Historia della Sacra Real Maestà di Christina Alessandra Regina di Svetia/6
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Da Foligno passa la Regina à Spoleto: vi è regiamente trattata dal Card. Fachenetti. Si porta à Terni, e vi è servita da Monsignor Bonfiglioli Governatore di quella Città. Si conduce à Gallese incontrata da Mons. Visconte Governatore del Patrimonio; s’avvanza a Caprarola, vi riceve i complimenti dell’Ambasciator di Spagna; e di là và a Bracciano, e finalmente all’Olgiata, ove si portano i Cardinali Legati à latere à complir seco, e condurla à Roma. Vi entra & è accolta dal Papa con somma humanità; Fà il suo solenne ingresso in Roma.
Tre miglia fuori di Spoleto uscì ad incontrare la Regina l’Eminentissimo Cardinal Cesare Fachenetti Vescovo di quella Città, accompagnato da Monsignor Fausto Poli Spoletano Vescovo d’Amelia, da Mons. Governator d’Orvieto, dal Principe di Gallicano, e da molti Gentilhuomini. Gli sudetti due Prelati si trovarono qui espressamente per assistere in questo servigio del Cardinale. Il Principe venuto da Roma la sera de gli 11 col solo motivo di riverir Sua Maestà, trovandosi alloggiato in Vescovato, diede luogo alla comitiva Reale, e ritiratosi in casa d’un Gentilhuomo suo amico, incontrò l’opportunità di riverire la Regina, la quale lo accolse con molta cortesia, essendo già molto tempo, che conosceva le di lui virtuose, e degne prerogative. Il Cardinale doppo il suo complimento rimontò in carrozza, e si portò avanti, per esser a riceverla nel Vescovato; Sua Maestà prima d’arrivare alla porta, trovò squadronate molte migliara si Soldatesche, che con le loro scariche la salutarono. Alla porta fu ossequiata dal Magistrato, che vi comparve con pompa propria di spiritosi talenti de’ Spoletani. Ella fece fermare la carrozza, e fece espressioni del suo gradimento. Per la strada nella Città erano stati eretti diversi archi trionfali, tutti abbelliti di figure, inscrittioni, & altre spiritose imprese. Tra gli archi sodetti il più riguardevole era quello risarcito sopra una porta antica della Città, ove oltre all’inscrittione postavi in honore della Regina, n’era un’altra, che alludeva al luogo, dove Annibale Cartaginese doppo la vittoria riportata al Trasimeno, volendosi avanzar a Roma restò fugato; per lo che la medesima porta ritiene ancora il nome di porta della fuga.
Passò la Regina per la Piazza, ch’era stata ridotta in forma di teatro. Il recinto de’ portici laterali veniva chiuso da due portoni, in ciascuno de’ quali erano inscrittioni, imprese, e figure di buon gusto. Questo teatro fu fatto a spese de’ Gentilhuomini della Città incitati dall’esempio generoso del Cardinale, che fu il primo nel contribuire a tal’opera. Ciò si fece con pensiero, che Sua Maestà fosse per gionger di notte, e godere maggiormente de’ fuochi arteficiati dispostivi sopra, che operarono poi la sera. Ne i portoni del Teatro stavano l’armi della Regina, con diverse imprese del Regno di Svetia; da una parte Sua Maestà, e dall’altra il Re Padre di lei, ambi a cavallo.
Entrata la Regina nel Vescovato, hebbe incontro una nobilissima corona di Dame, le quali essendo già state regalate da Sua Eminenza d’una lautissima collatione di confetture, si trovarono unite a riverirla. Nell’entrare, che fece in Sala, hebbero tutte la sorte di baciarle le mani, e furono accolte con somma benignità; anzi degnossi la Regina, ch’intervenissero sedendo ad un concerto musicale, che si fece nelle proprie stanze di Sua Maestà, e ciò servì per trattenimento di quella sera.
Il soggetto rappresentava la Fede trionfante; che doppo haver spediti tre Personaggi a decantare le lodi di Sua Maestà, comparve in fine invitandola ad entrare nella navicella di Pietro.
Alloggiò la regina con alcuni de’ suoi Domestici nel Vescovato; gli Nuntij, l’Ambasciator Pimentel, il Conte Montecucoli, e gli altri Signori principali furono distribuiti in diverse case de particolari, in ogn’una delle quali erano Gentilhuomini della Città deputati a servirgli; la direttione di tutti questi alloggi fu appoggiata alla cura del Signor Gioseppe Pallettonio Gentilhuomo spiritoso, e di molta attività, coll’assistenza del quale, e de’ Signori Vincenzo Pianciani Tesoriere di Perugia, e Nicolò Benedetti Tesorier di Spoleto, tutte le cose passarono ordinatamente con pontualità.
La mattina de’ 15 Sua Maestà servita dal Cardinale, da Nuntij, Ambasciatori, Prelati, Prencipi, e nobiltà tutta si portò alla Catedrale per sentirvi la messa; Tutte le contrade erano spallierate da Soldatesca. Il Portico della Chiesa era tutto abbellito di figure, inscrittioni, imprese, & altri fregi fatti dal Cardinale in nome del Clero Spoletano. Terminata la Messa, ritornò a Palazzo, e qui pransò in publico col Cardinale. Il Signor Maffeo Rosari Mastro di campo della Provincia, e Gentilhuomo della Città le diede la salvietta, il Priore più vecchio in habito le versò l’acqua alle mani. I Nuntij, l’Ambasciator di Spagna, Conte Montecucoli, & altri principali della Corte, furono nello stesso tempo serviti in case de particolari con ogni buon ordine, e pontualità.
Era Sua Maestà risoluta di andar il doppo pranso alla Chiesa de’ Padri Domenicani, per visitar molte Reliquie, & in particolare il chiodo Santissimo di Christo; ma la gran neve sturbò il tutto. La medesima sera di Mercordì si degnò Sua Maestà di honorare il Palazzo Publico, & ivi sentire un’opera in musica recitata da alcuni giovani nobili di quella Città, con diverse machine, e mutationi di Scene.
La mattina de’ 16 doppo pranso partì Sua Maestà da Spoleto, servita dal Cardinale fuori alcune miglia, e dal Governatore sin a confini della Diocese di Terni. Nel licentiarsi il Cardinale dalla Regina, questa s’espresse d’esser non solo grandemente contenta degli honori, che le haveva fatti; ma sommamente edificata del gran sapere, ch’haveva scoperto in lui ne’ discorsi tenuti seco.
Questo Cardinale è di Patria Bolognese, e della nobilissima famiglia de’ Marchesi Fachenetti, Pronepote d’Innocentio Nono Sommo Pontefice. Fu prima Referendario, poi Nuntio in Ispagna, dove diede gran saggio della sua intelligenza, e capacità. Ritornato in Roma fu poco doppo per l’eminenza della sua bontà, e valore promosso alla porpora il dì 13 di Luglio 1643. E’ egli uno di quei Cardinali, che mantengono lo splendore del Sacro Collegio, e l’honor della Chiesa, ha intelletto vivace, discorso sodo, giuditio accertato, e prudenza raffinata nel maneggio de’ negotij grandi, ha gratia, e soavità ne’ tratti, e con questi attrahe gli encomij, e le lodi di quanti lo conoscono; sopra tutto ha un animo, & una generosità di Cesare. Hanno procurato i Spoletani di applaudere alla venuta di questa Gran Regina, con espressioni di giubilo singolarissimo, e di allegrezza segnalata, e sincera; percioché se bene per servire a genij del proprio Principe, sogliono tal’hora i sudditi convertire in adulatione anche gli affetti più puri, e semplici; Il Popolo Spoletano però in questa occasione ha pienamente corrisposto alla sua natural ingenuità, sì per secondare col dovuto ossequio, la retta intentione di Sua Santità, come per palesare la partialità delle sue antiche inclinationi verso il gran nome di questa Principessa. Gli Spoletani, secondo ne parlano le più accertate historie, devono riconoscersi per germi nobili, e felicemente propagati dalle reliquie de’ Goti; che doppo la caduta del loro Regno in Italia restarono in Spoleto, come Città nobilmente ornata, & accresciuta dal Re Teodorico. E quantunque le hostilità di Totila habbino potuto scemare, se non abbellire di poi gli sentimenti di gratitudine, la pietà nondimeno, e le altre più sublimi conditioni di questa Regina sono di vantaggio bastevoli a restaurar pienamente tutto ciò, che la funesta ricordanza de’ rigori di quel Re havevano qui demolito, & a risarcire con ampia ricompensa le memorie de’ beneficij, che questa Patria si gloria haver ricevuto dal Settentrione.
