Dizionario moderno (Panzini)/P
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Pacchebotto: neologismo tolto dal francese paquebot, tolto a sua volta dall’inglese pack o packet = pacco, valigia, e boat = nave. Packet-boat, è il battello de’ pacchetti postali che fa servizio regolare tra porto e porto, dunque «postale»: generalmente sono piroscafi piccoli e mediocri. Questa voce pacchebotto, assai brutta, oggi va scomparendo. Le antiche nostre città marinare avevano in tal senso la voce feluca.
Pacchiana e diminutivo Pacchianelia: voce del dialetto napoletano: pacchiano è l’uomo del contado (cfr. il latino paganus) onde il femminile vale, villanella indi forosetta.
Pacchiare: verbo toscano e classico per mangiare con ingordigia. Cfr. il milanese paccià, pacciada, ma è in ambi casi voce volgare e ristretta nell’uso.
Pace e gioia sia con voi: saluto del conte di Almaviva, travestito da Don Alonso, a Don Bartolo, nel Barbier di Siviglia. Il verso del libretto è: Pace e gioia il ciel vi dia. Ricorre talora la locuzione in senso ironico e lepido.
Pacfong o Christofle: nome di una nota lega metallica che somiglia all’argento: in it., argentana o argentano.
Pack: nome dato alle grandi aree di ghiaccio galleggiante nei mari polari. (Cfr. per l’etimologia la parola pacco.)
Pacificazione: voce nostra, dal lat. pacificationenim; se non che l’uso e l’abuso che se ne fa oggidì nel senso politico di concordia, ricorda piuttosto la parola fr. pacification.
Pacifista: neol. assai brutto per indicare i sostenitori della Pace, cioè di quegli istituti politici che tendono ad abolire o, per lo meno, a diminuire le guerre, ritenute mezzo barbarico di risolvere le contese fra Stato e Stato, popolo e popolo. Pacifista è traduzione di voce coniata in Francia (cfr. il verbo pacifier).
Pacotiglia: dal fr. pacotille (voce della stessa etimologia che le parole paquet, pacco): merce di qualità scadente. Il Fanfani consiglia l’antica voce spurghi. Se non erro, questa varrebbe più tosto ad indicare fondi di magazzino. Familiarmente dicesi pacotiglia, in senso esteso e morale.
Paddok: voce inglese dello sport: recinto, chiuso, pe’ cavalli. Paddok è corruzione di parrok, cfr. park = parco.
Padri coscritti: versione del Patres conscripti (inscritti nella lista de’ senatori): storicamente, i Senatori di Roma antica, in cui risiedeva la forza e la stabilità dell’impero: per celia o per vezzo familiare si dice specialmente dei consiglieri del Comune.
Padusa: nome delle antiche acque stagnanti tra il Po, il cordone litorale adriatico ed i primi colli dell’Appennino. V. Emilio Rosetti, La Romagna, ed. Hoepli, pag. 507.
Perpetuo quindi un gemito vagava
su la tristezza di Padusa immota
ne le fosche acque.
Paesano: per contadino è idiotismo lombardo, paisàn, fr. paysan.
Paesi bassi: V. Appendice. Similmente nel gergo francese, pays bas.
Paesistico: agg. di formazione abusiva e arbitraria, da paese. Es. «la ruina di certe bellezze artistiche e paesistiche è inevitabile». NB. Questi esempi sono sempre tolti da quegli scrittori nostri che vanno per la maggiore e sono vantati come salute di quest’umile Italia.
Pagaia: specie di remo usato dagli indiani per vogar su le piroghe, fatto come pala e adoperato senza scalmo od appoggio. Pagaia doppia, cioè a doppia pala, come usasi ne’ sandolini.
Paga Pantalone o Pantalon paga: motto che pare in antico (sec. XV) volesse significare la republica di Venezia farà le spese per tutti. Secondo altri il motto è più recente e si rapporta ad una satira in cui Venezia a Campoformio fece le spese per tutti. (V. Fumagalli, Chi l’ha detto?) Oggi Pantalone è il popolo italiano, che nel pagare imposte e nel protestare gode di un ben noto primato. Cfr. Jacques Bonhomme in Francia; John Bull in Inghilterra; Uncle Sam negli Stati Uniti, etc.
Pagherò: V. Tratta.
Paglia: chiamano i tecnici certe incrinature che si generano durante la cottura dei metalli: sono dette paglie dalla forma che assumono.
Paglietta: nota voce spregiativa napoletana per avvocato, estesa, nell’uso familiare, fuori della regione. Paglietta è prop. il cappello di paglia, e l’estensione del nome dev’essere provenuta da antico uso in Napoli di portare gli avvocati cappelli neri di paglia.
Pagliuolo o pagliuolato: term. mar., il tavolato che copre il fondo di un battello o di una nave. In origine pagliuolo era la camera nella stiva, coperta di paglia, ove si riponevano le provvisto e il biscotto.
Pagnottista: voce neol. nostra, registrata dal Petrocchi come termine spregiativo di chi serve (meglio di chi è impiegato) solo per la paga. Voce di formazione e di uso plebeo.
Paguro: o granchio eremita; nome di un crostaceo fra i più ingegnosi e curiosi, il quale avendo il succolento addome privo di difesa, suole occultarlo entro le conchiglie dei molluschi. Se però non trova la conchiglia vuota, mangia il mollusco e si impadronisce della sua casa. Stringe poi lega offensiva e difensiva con le rose di mare (attinie), le quali co’ loro organi urticanti difendono il crostaceo dai nemici: alla sua volta il paguro, movendosi, offre all’attinia che ha sul dosso, facoltà di meglio nutrirsi.
Pain d’épices: voce fr. usata abusivamente per Pan speziale. V. questa voce.
Paino: per ganimede, bellimbusto è voce popolare del dialetto romanesco e dell’Italia centrale. Ahbreviazìone di pavoncino?
Palafitte: avanzi di pali che si ritrovano confitti per lo più nel fondo dei laghi e su le rive. Sono residui di antichissimi villaggi lacustri che gli uomini primitivi costruivano ed abitavano per averne difesa contro uomini e fiere.
Palafitticoli: abitanti delle palafitte lacustri.
Palamidone: nome dato da alcuni sarti a quella specie di cappotto d’inverno che segna la vita come una redingote. V. alla voce Vestito, Palamidone in antico indicò, sciocco, spilungone, uomo insipido ancorchè di persona grande. (G. Giolitti, uomo politico, diede voga a questa foggia d’abito, onde fu lepidamente denominato).
Palanca, palancone, palanchetta: vive voci lombarde e venete per indicare le monete di rame. Palanca per soldo è voce italiana, notata nei lessici. Certo un lombardo od un veneto eviterebbero di scriverla per timore di parer sciatti. V. ciò che è detto alla parola Schiampa. Palanca ricorre nel senso di danaro, (fr. argent!) la gran molla dello umane azioni!
Palchettista: termine usato a Milano per indicare il proprietario od usufruttuario di un palco al teatro.
Paletot: V. Paltò.
Palicaro: nome di soldato greco.
Palingenesi: voce univereale filosofica ([testo greco] = di nuovo e [testo greco] = nascita): dottrina secondo la quale l’anima passa attraverso una successione di rinascite (metempsieosi). In teologia vale il rinnovarsi del mondo dopo la sua distruzione. Familiarmente, specie nel linguaggio politico, talora è detto palingenesi il presentarsi a nuovo di alcun personaggio, con nuovo aspetto, o programma, o ordine di idee (consumate o fatta prova infelice dello prime). Vi si intende senso ironico.
Palinodìa: nei dizionari questa voce greca è notata nel senso di ritrattazione. Ora nel linguaggio dei giornali questa parola ricorre non per indicare una vera e propria ritrattazione, ma quelle abili, spesso sofistiche spiegazioni ed aggiunte che coloriscono a nuovo ciò che fu detto, senza propriamente disdirsi e riconoscere l’errore.
Palinsesto: codice antico membranaceo, su le cui pagine era già scritta un’opera, che di poi cancellata, fu sostituita da un’altra negli spazi, onde il nome, dal gr. [testo greco] = di nuovo e [testo greco] = raschio. Sono ricordevoli le scoperte del Mai nei palinsesti della Vaticana, specialmente perchè ne originò la nota gran canzone giovanile del Leopardi. Tal voce oggi usiamo facetamente per indicare qualche scritto pieno di correzioni e cancellature.
'Palisse o Palice (monsieur de La):' fu prode cavaliere francese e morì alla battaglia di Pavia, 1525. A lui, per una delle tante bizzarrie della storia, vennero attribuite molte sentenziose insulsaggini, note sotto il nome di Vérités de M. de La Palisse, onde il nome del buon guerriero suona come «sentenzioso imbecille».
Palla del forzato: propriamente era la palla di ferro legata al piede de’ forzati: dicesi in senso morale, press’apoco come camicia di forza, camicia di Nesso.
Pallido: per confuso, tenue, debole, non determinato in senso figurato, è estensione, verosimilmente dedotta dal francese (pàle = sans force). Es. una pallida idea.
Pàlmola: nel linguaggio dei meccanici indica una sorta di eccentrico, destinato a trasformare un moto continuo di rotazione in un movimento rettilineo intermittente.
Palo: term. mar. V. Nave a palo.
Palpazione: nel linguaggio medico indica un metodo di esplorazione che consiste nell’applicare le dita o la mano nelle parti esteriori del corpo e nelle cavità accessibili, per conoscere col tatto le qualità fìsiche del tessuto: elasticità, consistenza, vibrazione, temperatura, sensibilità dei diversi organi. Palpazione, voce classica e antica che rivive, parmi, per effetto del fr. palpation.
Palpitante di attualità: (V. Attualità) goffo e riconosciuto gallicismo senza dubbio, tuttavia assai diffuso, forse perchè nell’uso vi si annette intenzione di lepore. Questione, argomento palpitante per viva, ardente, del momento è locuzione ripresa.
Paltò e Paletot: V. Pardessus in fino e più ampiamente, alla parola Vestito. La etimologia di paletot è incerta. Il Littré sostiene la derivazione dall’olandese paltsrok = abito da pellegrino. Il Diez e lo Scheler da un palle-toque = mantello con cappuccio il Carena, op. cit., propone soprabitone e tunicone. Ma altro è il proporre, altro l’usare.
Paltoniere: voce classica e antica, da paltone = propr. chi va lemosinando. Voce di incerta etimologia. V. Zambaldi: Vocabolario Etim. It. Il Rigutini dice che nell’uso parlato non c’è più; il Petrocchi la pone fra le parole fuor d’uso. Il vero è che si usa talvolta, non nel senso di pitocco, ma di mascalzone.
Pamela: sorta di cappello di paglia, da donna: a larga tesa e semplice: usato in Toscana, nel contado: ma come foggia semplice ed elegante è in onore anche nelle città, specie da giovinette.
Pampa: (al plurale prevale la desinenza straniera pampas): nome delle pianure steppose ad occidente del basso Paranà e del Rio della Plata (America meridionale).
Pamphlet: voce francese, derivata dall’inglese: vale opuscolo, breve scritto di carattere polemico. Talvolta si usa pamphlet nel senso di libello satirico o diffamatorio. Questa parola per le odierne condizioni della stampa, non ha più le ragioni d’essere e il valore che ebbe verso la metà del secolo scorso. (V. Fanfani ed Arlia, op. cit.). Pamphlétaire: autore di pamphlets.
Pampèro: nome di vento caldo che spira di settentrione su le Pampe (di settentrione, essendo quelle steppe nell’emisfero australe).
Pan: gr. [testo greco] = tutto, uomo di nota divinità agreste presso i Greci. Pan o Pane, ricorre come simbolo delle forze che sono nell’universale natura; divinità della materia, nume della Natura, onde panteismo, panteistico etc. noti termini filosofici.
Panache: fr. pennacchio. Nel linguaggio dello sport o de cavallerizzi, dicesi faire panache (locuzione di gergo francese), quando nel salto il cavallo inciampa e si capovolge con sotto il cavaliere. Passare o filare per le orecchie, quando il cavallo s’arresta davanti all’ostacolo e il cavaliere, per l’impulso ricevuto, salta al di là del cavallo. Salto del montone dicesi quando il cavallo sbarrando, cerca di balzar di groppa il cavaliere.
Panadora: per credenza da cucina è voce lombarda che non esce dall’uso dialettale: spagnuolo, aparadora.
Panama: specie di cappello leggero a larga tesa e cocuzzolo tondo, fatto con lo stelo di una speciale palma americana. Per la difficile e paziente lavorazione, per il pregio intrinseco del cappello che è pieghevole e soffice come un guanto, e più per effetto della moda, raggiunse prezzi elevatissimi, presso che favolosi. La città di Panama — onde il nome — è il centro ove sono recati questi cappelli per l’esportazione: essi si fabbricano in tutta l’America centrale e meridionale, specie nell’Equatore, nella Columbia e nel Guayaquil.
Panama: ed il grazioso diminutivo panamino, e anche panamista, voci volgari, specie del gergo giornalistico, per indicare scandalo finanziario, truffa publica. E così si dice per analogia al noto, anzi clamorosissimo fallimento, con corruzione, frode, furto, dell’Impresa o Società francese dell’istmo di Panama.
Panamino, panamista: V. Panama. Voci di gergo e creazione giornalistica e politica: probabilmente effimere.
Pan de mej: in milanese vale pane di miglio, dall’antico uso di unire il miglio al pane.
Perchè a Milan si mangia pan di miglio?
Oggi per pan di miglio intendesi il pane giallo o di formentone, e più comunemente un dolce di pasta, assai lieve in cui alla farina bianca è mescolata la gialla. Pandemia: (da [testo greco] = e [testo greco] = popolo) dicesi di malattia che colpisce quasi tutti gli abitanti di una regione (colera, peste). Riferito quest’aggettivo a Venere, vale meretrice publica.
Pandora: ([testo greco] = la dotata da tutto) la prima donna formata da Vulcano con la creta e dotata da tutti gli Dei di tutte le grazie: mandata da Giove in punizione agli uomini con un vaso od urna contenente tutti i mali, perchè Prometeo avea rapito il fuoco dal Cielo. Antico mito che ampiamente si legge in Esiodo, I giorni e le opere. Confronta il mito di Eva nella Genesi. Onde la nota locuzione il vaso di Pandora per indicare tutti i mali.
Pane di mistura: in milanese (pan de mistura) è il pano mescolato di farina bianca e di granturco, ovvero di segale, miglio e saggina:
se ho sete, bevo dell’acqua pura:
Se ho fame, mangio pan di mistura,
nella nota poesia lo Spazzacamino di I. Cantù. Pan poss, pure in milanese vale pane vecchio, secco, raffermo. Pan luster, pane fine lucido con chiara d’uovo. Pan de semola, V. Semola. Panello: forme compresse, costituite da’ residui dell’estrazione di semi oleosi, che servono per mangime o per concime.
Panem et circenses: (Giovenale, Sat. X. 81) pane e giuochi del circo! sintesi delle aspirazioni della plebe romana al tempo della decadenza dell’Impero. Dicesi riferendosi a consimili sentimenti nei tempi nostri, o per scherzevole satira.
Pànera: voce lombarda: panna, crema del latte.
Paneròpoli: la città della panera, detto lepidamente o causticamente di Milano. La paternità della parola è attribuita ad Ugo Foscolo, il quale con questo nome data parecchie sue lettere da Milano, e contro Milano elevò ne’ Sepolcri — come è noto — monumento di sdegnosa satira. Così nelle note dichiarative dell’Ypercalipsis, spiega Asinus: Populus Mediolanus (Caput Quintum) e Babylo minima: Mediolanum. (Caput septimum, decimum). La locuzione Capitale morale, detta di Milano, è attribuita al Bonghi nella Perseveranza (V. Capitale morale).
Panettone: (da pane) classico e antico dolce milanese, noto universalmente. Esso è una variazione, difficile a prepararsi, della comune specie dei dolci a base di uova, farina e lievito.
Pangermanismo: (fr. pangermanisme) o pangermanesimo: (greco [testo greco] = tutto), movimento politico che tende a riunire in unità potente tutti i popoli di razza germanica. Vi si annette idea di egemonia etnica. Il pangermanismo, come tendenza unitaria, è più proprio dai tedeschi austriaci.
Pangloss (dottor): nome che il Voltaire nel suo Candido dà ad un filosofo ottimista di cui la formula, ironicamente espressa, è la seguente, ben nota: tout va le mieux du monde dans le meilleur des mondes possibles. Il nome di Pangloss acquistò valore estensivo, cioè ricorre per significare, ironicamente, certi ottimisti o troppo semplici o tali per opportunità.
Panificazione: per lavorazione per pane, neol., manifestamente dal fr. panification.
Panna: «voce antica e comunissima, passata da noi alle altre nazioni, sincope di capanna: indica quella disposizione di velatura a capanna, cioè a doppio pendio in contrasto col vento, perchè le forze uguali e contrarie da una parte e dall’altra restino elise, e il bastimento immobile, quanto è possibile, in mare. Cosa diversissima da Cappa, quantunque gli idioti confondano le due manovre» (Guglielmotti, op. cit.). Il Littré fa derivare tale parola (fr. panne), da un fem. del lat. pannus = stoffa, riferito alla vela. Nel linguaggio degli automobilisti dicesi più spesso alla francese panne, intendendo le fermate involontarie, per guasti.
Panne: fr., sosta o fermata. V. Panna.
Panneau: usasi da taluno questa voce francese per indicare quei quadretti dipinti su legno o stoffe che, senza cornice, si appendono per adornare le pareti.
Pannicelli caldi: sarebbero propriamente i fomenti, che hanno un valore curativo minimo, palliativi e nulla più. Nel linguaggio della politica, specialmente, questa locuzione si riferisce a quelle leggi, a quelle riforme blande che tengono a bada, piuttosto che avere atto efficace e risolvere una questione.
Pannicolo o pannicolo adiposo: lat. panniculus, da pannus = stoffa, nome dato agli strati grassi sottocutanei.
Panoramico: agg. da panorama. Dal fr., panoramique.
Panslavismo: (greco [testo greco] = tutto) tendenza delle varietà etniche del popolo slavo a fondersi in unità politica. Imperialismo di razza.
Pan speziale: chiamano a Bologna e altrove certe larghe e vistose ciambelle, condite con ispezie, miele e frutta candita. In fr. pain d’épices. Corrisponde alle antiche liba latine? Panmelato, in Romagna.
Pantagruelico: fr. pantagruélique, secondo natura e costume di Pantagruel (personaggio del Rabelais) che fu un gran bevitore e mangiatore; indi dava alle cose del mondo la giusta importanza, cioè niuna.
Pantalone: V. Paga Pantalone.
