutte vagamente abbigliate, e risplendenti, per accrescere co’ splendori delle loro bellezze, & ornamenti il lustro, e le gioie di sì bel spettacolo. Nell’altro palco poco rilevato da terra sotto il piano della Regina furono collocati tutti i Prelati della Corte. La pompa, e maestà di questa operatione invaghì la curiosità di tutta Roma, e de’ paesi circonvicini, onde benché la folla della gente all’ingresso fosse grandissima, con tutto ciò furono introdotte senza confusione tutte le persone civili, per i buoni ordini dell’Eminentissimo Barberino, con la buona, & accurata direttione del quale, si regolavano, e caminavano tutte le cose. Doppo le tre hore di notte, si cominciò la festa. Gli 24 Cavalieri, ciascuno de’ quali haveva contribuito splendidamente alle parti del proprio decoro, erano divisi in due squadre. Nella prima comparsa furono il Signor Lorenzo Roberti, il Marchese Tarquinio Santa Croce, il Capitan Giuseppe Marino Rasponi, il Baron Agostino del Nero, il Sig. Fabio de Massimi, il Colonnello Lodovico Casale, il Sig. Carlo Rapaccioli, il Marchese Gio. Pietro del Drago, il Signor Guido Rasponi, il Commendatore Fra Marc’Antonio Verospi, Fra Ferdinando Vecchiarelli pur Cavalier di Malta, il Signor Paolo Francesco Falconieri. Erano questi tutti sopra generosi Destrieri bardati di finimenti turchini riccamati d’argento a’ quali corrispondevano i vestiti, e manti dello stesso colore con riccami ricchissimi, & assai bizarri rappresentanti lucidissime perle, cimieri di penne così ampli, e pomposi, che non si sa come tra l’ondeggiamento dell’aria potessero sostenere in capo una machina sì spatiosa, e grave, che a ciascuno di loro costava più di ducento scudi di penne. Precedevano otto Trombetti, e cento e venti Palafrenieri tutti vestiti con divisa riccamata di argento sopra il turchino, e con alte pennacchiere in testa pur turchine, e bianche, portando ciascun di loro una gran torcia accesa in mano, che maggiormente accresceva lustro, e splendore, marchiando tutti in ben regolata ordinanza. Doppo gli dodici Cavalieri veniva in fine un bellissimo carro di vaghissimo disegno, era pur di color turchino, & argento tutto adorno di figure, e divise con industrioso artificio di basso rilievo. Con la sua altezza si ergeva questa mole sino al palco della Regina, e veniva tirato da tre musici in habito di Dee, rappresentanti le tre Gratie. Era egli mosso occultamente, e con somma agilità da chi vi stava nascoso. Vi sedeva sopra in maestoso sembiante Roma festiva, la quale bramosa di palesare la sua gioia per la venuta di sì gran Principessa, mostrò di haver assonte le sembianze, & habito di Amore, già che essendo questi l’anima dell’Universo, elesse per immutabile suo trono il cuore di lei, come Città capo del Mondo. Questo carro gionto in faccia della Regina, arrestò il suo corso, e le tre Gratie, che fingevano di tirarlo, secondarono con soavissimo canto gli armoniosi sentimenti d’Amore, riducendosi il tutto alle lodi di Sua Maestà.
Doppo questo uscirono dall’opposto lato gli altri dodici Cavalieri, i quali fingevano d’essere Amazzoni. Erano questi Don Maffeo Barberini Principe di Pellestrina, il Signor Urbano Rocci, il Marchese Ferdinando Torres, il Signor Gasparo Alveri, Ferrante Conte della Massa in luogo del Marchese Patritij, che s’ammalò, il Signor Stefano Pignatelli, il Marchese Fabritio Nari, il Marchese Cintio Silvestri, il Signor Gio. Battista Costaguti, il Conte Marc’Antonio Monte Marte della Corbara, il Signor Paolo Mignanelli, & il Signor Angelo Leonini tutti vestiti di rosso infocato, & oro con altissime pennacchiere ne’ cimieri, con manti sontuosi, superbi finimenti, e spiritosi cavalli preceduti pure da otto Trombetti, & altri cento e venti Palafrenieri tutti vestiti di rosso, e ricami d’oro, con grandissime, e folte penne in testa, e torcie accese in mano, i quali tutti come gli altri primi erano soldati di fortuna scielti dalle compagnie di leva, acciò le marchiate, & ordinanze fossero ben regolate, come veramente riuscirono, essendo anche condotti da un Officiale esperto, che assisteva alla funtione. Dietro seguiva un altro carro simile al primo, ne differente in altro, che ne’ colori essendo questi rosso, & oro pur fregiato di medesimi intagli, e variato da non inferiori abbigliamenti, tirato pure da tre