Spoleto è Città illustre, & abbondante d’ogni cosa, situata in capo della pianura verso Oriente parte a piè de’ monti, & in maggior parte su i monti stessi. Fu già stanza de’ Principi Longobardi, & hora è fra le più cospicue della Provincia dell’Umbria: Qui si vede il grandissimo Palazzo di Teodorico Re de’ Goti. Vi appaiono i fondamenti d’un bel teatro, e del Tempio della Concordia; fuori della Città si vedono pur anche forme alte, e forti di acquedotti, parte tagliate dalle coste dell’Appenino, parte elevate del basso della valle con archi di mattoni cotti. Ivi sono riguardevoli gli alti tetti della Chiesa Catedrale, i muri di marmo, la Rocca fabricata nell’Anfiteatro, il Ponte di pietra, che con grand’arte è sostenuto da 24 gran pilastri, e congionge la parte più alta della Città alla Rocca, overo all’Anfiteatro situato in un altro colle. Quivi ricevendo trattenimento da quei virtuosi, e compiacendosi particolarmente del valore di Francesco Giuseppe Tomasini sonator di violino, l’accettò al suo servitio.
Al confine di Terni fu ricevuta Sua Maestà da Monsignor Bonfiglioli Bolognese, Governatore di detta Città, che vi comparve accompagnato da quaranta Gentilhuomini parimente a cavallo, con quantità di servitori a piedi, vestiti di belle livree. Erano pure con lui molte compagnie di cavalli, e fanti. Pervenuta la Regina alla porta detta Spoletana, fu incontrata da tutta la nobiltà, e tra gli altri da sei gentilhuomini, li quali facendo figura del Magistrato, complirono con lei in nome di quel Publico, e la servirono per la Città; ovunque ella passò trovò le strade, e fenestre con lumi, & apparati; Nel gionger al Duomo vide eretto avanti a quella Piazza un Arco trionfale, con bellissime inscrittioni, e figure in sua lode, la facciata di quella Chiesa annessa al Seminario, e Vescovato riceve figura di teatro, & è abbellita di 30 fenestre, erano queste superbamente parate, & alla maggior parte di loro vi erano due torcie per ciascheduna con altri luminarij. Alla porta di detta Catedrale fu ricevuta Sua Maestà, conforme al solito dalla Prima Dignità di quel Clero in assenza del Cardinal Vescovo; la detta Chiesa era superbamente apparata, & illuminata da gran quantità di torcie, e di candele, con cori di buona musica, & un giovinetto di Casa Sciamanni recitò un sermone assai gratiosamente. Finite le funtioni della Chiesa, fu la Regina dal sudetto Monsig. Bonfiglioli Governatore, condotta nel Palazzo Episcopale, addobbato sontuosamente da ministri del Cardinal Vescovo; Sua Maestà si compiacque di sentire in quel bell’Oratorio un Dramma spirituale recitatole con musica isquisita.
Furono anche alloggiati nel medesimo Palazzo Don Antonio della Cueva con Madama sua consorte, e tutta la di lui comitiva. I Nuntij con il loro seguito furono accomodati nel Palazzo del Sig. Ferdinando Sciamanna, l’Ambasciator di Spagna Pimentel, in quello di Monsignor Ferentilli, il Conte Montecucoli, in quello del Conte Girolamo Spada, il Marchese Bentivogli in un altro del Signor Antonio Manassei, diversi gentilhuomini si distribuirono in oltre ne’ casamenti de’ Marchesi Castelli, e così di mano in mano restarono ordinatamente alloggiati tutti gli altri anche della famiglia bassa; dopo le tre hore di notte gli Nuntij fecero intendere a Monsignor Governatore il bisogno, che Sua Maestà poteva havere, di esser la mattina del Venerdì seguente ricevuta a pranso in Otricoli, Terra discosta 15 miglia; e benché il luogo fosse molto scommodo, e privo d’ogni provisione, il medesimo Governatore ve ne spedì subito otto muli carichi, con cuochi, scalchi, credenzieri, bottiglieri, e tutta la servitù necessaria, i quali viaggiarono tutta la notte; furono colà la mattina a tempo di far esser in pronto tutto ciò, che bisognava.
La Regina cenò quella sera in Terni privatamente, e fu servita da’ suoi domestici: Fu però l’apparecchio Regio, e copioso di vivande isquisite; la tavola si vide abbellita da varie statue, e trionfi, che nella leggiadria del disegno, e del lavoro mostravano l’eccellenza del buon gusto, e spirito Romano. Non mancarono per tutto le soldatesche ben ordinate, né tacquero le bocche di fuoco, & i mortaletti, come pure si vide tutta la Città risplendente di fuochi, e di luminarij.
E’ questa una Città piccola, ma bella; fasciata di recinto non moderno; Possiede un territorio ristretto, ma fertilissimo per la bontà del suolo, e per l’abbondanza delle acque, e stando esposta al mezzo giorno, produce copia di frutti, & ucellami eccellenti. Le pratarie si tagliano tre, e sin quattro volte l’anno, e poi anche si pascolano. Quivi si leggono molte inscrittioni scolpite in marmi, che mostrano esser stata municipio de’ Romani, e ritener anche qualche innesto delle Nationi Settentrionali. Il Cardinal Rapaccioli n’è Vescovo, e benché non si potesse ritrovare a quella residenza trattenuto in Roma dalle sue indispositioni, non mancò però di essercitar anche da lontano il suo buon cuore, il suo gran spirito, e la sua natural generosità, facendo comparir ivi ne’ parti del suo amenissimo ingegno gli ossequij dovuti a sì gran Principessa.
Partì la Regina da Terni la mattina de’ 17 servita dal medesimo Monsignor Bonfiglioli con alcune Soldatesche, e corteggio di nobiltà: Egli però precorse avanti ad Otricoli per provedere aggiustatamente a tutti i bisogni: onde perché l’angustia di quel luogo non poteva esser capace di tanta comitiva, prese un ingegnoso ripiego, e fu di far pranzar subito le genti di mano in mano, che comparivano, con spingerle immediatamente avanti, per dar luogo a gli altri, & evitar la confusione. Su le 20 hore gionse la Regina ricevuta dal medesimo Prelato, e da molta Soldatesca, che la riverì con lo sparo de’ moschetti, e con ben ordinate spalliere, smontò ad un’hosteria, nelle angustie della quale non mancò certo quella copia, & isquisitezza di vivande, che si richiedevano ad un buon, e nobile trattamento. E’ hoggidì Otricoli un picciol borgo formato da varie case raccolte insieme sopra un monte poco più d’un miglio discosto dal Tevere, che uscendo da quelle montagne, quivi poscia si dilata in spatiosa, e piana campagna.
Il doppo pranso si tolse Sua Maestà da Otricoli, e calando nella pianura sempre lungo il fiume, doppo un viaggio di sei miglia, si portò al Ponte chiamato Felice, per lo quale passato il Tevere, si condusse ad una Terricciola chiamata il Borghetto, pertinenza del Ducato di Ronciglione.
Qui terminò la sua funtione Monsig. Bonfiglioli, e si trovò Monsig. Vitelliano Visconte Governator del Patrimonio, accompagnato da nobilissimo stuolo di nobiltà, e da molta soldatesca a piedi, & a cavallo squadronata, complito che hebbe con la Sua Maestà, al sudetto Ponte Felice s’avanzò, per riceverla poscia a Bracciano terra destinata all’alloggio di quella notte. Il Colonnello Tofani Governatore dell’armi del Patrimonio, non mancò di apostare le soldatesche, ne luoghi, che riputò più adattati ad un compito ricevimento. Una parte della Corte restò al Borghetto, dove fu trattata con ogni buon ordine, e commodità. Dalle mura, e dal castello di questo luogo fu salutata da copiose salve di moschetteria, e da qualche concerto de mortaletti.