Pantaloni: «per calzoni è voce francese, introdotta senza alcun bisogno nella lingua italiana, per opera specialmente dei sarti e per il solito brutto vezzo dell’imitazione». Rigutini. La voce fr. pantalon pare che derivi dall’abito della nota maschera veneziana Pantalone, cosa non improbabile, data la diffusione nel ’600 e nel ’700 dello maschere italiane.
Pantesilea: ([testo greco]), nelle leggende eroiche dell’Ellade, fu regina delle Amazzoni, alleata di Priamo, vinta da Achille: dicesi, talora, di donna dagli spiriti pugnaci, che assume attitudini donchisciottesche.
Pantheon: voce greca che vale ad ogni nume. Tale nome fu da Agrippa, genero di Augusto, dato al tempio eretto in Roma in onore di Giove e degli altri Dei dopo la battaglia d’Azio. Il nuovo senso di tempio consacrato alla memoria di uomini illustri, fu dato dai francesi quando, con decreto dell’Assemblea Nazionale, 1791, destinarono la chiesa di S. Genoveffa a sepoltura di uomini benemeriti; e secondo la tendenza classica del tempo, il nome greco «Panthéon» sostituì quello della Santa, con la scritta famosa Aux grands hommes la patrie reconnaissante. S. Croce in Firenze (V. Foscolo, Sepolcri) è il nostro gran Panteon. A Londra, l’Abbazia di Westminster. Il tempio Romano di Agrippa o la Rotonda, accogliendo le salme dei re sabaudi, da taluno considerasi come Panteon, secondo il senso francese. La grafìa Panteon parmi poco dell’uso.
Pantografo: da [testo greco] = tutto e [testo greco] = scrivo: strumento che serve a copiare meccanicamente i contorni di qualunque disegno sia in grandezza naturale sia in altra scala. Tale istrumento era già noto in Roma nel 1631. Fu poi perfezionato in Francia.
Papà: V. Mamà. Bellissima per ironia è la locuzione figlio di papà per indicare il titolo più ragguardevole che taluni giovani hanno per ottenere privilegi, uffici ed onori, cioè l’essere figlio di un padre illustre o, meglio, potente. È il meno giusto, anzi il più ingiusto dei diritti ereditari, di cui tanto oggi si discute. La nostra vita publica, a base di clientela e di dinastie private, è ricchissima di questi figli di papà, saliti come zucche in alto, e senza fatica! Il Giraud, noto e mordace commediografo, intitolò una sua commedia Il figlio del signor Padre, ma la locuzione deve essere di formazione popolare.
Papa: nel gergo francese vale come bonario, tranquillo popolano o borghese. Ricorre in papà nelle nostre traduzioni da quella lingua.
Papabile: dicesi del cardinale che è in predicato di divenire papa: fr. papable.
Papaina: (pepsina vegetale, sangue vegetale) fermento che si ricava dal succo della Carica papaya, L., grosso albero originario delle Molucche. Usasi in medicina. Come la pepsina animale scioglie l’albumina e la fibrina, facilitando così la digestione.
Papa Nero: nel gergo politico: il generale dell’Ordine de’ Gesuiti.
Papa rosso: voce del gergo politico per significare il grande Maestro, o capo supremo della Massoneria. V. Massone.
Papaveri (alti): le persone di maggiore autorità e potenza, che fanno il sereno e la pioggia. Riferimento all’antica leggenda romana di Taruinio il Superbo, che al figlio Sesto insegnò, per un messo, in qual modo farsi tiranno di Gabio. Il messo troncò nel giardino i più alti papaveri, simbolo de’ cittadini più cospicui che doveano esser tolti di mezzo. Cfr. Erodoto e la risposta di Trasibulo a Periandro.
Papelillo o papelito: voce spagnuola, sigaretta.
Pàpera: lett. la «giovane oca:» nel linguaggio teatrale è l’errore del comico nel pronunciar le parole, specie con iscambio ridicolo delle sillabe. Es. Infelice! Il beveno velesti, per il veleno bevesti. Cfr. l’altra nota e comune locuzione prendere un granchio.
Paper-Hunt: voce inglese dello sport, che vuol dire: caccia alla carta. È una caccia finta, in cui un cavaliere facendo le veci di volpe o di altro animale, parte prima e lascia traccia di sè con lo spargere pezzi di carta: gli altri inseguono.
Papeterie: voce francese abusivamente usata per indicare la cartella ove sta, l’occorrente per iscrivere.
Papillote: voce fr., tradotta in papigliotti, indica i diavoletti in cui le donne arricciano i capelli. Deriva dal papillot, forma antica di papillon, latino papilio = parpaglione (farfalla).
Pappa fatta: locuzione familiare specie in unione ai verbi trovare, volere. Dicesi di chi desidera i benefici senza sobbarcarsi alla fatica necessaria per conseguirli.
Paprica: ted. Paprika, è il pepe rosso di Caienna, fornito dai frutti del Capsicum fructescens, L., originario d’America e, in commercio, da alcune specie di peperoni (Capsicum annuum).
Papula: lat. papula = bolla, pustola: lesione semplice della pelle, determinata da un’elevazione di forma e dimensioni variabili, di colore solitamente roseo, formata da una infiltrazione della superficie della pelle. Scompare dopo alquanto tempo senza lasciar cicatrice.
Para: (gr. [testo greco] = fuori, al di là) prefisso usato in patologia per indicare uno stato contrario alla salute e alla norma: es. paralexia, paralisi, paranoia, etc.
Para: è il nome dato alla miglior specie di caucciù o gomma elastica. Preparasi nella Colombia, specialmente, ed è a sottilissimi strati fogli.
Paradello: nelle lagune di Comacchio (valli) così è chiamata una lunga pertica forcuta di cui si valgono quei pescatori (fiocinini) e marinai per ispingere i loro navicelli piatti su quelle basse acque, malo acconce alla manovra del remo.
Paraggio: ter. mar., tratto di mare nelle vicinanze di una terra che resta determinato dalla posizione di questa. Dicesi paraggio per vicinanze e talora estensivamente con senso morale. N. B. Registro questa parola così comune perchè nel Petrocchi è confinata tra le voci fuor d’uso. Ma è una ossessione cotesta di far morire le parole vive!
Paralalia: term. med., turbamento della favella con sostituzione nella pronuncia d’un suono ad un altro.
Paralisi infantile: V. Eclampsia.
Paralisi progressiva: affezione caratterizzata anatomicamente da lesioni dei centri nervosi e clinicamente dal progressivo indebolirsi della mente, turbamenti somatici, difficoltà di parlare, tremori, etc.
Paralizzare: una delle molte voci che dal linguaggio scientifico e naturale, sono trasportate con odierna tendenza figuratamente nel linguaggio morale: rendere vano, inefficace, inoperoso, distruggere, e usando un altro traslato neologico, neutralizzare. Paralyser, fig. = frapper d’inertie. Es. paralyser des efforts. Tale senso estensivo è pur dato alla voce paralisi. V. Elettrizzare.
Paramano: nell’arte muraria è così detto un mattone alquanto maggiore dei comuni, preparato con terra più fine a spigoli vivi e regolari, ed a facce perfettamente piane: si usa per rivestimento esterno di quelle murature che non vengono intonacate al di fuori e che si chiamano murature con mattoni in vista. Qualche volta si impiega, non già come semplice rivestimento esterno dei muri, ma per la loro costruzione anche all’interno, e ciò quando vogliasi avere una muratura molto resistente.
Paramezzale: term. mar., lungo pezzo di costruzione o di lamiera, che va da prua a poppa sopra i madieri delle coste, quasi legamento longitudinale della nave.
Parananza: è nel volgare marchigiano il largo grembiule o zinale (da zinna = mammella): traversa nel Veneto: davantale nel contado romagnolo: scossal, in Lombardia.
Paranco: sistema composto di due bozzelli e di un cavo inferito nelle pulegge di quelli: usato, in ispecie, nelle manovre navali, V. Bozzello.
Paranòia: neol. universale, usato per la prima volta dal Vogel (1772) ed esteso dal Kahlbaum (1863) per indicare quella forma di demenza che comunemente dicesi monomania. Deriva da [testo greco] e [testo greco] = mente. (V. Para). Definiscono con tal nome i medici un sorgere lento di un sistema di idee deliranti, il quale dura lungamente immutato e non conduce, in generale, a demenza. Il paranoico rappresenta la esagerazione estrema di ciò che fu chiamato sistema egocentrico. Il paranoico si crede il punto a cui tutto converge; tutti si occupano di lui; tutto accenna a lui; tutto è fatto per lui. I medici distinguono e suddividono la paranoia in isvariatissime forme. Questa voce scientifica ebbe grande diffusione ed è divenuta familiare tanto da essere abusata o male usata al punto da chiamare paranoia persino la fissazione o mirabile monomania dell’uomo geniale.
Paranòico: termine neol. del linguaggio scientifico, entrato con uso ed abuso anche nel linguaggio comune; ed è agg. e sost. da paranoia o paranèa. V. questa voce.
Paranza: e dim. paranzella, vale come tartana o bilancella; piccolo veliero da pesca, con un solo albero latino e più fiocchi. | Coltello in uso ne’ duelli dalla Mafia.
Parapioggia: per ombrello, è ritenuto francesismo (parapluie). Quanto alla etimologia di ombrello, l’ombra pare che c’entri assai poco, bensì la parola latina imber = pioggia, gr. [testo greco]. L’ombrello da sole comunemente è detto parasole.
Parassitismo: astratto di parassita, inteso in senso sociale e politico. Come gli animali e le piante hanno i loro parassiti, così l’organismo sociale ha coloro i quali vivono ed ingrassano succhiando il sangue vivo della Nazione. E come l’individuo sudicio e inerte abbonda di parassiti quali pidocchi, pulci etc., così uno Stato mal governato abbonda di individui sanguisughe (V. Succhione) o di ceti sociali che si nutrono, imponendosi come necessari.
Paratìa: ter. mar., tramezzo di tavole o di lamiere che divide gli alloggi o la stiva in compartimenti separati: nelle odierne grandi costruzioni di navi di ferro cotesto paratie si fanno stagne, cioè in modo da dividere la nave in tante sezioni sì che se in una avviene una falla, l’acqua non penetra nelle altre, quindi il naviglio non cola a fondo.
Parcella: si dice così alla specifica del procuratore e dell’avvocato. E la nota delle spese o delle competenze od onorari. Si dice anche notula.
Pàrcere subiectis et debellare superbos: Verg., Eneide_(Caro) VI, 853: perdonare ai vinti e debellare chi resiste. Sintesi della romana sapienza politica, che concilia in modo non illogico nè vile il fatale e tristo diritto della forza con l’umana pietà.
Parce sepulto: sono le dolenti, tragiche parole dello spirito di Polidoro ad Enea: Quid miserum, Aenea, laceras? jam parce sepulto (Eneide III, 41): ma le gravi parole, secondo l’indole nostra, sono volte in senso lepido: quasi valgono: il morto giace, il vivo si dà pace.
Parco d’artiglieria: locuzione del linguaggio militare per indicare il luogo occupato dall’artiglieria e tutto ciò che occorre all’aziono ed alla potenza di questa arma. Similmente si dice parco areostatico.
Pardessus o surtout: due voci che si equivalgono nel senso, e noi bene renderemmo con soprabito. Vero è che la voce soprabito non di rado genera confusione giacchè in molti luoghi per soprabito intendono quel capo di vestiario a falde che si sovrapone alla sottoveste o corpetto (gilet), e che nel veneto dicono velada, a Napoli sciassa, a Milano marsina, e i sarti più spesso dicono o dorsay o kraus con altra voce della moda. Ora lo parole pardessus e surtout sono penetrato sin nel dialetto por indicare nettamente quel pastrano, leggero, di mezza stagione con maniche, bavaro, risvolti, una o duo bottoniere secondo la moda, lungo un po’ meno del paletot, che si sovrapone al giacchetto o all’abito a falde. Tanto per intenderci a Firenze e a Napoli lo dicono chemise. Con ispeciale taglio dicesi raglan. Il Fanfani e l’Arlia, op. cit. propongono la parola cappa. Ma converrebbe trovare anche le persone che accettino la parola in questo senso. E non basta: codesto indumento è chiamato da alcuni anche spolverino, con la quale parola più esattamente e comunemente si dovrebbe intendere quella sopraveste leggera che molti portano di state in viaggio e difende dalla polvere. | Il paletot voce tanto comune che il Petrocchi la accoglie sotto la forma paltò, paltòn, paltoncino, è più greve e da inverno, pastrano. Il Cherubini ricorda il paletot nel figurino francese del 10 luglio 1838. Corrier delle dame, e la dice «foggia di vestire allora derisa». In milanese dim. paltorìn.
Parc aux cerfs: spieghiamo in francese: nom d’un ancien quartier de Versailles, batì sur l’emplacement d’un ancien parc aux cerfs.... Louis XV y possedait une petite maison et y a entrenu quelques jeunes filles.
Veniano i giovinetti e le donzelle
a inginocchiarsi con l’infamia in man,
e del suo bruto sangue un volgo imbelle
murò il parco de’ cervi al re Cristian.
Trovasi usato parc aux cerfs estensivamente.
Pardon: non solo questa parola francese è da antico radicata nell’italiano nel senso di scusa, del verbo scusare, ma spesso si trova usata con valore avversativo, lievemente caustico, di chi si corregge di un errore od ommissione che vuol parere involontaria mentre è ad arte.
Pareri di Perpetua (i) nei Promessi Sposi Perpetua consiglia il suo padrone Don Abbondio, di ricorrere all’autorità del Cardinale Federico Borromeo, come a sommo gerarca e superiore diretto contro la prepotenza di Don Rodrigo. I pareri di Perpetua! esclama poi il povero prete quando il Cardinale gli chiedo conto della sua opera e lo rimprovera perchè non si rivolse a lui. Ondo si dico I pareri di Perpetua per indicare il consiglio più semplice e logico, o troppo semplice. quindi senza valore. NB. Don Abbondio non potendo indovinare che il cardinale Borromeo costituiva un’eccezione umana, aveva ragione da vendere quando scartò, come troppo semplice, il consiglio della sua serva-padrona.
Paresi: gr. [testo greco] = debolezza, remissione. Paralisi lieve, consistente nell’indebolimento della contrattilità.
Pària: voce sanscrita che storicamente vale uomo nato nell’ultima casta degli Indiani che seguono la legge di Brama: gente spregiata e avuta in niun conto. Dicesi comunemente di persone che non hanno valore sociale se non come capite censi.
Pari-mutuel: espressione francese delle corso, non di grande uso fra noi, e risponde alla parola ben nota totalizzatore, cioè ufficio di ripartizione uguale su le puntate di un cavallo vincitore.
Paris vaut bien une messe: motto attribuito al buon Re Enrico IV di Navarra, quando con l’abiura al partito degli Ugonotti fu re di Francia: primo ed ottimo della dinastia de’ Borboni. Il motto spesso volgesi ad altro e vario senso per indicare una necessaria rinuncia ovvero transazione con la propria coscienza allo scopo di ottenere un bene reale e maggiore.
Parlar grasso: cioè liberamente, sboccato, specie di argomenti erotici e sensuali.
Parlare in difficile: locuzione volgare milanese che vuol dire parlare in italiano, il quale ai lombardi pare tanto più difficile in quanto in loro è viva la erronea opinione, anche di persone colte, che soltanto nel fiorentino stia la buona italianità dei suoni.
Parlare in punta di forchetta: cioè «con affettazione di sceltezza: imagine tolta, o dal soverchio acume o dalla delicatezza che richiedesi a maneggiar cosa che si regge sopra una punta»: (Tommaseo): in altri termini è un traslato, dal modo prezioso e schifiltoso che taluni hanno di mangiare (portandosi a pena uno scelto bricciolo di cibo alle labbra su la punta della forchetta) al modo prezioso di parlare.
Parlour: inglese, parlatoio o sala di conversazione.
Parmigiano: è detto in commercio il formaggio lodigiano. La Camera di Commercio di Milano (6 feb. 1895) decise che per «consuetudine generale nelle contrattazioni coll’estero, ed anche in molti casi per quelle all’interno, per formaggio Parmigiano s’intende il formaggio di Milano e di Lodi, e per formaggio Reggiano si I intende quello di Parma e di Reggio». Questa stranezza ha la sua spiegazione nella popolarità e divulgazione della voce parmigiano, fin da antico, come puoi vedere nella famosa novella del Boccaccio di Calandrino. In fr. parmesan.
Parnassiani: V. Decadente.
Parola: per parola d’onore, forma elittica.
Parole di colore oscuro: emistichio dantesco (Inf. III, 10) che il popolo usa facetamente per indicar cosa che non capisce o, meglio, non vuol capire, là dove in Dante i nove terribili versi posti su l’ingresso dell’Inferno, (Per me si va, etc.) sono assai manifesti e sono detti oscuri in altro senso.
Pàroli: nel linguaggio dei giocatori di azzardo dicesi quando chi punta raddoppia la posta. Dal fr. paroli. (Origine ignota, I scrive il Littré).
Parone: (da padrone) il capitano o il proprietario di una piccola nave peschereccia o anche di commercio. Voce volgare del litorale adriatico.
Parquet: voce fr., da noi comune, costante in Lombardia, per indicare un pavimento, a scompartimento, specie se di legno. Parquet, da pare = parco, vuol significare recinto, parchetto, se dir si potesse, ed indicò lo spazio ne’ tribunali riservato alla corte.
Parrocchetto (vela di): V. Gabbia.
Parte Civile: è il nome che prende una persona che abbia interesse in una causa penale quando vi comparisce, si fa rappresentare e spiega e sostiene l’esistenza del reato e il proprio diritto a conseguire il risarcimento d’un danno sia materiale, sia morale.
Parterre: voce fr., abusivamente usata nel ceto mondano per aiuola e per platea de’ teatri. Del resto questo parterre per «luogo non grande con aiole, panche e alberi» come spiega il Petrocchi, è da assai tempo entrato nell’uso e registrato. Come il solito, i gallicismi usati a Firenze hanno onore di registrazione, ma converrà pronunciare proprio alla fiorentina partèrre! Il buon Fanfani però protesta, «Sì signori, in Firenze così addimandasi un Publico (Giardino fuori di Porta San Gallo, è per ciò che la voce non è francese?».
Partibus (in): V, In partibus.
Participio di necessità: così chiamano i grammatici quella forte e sintetica forma verbale, propria della lingua latina, che contiene il concetto della necessità: amandus = che deve essere amato. Ora questa forma va divenendo neologica in molte voci, educando, instituendo, contennendo, erigendo, Licenziando etc. Sarà comoda, certo non è estetica e si confondo col gerundio.