musici in sembianza delle tre Furie. Sopra di esso sedeva con spaventevole aspetto, e minacciosa positura un altro musico rappresentante lo Sdegno. Doppo leggiadro, e ben ordinato passeggio, questi preceduto da’ suoi Campioni andò a mettersi dirimpetto all’altro del Dio d’Amore, che s’era fermato avanti alla Regina. Quivi tra le Gratie, e le Furie seguì un dilettevole, e più che curioso dialogo pure in musica, chiamando in fine da ciascuna delle parti, per la decisione, i proprij Guerrieri all’armi. Il simile contrasto fecero insieme Amore, e lo Sdegno, concludendo ogn’uno alla battaglia. Le Amazzoni passeggiarono tutte virili, e generose dall’altra parte il campo, e si raccolsero in ordinanza, pigliando il loro posto a capo del Teatro verso il giardino. I Cavalieri non meno feroci, & arditi, fecero lo stesso passeggio col ridursi all’opposito lato verso la strada publica pur in ordinanza. Ogn’una di queste squadre era seguitata dal proprio carro, che caminava con bell’ordine. Gli Guerrieri deponendo gli alti cimieri, & i lunghi manti della comparsa, si resero più agili al combattimento, e coprendosi d’elmi disinvolti, e leggieri di penne, restarono armati di petto, e schiena, con maniche, e girelli. I carri si ritirarono in disparte, per non ingombrare il campo, i Pallafrenieri serventi occuparono tutta la circonferenza del teatro, facendo bellissima prospettiva, la quale dallo splendore delle torcie, e dal lustro degli habiti riceveva vaghezza indicibile. Il coro de’ Musici situato, come disse, sopra l’arco eretto incontro a Sua Maestà, come di quando in quando faceva armoniose sinfonie, così cedette al suono delle trombe. Da queste dunque furono svegliati tutti alla battaglia; onde tre de’ Cavalieri con le pistole alla mano spiccaronsi di galoppo verso le Amazzoni. Le dette pistole erano state caricate dal Colonnello Vaini, il quale come soggetto di nobiltà conosciuta, e valore sperimentato, fu honorato di tal carico molto honorevole all’uso di Germania. Alla mossa de sudetti Cavalieri, tre delle Amazzoni uscirono contro di loro, & incontrandosi in mezo alla carriera del teatro, fecero vicendevolmente lo sparo delle pistole, con doppio caracollo, voltando con molta prestezza a fare il secondo cimento, che riuscì mirabile, e poi con bell’ordine si ritirarono; uscendone doppo quattro per parte, fecero la stessa operazione, indi cinque, poi sei, & ultimamente tutti dodici, gli uni contro gli altri concertamente mescolandosi; onde tra il fumo, il fuoco, e lo strepitar delle armi, si godé la sembianza d’una mischia, e di una zuffa vaghissima. Seguita questa operatione, fu abbassata una tenda, e dall’arco, o portone sudetto, sortì una gran machina rappresentante un mostruoso Dragone, il quale vomitava ardenti fiamme, & a guisa d’un gran carro, portava sul dorso un altro musico, finto il famoso Alcide. Questi con voce sonora, e grave, sospendendo i cimenti dell’armi offensiva, offrì, in vece di quelle, una copia de pomi d’oro da lui rapiti all’Horto dell’Esperidi, acquisti famosi delle sue gloriose fatiche. A tali voci uscirono fuori tre delle dette Hesperidi vagamente abbigliate, e sospirando con dolorosi accenti la prodiga concessione di quel tesoro, riportarono la desiderata gratia, di essere elle stesse dispensatrici di quei pomi; onde gli andorono distribuendo a’ Cavalieri, & alle Amazzoni. Doppo quest’atto, che sortì ordinatamente con musica soave, il Drago passeggiò alternamente il Campo, e ritornò a mettersi al suo primiero posto nel portone. Si spiccarono in tanto dalla loro schiera due Cavalieri con gli scudi imbranditi nella sinistra, e con li pomi nella destra, e di galoppo scagliatisi a fronte delle schierate Amazzoni con ardire martiale, gli avventarono contro i pomi, voltando velocemente sulla destra, incalzati da due delle Amazzoni, che dando loro la carica gli seguirono sino al loro proprio squadrone. Di qui spiccati tre Cavalieri diedero alle Amazzoni la fuga, ritornando esse verso la squadra amica, dalla quale di mano in mano sortendo quattro, poi cinque, e sei per volta, & in fine tutte insieme, fecero un mescuglio così bello, ben condotto, e destro, che non potevano gli occhi de’ spettatori satiarsi di contemplarlo. Terminatasi questa scaramuccia, che hebbe veramente altre tanto del mirabile, quanto del