Il detto Ponte Felice è di bellissima costruttione, amplo, e lungo, quanto comporta la larghezza del Tevere. Questo fu fabricato da Sisto V Sommo Pontefice, il quale dal suo primo nome lo nominò Felice.
A Gallese pervenne la Regina assai tardi, e smontò nel bel Palazzo del Duca di Altemps Padrone di quella Terra, che la ricevé regiamente. Era la facciata di lui illustrata da lumi, e così tutte le contrade ne risplendevano; Queste eran anche spallierate da Soldatesca, che non mancò di fargli il dovuto saluto con le bocche di fuoco, alle quali corrisposero copiose salve di mortaletti. Cenò Sua Maestà privatamente, osservata, & ammirata però da diversi Cavaglieri condottisi colà da Roma, per sodisfare alla loro impatiente curiosità, fu servita con la stessa pontualità, & eccellenza, trovata in ogn’altro alloggio.
Gallese è cinta tutta da mure antiche, da una parte fabricata in alto, con esservi fosso profondo, e dall’altra ha una rocca parimente circondata da muri, torrioni, e fosse. Il Tevere gli passa due miglia distante, dove vi è il porto, per condurre le robbe, e vittovaglie in Roma. Questa Città fu da Sisto Quinto Pontefice eretta in Ducato. Altre volte vi era il Vescovo, ma hora è raccomandata a quello di Cività Castellana. La mattina seguente levatasi di qui, doppo la Messa andò a Caprarola destinatale per alloggio della sera de gli 18 di Decembre: Fu ricevuta qui nel sontuoso Palazzo del Serenissimo di Parma, ove il gusto, e la curiosità d’ogn’uno, hebbe che ammirare, sì per la bizzaria dell’archittetura del famoso Vignola, come per le pitture, e per la ricchezza de gli adobbi. Nella Piazza avanti il Palazzo si ergeva sopra un gran piedestallo una cuppola sostenuta da otto colonne, che posavano in altro piedestallo minore del primo; nel mezzo vi era una gran statua con un fascio di spiche di frumento in mano, ch’è l’arme della Regina, e dall’altra parte un Leone coronato, sotto di cui erano diverse imprese, & inscrittioni in versi volgari, ma tutto riuscì poco godibile per la pioggia continua, che sgorgò dal Cielo tutto quel giorno, e la sera stessa, interrompendo anche molt’altre dimostrationi d’honore, e di giubilo, che vi s’erano apparecchiate.
Il Duca di Terranova Ambasciator ordinario in Roma per Sua Maestà Cattolica si trovò qui espressamente per riverire, come fece Sua Maestà, al che fu da lei corrisposto con i soliti tratti di maestosa affabilità, e gentilezza. Doppo di che licentiatosi la mattina seguente ritornorsene a Roma. Cenò Sua Maestà privatamente servita da suoi Cavaglieri domestici; ma trattata isquisitamente bene, poiché Monsignor Visconte non mancò alla diligenza, & acuratezza propria della sua singolar habilità, qui pure gionsero i sopranominati Conti Santinelli, ch’accolti da Sua Maestà con il solito della sua benignissima cortesia subito li dichiarò Gentilhuomini della sua camera.
Caprarola è una Terra aperta assai ben fatta, e bella, in capo della quale giace il Palazzo del Duca di Parma in sito rilevato, di mirabile architettura, e vaghezza. E’ di cinque facciate, e non di meno tutte le stanze di quadro perfetto tra quali ve n’è una ben grande, disposta in guisa tale, che stando uno in uno delli quattro cantoni sente quello, che altri discorre ne gli altri angoli benché parli in segreto. E’ arricchito di giardini dilitiosissimi, e nobilissime fontane, & in somma così sontuoso qual esser può ogn’altro d’Italia. Il giorno dietro partì Sua Maestà da Caprarola accompagnata, e servita da tutto il corteggio. Don Paolo Giordano Orsino Duca di Bracciano, e la Duchessa moglie di lui, con quattro carrozze a sei piene di nobiltà, e 200 corazze portatisi a riverirla, come fecero ad Oriolo Terra delle sue giurisdittioni; Doppo il complimento s’avvanzarono alla volta di Bracciano per esser a servirla in quel bel Palazzo. La Regina trovò al suo arrivo spallierate per tutto numerose Soldatesche, che fecero i dovuti saluti con loro mos chetti, come pur fu riverita col tuono d’alcuni pezzi di cannone, e diversi mortaletti. Poco lontano dalla Città erano 18 Arcieri, e 18 Tedeschi della guardia di esso Duca, che l’accompagnarono sino al Castello, e l’assisterono poi sempre. Alla porta del Palazzo, la nobiltà del quale era stata accresciuta con la ricchezza di sontuosissimi parati; si trovò il Duca, che coperto la servì di braccio etiamdio caminando. Fu la sera Sua Maestà trattenuta da una ben concertata armonia di Musici, della quale come di diletto proportionato al suo genio godé ella grandemente. Cenò poi in privato, e ritirossi. La seguente matina nell’andar dalle sue stanze alla capella per sentir messa, il Duca la servì pur di braccio. Doppo la messa Sua Maestà montata nella seggetta della Duchessa calò in Piazza, & ivi salendo in carrozza, s’incaminò per la strada dritta di Bracciano al Casale della Polzetta, detto l’Olgiata, casa di campagna del Sig. Filippo Franceschi Fiorentino, posata destinatagli per il pranso.
Bracciano è cinto da fosse, mura, e balloardi, fatti la maggior parte da Bartolameo di Alviano nel tempo, che detta Città, fece resistenza all’essercito di Alessandro Sesto, commandato dal Duca Valentino; La fortezza è intitolata, il Castello di San Giacomo, di fortificazioni regolari, ma di forma antica, provista di tutte le artiglierie, & armi necessarie con pressidio di Tedeschi, due appartamenti Reali, con giardini, & altre dilitie. Il sito è in collina amena, e’l castello sta sopra un masso di selce dificile a poter esser minato. Da una parte è bagnata dal lago Sebeto, su le sponde del quale sono altre Terre dello stesso Ducato. Il Duca, e la Duchessa per la strada dell’Anguillara, prevennero l’arrivo della Regina un quarto di miglio lontano dall’Olgiata, e qui smontarono per riverir,. come fecero, di nuovo Sua Maestà. Ella con molta cortesia fece fermare la carrozza, vi ricevé il detto complimento, e mostrando di gradirlo assai, disse al Duca, che si vederebbero a Roma. Haveva Sua Santità sotto li 29 del mese di Novembre antecedente dichiarati in Concistoro due legati a Latere, per incontrare, e ricevere Sua Maestà. Questi furono gli Signori Card. Gio: Carlo de Medici, fratello del Sereniss. Gran Duca di Toscana, il quale al Regio splendore della nascita ha uniti spiriti, e talenti grandi, e sublimi, e’l Card. de Serenissimi Landgravij d’Hassia, che corrisponde col suo valore alla grandezza de’ suoi natali, e nel lustro della porpora fa spiccare le doti delle quali gli è stato prodigo il Cielo, & ambi due furono destinati a tal fontione con un Breve Pontificio del tenor che segue. Alexander Papa VII Dilecti filij salutem, & Apostolicam benedictionem. Cum Carissima in Christo filia nostra Christina Sveciæ Regina Illustris prope diem benedicente Domino Romam sit accessura. Nos pro singulari quo illa prosequimur paternæ charitatis, & dilectionis affectu eamdem Christinam Reginam maiori cum dignitate recipi cupientes, habita desuper cum Venerabilibus fratribus nostris S. R. E. Cardinalibus deliberatione matura, de illorum consilio, & assensu; Vos quos & generis splendor, & probatæ animi dotes multipliciter exornant, Nostros, & Apostolicæ Sedis de Latere legatos, ut eidem Christinæ Reginæ obuiam eatis Apostolica auctoritate tenore præsentium facimus constituimus, & deputamus. In contrarium facientibus non obstantibus quibuscumque. Datum Romæ apud Sanctum Petrum sub Annulo Piscatoris die 29 Novembris 1655 Pontificatus Nostri Anno Primo. G. Gualterius. A tergo. Dilectis filijs Nostris Io. Carolo S. Mariæ Novæ de Medices, ac Friderico S. Mariæ in Aquiro S. Romanæ Ecclesiæ Diaconis Cardinalibus de Hassia respective nuncupatis.