Partire in guerra: è la traduzione dell’idiotismo francese partir en guerre = partir pour la guerre. Spesso tale locuzione si adopera in senso figurato e con forza caustica, quasi di chi piglia lo slancio per un goffo assalto. Nel linguaggio giornalistico è molto comune. Locuzione probabilmente effimera.
Partita d’onore: per duello, è locuzione comunissima. Trae la sua origine dal francese partie d’honneur. Così dicasi di partita di caccia, di piacere, per divertimento, solazzo, scampagnata. La lingua italiana, nota il Rigutini, non conosce altre partite che quelle del giuoco.
Partita doppia (giocare a): vale tenere i piedi in due staffe, seguire occultamente due partiti opposti, far due parti in commedia, in modo che se la va male per un verso, vada bene per l’altro. Questa locuzione deve essere tolta dal linguaggio di borsa, riferendosi a quei giuochi di speculazione per cui perdendo in una data partita, si guadagni dall’altra.
Partiti popolari: nuova denominazione politica italiana, usata per indicare l’unione di quei partiti (dal radicale al socialista) i quali pur discordando nella finalità e nei mezzi, concordano nel reggimento sovrano del popolo, nell’incremento di esso, economico e morale, e nell’opposizione ai partiti conservatori e di casta. Quanto codesta divisione politica, che pare così netta o sicura, risponda alla realtà ed al fatto economico, non è qui il luogo di esporre. La locuzione partiti popolari fu specialmente usata e consacrata nello elezioni politiche del 1900 allo scopo di resistere in fascio al ministero Pelloux.
Parturient montes, nascetur ridiculus mus: i monti avranno le doglie del parto, ne verrà fuori un ridicolo topo, così Orazio con acuta imagine nella sua Arte poetica (vs. 139) parla di quelle opere il cui grande e reboante proemio non corrisponde all’opera, gracile e misera. In tal senso è ripetuta la frase latina e, più generalmente, per significare che le premesse saranno sproporzionate al mezzo ed al fine.
Parure: nome fem. dal verbo francese parer (latino parare) adornare. In italiano v’è la parola finimento, che è composto della collana e degli orecchini; ma la parola parure prevale nel ceto mondano e nel linguaggio delle mode.
Parva sapientia: lat. piccola sapienza! dalla nota sentenza videbis, fili mi, quam parva sapientia regitur mundus. Della varia attribuzione di questa massima. V. Fumagalli, Chi l’ha detto?
Parvenu: lett. arrivato, cioè villan rifatto, pidocchio rifatto, che sono le voci nostre equivalenti. Ma in francese non v’è quel grave senso di spregio che v’è in italiano, e che certo non risponde più bene ad un fatto sociale così comune al dì d’oggi come l’arricchire rapidamente. Cfr. il motto, enrichissez vous.
Pasciulì: è (o credo possa essere) la scrittura italiana di Patchouli. V. questa voce.
Pascere: bella voce antica e disusata: primavera. Rivive nel poetare degli esteti:
Bergamo, nella prima primavera,
ti vidi al novel tempo del pascere.
Pas de zèle: V. Surtout pas de zèle.
Pasquinata: satira, beffa di Pasquino.
Pasquino: (V. il lungo studio di Luigi Morandi nella prefazione alle opere del Belli, Lapi, Città di Castello, 1889). La celebrità dei motti satirici di Pasquino risale al principio del ’500 e rappresenta lo spirito satirico, scettico, critico del popolo romano, in rapporto al dominio papale. È l’anima del popolo penetrata nel tronco informe, marmoreo che venne scavato e rizzato in via di Parione presso la bottega di un sarto di nome Pasquino che godea fama di uomo assai arguto e satirico. Da esso l’informe busto prese nome. La moderna libertà di stampa tolse valore e forza alla satira di Pasquino. Pasquino diede nome ad un noto giornale satirico, nel modo stesso che L’omm de preia (l’Uomo di pietra) statua marmorea che era in una casa della Corsia de’ Servi (ora Corso V. E.) in Milano, diè titolo ad un giornale satirico milanese.
Passabilmente: per discretamente, mediocremente, così così, abbastanza, es. io sto passabilmente, ricorda ai puristi il passablement de’ francesi.
Passacaille: fr., dallo spagnuolo passa calle, cioè a dire ballo per le vie. Nome di ballo assai vivace e leggiadro, press’a poco come la gavotta e il minuetto; assai in voga nel sec. XVII. Passacaille è tanto il ballo come la musica. G. S. Bach elevò a grande severità questo genere mondano. La forma italiana passacaglia mi pare poco usata.
Passaggio: per passo, squarcio, brano di scrittura od autore, ricorda ai puristi il fr. passage.
Passare all’ordine del giorno: V. Ordine.
Passare il Rubicone: vale acquistare nuova coscienza, assumere attitudine risoluta e chiara entrando in altro campo di idee, seguendo altro più vero e miglior partito: motto derivato dal varcare che fece Cesare in armi il confine d’Italia (Rubicone) contro il divieto del Senato. V. Jacta alea est. Intesi anche dire passare l’Acheronte.
Passare in giudicato: dicesi delle sentenze che diventano definitive e non suscettibili di ricorso. Dicesi di questione già decisa e finita.
Passata la festa, gabbato lo santo: ottenuto il beneficio si dimentica il benefattore e il santo che si pregò per la grazia: dicesi anche nel senso: le cose hanno valore secondo il tempo. Il motto è di origine napoletana, probabilmente dai voti fatti a S. Gennaro.
Passatella: voce romanesca. V. Tocco.
Passeggiata militare: dicesi di impresa di guerra facile a compiersi. È versione del francese, Promenade militaire; marche de quelques heures qu’on fait faire à un régiment autour du lie de sa residence, afin d’exercer les soldats. Figurato Cette expédition ne fut q’une promenade.
Passe-partout: fr., così è detta la chiave unica che apre tutte le serrature di una casa di uno stabilimento. Per ampliazione poi dicesi: l’oro è un passe-partout, (apre tutte le porte), questa lettera è un passe-partout, etc. Così si chiamano inoltre certe cornicette di cartone.
Passe-pied: nome di antica danza vivace, in tripla semplice: la parola francese trovasi anche tradotta in passa-piede.
Passerella: in marina indica quel ponte posto nel senso longitudinale dei piroscafi che mette in comunicazione il palco del comando col cassero. Ponticello di sbarco. Usasi anche per cavalcavia. Dal fr. passerelle.
Passerotto: per sproposito, ha esempi classici del ’500. V. Gherardini, op. cit., Dicevasi familiarmente di errore di stampa, gambero giornalistico, etc. Da passerotto (passero da nido), che facilmente si prende; così facilmente si cade nell’errore.
Passibile: propriamente vale atto o disposto a patire: nel gergo curiale per indicare chi è condannato a patire una pena, è pei puristi voce tolta dal fr. passible. Dicesi anche nel senso che può sostenere (suscettibile) nel linguaggio amministrativo. Es. la tassa sui fabbricati è passibile di aumento. «Maniera sguaiata» (Rigutini).
Passim: lat., da ogni parte, senz’ordine, in ogni luogo. Dicesi spesso per accennare ad una parola o frase o idea ripetuta assai volte nel corso di un’opera.
Passionale: nei nostri diz. vale Libro contenente, gli atti dei Santi Martiri, Passionarium. Nel senso di appassionato è neol. dal fr. passionel. Eppure v’è un esempio del Carducci: «Una musica fantastica attrasse le coppie entro un cerchio magico e con le cadenze via via più passionali, le trascinò a turbine». Carducci, versione di un passo dello Schuré, Histoire du Lied. Ma forse si può trattare di un effetto, non avvertito, nel tradurre dal francese.
Passo di carica: V. Caricare.
Passò quel tempo, Enea: (che Dido a te pensò): verso metastasiano rimasto, come altri di questo facile poeta, popolare. (Didone abbandonata II, 4).
Tempo era, tempo fu,
quel che era non è più!
e spesso si dice in materia d’amore, in cui è noto quanta importanza abbia il fuggevole momento, come ben sa e avverte la psicologia muliebre.
Pastello (pittura a): si dicono pastelli i dipinti eseguiti con matite di vario colore: nei quali si impastano e digradano le tinte con lo sfumino. Non pare che gli antichi usassero tale genere di pittura. Fiorì verso la metà del sec. XVIII.
Pastetta: voce napoletana: lett. farina spenta nell’acqua e sbattuta con un po’ d’olio, la quale serve per far frittelle. In senso traslato vale imbroglio, sotterfugio elettorale. Voce la quale insieme alla cosa è ben nota anche fuori di Napoli. A Napoli certe cose si fanno ancora con allegra ingenuità!
Pastrocchio: voce volgare e familiare, romagnola e veneta (coi suoi derivati): è l’antica parola classica pastocchia (da pasta) e vale intruglio, indi finzione, imbroglio, cosa mal fatta. Cfr. il milanese pastrúgn = intruglio, pastrugnòn pasticcione e il verbo impastocchiare.
Patati-patata: voce del gergo francese per esprimere un continuo chiacchierio.
Patatrac: suono onomatopeico che esprimo il rumore di un corpo che si sfascia e cade; familiarmente vale ruina, sfacelo. Fr., patatras.
Patchouli: olio essenziale, estratto dalla distillazione degli steli e delle foglie di una pianta tropicale Pogostemon patchouly: uno dei profumi vegetali più forti e graditi. V. Pasciulì.
Pâté: rad. pâté = pasta; è il nostro pasticcio; ma per indicare certi pasticci, farciti di carni, la cucina francese ha dato voga alla parola del proprio idioma. Es. Pâté de foie.
Pâté d’ancien: per patina di monumenti, quadri etc., è locuzione usata da alcuni per leziosaggine, vizio, od oblio della voce nostra.
Patente (lettera) : termine più specialmente storico per indicare le lettere col regio sigillo, contenenti disposizioni di legge o privilegi. Specie di motu proprio. Queste lettere patenti si riferiscono di solito al tempo delle antiche monarchie: fr. lettres patentes, dal lat. patère = essere aperto, manifesto.
Paterno (il governo) : locuzione usata per lo più ironicamente per significare i governi italiani, specialmente quello dell’Austria dopo la Santa Alleanza, i quali consideravano i sudditi come pupilli sotto tutela, cui conveniva guidare, specialmente dopo quella gran dissipazione del periodo rivoluzionario e napoleonico. Il concetto politico infatti della Santa Alleanza era che i principi dovessero reggere i popoli da buoni padri di famiglia. Dicesi oggidì in mal senso di governi e reggitori quando sembrino volersi di troppo inframettere negli affari de’ cittadini, recando offesa a quel concetto di autogoverno e di libertà che è o vorrebbe essere una conquista della età presente.
Pathèmata mathèmata: antico motto della sapienza greca: letteralmente vuol dire i patimenti sono ammaestramenti, cioè gran maestro è il dolore. Ricorda l’esametro Vergiliano: non ignara mali, miseris sucurrere disco (Eneide, I, 630). Si tratta, però, di un maestro che è bene non invocare, tanto più che viene da se e i suoi ammaestramenti non sono sempre sicuri.
Pathos: V. Patos.
Patio: voce spagnuola, dal latino pàtulus = aperto, cortile, atrio, e anche campo. Voce notata anche in francese.
Patoà: V. Patois.
Patois: dialetto, vernacolo, ed è vocabolo francese comune fra noi, in alcune regioni. La etimologia comunemente accolta dal buon Ménage, dal Littré, dallo Scheler, è dal latino patrius o patriensis.
Patos: più di frequente, seguendo lo grafìe straniere, pathos (greco [testo greco]) = passione, ciò che uno soffre senza sua volontà. Termine filosofico, comune ai linguaggi culti. Hegel usò questo termine per significare la passione che muove le umane operazioni. Patos dicesi anche per sentimento, commozione estetica, artistica. (Cfr. patetico).
Patria potèstas: lat. la potestà o diritto del padre (o della madre) sui figli minorenni, secondo le leggi: storicamente patria potestas indica il diritto assoluto che in Roma antica il padre avea sui figliuoli e su la famiglia.
Patrìotta: è voce relativamente recente, come è noto, venutaci con la Rivoluzione francese e con Napoleone, i quali dando agli Italiani l’idea nazionale moderna, ci diedero pure il vocabolo. Anzi in quei tempi patriota (grafìa più conforme al fr. patriote) valse come giacobino, republicano; e anche oggi il senso politico non è disgiunto talora da tale parola; ed è per ciò, forse, che patrio non è proprio uguale a patriottico. Patriotta, patriottico, patriottismo sono appuntati dal Fanfani, ma certo la Nuova Crusca li dovrà accogliere come sono accolti e fatti italiani nell’uso. Qui si notano soltanto come storia della parola. I puristi consigliano la grafìa patriotto, la quale dal Petrocchi è dichiarata più popolare. Parmi invece fuor di Toscana più comune patriotta. Patriotta è popolare per compatriotta. Patriotta per liberale, spesso in senso caustico, è pur del popolo. Che bel patriotta!
Patrocinio gratuito: V. Gratuito patrocinio.
Patta: term. mar., ciascuno di quei triangoli di ferro fucinato alle estremità delle marre dell’ancora, che serve a far presa nel fondo. Son dette anche Palme. Voce antica.
Patte d’oie: lett. in francese zampa d’oca, o zampa di gallina come noi si dice, cioè quella ruga all’angolo dell’occhio che si parte in tre solchi.
Pattes de mouche: fr., letteralmente zampe di mosca; detto di scrittura sottile minuta.
Pattinaggio: V. Pattino. Dal fr. patinage.
Pattinatore: fr. patineur. V. Pattino.
Pàttino: noto zoccolo di acciaio che si adatta alla scarpa per isdrucciolare sul ghiaccio: dal fr. patin, rad. patte (cfr. piede che ha la stessa etimologia). È parola ripresa dai più rigorosi puristi. Del resto non mancano antichi esempi: zoccolo da ghiaccio si potrebbe dire, ma non usa, e così sdrucciolare sul ghiaccio è meno comune, per chi attende a tali esercizi, di pattinare; der. pattinaggio, pattinatore. Pattino è anche termine dei meccanici, e vale genericamente anche testa a croce, attacco, cioè, dell’asta dello stantuffo con la biella (crosse de tige fr., Kreuzkopf, ted., cross-head, ingl.) V. Skating-ring.
Pauperismo: è voce ingl., pauperism, notato come neol. in francese: è la miseria considerata non negli individui singoli, ma nel complesso. L’epidemia della povertà, come disse il Fontenay.
Pauper ubique jacet: il povero dovunque giace. Così Ovidio (Fast I, 218). E Perpetua a Renzo: «Mala cosa nascer poveri, caro Renzo!» E Agnese al cardinal Borromeo: «I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni». Promessi Sposi, Cap. XXIV. Del resto questi pensieri di vera sapienza puoi leggere anche nei mirabili colloqui di Don Chisciotte con Sancio Pancia. Ed è per questo che Cristo, non potendo aprire ai poveri le porte della terra, assicurò quelle del Cielo.
Pavana: nome di antica danza di origine spagnuola, figurata, magnifica e solenne. Danzavasi con cappa e spada, e le dame con diadema e strascico. Il nome sembrerebbe derivare da padovana = danza del contado di Padova. Nel linguaggio mondano tale parola ricorre più spesso alla francese, pavane.
Pavesare: pavese denotò in antico una specie di scudo (probabilmente da Pavia) o rotella; e molti pavesi formando testudine eccellente per la loro quadratura e dando bellissima vista per i loro vivaci dipinti, ne venne pavesare = difendere con pavesi e pavesata = difesa. Indi pavesare si usò nel senso di ornare e pavese nel senso di banderuola messa alla maniera de’ pavesi, massime sui navigli, in segno di festa: dove, come la bandiera porta lo scudo principale, così le banderuole portano emblemi e colori bizzarri e svariati alla maniera pavese. Questo senso traslato, cioè pavoiser da pavois = stendere les pavois lungo i bordi delle galee o navi, indi ornare, fu da prima usato dai francesi. Per tappezzare, ornare detto di sale, stanze, spiace ai puristi: ma solitamente si dice dell’ornar con bandiere, come avviene nelle navi.
Pavese: gala di bandiere su le navi: ufficialmente anzi in marina dicesi gala. V. Zuppa alla pavese.
Pavimentare: dicesi delle case, degli edifizi. Ma delle vie e delle piazze dicesi lastricare. Secondo quanto ne ragiona acutamente il Rigutini, op. cit. il pavimentare, col suo derivato pavimentazione, provenne dall’ignoranza o, meglio, oblio della voce lastricare, e dall’imitazione del verbo paver de’ francesi.
Pazza gioia: parole usate nella locuzione familiare e di senso spesso ironico, darsi alla pazza gioia: godere eccessivamente di alcun fatto senza pensare se esso sia da vero cagione di gioia.
Pazzariello: nome dato in Napoli ad una specie di banditore popolare, il quale vestito con abiti chiassosi, con bastone in mano e seguito di flauti e tamburi, tra lazzi e motteggi di buffone, grida la merce. Antichissima forma nostrana di publicità.
Pazzia morale: pervertimento dei sentimenti naturali, impulsi, affetti, inclinazioni, abitudini senza che vi corrisponda alcuna manifesta lesione dell’intelligenza o delle facoltà ragionative, senza illusioni pazzesche ovvero allucinazioni come occorrono nei dementi. Come la pazzia morale è difficile a riconoscere (quanto pochi, ohimè, sono i sani morali!), così ebbe altre definizioni: pazzia lucida, pazzia ragionante, imbecillità morale, etc.
Pazziare: voce napoletana, scherzare, dire o fare per celia, giocare.
Pechblende: voce tedesca, usata per indicare i minerali d’uranio.
Pecorella smarrita: locuzione figurata che risente alcun che della nota parabola evangelica, per indicare, con alcun senso faceto, giovane donna la quale sia uscita dal regolane sentiero della virtù.
Pecten: lat., Cfr. (pettine), nomo scientifico di una specie di molluschi bivalvi, di cui la varietà più nota è il Pecten jacobaeus: esso fu già negli antichi tempi usato come ornamento de’ cappelli e dei mantelli dei pellegrini reduci da Terrasanta e da S. Giacomo di Compostella (onde il nome). V. Cappa Santa, e cfr. Pettine.
Pedalare: neol., detto del correre in bicicletta: fr. pédaler.
Pedana: tavolato sul quale si fa la scherma.
Pede poena claudo: lat. il castigo (segue) a pie’ zoppo. (Orazio).
Pederastia: da [testo greco] = fanciullo ed [testo greco] = amo: inversione sessuale dell’uomo. V. Appendice.