dilettevole, si ridussero tutti in fila con le spade alla mano avanti alla Regina. Uscì allora dal lato sinistro un altro gran carro, tutto dorato, e fregiato di varij ornamenti, rappresentanti quello del Sole, sopra di cui fiammeggiava sedendo un musico in habito di Febo. Era egli assistito dalle quattro Stagioni dell’Anno con 24 Donzelle attorno di corteggio, che simboleggiavano le hore; il detto carro era tirato da quattro cavalli veri morelli al paro benissimo bardati d’oro. Fermatosi questo in faccia della Regina, richiamò alla pace le schiere nemiche, e doppo haver cantati alcuni versi per esprimere i dovuti sentimenti di Roma verso la riverita Christina di Svetia, s’unirono insieme gli Cavalieri, e le Amazzoni a tre a tre, preceduti da tutto il loro corteggio, e seguitati dalle machine, passando avanti alla Regina, si ritirarono a’ loro quartieri, terminandosi in tal modo la festa, doppo la quale il Principe diede una lautissima collatione di pretiose confetture alle Dame. La Regina terminò poi le ricreationi del Carnevale col sentire nel Palazzo Mazarino al Quirinale una Rappresentatione in lingua Francese, intitolata l’Eraclio opera di Cornelio celebre Poeta della Francia, gli ne fu fatto l’invito dal Signor di Lionne Ambasciatore del Re Christianissimo a’ Principi d’Italia, che trovavasi allora in Roma per li affari di S. Maestà Christianissima. Questo ministro in tutti i maneggi che ha havuti grandissimi per servigio della Corona, sì dentro, come fuori del Regno ha dato a conoscere qual sia la vivacità del suo spirito, la prontezza del suo ingegno, e la costanza della sua fede. Egli è di tratti affabilissimi, di giuditio vigoroso, di grand’avvedimento, di rara capacità in ogni affare. Ha senno raffinato dalla esperienza, animo colmo di spirito, e pensieri, che tendono solo alla gloria, & al buon nome; è pieno di sodezza ne’ discorsi, di accortezza, e di destrezza ne’ maneggi; di sincerità, e soavità nelle maniere, sopra tutto amico delle virtù, e con queste trahe meritamente a sé tutti gli encomii, e le lodi di quanti lo conoscono. Oltre alla detta commedia regalò Sua Maestà di una superba, e pretiosa collatione di confetture più pregiate, in abbondanza straordinaria, e feceli godere d’un bellissimo ballo danzato alla Francese da alcuni Savoiardi molto agili, e destri, di che restò al maggior segno sodisfatta la Regina. Il primo giorno di Quaresima andò Sua Maestà in casa del Principe di San Gregorio a vedere la Cavalcata solenne, con la quale il Pontefice accompagnato dal Sacro Collegio, e da tutto il resto della Corte si portò dal Vaticano all’Aventino per visitarvi Santa Sabina, Chiesa de’ Domenicani. Questo Convento è celebre per diverse memorie della residenza, che vi fece il glorioso S. Domenico. Doppo il pranzo si trasferì ella poi anche a quella Statione, e vi fu ricevuta e servita dal Padre Generale, e da’ primi Padri della Religione, ivi in quel giorno concorsi. Alli due di Marzo, andò Sua Maestà alla Chiesa della Madonna della Scala de’ Carmelitani Scalzi Religione da lui molto amata. Alla porta della Chiesa la ricevé il Padre Gioachino di Giesù Maria Generale, accompagnato dagli altri Religiosi più cospicui di quell’Ordine; mentre faceva ella le sue orationi avanti al Santissimo fu cantato un bellissimo mottetto: di là passando nel Convento entrò nell’Oratorio, che trovò parato di nobilissimi addobbi, figure, imprese, & emblemi. Qui ascoltò la Messa, nella quale la divotione dello spirito, fu accresciuta da una musica eccellente. Riverì poscia la pretiosa reliquia d’un piede di Santa Teresia Fondatrice del medesimo Ordine; e sentì un’oratione latina recitata da uno di quei Padri. Il seguente, che fu il primo Venerdì di Marzo si portò alla visita di San Pietro, e lo stesso fece tutti gli altri Venerdì di detto mese, per godere i tesori di quella celebre Indulgenza. Si compiacque poi di visitare il Collegio degl’Inglesi. Il buono, e generoso zelo di Gregorio Terzo decimo eresse qui sotto la disciplina de’ Padri Giesuiti un ricovero per la gioventù d’Inghilterra, che ritenendo i veri semi della Religion Cattolica, abbandonata la Patria, ricorsero a questa Città Patria commune, per stabilirsi maggiormente nella Fede con le scienze, e pietà che vi apprendono. Haveva desiderato questo Collegio sin quando