All’avviso, che i Legati hebbero, esser la Regina gionta a Bracciano, e dover esser il giorno de’ 19 Decembre all’Olgiata, s’allestirono alla partenza di Roma, per adempire il loro officio; onde al Palazzo de Medici a Piazza Madama, fattasi la radunanza di tutto il corteggio dell’uno, e l’altro Legato, qui il Sig. Card. di Toscana diede una collatione così splendida, e copiosa di rinfreschi isquisiti, qual sarebbe ogni più sontuoso, e Regio pranso. Si tenne corte bandita, e si distribuì profusamente pane, e vino con vivande, e confetture a quanti erano, benché non fossero del seguito. S’incaminò dopo la cavalcata di essi Legati, che per la gran qualità, e conditione de’ soggetti, che v’intervennero, e per la ricchezza de’ vestiti, e delle livree, con le quali comparvero, fu in sommo grado riguardevole, e commendabile. Tirò questa dal sopradetto palazzo de Medici sin a 200 passi fuori della porta del Popolo, dove poi lasciati i cavalli si salì in carrozza. Precedevano a tutti tre trombetti, & un timpano con li cavalli di rispetto del Capitan Corradino alla testa di cento corazze ben montate, & armate con la spada alla mano. Seguivano cinque trombetti, & un timpano del Cardinal Landgravio coperti di casacche di Scarlatto, freggiate di spessi listoni di veluto azzurro, bordati d’ambe le parti di ricche guarnitioni di argento, le quali in quel misto di rosso, e di celeste, rendevano al maggior segno vaga la comparsa, massime per l’ondeggiamento di folte piume in capo, ch’arrichivano le capigliature, e le spalle insieme. Succedevano a questi li trombetti del Card. de’ Medici pur con casacche di finissimo panno di color cannellato tutto guernito di spesse trine d’oro, che tra il fosco, e’l chiaro scintillavano un lustro meraviglioso. Rendeva grand’allettamento a gli occhi de’ spettatori la comparsa d’un stuolo numeroso, e nobile di Paggi sopra spiritosi Corsieri, bardati con finimenti ricchi d’oro, e d’argento, e valigie corrispondenti. Havevano i Paggi oltre a vestiti tutti guarniti d’oro, i giubboni, o di broccato, o ricamati di superbi fogliami a canutiglie. Secondavano quattro trombetti di Sua Santità con casacche rosse listate d’oro, e circa settanta Cavaglieri titolati del seguito de’ Cardinali Legati, che col sontuoso de’ loro vestiti, e con la nobiltà del loro aspetto illustravano tutto il corteggio. Erano tra questi confusamente mescolati, senz’ordine alcuno di precedenza, i Duchi Salviati, Lanti, e Mattei, gli Marchesi Nari, Corsini, Tarquinio Santa Croce, e Patricij. I Signori Paolo Francesco Falconieri, Baron Mattei, Conti Prainer, Slavata, Sciaffcutz, Tillì, e Cavalier Passionei, e tutti questi erano le camerate particolari delli Cardinali Legati. Con molta servitù vestita riccamente. Venivano appresso sopra due generosi destrieri i due Legati con i soliti loro habiti Cardinalitij di tabbì ondeggiante pavonazzo, e capelli rossi in testa, i quali ripieni di gratia, e di affabilità nel serio e dolce delle loro faccie, facevano risplendere il maestoso della gravità, che rapiva ogn’uno alla riverenza, & all’ossequio. Erano preceduti da i loro Maestri di Camera Marchese Rinuccini, e Cavalier Baldeschi, nel mezzo de quali stava il Cavalier Bellarmini. Capitano della Guardia di Sua Santità, e dal Sig. Carlo Carcarasio il secondo de’ Maestri delle cerimonie del Papa; Doppo i Legati seguitava la compagnia di Cavalleggieri di Sua Beatitudine, armati di corazza; ma senza lancie, con casacche di panno rosso freggiate d’oro. Usciti gli Legati dalla porta del Popolo, entrarono ambi due in carrozza, come pur fecero i loro Cavalieri, Paggi, e Stafieri, e continuarono il viaggio. Haveva ogn’uno de’ Cardinali cinque carrozze a sei proprie, tutte sontuose con li cocchieri e gran numero di Palafrenieri tutti vestiti di livrea simile a’ paggi, & a trombetti. Marchiava avanti a quella de’ Signori Legati una carrozza con i loro Maestri di camera, e ne veniva dietro un’altra ripiena di nobilissimi Prelati, secondate poi da trenta altre a sei tutte ricche, e superbe di Principi, Cavalieri, Prelati, titolati, e Gentilhuomini con altre 20 a quattro. All’Hosteria della Storta, otto miglia lontano, si ritrovò Don Antonio della Cueva Cavallerizzo maggiore di Sua Maestà, accompagnato da molti Gentilhuomini con le carrozze della Regina. Complì egli con li Signori Legati, quali entrarono nella carrozza di Sua Maestà fatta all’uso di Alemagna, coperta di veluto cremesino frangiato d’oro, e con questa gionsero all’Olgiata, un miglio più oltre della Storta: nell’ingresso della porta a piedi della scala scese la Regina, e con amirata cortesia, e benignità accolse i Legati con tanta loro honorevolezza, che ben si può dire esser stato questo un vero argomento della Pietà, e veneratione di lei verso il Vicario di Christo, la Santa Sede, & il Sacro Collegio Apostolico; nel mezo de’ medesimi Legati salì essa alle sue stanze, e qui i Legati complirono con lei a nome di Sua Santità, conforme alle loro instruttioni. Fu da Sua Maestà gradito l’officio, con i dovuti termini di stima, e riverenza verso Sua Beatitudine col dichiararsi ella supremamente obligata al Pontefice per tanti honori, che gli faceva. L’hora era assai tarda, e perciò senza divertire in altro, la Regina, & i Legati scesero a basso, & entrarono tutti tre nella carrozza di Sua Santità inviata per tal effetto. Sua Maestà sedé sola alla parte di sopra, & i Cardinali all’incontro verso i Cocchieri. Era la Regina vestita d’una veste assai semplice, di color bigio, con un casacchino intorno, & un zendado nero su le spalle, che gli serviva di collare, senza alcun ornamento d’oro, di argento, di gioie, di nastri, o di fiori da essa sempre mai abhorrito, come cosa vana, e troppo otiosa; un solo piccolo annello in dito era tutto l’abigliamento di lei. Col tratto però vivace, e con l’aspetto virile, e maestoso, dava a divedere la grandezza de’ suoi natali, e le qualità delle sue rare, e virtuose prerogative. Ella è di vita tutta disinvolta, & agile, ne’ gesti, e movimenti leggiadra, e gratiosa, di statura proportionata, di color vivo, di fattezze regie, e se le guancie di lei disprezzano l’abbellimento delle rose, e de ligustri, il viso gratiosissimo di essa folgoreggia nel limpido di due pupille, alle quali non creò mai la natura due altre sì vive, e sì splendenti. E’ di fronte alta, e spatiosa, di bocca aggiustata, e vezzosa, e di maniere soavi, e signorili: i crini paion crespi, e bruni, la maestà è sostenuta dalla modestia; dal brio, e dal riso spira gravità, e sopra tutto una gratia così attrativa, che rapisce insieme col cuore le lodi, e gli applausi. Non mangia molto, beve poco, e quasi di continuo acqua; non dà più di cinque hore al sonno, studia per lo più. I libri Platonici, le Historie antiche, le buone poesie latine, e le scritture sacre sono l’anima de’ suoi trattenimenti. Ha l’otio per suo capital nemico, & è ornata di tante Virtù, che ogni Regina la può facilmente invidiare; ma difficilmente imitare. E’ d’animo grande, e generoso, ma la di lei soda bontà non ha altro d’uguale, che la gloria de suoi gran pensieri, e delle sue incomparabili risolutioni. Gionse ella dunque a Roma doppo le due hore di notte, accompagnata dallo splendore di torcie infinite; entrò per la porta Pertusa, ove fu incontrata dal Capitano de Tedeschi con un buon numero de Svizzeri delle Guardie Pontificie, che la vennero poi servendo, smontò al Vaticano dalla parte del Giardino di Belvedere; E qui da Monsignor Farnese Maggiordhuomo di Nostro Signore, e da Prelati domestici di Sua Santità fu incontrata, e ricevuta a piedi delle scale nel piano del Giardino, di dove fu condotta al suo appartamento tutto abbigliato di ricchissimi apparati, e di pretiose suppelletili. Era concorsa colà sì gran folla di Popolo, ch’ingombrava sin il più alto delle stanze. La Regina nel veder tanta gente disse, gratiosamente scherzando, In questo modo s’usa d’entrare incognitamente in Roma? Non hebbe sì tosto preso