Pedicure-manicure: neologismo eufemistico, quanto inelegante e goffo che talora (fr. manicure e pèdicure) si legge invece di callista. Il personaggio che risponde a cotesto nome sarebbe lo scienziato e l’esteta delle mani e dei piedi.
Pedigree: voce inglese, vale genealogia, e specialmente registro genealogico degli animali di puro sangue.
Pedivella: chiamano il braccio di leva del pedale della bicicletta.
Pedocomio: dal greco [testo greco] = fanciullo, e [testo greco] = curare: ospedale pei fanciulli. Neologismo, non bello, del linguaggio medico.
Peerage: ingl., grado e condizione dei Pari d’Inghilterra, la paria ed anche il libro d’oro o almanacco dei pari e nobili d’Inghilterra.
Pelandrone: nota voce piemontese, palan, palandran, largamente diffusa fuor della regione, e specie nelle caserme per disutile, scansafatiche.
Pêle mêle: alla rinfusa, parola fr. di dubbia etimologia. Più probabile origine è che la voce pêle sia di creazione fantastica per assonanza con mêle, da méler = mischiare. Pell-mell è anche in inglese.
Pellagra: voce di dubbia etimologia, probabilmente vale come pelle agra, arsa, asciutta, squamata. Le prime notizie di tale infermità vennero di Spagna verso il 1735. Malattia di natura mal conosciuta: da alcuni autori attribuita al cattivo alimento del formentone guasto e mal eotto. (V. Maidico) da altri ad insufficenza alimentare. Manifestasi clinicamente con turbamenti generali (magrezza, cachessia, diarrea) eritemi pellagrosi nelle parti scoperte, mani, collo: demenza.
Pelle di Dante: V. Dante.
Pelle d’oca: stato transitorio e speciale della pelle, cagionato dall’erezione dei follicoli pelosi. Ciò accade per freddo o per paura. I francesi dicono chair de poule, per la simiglianza appunto con la pelle del pollo o dell’oca.
Pelote: voce francese, dal lat. pila = palla; usata talora, in certo linguaggio, in vece della nostra parola cuscinetto per ispilli. | Pelote è pur nome di uno speciale gioco di palla.
Pelottone: dal fr. peloton = nota suddivisione di milizie: manipolo, squadra, drappello. Peloton è da pelote col suffisso on, e pelote = mucchio, dal lat. pila = palla. Cfr. l’antica e disusata nostra parola pillotta = palla. Come appare, a noi non mancano parole nostre per indicare una piccola mano di milizie. Il Fanfani giustamente si sdegna di questo brutto vocabolo plotone o pelottone, più giustamente ancora cita l’esempio del Manzoni: e il lampo dei manipoli
e l’onda dei cavalli,
Ma che farci? Gli odierni istituti militari ci vennero di Francia, e plotone ha valore tecnico.
Peltasta: term. storico, [testo greco], soldato dell’Ellade antica, armato della pelta o rotella (scudo leggiero).
Pelouse: voce francese, frequente nel linguaggio delle corse: indica il prato o il terreno coperto d’erba corta e spessa, come una peluria. Dal lat, pilus = pelo.
Peluche: tessuto greve di lana, di cotone o di seta, fabbricato come un velluto, ma di cui i fili sono assai più lunghi. Serve per guarnizioni di cappelli e di abiti, per coprir mobili, etc. Da pilus, pelo. In vece di questa voce francese molti usano, specialmente fra il popolo, la parola buona felpa.
Pemmican: voce francese ed inglese, e significa una speciale preparazione di carne in poco volume e di grato sapore da servire per lunghi viaggi e spedizioni. L’etimologia della parola è data come originaria degli indigeni d’America.
Penale: come attributo di diritto, contraposto di civile, prevale su la voce antica criminale, forse perchè nel codice odierno la figura giuridica del crimine, che era nel codice francese e sardo, è stata abolita. Del resto criminalista è voce equivalente a penalista. I puristi considerano questo penale, si intende come attributo di diritto, un gallicismo.
Penchant: fr. inclinazione, propensione. Voce usata per vizio di mondanità in certo linguaggio.
Pendant: riscontro, ma questa buona parola nostra non ricorre più così pronta per designare due oggetti simmetrici e contraposti, e si usa il fr. pendant. Dicesi anche di persone, in senso faceto per significare che fanno il paio.
Penetrarsi: V. Penetrato.
Penetrato: per convinto, persuaso, compunto, compreso, e così penetrarsi = sentire profondamente, investirsi, mettersi ne’ panni altrui, etc. è notato dal Rigutini come «neologismo quasi irragionevole». Fr. pénétrer e pénétré.
Pensarci su: sintesi della retorica o arte del dire e dello scrivere del Manzoni. Non risulta, che io sappia, da alcun scritto manzoniano, ma dalla testimonianza del Bonghi. «Ricordo ancora quando, poco lontano da casa sua, andando l’un dinanzi e l’altro dietro per la strettezza e mala condizione del sentiero, e ragionando di poetica, di Orazio, del Boileau, dei moderni, egli mi concluse, che tutta la poetica consisteva nel pensarci su». Prefazione dei Promessi Sposi nelle due edizioni del 1840 e del 1825 in una lettera di Ruggero Bonghi, Milano, 1903. Cfr. Dante:
I’ mi son un che, quando
amore spira, noto, ed a quel modo
che detta dentro vo significando.
Pensée: fr. viola del pensiero: detto, talora, di color viola scuro.
Pensione: in buon italiano vale stipendio, salario. Per retta, dozzina, è il francese pension. Voce del resto sancita dall’uso.
Pentesilea: V. Pantesilea.
Pentimento: per correzione è voce ripresa dai puristi.
Peocio: V. Cozza.
Pepinière: radice pépin = semente: pepinus nel basso latino. Questa voce francese è usata, specie in senso traslato, invece della nostra semenzaio, vivaio seminario. Alcuni dicono anche pepiniera. Ma, a vero dire, semenzaio ha piuttosto cattivo senso, vivaio è delle piante, e seminario (semen) dei preti e degli ecclesiastici. Capisco che si potrebbe rinvigorire una di queste voci, ma per rinvigorire ci vuole il vigore. Fortuna delle parole!
Pepsina: nomo di medicinale: gr. [testo greco] e [testo greco] = ammollire, cuocere: è una materia azotata speciale, che si ricava dal quarto scompartimento dello stomaco dei ruminanti giovani: specie di fermento che serve a trasformare e sciogliere le materie albuminoidi in peptoni, cioè le rende digeribili. La pronuncia toscana pessina, mi pare poco dell’uso.
Peractis peragendis: ablativo assoluto lat., compiuto ciò che si doveva fare.
Per angusta ad augusta: motto di eccelsa virtù: per vie anguste, cioè faticose, ad auguste, cioè a nobili, grandi cose.
Percal e percale: fr., e non percail: nota specie di cotonina robusta e serrata: la voce fr. si alterna con l’italiana percalle o percallo. È parola di origine persiana.
Percentuale: agg. formato da per cento: registro questa parola perchè secondo i puristi «nuova e stranamente formata» e «chi vuol parlare un linguaggio umano, non che italiano, dirà» per cento e non percentuale: così il Rigutini. La riprovata parola è tuttavia accolta nei diz. dell’uso, e se ne è formato anche il sost. La percentuale. Forza dell’uso!
Per citazione direttissima: chiamasi secondo il nostro codice quella forma rapida di processo senza istruttoria preliminare, che in qualche caso di arresto (e della opportunità di questa procedura è arbitro il Procuratore del re) si fa davanti al Pretore, specialmente, giacchè trattasi di cause semplici e brevi.
Perder la sinderesi: V. Sinderesi.
Perder l’erre: dicesi di chi, per molto bere essendoglisi enfiata la lingua, non può pronunciar l’erre: essere ubbriaco, esser cotto. Antica locuzione classica, viva nel linguaggio familiare.
Pereat: lat. perisca, muoia, cioè abbasso: voce in uso, specie dagli studenti tedeschi.
Per fas et nefas: lat. con mezzi leciti ed illeciti, cioè con tutti i mezzi pur di riuscire.
Perfettamente: V. Perfetto.
Perfetto: «per i francesi — scrive il Rigutini — tutto è parfait e tutto sta parfaitement, per una delle solite loro iperboli» , onde noi dicendo ad es., perfetto gentiluomo, perfetto cavaliere, usiamo di un gallicismo, mentre dovremmo dire, vero: e aggiunge: «sconcissimo l’usare perfettamente con senso di affermazione approvazione per sì, sì certo». Con tutte queste buone ragioni, esso è uno dei gallicismi più comuni e quasi più non ce ne avvediamo, forse perchè così affine al genio della nostra lingua da sembrar modo nostro.
Pergamenata: dal fr. parcheminée, detto di carta che ha l’aspetto e la consistenza della pergamena.
Pericolo giallo (il): timore di preponderanza della razza mongolica (Cina, Giappone). Tale frase, più - forse - di opportunità, giustificazione di violenza, che di verità, è dell’imperatore tedesco al tempo della lega europea contro la Cina (1900): die gelbe Gefahr.
Perkins: (riscaldamento alla): cioè a termo-sifone, (vapore, acqua) por appartamenti: dal nome dell’inventore.
Periculum in mora: lat. nell’indugio sta il pericolo.
Perinde ac cadàver: lat., proprio come un cadavere: formula iperbolica della sottomissione assoluta alla volontà dei preposti. Leggesi nella Regola di S. Francesco d’Assisi, ma ebbe rinomanza solo per l’applicazione che ne fecero i gesuiti.
Periodica: parola del dialetto napolotìino che significa festicciuola, ritrovo familiare, ogni certo periodo di giorni.
Periòstio: gr. [testo greco], term., anat., membra fibrosa che ricopre le ossa e contribuisce al loro sviluppo e alla loro nutrizione. Periostite = la malattia del periòstio: nome generico dato a tutte le infiammazioni acute o croniche del periostio.
Periostite: V. Periostio.
Periscòpio: che vede attorno, voce foggiata dal greco e detta di certi apparecchi nelle navi sottomarine per dirigerne il corso. Sono basati su la rifrazione dei raggi.
Peritale: agg. del linguaggio forense ed amministrativo; che si riferisce a perizia, es. prove peritali.
Peritare: verbo neol., valutare, estimare, far perizia.
Peritiflite: voce medica da [testo greco] = attorno e [testo greco] = cieco: infiammazione del peritoneo che circonda l’intestino detto cieco.
Perizia: voto di persone pratiche, detti periti, intorno ad una data arte o scienza su cui è controversia, o per accertare un fatto. Deriv. neologici, periziare e peritare.
Perizia arbitrale: nomina di un perito arbitro, la cui sentenza non si può impugnare se non per manifesta iniquità.
Periziare: altro neol. per far perizia.
Periziore: latinismo peritiorem = più perito, cioè perito arbitro o superiore ai periti: tale il giudico. Voce curialesca.
Per la contradizion che nol consente: Dante, Inf. XXVII, 120. Così dice il Diavolo a S. Francesco portando all’inferno l’anima di Guido feltresco, il quale non potea operare il male e insieme pentirsi, cioè salvarsi. Formula logica, rimasta popolare, almeno fra la gente di media coltura.
Permè: voce milanese recente, non notata nò nel Cherubini né nell’Angiolini; vale mezza porzione e, con grossolana arguzia, dicono anche in senso figurato in vece di saggio, campione. Altri scrive, secondo etimologia, per me.
Per: nel frontespizio dei libri invece di da è gallicismo brutto foggiato sul par francese: del resto si potrebbe difendere come arcaismo (in latino il mezzo con persona esprimesi con per) o sostenere come elegante forma classica nostra. Tutto si può difendere; vero è che questo per sembra voler dire eziandio a vantaggio dell’autore: anfibologico, dunque, senza contare che il per classico ha altro uso e snellezza. Questo goffo per non è oggidì più molto usato, anche perchè si costuma mettere il nome dell’autore in testa del frontespizio. | Il per in corrispondenza di troppo è locuzione francese, anzi «puzzolente francesismo». (Fanfani). Es. È troppo astuto per essere ingannato, deve dirsi: è tanto astuto da non poter essere ingannato, oppure è così astuto che è impossibile ingannarlo. Ma l’uso ha virtù di togliere persino il puzzo.
Perpetua: nome di creazione geniale come altri nomi de’ Promessi Sposi: Don Abbondio, Azzeccagarbugli, etc. Perpetua è la serva-padrona di Don Abbondio, ed è passata in proverbio per indicare specialmente le domestiche, già oltre alla età sinodale, de’ sacerdoti. V. Pareri di Perpetua (i).
Performance: vocabolo inglese, letteralmente = rappresentazione. Da noi si usa molto per indicare un fatto, un avvenimento, una prova di sport [come la corsa di un corridore o di un ciclista, il galoppo ottenuto da un cavallo etc., p. es. si dice: «abbiamo assistito ieri a una bella performance del tal corridore, che ha fatto il tal percorso in tanti minuti....» o anche: «la sua performance (= risultato ottenuto) è stata di tanti Km. all’ora»].
Per quel che fa (o che dà) la piazza: propriamente secondo il prezzo del mercato: e per estensione, secondo le condizioni di tempo, di luogo, di costume: modo nostro familiare, vale come, così così, non c’è male, o conviene contentarsi.
Persecuzione (delirio di): tra le varie forme di delirio, la più frequente e persistente è quella per la quale il malato attribuisce le sue pene, turbamenti, terrori etc., all’opera di occulti nemici. Senza però ricorrere ai casi tipici di pazzia da manicomio, esiste se non il delirio, il sospetto di persecuzioni in molte persone che passano per normali e sane, e mi piace aggiungere che non sempre la malattia è cagione di tale sospetto.
Personale: agg. sost., per indicare tutti coloro che sono addetti ad un publico ufficio, è il personnel francese. Brutta voce burocratica. La mia opinione personale, per la mia propria opinione è modo di dire ripreso dai puristi come gallicismo.
Pertransiit benefaciendo: lat. passò operando il bene: dotto primamente come sintesi della vita di Gesù Cristo. Mirabile locuzione, spesso ripetuta come frase fatta.
Perù: nella locuzione vale un Perù, V. Eldorado. Valere un Perù dicesi di solito ironicamente.
Per un punto Martin perse la cappa: punto qui sta latinamente per punteggiatura. Allusione al noto verso scritto su la porta della badia di cui era abate codesto Martino. Porta, patens esto, nulli claudatur honesto, (porta, sta aperta, non chiuderti ad alcun galantuomo) mettendo invece la virgola dopo nulli, il verso viene a dire: porta, non aprirti ad alcuno, chiuditi ai galantuomini. Per tale errore, volontario o fortuito, la leggenda narra che Martino perde la dignità del suo grado. V. Anecdotes historiques di Etienne di Borbone, domenicano del sec. XIV. Altra leggenda v’è pure in italiano. V. Fumagalli, op. cit.
Perversione: voce universale scientifica: (lat. perversio = sconvolgimento) vale come depravazione o degenerazione o alterazione patologica degli istinti, dei sentimenti, delle idee. La perversione del senso morale si riscontra in molti casi di isterismo e di pazzia, detta appunto «morale». Così le perversioni sessuali sono state studiate come sintomo di malattie mentali. (Ahimè quanto pochi i veramente sani!)
Pesage: fr., dicesi anche recinto del peso. Nelle corse è come sarebbe la sacrestia nelle chiese, il sancta sanctorum. Quivi, nel pesage, si pesano i fantini, si contemplano i cavalli etc. ed è così onorevole luogo che chi vuol entrare paga di molto, ma può imparare eziandio molte cose (eccettuata la lingua italiana).
'Pescagione' e pescare: detto delle navi, indica la misura dell’immersione dello carene nell’acqua.
Pesce d’aprile: fr. poisson d’avril, in tedesco Aprilscherz: noto scherzo di far correr la gente il dì primo d’aprile con falsa notizia. Da che proviene la locuzione? V’è chi spiega poisson d’avril come una corruzione di passion d’avril, perchè Cristo passò da Erode a Pilato e ciò avvenne in aprile: altri perchè il sole entra nella costellazione dei Pesci, altri dà spiegazioni che sembrano più inventate per ispiegare che persuasive. Cfr. Pico Luri da Vassano, op. cit.
Pesce grosso: è in natura quello che mangia i piccini, onde il bellissimo nostro motto il pesce grosso divora il piccolo: per estensione metaforica si dice pesce grosso di coloro che nella vita prendono assai posto e per reputazione, autorità, forza, potrebbe divorare e divorano infatti, moralmente, i propri simili.
Pesce: nel gergo degli stampatori è il salto fatto nella composizione, l’opposto del doppione, che è la parola o la frase stampata due volte.
Peseta: diminutivo di peso = moneta: voce spagnuola che significa una moneta d’argento del peso di cinque grammi e del valore di quattro reali. Oggidì è la unità monetaria della Spagna: press’a poco la nostra lira.
Peso: per pesante, «più comune e popolare», avverte il Petrocchi. Così a Firenze e nei volgari di alcune regioni: ma comunemente si dice pesante.
Peste: lat. pestis = flagello. Nome in antico dato a tutte le grandi epidemie. Dicesi oggi specialmente della peste bubbonica: malattia infettiva, epidemica, contagiosa, caratterizzata da acuta febbre, bubboni, emorragie. È dovuta ad un microbo speciale, il bacillo di Yersin.
Petente: Per richiedente «latinismo crudissimo usato per colui che chiede alcun che con istanza» (Rigutini). Anzi tanto crudo che non è digeribile. Ma non mi paro molto dell’uso.
Pétillant: scoppiettante, crepitante, sfavillante, lucente, vivace. Voce francese abusivamente usata talora in certo linguaggio.
Petit-bleu: nel gergo francese familiare, vale dispaccio (dal colore della carta).
Pètite et dabitur vobis: chiedete e vi sarà dato. Evangelo di S. Matteo, VIII, 7.
Petitio principi!: V. Petizione, etc.
Petit maître: dicesi di giovane che affetta gran sicurezza e pretensione: è una di quelle felici parole francesi le quali si sono da tempo imposte e sono accolte anche da buoni scrittori, pur non mancando modi nostri equivalenti.
Petit sou: fr., soldino.
Petizione di principio: sofisma che consiste nel supporre come dimostrato ciò che è da provarsi (lat. petitio principii; dal greco [testo greco] Aristotile).
Pettinatura alla Brutus: dicono i barbieri francesemente quelle co’ capelli a spazzola. Tale denominazione classico-romana è del tempo della Rivoluzione francese, quando le code, i tuppè, i ricci, la cipra furono aboliti e onorata invece, nei nomi e nelle fogge, l’austerità republicana dell’antica Roma.