venne Sua Maestà a Roma di testificargli il suo ossequio, & il Padre Edoardo Cortneo, che n’è Rettore, applicò subito i suoi talenti a comporre un libro, in cui si contengono gli Elogii di più di cinquanta sante Regine, o figlie de’ Re d’Inghilterra, aggiungendo a ciascun Elogio alcuni versi spiritosamente applicati alle rare doti di questa Principessa. Vi si portò dunque ella accompagnata da diversi Principi, e Cavalieri, & in particolare da Monsignor Torreggiani, che ve l’haveva invitata. Entrata nella Chiesa dedicata al glorioso Martire Inglese San Tomaso Arcivescovo di Cunturbi, la trovò vagamente adornata, e ripiena di pitture de Santi Re d’Inghilterra prestate dal Marchese di Sommerset Inglese Camerier d’honore del Papa, soggetto di nobiltà insigne, che pur era presente. Ella fece le sue orationi, che furono accompagnate da una bellissima musica, e sinfonia di viole, nelle quali sono gl’Inglesi maestri eccellentissimi. Postasi poscia a sedere sotto il baldacchino gli fu recitata una breve oratione latina, con alcuni versi da due di quei giovani Alunni, presentandogli il sudetto libro di Elogi stampati, che fu dalla gentilezza di lei sommamente gradito. Il giorno di San Tomaso d’Aquino, festa solenne dell’Ordine Domenicano, honorò Sua Maestà la Chiesa della Minerva de’ sudetti Padri, una delle principali di Roma, così per l’officiatura, come per la sacra Congregatione de Cardinali, che dentro a quel Convento si tiene ogni Mercordì mattina del Sant’Officio delle più importanti di Roma; le stanze dove si fa la detta Congregatione furono da Sua Maestà vedute, come pure tutto il Convento, restando al maggior segno sodisfatta della magnificenza dell’une, e dell’altro. Fu ricevuta, e servita dal Padre Generale, e dal Padre Raimondo Capisucchi Maestro del sacro Palazzo, & uno degli Essaminatori de Vescovi, Prelato ornato di virtù, e talenti insigni, resi anche maggiormente riguardevoli dalla antica famiglia Capisuchi, la quale come si prova da scritture autentiche e si cava dall’identità dell’armi, è un ramo germogliato dall’illustre ceppo delli Conti di Tunn di Germania, capo de’ quali è hoggi il Principe Arcivescovo di Saltzbourg soggetto di altissime qualità. Hebbe Sua Maestà qualche pensiero di veder anche il curioso Museo del Cavalier di Santo Stefano Francesco Gualdo da Rimini Gentilhuomo benemerito delle più erudite memorie degli antichi, donato da lui a Sua Maestà Christianissima; ma il tempo cattivo, e le occupationi maggiori di questa Principessa non l’hanno sin’hora permesso: riservo però alla mia penna il parlar a suo tempo del detto Museo.
Continuando poi la Regina ne’ suoi virtuosi trattenimenti, introdusse sul principio di Quaresima l’essercitio spirituale di un Oratorio divoto nelle sue stanze per ogni Mercordì, sotto la direttione del Principe di Gallicano: si cominciò il secondo Mercordì di Marzo, e fu recitata l’historia di Daniele in musica, degno componimento del medesimo Principe; Nel secondo Oratorio sermoneggiò il Padre Rho Predicatore insigne; nel terzo adempì egregiamente le sue parti il Padre Luigi Spinola; nel quarto fece spiccare il suo erudito zelo il Padre Nicolò Zucchi tutti tre Giesuiti; nel quinto il Padre Spinelli Celestino diede un gran saggio di sé medesimo; nel sesto il Padre Don Carlo di Palma Teatino acquistò al proprio valore i ben meritati applausi.
Ma eccoci a gli ultimi periodi di questi racconti. La sincerità della mia penna che non può, ne sa tessere historia verdadiera al glorioso nome di Christina la Grande, senza i veri caratteri d’un perpetuo Panegirico; conchiude, che sì come è indubitato, che questa gran Principessa merita per mille riguardi ogni maggior ossequio di corrispondenza verso i sublimi suoi genii, e talenti, così può sperarsi, che il fortunato clima di Roma, epilogo delle felicità celesti, & humane sia per meritar la ben avventurata sorte di goderla, e servirla lungamente. Certo è, che se questa Regina con le doti incomparabili dell’animo suo, e con le franche risolutioni del suo cuore, può come Sole fra le Stelle giustamente vantarsi di spiccar per unica nel Mondo; così Roma la sacra, la grande, e la maestosa Fenice fra tutte le Metropoli della Christianità, può pretendere di porgere felice, lungo, & adequato ricetto alle gloriose fortune di Sua Maestà.
IL FINE.