un poco di respiro, che mandò D. Antonio della Cueva a chiedere a Sua Santità l’audienza. Il Papa spedì subito a quella volta Monsignor Bonvisi suo Mastro di Camera, Prelato di gran qualità, servito da tutti i Camerieri secreti, & altri Signori. A capo della galleria Gregoriana incontrò egli la Regina, che già sollecitamente veniva tra gli due Cardinali Legati. Qui in nome del Papa complì con Sua Maestà, la quale havendo corrisposto con i dovuti sentimenti, precedendo molti della Corte Pontificia proseguì verso le stanze di Sua Beatitudine. Nel passar per il lungo giro di tante loggie, camere, e gallerie tutte illuminate di torcie, amirando la vastità di sì grand’habitazione, disse, che più gli rincresceva quella breve dimora, che tutto il viaggio fatto, mentre non sospirava altro più, che l’hora di vedere Sua Santità. Pervenuta all’Anticamera Pontificia gli fu aperta tutta la Porta, e stette poi sempre nello stesso modo, per tutto il tempo, che si trattenne con Sua Santità. All’entrare della stanza, ove era aspettata da Nostro Signore, così addittata da Monsignor Febei Primo Mastro delle cerimonie, fece la prima genuflessione, poi la seconda, d’indi la terza con le mani incrocciate sul petto, e gli occhi a terra, bacciò il piede, e poi la mano a Sua Beatitudine, che, con un sorriso dinotante un atto di benignissima accoglienza, accennogli subito con la mano, che si levasse; il che esequito, si pose ella a sedere sopra un seggio Reale con cuscino, & appoggio di veluto cremesino, ornato d’oro sontuosamente. Il discorso fu breve, perché il Papa supponendola stanca dal viaggio, abbreviò il trattenimento, e Sua Maestà fece ritorno a’ suoi appartamenti. Per contrasegno poi di maggior stima Sua Santità gli assegnò quattro Cavalieri tutti suoi Camerieri d’honore, acciò assistessero continuamente all’Anticamera di Sua Maestà, e furono il Sig. Domenico Iacovacci nobile Romano persona di conosciuta prudenza, e di lodati costumi, Horatio Marchese Spada degno Nepote del Cardinale Bernardino Spada Vescovo d’Albano, Giacomo Mignanelli pur nobile Romano, soggetto di molto garbo, e di maniere, e tratti spiritosi, & il Marchese Bevilacqua di famiglia Ferrarese, in cui la nobiltà gareggia con le doti dell’animo. Oltre a questi ordinò anche Sua Santità, che quattro delle sue lanze spezzate alternativamente assistessero, come fecero ogni giorno, al servitio di Sua Maestà, e questi furono li Capitani Gio: Leo da Piperno, Guido Baldo Ponti da Perugia, il Sargente Maggiore Andrea Paolini da Viterbo, e li Capitani Antonio Fracassi da Cesena, Gio: Battista Paccaroni da Fermo, e Marco Chiosa di Candia, tutti soggetti di valore, e di spirito, gli quali compirono egregiamente alle parti loro. La mattina seguente si levò la Regina secondo il suo solito per tempo, e calò nel Giardino, dove passeggiò con Monsignor Acarigi Copiere di Sua Beatitudine, parlando con lui sempre Francese: Volse vedere la carrozza, lettica, e seggetta donatagli dal Papa; subito gli furono condotte, e con loro venne il Cavalier Bernino inventore del disegno delle figure, che l’ornavano. Il Conte Raimondo Montecucoli, che si trovò presente, motivò alla Regina, che osservasse quelle figure, che sostenevano il sedere del cocchiere, agiongendo esser il disegno del Cavalier Bernino: voltossi Sua Maestà a contemplarle; il Cavalier modestamente insinuossi dicendo a Madama s’alcuna cosa vi è di cattivo, è mio. La Regina a queste parole rivoltatasi a lui con molta gratia rispose, dunque niente vi è del vostro: Fattasi poi condur fuori la Chinea pur donatagli da Sua Santità, la cavalcò con Valdrappa, e senza, e qui lanciando, e piegando qua, e là il suo corpo, fece ammirare la sua destrezza, e la sua leggiadria, comprobando tutto citò, che già portò la fama di non trovarsi in Svetia alcuno, che meglio di lei maneggiasse un destriero, né più veloce corresse sopra di quello, da che reso curioso il Re Cattolico, volse vedere in pittura la di lei effigie delineata in tal attione. In ciò veramente ella è tanto franca, e destra, che se si trovasse un altro Buceffallo, lo domerebbe non men d’un Alessandro. Doppo salì con Monsignor Holstenio a vedere la Biblioteca Vaticana, & quella del medesimo Holstenio pure bellissima e rara, della quale restò molto sosdifatta. Il giorno seguente circa le 23 hore, dentro ad una seggetta si portò di nuovo a Sua Santità col quale si trattenne a porte aperte più d’un’hora intiera. Il Mercordì mattina si doveva fare la cavalcata solenne; ma fu diferita al giorno appresso, per non essere tutte le cose all’ordine. In tanto Sua Santità in seggetta passò a vedere Sua Maestà ne’ suoi appartamenti. All’ avviso, che n’hebbe, corse essa a gran passi alcune stanze ad incontrar Sua Santità, a piedi del quale si prostrò subito con grand’humiltà; ma fattala alzare, & entrati nella stanza pur a portiere alzate passeggiarono discorrendo insieme. Nel partire Sua Beatitudine, la Regina l’accompagnò sino alla Sedia, ove entrato, ella stessa tentò con le proprie mani di chiuder lo sportello, come pure fece altri atti d’humiliazione, e di ossequio, ancorché Sua Santità con la benedittione la licentiasse più volte, lasciandosi ella liberamente intendere di non haver mai sentito destar in sé stessa maggior riverenza, che nel vedere la Maestà del Sommo Pontefice. Questi due giorni si passarono in musiche, canti, & altri trattenimenti Reali, de quali non fu fatto risparmio alcuno dalla magnanimità del Pontefice. Per il Giovedì doppo pranso fu ordinata la detta cavalcata solenne. Li Maestri di cerimonie n’hebbero la direttione. Fu commandato, che in quel giorno gli Arteggiani s’astenessero da’ lavori, e chiudessero le botteghe, al che obbedì ogn’uno volontieri, sentendosi chiamato dalla veneratione, e curiosità a così illustre spettacolo; e come le attioni del Principe, devono haver sempre del Grande, e dell’elevato, così non tralasciò il Papa cosa alcuna, che potesse far riguardevole questa fonzione. Il Conte David Vidman nobile Veneto, e fratello del Cardinal di questo cognome, Sargente Maggiore Generale di battaglia hebbe l’incombenza di dare gli ordini, che alla sua prudenza paressero più convenevoli, per nobilitare questo ricevimento con la disposizione delle soldatesche Pontificie. Alle 17 hore del giorno sudetto montò Sua Maestà in carrozza nel cortile di Belvedere, & uscì da porta Angelica verso Ponte molle. Precedevano i corrieri de Cardinali Legati, e quelli della Regina, i trombetti delli medesimi Cardinali, e li 26 cavalli di guardia della Maestà Sua, seguitati dalli cavalli di rispetto, da’ Paggi, dalle Camerate, e Prelati del corteggio de’ Legati, i cavalli di rispetto della Regina, i Paggi della istessa, i trombetti, i Cavalieri, Principi, e Gentilhuomini del seguito delli Legati, i Gentilhuomini della Regina, il Maestro di cerimonie, Sua Maestà nella carrozza del Papa, con i due Legati Cardinali, dietro i Prelati della Legatione, le carrozze Regie, la compagnia antedetta di corazze, i cavalli a mano, le carrozze de Legati, & altre di diversi Principi Prelati, e Cavaglieri, e tirando lungo il fiume s’aviò questa cavalcata verso Ponte molle. Un’hora prima partì dal suo Palazzo Monsignor Bonelli Governatore di Roma, e Vice Camerlengo, Pronepote di Pio Quinto Sommo Pontefice, preceduto dalla compagnia de’ cavaileggieri, Paggio col bastone, e capello. Veniva egli poi a cavallo sopra d’una bellissima chinea, assistito da ottanta Alabardieri di sua guardia con casacche rosse, e da buon numero di Palafrenieri, e seguito da gli officiali del suo tribunale. Con quest’ordine andato sino al piede della cordonata del Campidoglio, ivi si unì con li Signori Fausto Gallucci Senator di Roma, Honofrio Margani, Giacinto del Buffalo, Cesare Colonna Conservatori, Achille Maffei Prior de Caporioni, & altri molti Cavalieri Romani, che si trovarono corteggiando il Magistrato, e col ordine seguente s’incaminarono unitamente verso Ponte Molle; toccò questa fontione al