Pettine: V. Pecten. È detto pettine per la forma di una delle valve, festonata in modo da aver sembianza di pettine. Gli altri molluschi bivalvi che sono privi di questa valva così formata e non hanno la sporgenza ove è la cerniera, non sono detti pettini; ma hanno nomi vernacoli, come cappa, peverazza o poverazza, calcinello, sul litorale adriatico.
Pezza processuale: nel gergo forense vale le pagine del processo penale. Influsso del nome fem. fr. pièce.
Pezze giustificative: fr. pièces justificatives, documenti che servono a giustificare un fatto.
Pezzi grossi: termine nostro volgare per indicare le persone di molta autorità e potenza, quelle che fanno a loro talento la pioggia e il bel tempo.
Pfennig: moneta minima divisionale germanica: la centesima parte del marco, cioè un quarto di più del nostro centesimo.
Pfui!: esclamazione di repulsione e di spregio presso 1 tedeschi.
Phaéton: V. Faetòn.
Philister: = filisteo: voce tedesca, usata per significare il borghese pacifico, un po’ gretto, un po’ rustego, misoneista, come si direbbe oggi, cioè alieno e sospettoso del movimento moderno. Per gli studenti germanici, viventi in ispecié di corporazioni, è dichiarato Philister, sia chi non appartiene più al ceto studentesco, ovvero sia chi è nemico degli svaghi e degli allettamenti giovanili. Dell’origine di questa parola V. Il dizionario della Conversazione del Meyer. Tale uso del vocabolo risale al 1785, e probabilmente si rapporta a contese studentesche contro popolani nella città di Iena, ove i nemici agli studenti ebbero per reminiscenza biblica il nome spregiativo di Filistei.
Physique du rôle: locuzione francese frequente, usata tanto sul serio come per giuoco, per indicare che una tale o un tale par nato, cioè ha l’aspetto adatto alla parte (ròle) che deve rappresentare nella commedia del palcoscenico o in quella maggiore e tragica, talvolta, della vita.
Piace a me e basta: risposta di A. Depretis, ministro, rimasta viva talora nell’uso e nei ricordi del Parlamento.
Piancito: voce regionale per pavimento.
Piada: specie di pane azimo in forma di schiacciata o spianata sottile, cotta sul testo: costuma nel contado riminese. La ricorda il Pascoli leggiadramente ne’ suoi Poemetti, ove la lirica intitolata il Desinare portava nella prima stampa il titolo di Piada. Dal latino pàtena?
Pianger miseria: locuzione familiare dolersi delle proprie strettezze e delle molte necessità: ma solitamente si dice di chi ad arte si infinge di essere bisognoso.
Pianta: per ruolo. Voce del gergo burocratico.
Piantar baracca e burattini: lasciar che tutto vada in malora, abbandonare all’incuria, o per malanimo o per dispetto. Modo nostro volgare e comune.
Piantar carote: infilar bugie, dirle o sballarle grosse.
Piantonare: V. Piantone.
Piantone: per soldato di servizio, senza armi è il fr. planton. Essere di piantone, fr. être de planton. In italiano piantone vale pollone. Il verbo piantottare per guardare, sorvegliare impedendo, non è, che io mi sappia, in francese.
Piarda: parola usata nell’idraulica padana per indicare la scarpata che sta tra il pelo dell’acqua ed il ciglio del piano, sommerso solo nelle piene.
Piattaforma: per caposaldo, base di un programma politico, è neologismo che dall’America derivò all’Inghilterra: platform = a declaration of principles^ political, religious, or otherwise.
Piattello: V. Pitocchetto.
Piatto: in fr. plat, figuratamente vale inelegante, volgare (cfr. Platitude). Tanta è la forza dell’influsso francese che trovo scritto in un libro piatto realismo. A questo punto si arriva!
Piatto forte: il piatto più sostanzioso di un pasto: dicesi anche in senso esteso e figurato, specie quando vi si vuole aggiungere del caustico. Piatto forte è quello che i francesi dicono pièce de résistance.
Piazza (la): in certe locuzioni, come comanda la piazza, far quello che vuole la piazza, vale il popolo, ma inteso nel mal senso di plebe, o rappresentanti di plebe, con speciale significazione di spregio alla ignoranza, volubilità, prepotenza delle moltitudini, agitate dalle passioni.
Piazza: per posto, es. letto a due piazze, trovare una buona piazza, e peggio ancora, far piazza per fare posto, sono locuzioni volgarissime, entrate pur troppo anche nell’uso del popolo, specie delle grandi città. Dall’uso del francese place. | I comici, i giocolieri etc., chiamano la piazza, la città od il villaggio dove esercitano la loro arte.
Piazzare: voce dello sport. Con questo barbarismo si stabilisce l’ordine con cui cavalli o corridori passano il traguardo alla meta. Quelli che arrivano primi, generalmente non oltre il tre, si chiamano piazzati.
Piazzare: per mettere in posizione, collocare, brutto neol. dal fr. placer.
Pìazzista: agente di commercio che fa affari per conto di terzi nella città o circondario.
Piccante: è considerato dai puristi come gullicismo (piquant) non in sè, ma per l’uso che se ne fa in vece di arguto, mordace, bizzarro, curioso, frizzante etc. Es. un’avventura piccante (contiene in sè l’idea di fatto licenziosetto, gustoso; non è così?). Anche aria piccante (parmi raro) salsa piccante, per aria frizzante, salsa forte sono locuzioni riprese. Voce dell’uso.
Piccarsi: per pretendere, ha esempi classici della fine del ’500. Trovasi registrato in ogni lessico, fr. se piquer = se vanter, avoir des prétentions à.
Piccato: fr. piqué: punto, offeso, indispettito. Nel linguaggio della cucina alcune carni diconsi piccate in vece di lardellate, isteccate, che è dal fr. piquer. Francesismo già notato dal Cherubini nel suo diz. milanese.
Picchetto: per piolo, paletto, cavicchio, è il fr. piquet. Lo accoglie il Petrocchi: «quei legnetti che si piantano in terra per tener salde le tende de’ campi», di fatto è voce specialmente militare, come è del linguaggio militare picchetto per piccola guardia o drappello di soldati; uffiziale di picchetto, cioè ufficiale della guardia, che così si dovrebbe dire, ma non si dice sì perchè nessuno intenderebbe in tale senso, sì perchè quando si ricevono istituti dall’estero, è necessario far buon viso alle parole straniere, e noi togliemmo i nostri istituti militari dalla Francia, anzi la Francia, prima con Napoleone, formò un esercito nazionale italiano. | Picchetto è pure una nota specie di giuoco con le carte: sempre dal francese. (V. piquet).
Piccioletti ladruncoli bastardi: così chiude, fremendo, il Carducci il 2° sonetto della collana (Heupudor!) in Giambi ed Epòdi, e vuole indicare i moderni ladri del publico erario o i ladri in guanti gialli, da l’aurea lente all’occhio (caramella), concussionari, barattieri. V. Deplorato, Salvataggio, Succhione, Oportet ut scandala eveniant.
Piccioletto verso: dicesi in vario senso, e si logge nel Carducci, Idillio Maremmano:
che sudar dietro al piccioletto verso!
meglio oprando obliar, senza indagarlo
questo enorme mister de l’universo!
Picciotto: voce napoletana che significa persona di grado inferiore nella Camorra. V. questa voce. Nel dialetto siciliano picciottu vale ragazzo, giovane.
Picco: nel linguaggio marinaresco è il mezzo pennone che si appoggia all’albero e serve ad inferire la randa. Andare a picco = affondare. Dicesi anche andare per occhio. «A picco, spiega il Guglielmotti, vale a piombo, verticalmente chè le cose appiccate cadono a perpendicolo, quindi profondarsi a piombo nel mare». Picco per punta di monte erta, difficile ad ascendere, in forma di guglia è notato dai puristi (fr. pic), e così è notato il detto modo avverbiale a picco per a perpendicolo (fr. à pic): l’uso sancisce tale voce, registrata del resto in ogni lessico moderno.
Piccolo: così è chiamato negli alberghi e ne’ caffè dell’Alta Italia il garzoncello che fa il suo tirocinio aiutando e servendo il cameriere. Questo vocabolo piccolo, in tale senso, è usato anche in Germania.
Piccolo circuito: meglio corto circuito (elettrotecnica): vuol dire interposizione di un conduttore di poca resistenza fra due reofori: ne consegue riscaldamento ed incendio. Ciò può avvenire tanto per causa involontaria come per imperizia. L’incendio della preziosa biblioteca di Torino (1904) fu dovuto a tale causa. V. Corto circuito.
Pick-frean: noto termine inglese di pasticceria; e sono così detti certi biscottini bianchi, chiusi in lattoni, di varie forme geometriche, abilissimamente preparati con farina e latte, così da resistere per grande tempo e reggere alla più grande esportazione. Non piccola fonte di lucro per quel popolo industre!
Pick-pocket: parola inglese che vuol dire alla lettera becca-tasche, cioè il nostro borsaiuolo o tagliaborse. La parola pick-pocket è registrata nei dizionari francesi, ed i tagliaborse di Londra hanno nominanza di veri artisti del genere. Considerando però che questa comoda industria è anche italiana, e come destrezza anche da noi non si canzona, così la voce inglese deve ritenersi superflua, se pure non è detta con riguardo ai borsaiuoli stranieri.
Pictoribus atque poetis: ai pittori ed ai poeti sempre fu concessa una ragionevole facoltà di osare ciò che più loro piacesse. Così Orazio nella sua Arte poetica concede agli artisti libertà piena di concezione: ma entro i limiti del vero e del ragionevole.
Pidria: voce antica e ampiamente dialettale, non registrata: vale imbuto e più specialmente quel largo imbuto di legno che s’usa pel vino e che toscanamente si dice pévera. Pidrioeu, in milanese, pedriolo in Romagna.
Pièce: parola francese dai molteplici significati che in senso generico vuol dire parte di un tutto: in italiano, pezzo. La etimologia è incerta e difficile. Pièce in francese si dice di ogni oggetto che forma parte di un insieme, così pièces son dette le stanze di un appartamento; pièce, un’opera drammatica, musicale etc.
Pied-à-terre: alloggio in città o luogo ove non si dimora abitualmente, ma di passaggio. Es. ho un pied-à-terre a Milano. Per erronea significazione udii dire a Milano pied-à-terre, per umile, pedestre, gretto, detto di persona. In francese è terre à terre: aller terre à terre = faire peu de progrès, avoir des vues peu élevées. (V. Notes, Conteur etc.).
Piede: come misura inglese (foot) vale m. 0.3048. Come è noto, gli inglesi non hanno ancora aderito al sistema metrico decimale e conservano le loro antiche misure.
Piede di casa: l’economia domestica, il treno di casa. Il senatore Giuseppe Colombo trasportò questa locuzione lombarda al senso politico (1889) per indicare una politica di economia nazionale e di spese conformi alla potenzialità ed ai reali bisogni della nazione. La politica del piede di casa, per gli oppositori volle indicare una politica gretta e inadeguata all’avvenire di una grande nazione.
Pierreries: dice francesemente talora la gente mondana ed elegante invece dell’italiano, pietre preziose.
Pierrot: nome fr. (diminutivo di Pierre = Pietro) di nota maschera; abito e volto candido; anima candida e maltrattata. Di origine italiana. Comune travestimento di carnevale.
Piétiner sur place: locuzione del gergo francese: ne pas avancer, perdre son temps à des riens; non concluder nulla. Pietiner (da pied) vale calpestare, muovere i piedi, dunque fare come i guerrieri del palco scenico col loro partiam! partiam! e sono sempre lì.
Pietra: molte locuzioni proprie e figurate sono fatte con questa parola: pietra angolare o fondamentale = prima pietra di un edificio, e con senso mistico e figurato, base, fondamento, cfr. il motto evangelico: tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa. S. Matteo, XVI. Pietra filosofale: preteso segreto degli alchimisti di trasformare i metalli in oro. Dicesi fig. di cosa rara e preziosa, anzi introvabile. Pietra dello scandalo, espressione figurata tolta dall’Evangelo che vale, cagione di scandalo. Pietra miliare, che segna il progresso nella via; e fig. fatto o persona che segna il progresso umano. Prima pietra, quella che collocasi con grande solennità nel luogo ove deve sorgere alcun monumento o nobile edificio. Formansi locuzioni molte, come: portar la sua pietra ad un edificio = cooperare ad una data impresa: mettere una pietra sul passato = seppellire la memoria di un fatto, specie di fatto triste per cominciar vita nova: gettar la prima pietra = accusar per primo. Cfr. S. Giovanni, 8: Qui sine peccato est vestrum, primus in illam lapidem mittat, etc. Locuzioni, del resto, notate in ogni buon lessico.
Pigiama: voce straniera della moda maschile (credo anglo-indiana): indica una specie di corpetto con brache da portarsi, giacendo o dormendo, dagli uomini: lo stesso indumento, ma unito, in uso dalle donne inglesi invece della camicia da notte, è detto combination.
Pigliar con le mode (da): si pigliano con le molle le coso sudice, e moralmente si dice di persona abbietta e spregevole il cui contatto profanerebbe. Locuzione familiare: dicesi anche di errori grossolani.
Pigliare una gatta da pelare, o a pelare una gatta: accingersi ad impresa penosa e che riuscirà a danno (antica locuzione familiare). V. Gatto.
Pigliar la lepre col carro: locuzione nostra familiare: usare gran circospezione, andare adagio, con prudenza.
Pigotta: in milanese vale bambola, pupa. Pigotta de Franza, nel ’700 e oltre, ora detto il Figurino della moda: nel dialetto Veneziano, piavola de Franza.
Pii desideri: desideri che non escono dallo stato di voto. Si dice ironicamente. V. Fumagalli, op. cit., Pia desideria.
Pilaf: specie di risotto, comunissimo in Turchia, cotto di solito nel brodo di castrato, a volte con entro del pollo.
Pilotare: dal fr. piloter, ingl. to pilot, far da pilota, guidare temporaneamente un naviglio per passi, canali, porti difficili. Brutto neologismo giornalistico, probabilmente effimero. Pilottare per noi è l’ungere l’arrosto.
Pilsen: nome di una birra leggera frizzante e bionda, assai comune oggi in Italia: prende nome dalla città di Pilsen in Boemia ove si fabbrica.
Pimento: è il pepe di Caienna: e l’una e l’altra parola occorrono in senso traslato e morale per indicare «eccitamento, allettamento, stimolo afrodisiaco» .
Pimpant: del provenzale pimpar, pipar = render elegante; altri da pompant forma corrotta da pompe = pompa: termine familiare francese, detto di persona vestita in modo ricercato e vistoso.
Pimperimpara (polvere di): motto dei giocolieri, con valore magico, quando fanno loro arti di prestigio. Dicesi familiarmente e per scherno di rimedio buono a nulla. In fr. poudre de perlimpinpin.
Pince-nez: fr., occhiali (a molla).
Ping-Pong: (vocabolo ingl. onomatopeico) indica una specie di gioco di società che assomiglia al Tennis (Pallacorda), ma si gioca sopra una tavola, con piccole palle e di celluloide e piccole racchette o spatole di legno (dette in inglese bats). Per le regole di questo giuoco V. il manuale: Ping-pong, by Arnold Parker, London T. Fisher Unwin, 1902. Dicesi anche Table-Tennis.
Piombo (cappa di): dicesi di insopportabile peso morale. Dev’essere reminiscenza delle orrende cappe di piombo cho Dante pone agli ipocriti.
Pioniere: fr. pionnier (da pion, piéton, in italiano pedone) operaio, soldato che apre il cammino; guastatore come ben suggerisce il Fanfani. Ma oggi «pioniere» forse per similitudini dei coloni che avanzavano incivilendo e riducendo a coltura le vergini terre d’America, vuol dire più nobile cosa, cioè colui che audacemente avanza, aprendo la via delle idee. Pioniere della civiltà! frase fatta, locuzione abusata! In buon italiano araldo, antesignano.
Piovere sul bagnato: bella locuzione nostra popolare, e dicesi quando a disgrazia si aggiunge disgrazia; male cade su male, e minore diviene la resistenza del sopportare e consolarsi.
Piovorno: antica parola rinnovata dal Carducci in Miramar, (Odi Barbare) e vi nota: «mi tengo di aver rinnovato un bel aggettivo dantesco del verso 91 del XXV Purg., se non che io in vece di piorno vorrei poter leggere e senza esitazione scrivo piovorno che è la forma integra, come parmi d’aver sentito dire alcuna volta in contado non so più se di Toscana o di Romagna. Aer piovorno vale pieno di nuvoli acquosi, altro, insomma, da piovoso».
Piovra: dal fr. pieuvre, etim. a polipo. Animali molluschi cefalopodi che vivono nel mare e raggiungono talora proporzioni enormi: forniti di grandi tentacoli con ventose, con questi istrumenti si procacciano il cibo. Dicesi piovra per estensione figurata per significare persona o istituto che strugge e assorbe inesorabilmente altrui. Vittore Hugo estese a tale senso la parola pieuvre. In senso più mite e tenue noi diremmo sanguisuga, mignatta, se non che queste due voci hanno piuttosto inclusa l’idea della seccatura che del vero e grande danno. V. Succhione. Ancora: pieuvre = femme galante qui vide la bourse e la cervelle de ses adorateurs. Così nel gergo francese e così pure piovra talora presso di noi.
Pipa: genere di anfibi anuri del Brasile e della Guaiana, simili a grossissimi rospi.
Pipare o far la pipa: nel dialetto marchigiano e romanesco vale boccheggiare, e si dice degli animali in fin di vita: locuzione volgare dedotta manifestamente dalla simiglianza che il muovere delle labbra di chi muore ha con l’atto di chi tira il fumo della pipa.
Pipelet: voce del gergo parigino, in vece di portier, concierge. Deriva dal nome di un goffo portinaio ne’ «I Misteri di Parigi» di E. Sue. Ha senso ingiurioso, almeno così dicono i dizionari del gergo (d’Argot). Da noi si usa talvolta per celia in vece di portinaio. V. Concierge e Suisse.
Pipi: V. Appendice. (Nel Giambo A proposito del processo Fadda il Carducci in vece del verso che si legge:
qualcosellina al sole
Piqué: dal verbo fr. piquer = punteggiare o picchiettare, è nome di una nota stoffa, di cotone, formata di due tessuti: il superiore tramato a rombi o quadratini con filo fine, e forma il dritto, l’altro con filo grosso, e forma come l’imbottitura. Adoperasi per sottogonne d’inverno, bavaglini, sottovesti etc. Da noi scrivesi anche piquet che in francese ha diverso senso: ma la libertà nostra di scrivere le parole come più talenta, è assai grande.