Sig. Christoforo Faccialieta altro Maestro delle Cerimonie. Marchiavano avanti tutti gli Trombetti, e Cavalleggieri, indi i trombetti del Popolo, & i Nobili Romani, parte intimati ad accompagnare il Senato per ordine di Sua Santità, e questi furono quelli, che nell’anno passato del 1655 goderono qualche grado nel Campidoglio, e parte qui volontariamente concorsi per decoro maggiore della Patria. Caminavano tutti questi senz’ordine di precedenza, & in confuso, come pure i Caporioni, i Quaranta Gentilhuomini, già dal consiglio che furono eletti a servire il nuovo Papa nella cavalcata del suo possesso, & i Maestri Giustitieri, e Maestri di strade. Io qui volentieri registrarei i nomi di ciascheduno, come quello, che riverisco i Patricij d’una Città capo del Mondo; ma perché non tutti all’hora da me furono conosciuti, & il rinvenirne hora la precisa notitia non sarebbe, che malagevole, e forse ancora potrei non incontrare la verità (dichiarandomi prima, che non intendo pregiudicare al merito di tanti altri) nominerò solo quelli, che a me furono all’hora più noti: E sono questi Gio. Rinaldo Monaldeschi de’ Signori di Montecalvello, Vicino Orsino, Marchese Marcello Crescentij, Bartolomeo Capranica, Cavalier Antonio Griffoni, Francesco Pallombara, Conte Mutio Carpegna, Mario Millino, Fabio Celsi, Marchese Gio. Pietro del Drago, Marchese Luigi Massimi, Serafino Cenci, Francesco Gottifredo, Carlo Rapaccioli, Cavalier Stefano Alli, Giuseppe degl’Annibali, Marchese Angelo Pallucci, Cavalier Girolimo Muti. Succedevano appresso i Paggi del Governatore, e Senatore col bastone, stocco, e capello. Monsignor Governatore alla destra il Senatore alla Sinistra, & i Conservatori, e Priore della medesima fila con rubboni di broccato, & oro, e poi dietro seguivano gli officiali Togati del Governatore, e del Campidoglio, alle bande gli allabardieri di Monsignor Governatore, come pure lo precedevano a piede i di lui Palafrenieri in truppa con quelli del Magistrato Romano, chiamati li Fedeli. Prima che S. M. arrivasse a Ponte molle, hebbe nelle pratarie fuori di porta Angelica, l’incontro della compagnia di Carabine commandata dal Capitan Grassi. All’incontro del ponte arrivò il sopradetto Co: Vidman, il quale haveva già fatta armare la Rochetta, e’l ponte da una spalliera d’ambe le parti di fanteria scielta, e nel piano oltre il fiume in vaghissimo prospetto, haveva schierato un grosso battaglione di mille fanti, alla testa de quali erano il Sargente Maggiore Molinari, con sei pezzi d’Artiglieria, & altri Soldati, che compresa la guardia del ponte erano 2000, gli quali passata che fu la Regina, fecero compitamente le loro salve seguitate dallo sparo de cannoni. Si fermò la carrozza di Sua Maestà, e Monsig. Governatore, il Senatore, Conservatori, e Priori, complirono seco a nome del Popolo Romano, dimostrando il giubilo della Città per la di lei venuta. Il complimento fu breve, perché pioveva gagliardamente, e breve la risposta della Regina in ringratiamento. Doppo di che si continuò la cavalcata unitamente marchiandosi nel modo, che segue. Corrieri de Legati, e della Regina, compagnia di Cavaileggieri col suo Capitano, e trombetti, carabini della guardia di Sua Maestà, Trombetti del Popolo Romano, cavalli di rispetto de’ Signori Legati, tamburini di Campidoglio, Paggi delle camerate, de Prelati, del Senatore, Governatore, de Signori Cardinali, Tamburini del Governatore, cavalli di rispetto della Regina, Paggi della medesima, Trombetti de Legati, officiali del Governatore, e di Campidoglio, Cavaglieri, o camerate delli Cardinali Legati, o Gentilhuomini, o titolati della Regina in confuso, Conservatori, Senatore, Governatore, Maestro delle cerimonie, la carrozza di Sua Santità con dentro la Regina alla parte di sopra sola, & i due Cardinali nel d’avanti, i Prelati della Legatione a cavallo, le carrozze della Regina, compagnia di corazze col suo Capitano Trombetti, e cavalli di rispetto, le carrozze de Legati, & altre de Duchi, e Cavaglieri del corteggio, e gli Alabardieri del Governatore con gran numero di Palafrenieri. Gionta alla vigna di Papa Giulio, ch’è un Palazzo con vigna, giardini, cortili, fontane, passeggi, e viali situato a punto tra la porta del Popolo, e’l sopradetto Ponte Molle, Monsignor Governatore, il Senatore, Conservatori, e Caporioni, e tutti gli altri del Popolo Romano, ivi di nuovo complirono con S. M. che li accolse gratiosamente, e la serenità della faccia, e’l manieroso dell’aggradimento d’essa massime verso Mons. Bonelli Governatore, si sottoscrissero testimonij alla stima della virtù, & integrità di questo Prelato. Eran già passate le 18 hore quando Sua Maestà arrivò a questa vigna. Smontata dalla sontuosa carrozza del Papa tutta di veluto vinato, & oro, salì alle stanze alte del Palazzo dove stava apparecchiata una lauta mensa, coperta di varietà di rinfreschi, di vini, acque, & abbondantissime confetture, vi si trattenne più d’un hora, e meza, per lasciar cessar la pioggia, che incommodò notabilmente la fontione. Ma nel punto, che stavasi consultando di rimetterla ad altro più benigno tempo, il Cielo, quasi che si vergognasse di non dar luogo a così sontuoso trionfo, in un momento dissipò le nubi, disciolse le tenebre, e ricondusse il Sole, acciò anch’egli assistesse al corteggio di pompa sì rara, e sì celebre. Vennero con la Regina quattro delle carrozze di lei a sei all’uso Alemanno guidate da Cocchieri vestiti a livrea di scarlatto fino guernito di listoni di veluto nero bordato di passamani d’oro con diversi Servitori, & altra servitù della medesima; sopra la porta del Palazzo, stavano tre inscrittioni con le armi di Sua Maestà, che sono un fascio di spicche di formento traversate da due sbarre bianche in campo azzuro, poiché le tre corone, e’l rimanente della divisa, che sono le armi proprie del Regno di Svetia, furono da essa col medesimo Regno pur volontariamente deposte, non ritenendosi ella, che l’insegna antica, e gloriosa de suoi Progenitori. Erano nel Cortile avanti al Palazzo sulla mano stanca verso la Città squadronati 300 fanti della compagnia franca del sudetto Conte Vidman tutti ben all’ordine, con banderolle rosse, e gialle in punta delle picche, da’ quali nel suo ingresso fu salutata con una salva di moschettate. Vennero a far riverenza pure a Sua Maestà molti altri personaggi di conditione, & ella adolcendo la gravità del suo maestoso aspetto con la piaccevolezza del tratto, gli accolse con ogni termine di cortesia. Tutti si chiamarono obligati alla humanità di sì gran Principessa, la quale a guisa del sole, spargendo i lumi delle sue grazie, rende alla sua affabilità tributarie le anime di chiunque la rimira. Comparve in tanto il regalo fattole da Sua Santità di una carrozza, d’una lettica, d’una sedia, e d’una chinea. Era la carrozza tutta d’argento con statue, figurine, intagli, & imprese misteriose d’inventione del celebre Cavalier Bernino. La fodra, e la coperta eran di veluto di color celeste; i freggi di listoni con tessuti di proportionati cordoncini allamari di argento, tempestate di larghe, e ricche brocche massiccie. Era tirata da sei corsieri leardi con i finimenti di velluto dello stesso colore trinati di argento, con fibbie, briglie, morchie, e testiere dello stesso metallo, & cocchieri vestiti del medesimo drappo; La lettica, e la sedia secondava l’ornamento della carrozza, i muli coperti di simili drappi, & adorni di finimenti compagni, la chinea pur learda superbamente ricoperta d’una valdrappa del medesimo velluto, sparsa tutta di figurine con gentil simetria lavorate. Questo regalo fu presentato alla Regina in nome del Papa da Monsignor Farnese Maggiordhuomo di Sua Santità. Ridottosi qui tutto il corteggio de Principe, Prelati, Cavalieri, & altri doppo le 20 hore, per la diligenza, e buoni ordini compartiti da Signori Maestri delle cerimonie, cominciò ad incaminarsi la cavalcata, senza alcun’ordine di precedenza, anzi ogn’uno a rifuso nella forma seguente.
A tutti precedeva la compagnia di corazze del sopranarrato Capitan Corradino nel modo stesso, che fece nell’incontro de giorni precedenti all’Olgiata. Seguivano i cavaileggieri della guardia della Regina, coperti di casacche di scarlatto, ogn’una adorna di quattro gran croci di velluto nero, bordate di larghe trine d’oro. I cavalli di rispetto de Cardinali Legati guerniti della sopra mentovata livrea. Gli corrieri de Legati, e quei della Regina. Dodici muli con cariaggi di velluto cremesino piano, con passamani, e frangie d’oro, borgie, e tortori d’argento massiccio, e briglie di cordon d’oro. Gli Aiutanti di camera de Legati con coperte riccamate d’oro. Gli altri cavalcavano dietro a questi, senza alcuna osservazione di precedenza, e ciò si fece per evitar ogni disturbo, che potesse nascere, osservandosi per miglior ordine il disordine in questo caso. Seguiva il Principe di Gallicano, il Principe di Carbognano, ambidue di casa Colonna, dietro a quali marchiavano diversi Gentilhuomini, & erano serviti da’ loro Palafrenieri, il Duca d’Onano di casa Sforza, il Principe di Nerula, e Don Lelio fratelli di casa Orsini, il Duca di Bassanello, il Duca Savelli, il Duca Altemps, il Duca Caffarelli, il Signor Mutio Mareri, con diversi Gentilhuomini in confuso; il Duca Salviati, il Duca Strozzi, Duca Lanti, Duca Cesi, i due figliuoli del Duca Salviati, il Marchese Corsino, il Marchese Patritij, il Principe di S. Gregorio, il Duca Muti, il Duca Mattei, il Baron Mattei, il Marchese Neri, il Marchese Spada, il Marchese Pallucci, il Marchese del Drago, il Marchese Astalli, il Marchese Tassi, ogn’uno co’ suoi palafrenieri, tra quali vi erano diversi, ch’havevano superbissime, e vaghissime livree. Il Sig. Antonio Gozi nobil Veneto, il Conte Medici Veronese, il Sig. Bonmartini Gentilhuomo Padoano, diversi altri Gentilhuomini, il Cavalier di S. Giacomo Don Gio: Battista Iacquetti des Brunes, otto tamburini del Popolo Romano, e di Monsig. Governator di Roma, li paggi de Cardinali Legati, ventiquattro Guardarobbe de gli Cardinali, che incontrarono la Regina, ogn’uno con valige riccamata di sontuosi rilievi d’oro, ventiquattro Barbieri de gli stessi Cardinali con mazze d’argento dorate in mano, ventiquattro Caudatari de medesimi in habito pavonazzo, il Prior Lomellino, il Senatore Carlo Imperiale di Genova, il Principe Don Camillo Panfilio, comparve questi con un habito nero di raso spiritosamente riccamato d’argento adombrato d’altro riccamo sottilissimo di seta nera sparso, e tempestato per tutto doviziosamente di diamanti, stimati più di 100 mila scudi; oltre a questi ne portava poi nel capello tre altri gran pezzi di valuta inestimabile a piede d’un pretiosissimo Airone: Era S. E. accompagnata da molti Cavalieri sue camerate, attorniata da dodici paggi vestiti con habiti di velluto nero piano, tutti guarniti d’oro, e capoti, e maniche di ricco broccato con collane gioiellate al collo, di più era assistito da sei lancie spezzate tutti Officiali riformati, e ben in ordine, & in fine era servito da trenta Palafrenieri, e quattro Lachè con la stessa livrea di velluto, e con la pompa, e ricchezza de medesimi guarnimenti.
Tutti questi habiti, e livree furono lavorati nello spatio solo di sei giornate, non havendo gli Maestri delle cerimonie risoluto prima se fosse conveniente, che detto Principe intervenisse a questa funzione, per lo riguardo dello scoruccio, che portava ancora per la morte del Sommo Pontefice Innocentio suo Zio, venivan poi il Marchese Bevilacqua, diversi Gentilhuomini, dieci Scudieri, e dieci Cubiculari extra, nel mezo de quali marchiava la lettica, e la carrozza donata dal Papa alla Regina con la scaletta d’argento per montarvi, portata da un famiglio, i Trombetti, e Timpani de Cardinali Legati, quattro Avocati Consistoriali, 24 Cubiculari di Cancellaria, i Gentilhuomini del corteggio de Legati in habito di campagna riccamente addobbati, il Marchese del Monte, il Marchese Valerio Santa Croce, il Marchese Malvezzi,, il Sig. Mariano Vecchiarelli, diversi altri nobili tra mezo, il Sig. Paolo Francesco Falconieri, il Marchese Cesi, il Conte Ripa, il Conte Marescotti, il Conte di Fistemberg, il Cavalier Passionei, il Marchese Tarquinio Santa Croce, il Cavalieri Baldeschi, cinquanta Gentilhuomini confusamente trameschiati di varie nationi delle Corti de Cardinali, e de Ministri di principi, il Conte Raimondo Montecucoli, il Conte Francesco Maria, e Conte Lodovico Santinelli, il Sig. di Lilliecron, tutti tre Gentilhuomini della Camera di Sua Maestà, altri Gentilhuomini di Corte della Regina, il Signor Don Nicolò Barberino Prior di Roma, il Principe di Pellestrina con vestito bizzarramente riccamato di lustri neri, con bottoniere di diamanti di gran valore, & un centiglio da capello guernito di grossi diamanti, otto paggi tutti vestiti di veluto nero piano trinati d’oro, li capoti de quali eran fodrati di broccato, e le maniche de gibboni riccamate d’oro, 20 palafrenieri vestiti similmente, con li ferraioli di panno nero con listoni di veluto trinati pur d’oro, e le maniche di broccato, quattro Lachè, un cagnatiere, un aiutante di Guardarobba, & un altro, tutti vestiti della medesima divisa, otto trombetti di Sua Santità, quattro Mazzieri Pontificij, li Mastri di cerimonie, ventiquattro Cardinali in habito pavonazzo sopra mule riccamente bardate, in testa de quali stavano gli Eminentissimi Francesco Cardinale Barberino, e Giulio Cardinale Sacchetti, seguitando gli altri, secondo gli ordini della loro antianità, e furono gli Cardinali Palota, Francioti, Lodovisio, Cibo, Savelli, Astalli, Retz, Corrado, Imperiale, Borromeo, Santa Croce, Aldobrandino, Carlo Barberino, Azzolino, Odoscalchi, Vidman, Sforza, Orsino, e Costaguti. Questi Cardinali incontrarono Sua Maestà subito fuori della porta del Popolo, e’l Cardinale Barberino sottoDecano, mancandovi il Cardinale Carlo de Medici Decano, come primo complì a nome di tutto il Sacro Collegio con Sua Maestà, che venne salutata da tutti gli altri Cardinali, che di mano in mano a due a due si mettevano nell’ordine della cavalcata.