Pique-nique: «merenda, colazione o sollazzo» in cui ognuno paga la sua parte o porta qualcosa da mangiare. Vocabolo di introduzione recente nella lingua francese. Il dizionario dell’Accademia non lo registra che nell’edizione del 1740. Scrivesi anche pic nic. In inglese è pick-nick. Il motto pare di origine inglese, almena stando alle più probabili etimologie, per le quali cfr. lo Scheler. In italiano si dice fare alla romana, quando ognuno paga il suo, in toscana dicono a testa e borsa Vero è che pique-nique indica anche pranzo, refezione, il che non è delle locuzioni nostre, e come tutte le voci francesi o inglesi, include idea di mondanità o di eleganza. Pique-nique udii dire in vece di pick frean, errore dovuto alla somiglianza dei due suoni.
Piquet: giuoco francese assai complicato: si fa con 32 carte, cioè scartando i 2 e i 4. Si va a 100 o a 150 punti, perciò in molti luoghi è detto Cento o Centocinquanta.
Piramidale: detto per grandissimo e per lo più in senso faceto, ricorda la voce di gergo fr. pyramidal = énorme., colossal. V. Colossale.
Pirchio e pircio: avaro, tirchio. Voce antiquata, viva però nei dialetti dell’Italia centrale.
Pirelli: voce effimera del gergo lombardo per indicare l’imbottitura di gomma che talvolta usano le donne (da G. B. Pirelli, introduttore in Italia della industria e della tecnica della gomma).
Pirgopolinìce: è l’immortale spaccone plautino, protagonista della commedia Miles Gloriosus. V. questa parola. Qui aggiungerò come alcuni dotti negano che il Capitan Fracassa della Commedia d’arte del 500 nostro sia una derivazione dell’antico Miles Gloriosus. Cosa difficile ad affermare o negare. Certo il Capitan Fracassa contiene altresì elementi di satira contro la spavalderia spagnolesca e diventa il bravo, il guappo, il camorrista, il Rugantino romanesco.
Pirlare: verbo dialettale lombardo (pirla): torcere, rotare. V. Plillare.
Pirodraga: V. Draga.
Piròsi: termine medico per indicare il bruciore di stomaco, da [testo greco] = brucio: senzazione di bruciore che parte dall’epigastrio e risale sino alla gola, accompagnandosi, talora, ad eruzione di liquido acido e bruciante. Sintomo di dispepsia.
Pirossilina: uno dei tanti nomi del cotone fulminante (noto esplodente).
Pirouette: fr., non è infrequente, pur essendovi la parola nostra piroletta.
Pis alter (au): locuzione francese che pare più elegante, in certo linguaggio, delle nostre per mal che la vada, alla peggio dei conti, alla più disperata etc.
Piscinina: voce del dialetto milanese, piccina; e come piccolo vuole indicare il garzoncello dei camerieri negli alberghi e nelle trattorie, così piscinina è la aiutante delle sarte e crestaie, la bambina che fa le commissioni, porta le scatole, compra le colazioni allo operaie e adempie ad altri piccoli e non sempre leciti servizi. È, insomma, la futura sartorella o madamina, la crisalide in zoccoli, grembiule e testa scoperta. In francese, trottin.
Pissenlit: enfant qui pisse au lit; pisciotto, marmocchio, ma, come al solito, la parola francese pare più garbata, pur significando lo stesso.
Pista: il terreno battuto, destinato alle corse, specialmente ciclistiche: neologismo formato su la traduzione fonetica dal francese piste, la qual parola in italiano è pesta. Vale anche traccia, es. seguir la pista.
Pistolotto: corruzione di epistola. Dicesi con senso di spregio di lettere, articoli, scritto alcuno, specie di carattere polemico, cui si voglia togliere o che veramente non abbia alcun valore e non contenga alcun efficace ragionamento. Pistolotto, definiscono alcuni lessici per breve scritto.
Pistone: è in ogni lessico, detto di istrumenti musicali e della tromba dell’acqua: riferito a macchina in vece di stantuffo, deve essere dal fr. o dall’ingl. piston (dal lat. pinsere = pestare, pigiare).
Pitecàntropo: voce formata dal greco [testo greco] = scimmia e [testo greco] = uomo, uomo-scimmia. Si intende dai naturalisti per tale vocabolo, non gli uomini viventi, ma un tipo che sarebbe scomparso e segnò il passaggio evolutivo (filogenesi) fra l’antropomorfo e l’uomo. V. Homo Sapiens.
Pitèco: nome generico di scimmia, gr. [testo greco] lat. pithècium. Dotto titolo spregiativo, riferito a persona.
Pitocchetto o piattello: giuoco italiano di ventura o d’azzardo, che si giuoca in quattro. Distribuite nove carte a testa, ne rimangono quattro coperte. Per aver queste, si rinuncia, con iscarto, a quattro delle proprie e si offre a gara una somma oltre la posta. Se le carte così composte danno punti 35, (altrove 37) dello stesso seme, si vince la somma che è sul piattello, altrimenti l’offerta perduta aumenta l’intera somma che è nel piattello; onde il nome.
Pitone: genere di serpenti di gran mole, affini al boa, propri delle regioni torride.
Pittima: ottima voce italiana e dicesi specialmente nel parlar familiare di persona fastidiosa, noiosa, cacadubbi. Noto questa parola perchè osservai che molti la reputavano voce dialettale, quasi indegna del linguaggio letterario. È infatti voce del dialetto lombardo, del dialetto bolognese, petma, etc. Pittima propriamente è una specie dì empiastro onde dicesi, di persona fastidiosa, pittima, come familiarmente dicesi empiastro. Gr. [testo greco] = ciò che è sopraposto. V. ciò che è detto alla voce Schiampa.
Più meglio: «basterebbe, certo, meglio; ma il popolo in meglio non ci sente più tanto il senso comparativo. Così è: le parole si logorano come le monete». In tal modo annota il Pascoli in una postilla in Fior di fiore. Credo abbia torto non nello spiegare, ma nel giustificare l’errore.
Più vero e maggiore: locuzione per lo più usata in senso beffardo, formatasi dai versi del Carducci nella - forse - inopportuna Ode Alla figlia di F. Crispi.
Quando novello Procida
e più vero e migliore, innanzi e indietro
arava ei l’onda Sicula.
Alla figlia di F. Crispi.
Per la storia del motto, tanto era in quel tempo (1895) l’odio e la fazione contro il Crispi che, cosa incredibile, molti italiani si ricordarono della grammatica e accusarono il Poeta di un più maggiore o più miigliore che fosse: da ciò — forse — la popolarità del motto.
Più chiare e maggiori,
dice Dante parlando delle stelle. Purg. XXVII, 90.
Pivello: voce lombarda ed emiliana «tra noi modernissima che pare tratta dal Puellus de’ Latini» (Cherubini): dicesi di giovincello pretensioso per petulanza ed eleganza. In dialetto romanesco, pivetto = ragazzino.
Pizza: nome volgare di una vivanda napoletana popolarissima. Consiste la pizza in una specie di sfoglia o stiacciata di farina lievitata moltissimo. Cosparsa di pomidoro, formaggio fresco, alici, etc., a piacimento del cliente, mettesi al forno dove gonfia e cuoce lì per lì. Se ne fanno anche di dolci e finissime. Anche in altre parti dell’Italia centrale pizza è sinonimo di torta, ma non dolce.
Pizzardone: voce romanesca, la guardia di città (da pizzarda = beccaccino: allusione alla feluca in punta. Cfr. in milanese capellon, dalla tuba già usata dalle guardie municipali; la Gondoleta, a Venezia; La si decida a Firenze).
Pizzicato: «modo di suonare uno strumento a corde: queste vengono fatte vibrare col polpastrello della parte superiore del dito. Odiernamente il vocabolo, sostantivato, esprime pure un pezzo di musica». (A. Galli, op. cit.).
Pizzicarolo: voce romanesca: in toscana pizzicagnolo. V. Salsamentario.
Pizzico magnifico (pagare a): pagare a riprese, a volontà del debitore e senza norma di quantità e di data. Nel Veneto dicesi a pizego magnifico.
Pizzighino: specie di tresette in due. V. Terzilio.
Pizzutello: nome volgare di un’ottima uva da tavola, di buccia consistente, di polpa carnosa con acini lunghi. Il Lazio ne è il maggior centro di produzione.
Placard: fr., affisso, tabella.
Placer: parola americana, trasportata nell’inglese, giacimento aurifero.
Placet: (si prega di non pronunciare) placét essendo voce latina e non francese = piace). È la accettazione da parte della autorità civile del disposito della autorità ecclesiastica alla collazione di un determinato beneficio (minore). Questo placet (o regio placet) ha per effetto l’immissione in possesso dei beni materiali inerenti al beneficio stesso, necessari all’esercizio di detto ufficio. È in altri termini ciò che è l’exequatur, se non che questo è pei maggiori benefici.
Placidi tramonti: V. I placidi tramonti.
Plafond: V. Plafone.
Plafone: con tal brutto suono talora in Milano fanno italiana la voce dialettale plafon, dal fr. plafond, derivato a sua volta da plat e fond. È il soffitto o soppalco o stoiato fatto di cannucce intonacate di calce, che nell’architettura cittadina ha sostituito il lacunare e gli stucchi delle antiche architetture regali.
Plagas (dire): locuzione familiare: vale dir male, inveire, etc. Cfr. dire vaca e V. Raca.
Plaintif: per lagrimoso, lamentevole, è voce francese abusivamente usata.
Planche: fr. tavoletta.
Plancia: dal fr. planche, basso latino planca, in ispagnuolo plancha. È voce usata nel linguaggio delle caserme per indicare l’assa dove i soldati depongono i loro arnesi. Nel linguaggio dei giornali trovo spesso plancia nel senso di ponte delle navi.
Plaqué: V. Doublé.
Plaquette: voce fr., di gergo, abusivamente usata per opuscolo (petite brochure).
Plastron: ingl. e fr., dal basso lat. plastrum, it. piastra: dicesi nel linguaggio della moda di quella forma di cravatta a nodo fatto che ricopre lo sparato della camicia e si usa specie d’inverno. Dicesi anche degli abiti muliebri.
Platea: nel senso di piano delle fondamenta ove posano le fabbriche è voce classica che il Petrocchi si affretta, come suo costume, a collocare fuori dell’uso. Il fatto è che è invece dell’uso. Certo quest’uso deve essere ai nostri tecnici provenuto dall’imitazione del fr. platée. Sarebbe ad ogni modo non nuovo caso di belle parole nostre, richiamate in vita per effetto casuale della somiglianza tra le due lingue neo-latine.
Plateau: «un plateau d’argento, un bel plateau in regalo», dicesi nel ceto mondano. La voce nostra è vassoio, o piatto, o guantiera, o coppa.
Platitude: termine francese usato nel linguaggio aristocratico per indicare ce qui est plat dans les sentiments, cioè volgarità, semplicità, sciattezza. V. Piatto.
Platonico: come attributo di voto, desiderio, vale lieve, parvente, privo di ogni sforzo e intenzione di raggiungere la realtà. Senso esteso di platonico = ideale.
Plaudite, cives! lat., applaudite, o cittadini: clausola dell’antica commedia latina. Dicesi estensivamente, spesso per ironia.
Plètora: voce medica, dal gr. [testo greco] = abbondanza di umori e di sangue. Nel senso traslato e figurato è neologismo: probabilmente dal francese.
Pliant: in fr. vale che è agevole a piegarsi; qui est aisé à plier. Siège pliant o sostantivamente pliant., è chiamato quello sgabello formato di due telai incrociati o fissi per lo mezzo con una vite e tesi ad una estremità da un rettangoletto di tela su cui si siede: in uso in villa, al mare, su le tolde de’ bastimenti. Trespolo, capretta, iccase, brandina; ma prevale il francese pliant.
Plinto: lat. plinthus gr. [testo greco] = mattone: il piano inferiore dello colonne, de’ pilastri: dado, zoccolo di forma quadra: fr. plinthe.
Plissé: parlando di stoffe dicesi talvolta così francesemente in vece di pieghettato o increspato. V. Manteau.
Plongeur: nome francese derivato dal verbo plonger, immergere. Il pescatore di perle o di corallo che si tuffa e dura sott’acqua è plongeur; e così dicesi l’acrobata che salta a capo fitto dall’alto, su di una rete. L’italiano ha tuffarsi e attuffarsi; attuffatore lo si trova in qualche lessico, ma certo non è dell’uso.
Plotone: (V. Pelottone) è una parte della compagnia, comandata da un subalterno.
Plum-cake: nomo inglese di dolce: letteralmente focaccia di prugne (plum, lat. prunum, col cangiamento dell’r in l).
Plumeau: voce francese: «pennacchio per ispolverare».
Plum pudding: letteralmente bodino di prugne, classico dolce inglese, specialmente in onore per le agapi di Natale. È una specie di bodino cotto a bagno-maria con molte sorti di uva passa. Le prugne danno il nome al dolce, ma non c’entrano.
Plump: voce tedesca che vuol dire goffo; sembra rendere col suono un po’ della pesantezza e della mancanza di disinvoltura, teutonica.
Plus ça change, plus c’est la même chose: tale motto felice e amabilmente assurdo riconosce per padre Alfonso Karr, e per essere più nel vero, vuol essere preceduto da due paroline: en politique. Cfr. A. Karr, En fumant, Paris, Levy, 1861 pag. 54.
Plus valore: è il mehr Werth di Carlo Marx, da’ francesi tradotto in plus-valeur e in Italia divenuto plus-valore, avvertendo che quel plus non è voce latina ma francese: almeno così è probabile. La parola è difficile a spiegare. Secondo Carlo Marx anche il lavoro è una merce che nella e per l’umana società deve essere scambiata con altra merce di ugual valore. Ora il capitale comperando il lavoro, lo ricompensa in modo sproporzionato, cioè inferiore, giacchè obbliga il lavoratore a lavorare un tempo superiore a quello che gli è necessario per produrre la sua forza di lavoro, cioè i mezzi di sussistenza: la differenza non pagata, cioè una parte del valore prodotta dal lavoro che il capitalista gode, ma non paga, è il plus valore. Per tal modo si spiegano dal Marx gli enormi profitti del capitale. La teoria marxista del plus valore presuppone il concetto che il capitale sia lavoro passato e perciò non deva fruttare; e altri presupposti difficilmente accettabili pur bisogna fare. Non si dimentichi però che il Marx volle con cotesta sua metafisica filosofia combattere la tirannide capitalista della grande industria, e che se il dogmatismo può essere falso, ciò non implica che tutta la teoria sia falsa.
Pluteo: term. arch. del lat. pluteus = riparo, parapetto, spalliera. Vitruvio chiama pluteus una specie di balaustra che si collocava attraverso gli intercolonni dei templi e serviva come suggesto pei libri o piedestallo. Pluteo dicesi ora in taluni casi di scaffale di biblioteca.
Pneumatico: sost., il noto rivestimento di gomma delle ruote delle biciclette: (fr. pneumatique, e abbreviato pneu).
Pneumococco: o micrococcus Pasteuri; il microbio agente patologico della polmonite. V. Bacteri. Da [testo greco] = polmone e coccus, [testo greco] = nocciolo, granellino, che tale, press’a poco, appare la forma di questi bacteri.
Pochade: (propr. schizzo, abbozzo) è parola fr., divenutaci comune per indicare quella nota specie di commedia o farsa in più atti, dalle trovate inverosimili e dal fondo scurrile, scettico, elegante: delizia delle platee e corruzione, dicono, dell’Arte. Ve ne sono, fra le moltissime sciatte e plebee, di assai fini e felici per paradossali buffonerie. Spesso la pochade è, forse involontariamente, satira e rivelazione della morale utilitaria, borghese.
Podismo e podistico: due neologismi usati per indicare quella branca de’ giuochi ginnastici (sport) che consiste nel camminare e far gare a chi più resiste camminando, (gr. [testo greco] = piede). Brutti neologismi di diretta importazione francese, podisme, podiste.
Poetae nascuntur, oratores fiunt: lat., si nasce poeta e si diviene oratore: Vieta sentenza scolastica attribuita a Cicerone a Quintiliano.
Poignant: participio del verbo fr. poindre, pungere, dunque pungente; cioè straziante, doloroso, acuto, lacerante.
Poigne: nella locuzione A poigne. V. a questo motto. Locuzione effimera.
Point d’argent, point de Suisse: la più probabile origine della locuzione è che essa sia stata pronunciata dagli Svizzeri stessi quando si accomiatarono, non pagati, da re Francesco I di Francia (1521). Come è noto, al tempo della Rinascita e nell’evo moderno gli svizzeri andavano a stipendio militare. Il motto si ripete non tanto per significare la venalità di quel popolo, quanto nel senso che senza quattrini l’orbo non canta, cioè che nulla si fa senza denaro.
Pointer: letteralmente in inglese vuol dire che punta, quindi cane da fermo: sarebbe una specie di bastardo originario dal vecchio cane inglese, incrociato col volpino (fox-hound), ma perfetto ed omogeneo; anzi «un monumento artistico di valore inestimabile». per via di selezione. Così il Vecchio, con goffa iperbole, nel suo manuale Il Cane (Hoepli), pag. 159.
Point tournant: fr., epoca, punto ove la storia — quasi a dire — svolta e comincia nuovo tempo: «secol si rinnova». Ad as. il 5 Maggio 1789, il 20 Settembre 1870.
Pois: questa innocente parolina è stata per qualche tempo persecutrice di un amico mio, il quale non era molto pratico di francese e trovava nelle liste degli alberghi sempre questi pois e spesso petits pois. Lo giudicava un piatto di gran valore e specie quel petit lo metteva sull’attenti e però se ne asteneva. Quando conobbe che i pois non erano che dei piselli e dei pisellini ne fu assai lieto, molto piacendogli tale legume. | À pois chiamansi nel linguaggio della moda quelle stoffe che sono stampate con disegni a bollicine.
Poivre et sel: fr., pepe e sale, detto di color grigio.
Poker: vocabolo inglese usato per indicare un giuoco di carte che assomiglia al goffo, genovese, in grande uso presso gli americani, come il wist in Inghilterra.
Polarizzarsi: in senso morale (politico-sociologico) vale come orientarsi, convergere di anime e coscienze ad un dato punto, (come il polo è guida alle navi). Brutto neologismo. Polarizzare, detto della luce «significa ordinare le vibrazioni delle particelle di etere lungo un raggio luminoso per modo che tali vibrazioni si facciano normalmente col raggio tutte nella stessa direzione» (Murani). Questa parola ricorre con altri significati in elettricità ed in matematica.
Polarizzazione: l’atto del polarizzare.
Polemica: dal gr. [testo greco] = guerra, dicesi (e qualche decennio fa il vocabolo era di grande uso) di contese per le stampe, specialmente di carattere letterario. Onde le voci polemista, polemizzare.