I due Cardinali Legati cessando della loro Legatione, che non s’estendeva dentro le mura di Roma, consignarono la Regina in mezo a due Cardinali Diaconi, e come primi in quest’ordine, furono i Cardinali Orsino, e Costaguti, & essi Legati passarono avanti con gli altri Cardinali al luogo, che lor toccava per antianità.
Era la Maestà Sua vestita di drappo, chiamato amor di Francia, bigio riccamato d’orno nelle circonferenze, un busto pur tutto riccamato, un zendado nero giù per le spalle allacciato di dietro in forma di fiocco, un capello nero in testa con un cordoncino d’oro senza alcun altro ornamento di gioie, o di fiori, vero contrasegno dell’animo virile di questa Principessa, che come non lo tiene soggetto alle lusinghe delle vanità donnesche, così dà a conoscere, che i Gran Principi, non risplendono, per il lustro delle loro pompe; ma ben sì per il chiaro delle loro attioni.
Caminava questa Gran Regina in mezo delle guardie Svizzere tutte coperte d’armi bianche, con tanta gratia, & arditezza, che quasi vittoriosa Imperatrice di esserciti, e di debellate Provincie, pareva, ch’andasse tra tanta moltitudine di persone ad un glorioso, e superbo trionfo.
Precedeva la numerosa turba di Palafrenieri della sua Corte, e di quelle de Cardinali. Il Marchese Ippolito Bentivogli Gentilhuomo della sua Camera, seguiva alla staffa, & alle briglie della Chinea della Regina, sempre a piedi scoperto, honorato di discorrere di quando in quando con essa; che con la grazia del parlare, e del gestire incatenava gli animi di quanti l’osservavano.
Dietro veniva la seggetta donatagli da Sua Beatitudine, poi Monsignor Farnese Maggiordhuomo di Nostro Signore, d’indi i Vescovi Assistenti, i Protonotarij Apostolici, Auditori di Ruota, il Maestro del Sacro Palazzo, Chierici di Camera Votanti di Segnatori, Abbreviatori, & altri Prelati tutti vestiti di pavonazzo, ne quali appariva la maestà, & il decoro della Corte Romana. Chiudevano la cavalcata gli Cavaileggieri della guardia Pontificia, armati di corazze, con casacche rosse, finite di trine d’oro, e lancie in mano con banderole in punta. Dietro a gli cavalli, che chiudevano questa Regia Cavalcata, venivano le carrozze da campagna, e da Città di tutti i Grandi della medesima, tutte nobili, sontuose, e pomposamente arricchite di pretiosi finimenti, e di spiritosissimi corsieri. Doppo le carrozze della Regina, se ne vedevano tre del Principe Panfilio di concerto nobilissimo, & una fra le altre così nobile, e maestosa, quanto mai potesse arrecargli ricchezza tutto l’oro, di cui era ella ricoperta con industrioso guarnimento, e riccamo, e gli ammirabili metalli, che vi erano, con la impresa di sua casa. Se ne vedevano pur due del Principe di Pallestrina, una delle quali era ricca, e pomposa, di velluto nero col fregio attorno riccamato d’oro, e tutte le bandinelle con franzoni simili, pur foderata di broccato d’oro; i vasi, gli fogliami, gl’intagli, le figure, le chiodature, i ferri, e finimenti de’ cavalli eran al maggior segno superbi, e pomposi tutti dorati.
La Porta del Popolo, per ordine del Papa era già dal Cavalier Bernino stata nobilmente compita su l’antico disegno di Michel’Angelo Bonaruota, con alcuni abbellimenti propri dell’ingegno del medesimo Cavaliere; & un’Inscrittione, in cui additasi il felice, e fortunato ingresso di questa Regina in Roma. Nella sommità della stessa Porta, si vedono spiccar con un gran rilievo sei Monti, & una Stella in cima, che è l’arma di Sua Santità. A tutti i capi delle strade del Corso, di S. Marco, del Giesù, della Valle, di Monte Giordano, di Banchi, di Ponte Sant’Angelo, e di Borgo, per dove doveva passare la Cavalcata, si trovarono Soldatesche spallierate; e fu prohibito a tutte le carrozze di transitare, e fermarsi per queste contrade doppo le 18 hore. Tutte le finestre si viddero tappezzate de’ più ricchi addobbi, e ripiene di Dame, e Cavalieri, restando tutto il camino coperto da grandissimo numero di gente. Nell’entrare, che fece Sua Maestà per la Porta del Popolo, fu salutata da una copiosa salva di mortaletti, e cannoni condotti nel Giardino di quel Convento, il rimbombo de’ quali veniva corrisposto da tutti con un Echo di lodi, e benedittioni.
Nel passar ella fra tanto popolo più ansioso di veder la maestosa presenza di lei, che curioso di contemplar la pompa della Cavalcata, essendo mirata, e riverita teneramente da tutti, salutava ogn’uno con faccia sì lieta, e maniere tanto temperate dal decoro, e dalla cortesia, che faceva conoscere non poter ella moversi un piede, che non fosse misurato dal compasso della sua virtù. Di quando in quando rivolgevasi a parlare con gli Eminentissimi Orsini, e Costaguti, e tutte le di lei parole spiravano gravità, e gentilezza.
Nel passare che fece Sua Maestà il Ponte Sant’Angelo, il Conte Girolamo Gabrielli Vice Castellano si trovò su la porta del rastello di quella fortezza, alla testa di cento moschettieri in ordinanza, ch’occupavano tutti li ponti levatori sin alla porta del Castello, tenendo sulla mano sinistra quattro passi adietro il Capitan Decio Laurentini armato di corsaletto, e picca, & alla destra il Capitan Rutilio Ferraccioli Aiutante della Piazza. La militia del Pressidio armava tutta la muraglia con le bandiere spiegate. Nel passare che fece la Regina, fu dalla solita loggia del Castello sentita prima una grata armonia di Pifari, e tromboni, che fu poi secondata dal saluto di tutta la moschettaria, accompagnata immediatamente dal tuono di cento cinquanta mortaletti, e di 60 pezzi d’artiglieria. Nel più alto del torrione, o sia maschio, si vedevano appese le armi di Sua Santità, e della Regina. Ivi pure stavano preparati raggi infiniti, per una girandola più del doppio copiosa, con fuochi artificiati, i quali nel principio della notte giocaron poi con mirabile effetto, restando le imprese, e le armi illuminate con ogni maggior vaghezza. Sopra la Piazza di San Pietro di qua, e di là della Guglia eran schierati due battaglioni di mille fanti l’uno, con due altri squadroni alli medesimi lati di corazze. All’incontro della medesima Piazza vicino alla fontana, era squadronata la compagnia franca d’Alemani del medesimo Conte Vidman nel mezo a due squadroni di carabini. In testa delle sudette soldatesche si trovò similmente a cavallo con diverse sue camerate il detto Conte Vidman, per i buoni ordini del quale, e per la di lui esperimentata intelligenza tutto caminò regolatamente.
Era assistito questo Cavaliere dal Sargente Maggiore Molinari, da’ Cap. Corradino, e Grassi, dal Conte Baschi, Buonfanti, dal Capitan Alfonso Bartoli con le militie di Frascati, Castel Gandolfo, e Rocca Priora, dal Capitano Antonio Torazzi con soldatesca di Velletri, & altri, che comandavano quella gente, la quale smontata Sua Maestà, alle scale di S. Pietro, fece la sua ultima scarica, secondata dallo sparo di dodici pezzi d’Artiglieria, che si trovavano disposti nella medesima Piazz