Polena: term. mar., statua o busto, relativo al nome del bastimento, che sporge dall’estremità del tagliamare; ovvero adornamento di scoltura nel luogo istesso.
Poli: gr. [testo greco] = molto, prefisso usato in composizione di gran numero di parole, specialmente scientifiche, per indicare il concetto della complessità e moltiplicità.
Poliambulanza: recente istituto sanitario, specie nelle grandi città, in cui si curano e si dà consalto delle varie malattie ([testo greco] = molto) ambulatoriamente. V. Ambulatorio. Voce ripresa dai puristi, ma confermata dall’uso.
Poliandra: gr. [testo greco] = che ha (o richiede) molti uomini, detto di donna. V. Appendice.
Policlinico: da [testo greco] = molto e [testo greco] = letto. Stabilimento destinato alla cura delle malattie ed all’insegnamento pratico della medicina.
Poliedrico: fr. polyédrique, dai molteplici aspetti, come un poliedro.
Poliedro: questo noto termine geometrico spesso è adoperato neologicamente in senso morale per significare i vari aspetti e le molte facce di una questiono o di un fatto.
Poligrafare: trarre copio col poligrafo.
Poligrafo: per autore, scrittore che tratta di vari argomenti sarà di buona italianità, certo non è bello e ricorda ridicolmente quell’apparecchio di pasta di colla di pesce e di glicerina che serve a trarre copia.
Polìmero: (da [testo greco] = molto e [testo greco] = parte, quindi multiplo, molteplice) dicesi di «una sostanza che contiene gli stessi componenti di un’altra sostanza ma in quantità multipla: p. es. il glucosio (o zucchero d’uva) è costituito da carbonio, ossigeno e idrogeno come l’acido acetico, ma nella sua molecola vi è il triplo di ogni costituente. Così se la molecola dell’acido acetico contiene 2 atomi di carbonio, 2 di ossigeno e 4 di idrogeno, la molecola del glucosio contiene 6 atomi di carbonio, 6 di ossigeno e 12 di idrogeno. Queste due sostanze polimere hanno le stesse qualità di componenti (non la stessa quantità) ed hanno proprietà fisiche e chimiche differenti» (Molinari).
Polisarcìa: dal gr. [testo greco] = molto [testo greco] = carne. Sinonimo di obesità, che è un’ipertrofia generale del tessuto adiposo, cioè una malattia. Avviso a quei semplici che, vedendo alcuno pingue, se ne congratulano come di salute floridissima!
Politela: V. Thalweg.
Politica della foglia di carciofo: locuzione storica. Carlo Emanuele III re di Sardegna, successo al padre Vittorio Amedeo II (1730), seguì nella guerra intereuropea della successione al trono di Polonia le parti di Francia con la promessa che al finire della guerra gli sarebbe toccato il milanese. (Era un far conto su la pelle dell’Austria, alla quale pei trattati del 1713-1714, di Utrecht e Rastadt, era toccata la Lombardia). Alla sua volta l’Austria avea offerto patti anche più grassi per trarre dalla sua quel re, ma questi era solito dire che l’Italia era come un carciofo di cui bisognava mangiare le foglie a una per volta, cioè che per allora s’accontentava della Lombardia: detto che rimase memorabile e che «dimostra come già da tempo pensasse Casa Savoia alla unificazione d’Italia»: così i monarchici. Vero è che i republicani torcono la frase ad altro senso maligno, e riferendosi al recente regno di Vittorio Emanuele II, alludono al modo come tutta la penisola cadde sotto il dominio dei Savoia, un poco per volta.
Politica sporca: così chiama efficacemente il popolo gli artifici, le arti, le vili premure, fatte manifestamente per ingraziarsi altrui a proprio beneficio.
Polizia del costumi: i provvedimenti amministrativi contro la prostituzione, la stampa oscena e simili.
Polka: danza rapida, in dupla di semiminime; suo ritmo: una semicroma in levare, tre crome in battere, l’ultima delle quali col punto. Questa nota danza e musica di origine polacca, come dice il nome, fu introdotta in Francia nella prima metà del sec. XIX. Di lì, verosimilmente, in Italia. La scrittura polca, quale trovo nei dizionari moderni, parmi assai poco usata.
Pollice verso: lat., col pollice rovesciato, segno con cui nel circo romano si negava dal publico grazia o mercè al gladiatore ferito. La locuzione vive tuttora per significare in certi casi riprovazione, persecuzione, condanna.
Pollino: voce milanese, pollin, per tacchino, V. Dindo. Il Cherubini op. cit., scrive: «Il Pollin è da noi detto così pel verso che ei fa, e perchè imitando tal verso lo chiamiamo a noi gridando: Pol pol pol polì o poli poli, polì come «polì» fa il tacchino giovane. È però vero che molti anni sono l’ironia trasfondevasi dal volgo nella consimile voce allorché la usava per celia a indicare tutt’altro uccellaccio che non sia il tacchino», cioè l’aquila bicipite della Casa d’Austria. Ma il Cherubini stampava il suo bel Vocabolario nel 1841 e la prudenza nelle parole non era mai troppa. L’etimologia del Cherubini è assai dubbia, mentre soccorre l’altra più semplice, pullus = il nato giovine di ogni animale. Pollino, in italiano, è il pidocchio dei polli.
Polo: giuoco derivato dalle colonie inglesi dell’India, diffuso in Inghilterra, Germania, America del Nord. Consiste in una gara tra due squadre di cavalieri che, montando cavalli a ciò addestrati, si contendono una piccola palla con lunghi bastoni a punta ricurva.
Polo-bicicletta: giuoco del polo fatto con la bicicletta.
Polònio: si crede un elemento o nuovo corpo radio attivo, non ancora isolato. Scoperto e nominato Polonium in onore alla sua patria (la Polonia) dalla signora Sklodowska Curie. V. Radium.
Pomino: nome di vino toscano (non di vitigno, ma di luogo).
Pomo di Paride: il cherchez la femme (V. La femme) ha il più classico documento nella storia di questo famoso Pomo: senz’esso non sarebbe avvenuta la guerra di Troia, non la morte di Ettore, non il sacro romano impero, non avrebbe cantato Omero, non Vergilio avrebbe dettato l’Eneide. Mi si permetta tale facezia. Ma come è noto dalle antiche leggende elleniche, fa questo fatal pomo la cagione di tanto male e di tanto bene. L’antropomorfo Zeus (Giove), non volendo per sue buone ragioni di pace in famiglia decidere la questione della bellezza tra Giunone, Minerva e Venere, le mandò a farsi giudicare dal pastorello Paride che pasturava agnelle sul monte Ida. Paride era figlio del buon re Priamo, signore di Ilio (Troia). Ciascuna delle tre dee cercò di accaparrarsi il voto del giovanetto con vaghe promesse: la possanza, il genio offrirono Giunone e Pallade. Venere invece promise Elena, la bellissima, la figlia di Leda e di Tindaro, la moglie dell’infelice Menelao. E Paride non resistette e diè il pomo della bellezza a Venere onde le implacabili ire delle dee offese, il ratto di Elena, l’impresa di Troia e quel che seguì.
Pompa e pompare: per tromba e trombare sono gallicismi sanciti ormai dall’uso e registrati. V. Pompiere.
Pompadour (abito alla): cioè secondo lo stile e la moda di questa regina delle eleganze e delle grazie in Francia al tempo di Luigi XV di cui fu favorita (Giovanna Antonietta Poisson da Parigi, marchesa di Pompadour, 1721-1764). NB. Il nome di molte persone illustri, o storicamente celebri, rimase spesso consegnato a vesti, vivande, masserizie, etc. Vanità della vita!
Pompiere: voce ormai accolta e necessaria per indicare le guardie del fuoco o vigili. «In tempo del cessato Regno d’Italia, spiega il Cherubini, op. cit., il nostro Municipio istituì una compagnia militare di 100 giovani destinati a spegnere gli incendi, i quali furono denominati zappatori pompieri, dai ferri e dalle trombe (pompes, fr.) che adoperarono a tal uopo». Così ne vennero pur le voci nuove pompa e pompare (fr. pompe e pomper) invece di tromba e trombare.
Pompierata: facezia volgare o bisticcio; dal pseudonimo il Pompiere di uno dei collaboratori del Fanfulla antico (quando si stampava a Firenze). Voce effimera del gergo dei giornali.
Pompieristico: da pompiere. Es. gara pompieristica. Voce abusiva ed effimera: documento però, con altre consimili, della deplorevole libertà con cui si trattano da noi le parole.
Pompon: nappa, nappina; così di fatti si chiama nell’esercito quella pallottola di lana sul sommo del caschetto. Ma, come ornamento muliebre, prevale la voce francese pompon.
Poncho: pronunciasi poncio, ed è voce dell’America meridionale che significa una foggia speciale di mantello tutto di un pezzo con un’apertura nel mezzo per la testa. G. Garibaldi trasse d’America in Italia tale costume di vestito, e sol per ciò diè valore alla parola, e i diz. la registrano,
Poncio: V. Poncho.
Poney: nome inglese [pronuncia poni] di una razza di cavalli a lungo pelo, assai docili e di piccolo corpo, atti ad esser guidati da giovanetti e da donne. Sono originari di Scozia e d’Irlanda,
Ponte dell’asino: si dice di difficoltà grande che si incontra ad un certo punto, ma per gli inesperti soltanto ed i principianti. Questo ponte dell’asino sarebbe il noto teorema di Pitagora, primo passo difficile nello studio della geometria e che può porgere criterio su la capacità dello scolaro a proseguire in questa disciplina. Secondo altri pons asinorom è nome dato nel medio evo ad un diagramma illustrativo dei termini di un sillogismo. In fr. pont aux ânes ha lo stesso senso che in italiano e dal Genin è fatto derivare da un’antica farsa (Littré). In tedesco Eselsbrücken indica la traduzione letterale de’ classici per facilità degli scolari (Inertiae adiumentum). V. Bigino.
Ponte: nel ling. mar., indica ciascuno di quei piani orizzontali in cui è diviso lo scafo.
Pontificare: familiarmente si dice di quelle persone, dette intellettuali, che assumono abitualmente contegno e parole di somma e dogmatica autorità e dignità, a modo di Pontefici, Vale anche dominare nelle idee, nei consigli. (N. B. Il valore intrinseco non è necessaria condizione per pontificare, anzi!) Pontificare anzi è in tale senso tolta dal gergo francese, pontifier = se donner des aires importants, poser pour essayer d’en imposer.
Pontìle: chiamano in alcune regioni nostre quel ponte di asse che si getta dalla calàta al bordo delle navi o piroscafi che approdano. Serve per l’imbarco e lo sbarco. È voce buona, ommessa in molti lessici.
Pontone: barca di fondo piatto con la quale si gettano i ponti militari fr. ponton.
Pontoniere: per soldato addetto alla costruzione dei ponti, è dal fr. pontonnier.
Pope: scrittura fr. di parola russa, pop: vale curato, prete, e si dice familiarmente, cioè parlandone in terza persona.
Popòla: nel dialetto milanese vale ragazza, fanciulla; come popò vale bambino: cfr. il romanesco pupo (putelo, putela, in veneziano) dal lat. pupus, pupulus.
Popolari (i): i fautori o ascritti ai così detti partiti popolari. Cfr. questa locuzione.
Popolarizzare: neologismo frequentissimo e registrato, tolto dal francese populariser. La regina Margherita di Savoia nella pietosa sua preghiera per l’ucciso Re scrive al vescovo Bonomelli di volgarizzare e non popolarizzare detta preghiera.
Poppiere: marinaro di poppa, e dicesi in particolare del rematore che voga ai banco di poppa. Poppiero: attenente alla parte della poppa, così: Faccia poppiera della vela o dell’albero, Sistema velico poppiero, etc.
Populus Romanus.... moritur et ridet: il popolo romano.... muore e ride. Salviano. De Gub. Dei, lib. VII, e aggiunge: et ideo in omnibus fere partibus mundi risus nostros lachrymae consequuntur: ac venit etiant in praesenti super nos illud Domini dicium: vae vobis qui ridetis, quoniam flebitis.
Porchetta: così chiamano con voce volgare nell’Italia centrale una speciale maniera di ammanire il porco giovane, e consiste nel cuocerlo per intero infisso ad un palo, entro il forno con molte droghe e finocchio. Vendesi entro madie, spesso all’aperto. Cibo greve e appetitoso. Deve risalire a costumanze culinarie antichissime. Ricordo nella Gambalunghiana di Rimini questa curiosa monografia: Porcus Trojanus, o sia la Porchetta, Cicalata ne le nozze di Messer Carlo Ridolfi con Madonna Rosa Spina, Don Luigi Nardi, Arimino, 1813.
Pornografìa: per scritto o stampa oscena (fr. pornografie), non è voce registrata tra gli usuali diz. italiani e se notata, non è nel senso qui detto, ma nel senso meno comune di trattato intorno alla ’prostituzione o di tendenza a idealizzare le oscenità. Dal gr. [testo greco] = cinedo e [testo greco] = scrivo, tratto. Der. pornografico.
Porro unum est necessarium: lat., or d’una cosa solo fa bisogno (cioè amare il Signore Iddio e il prossimo, per essere salvi) così Cristo in S. Luca X, 42. Ripetesi il motto con altro senso, e il Porro unum acquistò forza di sostantivo per indicare condizione indispensabile.
Porta: aggiunto di scala aerea, che si arma e si adatta meccanicamente, pezzo per pezzo, su di un carro speciale: così detta dal nome dell’inventore Carlo Porta, operaio milanese (da non confondere col poeta omonimo).
Porta (la): o la Sublime Porta sono i nomi con cui in diplomazia è designata la corte ed il governo del Sultano. Cfr. [testo greco] = porta, corte (cfr. Anabasi, I).
Portafogli: dal portafogli usato dai ministri, la lingua francese estese il senso, come è sua natura, sino a significare l’ufficio, la funzione, la carica del ministro. Tale estensione è pure presso di noi, onde ministro senza portafogli (ministre sans portefeuille) colui che fa parte di un ministero senza aver funzioni amministrative. Portafoglio è ritenuta grafìa meno buona, certo è più dell’uso.
Portale: per portone, detto specialmente in architettura delle porte monumentali de’ templi, è il fr. portail.
Portare i calzoni: V. Calzoni.
Portare il cappello su le ventitrè: cioè inclinato, come appunto è il sole su le ore 23, nel tempo in cui si contavano le ore dall’una alle ventiquattro, cominciando dal tramonto.
Portare: per condurre è «alquanto» (Rigutini) abusivo, pure d’uso comune e familiare, e parmi pedanteria condannarlo se non forse in nobile scrittura. | Le locuzioni portare a credere (per conduce, dà, induce) portare a cognizione (per notificare, far noto) sono riprese dai puristi. | Portare deputato, designare, presentare come deputato.
Portar su gli scudi: fr. élever sur le pavois, antico costume dei Franchi di innalzare il re eletto su di uno scudo o pavese e così fargli fare il giro del campo perchè il popolo in armi vedesse ed approvasse.
Porte-enfant: voce foggiata alla francese e così comune che trapassò al dialetto: indica quel trapuntino, più o meno adorno, che si ripiega a mo’ di busta e serve a reggere i neonati. Borsa, borsa da bambino dice ancora taluno del popolo. V. Garde enfant.
Porter: nome dato ad una specie di birra inglese, assai scura e forte.
Porteur: per indicare il portatore che insieme alle guide aiuta a compiere le ascensioni degli alti monti, leggo e odo frequentemente usata la parola francese in cambio della italiana.
Port-hole: ingl., il finestrino tondo delle cabine dei bastimenti.
Portière: portiera, tenda, posta di solito davanti ad una porta, o per riparo dall’aria o per bellezza. Voce francese usata abusivamente.
Portina: voce dialettale milanese, vale battente dell’uscio.
Portland: varietà di cemento naturale inglese; nome dato poi a cemento artificiale di uguale composizione.
Porto (vino di): vino di Oporto: nota specie di vino di lusso portoghese, specialmente alcoolizzato per la esportazione.
Porto d’arme: fr. port d’arme: cioè la facoltà del poter portar armi, che i magistrati concedono a chi ne fa debita richiesta: tale locuzione sarà calcata sul port’arme, francese: vero è che di cotesto porto per portatura, il portare, che spiace al Fanfani, non manca di ottimi esempi classici.
Posa e posare: per aria, darsi aria, dell’aria sono voci riprese dai puristi come gallicismi (poser figuratamente vale se tenir dans une attitude trop étudiée): Posare una questione, per proporla è puro schietto modo francese.
Poseur: propr. colui che mette in posa ed è parola francese per indicare persona affettata nel parlare e nel comportarsi.
Positivismo: nome con nuovo senso dato da Augusto Comte (1798-1856) alla propria filosofia, la quale si fonda sul metodo e sul risultato delle scienze positive e sperimentali, matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia, sociologia, non tenendo conto delle speculazioni metafisiche. Più largamente dicesi di ogni filosofia la quale non ammette alcun principio se non rigorosamente dimostrato e fondato sui fatti. Nel senso popolare positivismo e positivista si dice di persona che cura anzi tutto l’affare, e in ogni calcolo e ogni operazione ha per obbietto il lucro, nè si lascia indurre da idealità o sentimenti. Uomo positivo per sodo, assennato, prudente, che sta al reale ed al fatto, spiace ai puristi, ma è una logica estensione del senso filosofico, e d’altronde la parola è nostra ed antica: positivo, da porre =. certo, reale, sicuro.
Posizione: nel linguaggio commerciale vale inserto, pratica, fascicolo, incartamento riguardante un affare od una persona. V. Incartamento e Dossier. Voce ripresa dai puristi.
Possibilista: nel linguaggio politico suona come opposto ad utopista, e si dice di chi si preoccupa sopratutto della possibilità di mettere in atto certe riforme.
Postaio: voce vernacola milanese (postèe): rivendugliolo di coso mangerecce.
Posteggiatore: suonatore ambulante di mandolini, chitarre, tromboni, etc. Così noi dialetto di Napoli, ove di cotesta gente è copia più che grande e ove il genio del canto e del suono è connaturato nel popolo, tanto che esso valso più di ogni altra gente italiana a persuadere agli stranieri che italiano e cantarino siano la cosa istessa.
Postergare: posporre, mettere dopo (dal lat. post e tergum) nel linguaggio notarile e degli uffici. Es. postergare un’ipoteca.
Post factum lauda: lat. aspetta a lodare, cioè: loda una cosa dopo averne visti gli effetti.
Post factum nullum consilium: lat., «cosa fatta capo ha», cioè «compiuta una cosa, è inutile tornarvi su: ciò che è, è».
Post fata resurgam: lat., «risorgerò dopo i fati». Uno dei molti motti della Fenice.
Post hoc, ergo propter hoc: lat. dopo ciò, dunque a cagione di ciò, noto sofisma, ripetuto spesso dagli antichi scolastici per designare l’errore di coloro che considerano come causa un fatto che non ha nessun rapporto causale, ma soltanto di precedenza di tempo. Qualche volta però si dice sul serio e non sempre il sofisma è ragionamento fallace.
Post núbila Phoebus: lat., dopo le nubi (la pioggia), il sole. Dicesi figuratamente.
Post prandium stabis, post coenam ambulabis: aforismo della scuola medica Salernitana: dopo il pranzo riposerai, dopo la cena passeggerai.
Posto di blocco: V. Blocco e Sistema di blocco.
Post prandium: lat., dopo il pranzo, il tempo lieto che sussegue a lauto banchetto.
Pot-au-feu: fr., nome di vivanda: lesso con verdura e legumi.
Potage: il potage de’ francesi, come dice il nomo stesso (da potare, lat. bere), non risponde se non in parte alla nostra minestra. Certo pei francesi il potage è la base del pranzo come da noi la minestra e senza di essa non sembrerebbe di pranzare. La differenza sta in ciò che per noi la minestra è abbondante, densa di riso o di pasta con uova e di legumi: può diventare anche minestrone, e per molte famiglie il desinare è tutta minestra. Nella cucina francese è un brodo leggero, anche se consommè, con varia arte condito di carni e rare verdure. Lo Scappi (op. cit.) in tal senso usa la voce brodetto.
Potea, non volle, or che vorria, non puote: verso sentenzioso del Clasio, Favole, I due Susini, rimasto popolare.
Potenza (ennesima) : dicesi in modo familiare e comune per grado massimo, cosa grandissima. Es. elevare all’ennesima potenza: locuzione tolta dalle matematiche, nella quale scienza la lettera n è usata per indicare un numero intero non determinato.
Potenziale: «(sostantivo): voce di elettrologia. Potenziale elettrico (o magnetico) di un punto è l’espressione del lavoro occorrente a trasportare, da quel punto, a distanza infinita l’unità di quantità di elettricità (o di magnetismo) vincendo la resistenza delle forze elettriche o magnetiche. (Aggettivo): voce di meccanica, a) Lavoro potenziale o lavoro disponibile, o quantità di energia che può raccogliersi per la condizione di un corpo quando questo è soggetto di forze che tendono a produrvi un dato effetto, mentre questo viene impedito — come può dirsi di una molla in istato di compressione, di un peso impedito da una fune di cadere, del vapore chiuso in una caldaia. b) Funzione potenziale: nella teorica della gravitazione universale è, ammessa vera la legge neutoniana, l’integrale, esteso ai limiti del corpo attraente, del prodotto dell’elemento della sua massa per l’inversa della distanza di esso dal punto attratto.» (F. Grassi).
Potere discrezionale: V. Discrezionale.
Potere irresponsabile: V. Irresponsabile.
Potin: voce del gergo familiare e popolare francese che vuol dire baccano, cagnara, pettegolezzo.
Pot pourri: piatto di varie carni condite e cotte, anzi sfatte (pourir) con vari legumi, ed è versione dello spagnuolo olla podrida. Figuratamente si dice di ogni composizione, specie letteraria, senza ordine, senza criterio di scelta, e senza gusto. Musicalmente pot pourri vale un pezzo strumentale composto di motivi di una di parecchie opere, od anche di temi di valzer, di marcie, di canzoni, etc. È una scelta di motivi favoriti.
Pouf: voce onomatopeica che indica il rumore d’un corpo che cade. Questa parola francese ci è comune per indicare un sedile in forma di cuscino, ovvero un divano rotondo con una spalliera a cilindro nel mezzo. Era usato il pouf per indicare quella gabbietta di balena con cui le signore ampliavano, secondo la moda d’anni fa, certe parti più notevoli del loro corpo; ed è tuttora in uso popolarmente in qualche nostra regione nell’espressione far puf per dire andar via senza pagare. Fair pouf = quitter son logement sans payer, locuzione di gergo.
Poule: così alla francese, più di sovente che con la parola italiana gara, si chiama quel giuoco del domino o del biliardo in cui ogni giocatore sborsa una quota stabilita e la somma va al vincitore.
Pound: è la libbra inglese del peso di 453 grammi. È detta pound anche la sterlina = 20 scellini, L. 25 di nostra moneta.
Pourboire: fr. mancia, e se vuolsi un’altra voce esattissimamente uguale a pourboire, ma non è dell’uso, abbiamo propina che è di squisita fattura classica [[testo greco] e in latino, propìno]. NB. Forse è per delicato riguardo a tale origine classica che questa voce è riserbata per indicare quelle prebende che si prelevano su le tasse d’esame e si danno liberalmente ai professori per le fatiche dell’esaminare. Di solito, la propina serve non a bere, secondo etimologia, ma a mangiare.
Pour cause: modo francese comune, specie nel gergo dei giornali, a cui risponde il nostro, c’è la sua buona ragione, c’è il suo perchè. Es. «Non l’ho fatto, e pour cause». Come in altri simili casi il motto francese sembra avere speciale e più spirituale senso.
Pour la bonne bouche: fr., letteralmente significa serbare per ultimo il boccone migliore affinchè dia sapore alla bocca, e per estensione, la cosa più bella e gradita dirla per ultima: spesso il motto è usato in senso ironico. Cfr. il motto latino dulcis in fundo.
Pour le roi de Prusse (lavorare): cioè per un ingrato, senza alcun lucro, per la gloria. Per l’origine storica del motto, V. Fumagalli (op. cit.): Il a travaillé pour le roi de Prusse.
Pourparler: infinito sostantivato, dall’antico verbo francese porparler (da pour e parler), nel senso di abboccamento, conferenza, preliminari, accordi, trattative.
Poutrelle: per trave, asta, sbarra, di ferro (a doppio T solitamente), specie oggi che le costruzioni murarie si fanno mercè il ferro, è voce comunissima fra i tecnici. E il francese poutrelle, diminutivo di poutre, basso latino pulpetrum = trave squadrata: leggesi tradotta in putrella.
Poverazza: o peverazza, è il nome dialettale della Venus Gallina, mollusco bivalve col guscio di fuori ruvido e cinero, entro bianco e lucido: il mollusco quivi contenuto è di forte saper di mare. Se ne fa gran pesca in inverno lungo il lido adriatico: cibo più greve e rozzo dell’altro bivalve, tellina o calcinello. Il Tommaseo spiega erroneamente poverazza, specie di grossa chioccia. Il Mattioli nel suo diz. romagnuolo, Imola, Galeali, 1879, cita un esempio del Dati: «Un gonzo essendo a un convito di magro dov’era una minestra di telline e di poveracce, della qual non avea mai più mangiato, ne prese egli in bocca una gran cucchiaiata, nè potendo ingoiarla nè masticarla, badava a quel che facevano li altri». V. Pettine e Pecten.
Pozzo di S. Patrizio: cioè senza fondo, dove tutto si inabissa e si perde: locuzione familiare e popolare, dedotta dalla antica leggenda del secolo VI che racconta come S. Patrizio per convincere gli Irlandesi, aprì una miracolosa caverna o pozzo che menava all’altro mondo. Leggenda del Purgatorio di S. Patrizio.
Praesente cadavere: lat., presente il cadavere, locuzione usata in vario senso e dedotta dal rito delle successioni de’ Pontefici, nelle quali il cardinale Camerlengo logge il testamento del Papa defunto, praesente cadavere.
Praesumptio juris et de iure e juris tantum: queste due formule vengono dal diritto romano e si mantengono vive nel linguaggio forense. La praesumptio iuris et de iure è quella che, data dalla legge, si ritiene per sua natura incontrastabile e non ammette prova in contrario. La praesumptio juris tantum si deduce parimenti dalla legge, ma ammette prova in contrario. La nostra legge definisce così le presunzioni: le conseguenze che la legge ed il giudice deducono da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto.
Prägnanter: V. Pregnante.
Praline: chiamano i francesi la mandorla tostata nello zucchero. La etimologia del nome sembra essere da cotal Pralin o Praslin, cantiniere del maresciallo Duplessis, che per primo preparò in tal modo le mandorle. Così il Menage, accolto dal Littré e dallo Scheler. Ho inteso a Milano tradurre volgarmente la locuzione francese con mandorle alla perlina (!).
Pratica: prender pratica o aver pratica significa, nel linguaggio marinaresco, prender od aver licenza dall’autorità marittima locale quando si giunge in porto, di poter comunicare cogli abitanti del luogo e con la terra, cioè di sbarcare, dopo essersi però assoggettati alle visite sanitarie e doganali.
Praticare: per fare, ricorda ai puristi il fr. pratiquer = faire: pratiquer un trou, une ouverture, un chemin. Eppure (forza dell’uso!) ecco un esempio di stilista fin troppo insigne, e buon conoscitore della lingua nostra, il d’Annunzio:
Quattro di bosso ei fecemi cannelle
ineguali, e assai bene le polì.
La più corta alla spalla m’inserì
e strinse con cerate funicelle.
In bocca tre l’artiere me ne messe,
l’una più lunga, l’altre due minori;
nella più lunga numerosi fôri
praticò, che diverse voci desse.
Preadamitico: lett., anteriore ad Adamo: voce iperbolica per significare familiarmente cose non moderne: dicesi specialmente di oggetti e arnesi meccanici.
Precedente: con forza di sostantivo per vita o fatti precedenti o antefatti, è tolto dal fr. précédent, ed è voce usata specie in politica nel linguaggio giudiziario. Spiaco ai puristi: ma l’uso non ne saprebbe fare a meno anche nel linguaggio comune.
Precisare: per determinare, esporre, spiegarsi bene, è tal e quale il préciser francese (Rigutini). Verbo sancito dall’uso e registrato nei dizionari recenti.
Prefettizia: V. Redingote e Vestito.
Prefisso: V. Suffisso.
Pregiudiziale: si dice di eccezione che procede il giudizio di merito o anche d’ordine. Così nel linguaggio forense. Nel linguaggio parlamentare si dice, analogamente, di eccezione che precede la discussione del merito. Opporre la pregiudiziale significa appunto opporre eccezioni tali che valgono a indurre il magistrato o l’assemblea a non occuparsi del merito, a rimandarne la trattazione senza esame.
Pregnante: in retorica è voce tolta dal tedesco (prägnant), ancorchè di origine nostra (cfr. pregno). È aggettivo attributivo di frase, parola, e simili, quando esse contengono oltre al loro proprio significato, un secondo senso, dedotto dal primo: non è estensione o derivazione di senso, ma densità di significato, quasi parola pregna di più sensi.
Preludio: «prefazione strumentale preposta all’opera in musica, genere inaugurato verso la metà del secolo XIX. Wagner ha quello del Tristano ed Isotta, che è di bellezza incomparabile. E la sintesi psicologica dell’opera. Vi ha pure il preludio classico, che è una introduzione alle Fughe.» (A. Galli, op. cit).
Première: voce francese, la prima, quasi esclusivamente usata per indicare la prima recita di un dramma o d’un’opera. Così dicesi: «Il tale non manca mai alle premières: c’èra gente come ad una première». In Italiano, prima rappresentazione.
Prender cappello: V. Capello.
Prender due colombi ad una fava: nota locuzione nostra che vale come fare un viaggio e due servizi, raggiungere, cioè, due intenti con una sola operazione.
Prendere il toro per le corna: affrontare risolutamente una questione.
Prendere in giro: V. Giro.
Prender posizione: (intendi, di combattimento) locuzione dal linguaggio militare estesa a quello politico: disporsi alla lotta.
Prender un bagno: modo ripreso dai puristi per fare un bagno, bagnarsi. Locuzione conforme alle lingue straniere.
Prerafaellita o prerafaellista: nome assunto dei seguaci di quella scuola pittorica ed estetica fondata in Inghilterra (1847-49, da Dante Gabriele Rossetti, Millais, Holman Hunt, Pre-raphaelite Brother, hood) con intento di ritornare in pittura alla purità ed alla semplicità dell’arte italiana prima di Raffaello e così con rinnovata arte e tecnica produrre moderne e profonde espressioni di sentimento. La parola è inglese: preraphaelite e v’è anche l’astratto preraphaelitisme. Questo movimento artistico si estese alla poesia ed alla letteratura.
Presenza di spirito: gallicismo ripreso da’ puristi per presenza d’animo, prontezza d’animo. Locuzione, però, confermata dall’uso.
Presenziare: per essere presente, assistere è «brutto neologismo» (Rigutini). Non è però dal francese. Lo accoglie il Petrocchi, notando non popolare.
Preservativi: V. Appendice.
Pressa: per macchina che imprime è dal fr. presse (da presser, latino pressare, frequentativo di premere = premere, calcare). Estendendo, con l’elasticità che ha quella lingua, presse poi indica la stampa, il giornalismo etc. L’italiano classico ha le voci pressa = calca, pressare = incalzare (far la prescia o la pressa, aver prescia, è modo vivo nel popolo per far fretta) dalla stessa origine latina. (Cfr. Dante, Purg., VI, 8: a cui porge la man più non fa pressa). Si potranno condannare come gallicismi pressa = macchina, pressante = urgente?
Presse-papier: in ìtaliano ferma carte. Eppure è d’uso non raro la voce francese!
Pressione: nella locuzione far pressione, è uno dei tanti neologismi traslati dal senso fisico al senso morale per forzare, violentare. E gallicismo come dicono i puristi? Se ne può dubitare considerando la generale tendenza odierna del volgere a senso morale le voci scientifiche.
Prestazione: dicesi nel linguaggio burocratico dei commercianti di tutti quei servigi personali che rivestono un carattere intellettuale, non manuale.
Prestidigitatore e prestidigitazione: sembrano al volgo voci più elette di prestigiatore e giuochi di prestigio o giuoco dei bussolotti: Dal fr. prestidigitateur e prestidigitation.
Prestigio: vale in italiano il prestigiare, cioè fattucchieria, fascino. Nel senso di «forza, influenza abbagliante» come registra il Petrocchi, è voce neologica tolta dai francesi è usata in ispeciali locuzioni come il prestigio della autorità, togliere ogni prestigio: voce ignobile, traslata a senso nobile in modo difforme all’indole della nostra favella (Rigutini).
Prestinaio: V. Prestino.
Prestino: termine dialettale lombardo, prestin = forno, di buona origine latina pistrinum. Prestinaio = fornaio (prestinèe). Prestin è voce ricordata dal Manzoni ne’ Promessi Sposi.
Pretaglia: spregiativo di preti, fr. prêtraille.
Preterintenzionalità: dal lat. praeter = al di là e l’astratto di intenzione: voce usata dai legali per indicare un elemento morale per cui, solitamente, è diminuita la responsabilità del delitto (esso sortì un effetto che non era nell’intenzione).
Pretestare: neol. addurre a pretesto, come giustificazione o ragione. Dal fr. prétexter.
Pretoriani: propriamente le milizie del Pretorio, che formavano una speciale guardia del corpo, istituita da Augusto: divenne importantissima, violenta, faziosa, talora arbitra dell’impero. Adoperasi oggi questa voce storica in senso spregiativo di «satellite, seguace, partigiano», presso a poco come giannizzero.
Prevenire: per dare avviso, informare «è scorrettissimo» (Rigutini). Prevenire vale avvisare anticipatamente. Questo prevenire per avvisare si dice con speciale significato di nimicizia o di minaccia.
Preventivare: voce del linguaggio amministrativo, notata come non buona dai puristi por stanziare, stabilire, derivata da «preventivo»: accolta nei diz. recenti.
Preventivo: sost., invece della voce italiana bilancio o tavola di previsione (quanto si stanzia o stabilisce di spesa) è voce del linguaggio amministrativo, venutaci di Francia (préventif) al tempo del Regno Italico. Spiace ai puristi e per la provenienza e per il fatto illogico che nulla previene. Ma la logica dell’uso e della conquista è più forte di quella de’ grammatici. Del resto anche misure preventive, carcere preventivo, censura preventiva etc. sono del pari locuzioni foggiate sul modo francese.
Prevenuto: per accusato, imputato di un delitto, è il fr. prévenu. «Sconcio gallicismo» (Rigutini).
Prevenzione: per preoccupazione, cioè disposizione favorevole o contraria prima del giudizio, spiace ai puristi, e così il part. prevenuto. Fr. prévention, prévenu. Ma non solo l’uso antico sancisce queste parole, ma preoccupazione suole usarsi in senso alquanto diverso.
Previo: lat. praévius da prae e via = che precede, che va innanzi, previo, ha buoni esempi sin dal primo Seicento. Vero è che oggi questo previo è usato più che come agg., con valore assoluto, previo esame, previo avviso, nel linguaggio degli uffici in ispecie. «La natura di questa voce non è tale, che possa permettere sì fatto uso» (Rigutini).
Priapismo: V. Appendice.
Prillare: girare attorno, dare il giro, specialmente detto del filo o simili: antico verbo, vivo nei vernacoli. In lombardo, con metatesi, pirlare (pirla).
Prima caritas incipit ab ego: lat. il primo amore comincia da me, dicesi a giusta spiegazione o affermazione di egoismo, dove l’egoismo risulta dal deliberato errore ab ego invece che a me.
Prima digestio fit in ore: la prima digestione si compie in bocca per azione della saliva e dei denti. Si suolo dire consigliando altrui a mangiare adagio e calmo. Antico aforismo modico, altrettanto vero secondo fisiologia quanto poco mosso in pratica.
Primario: nella locuzione scuole primarie per scuole o istruzione elementare, è locuzione tolta dal francese école e instruction primaire. Per quanto l’uso sancisca sì fatta voce, non è men ragionevole l’osservazione de’ puristi che egli è uno sconvolgere il senso nostro di primario = eccelso, alto.
Primati: (lat. primus) ted. Primaten, fr. e ingl. primates: il primo e più alto ordine dei mammiferi, dalle scimmie all’uomo incluso.
Primavera sacra: V. Ver sacrum.
Primìpara: dal latino prima e pàrere =: partorire: donna che partorisce per la prima volta. Primaiola, sarà egregia voce toscana, certo è meno dell’uso.
Primo avulso, non deficit alter: (Eneide, VI. 143): strappato il primo, vien fuori il secondo, cioè ce n’è gran copia, e si dice in mal senso figurato e con ironia. Vergilio parla di vero ramo, sacro a Proserpina.
Primum vivere deinde philosophari: lat., prima vivere (cioè pensare alle necessità della vita) e poi filosofare (cioè alla metafisica della vita).
Primus inter pares: lat., primo fra gli uguali: motto riferentesi a differenza di grado, gerarchico, non di dignità o di casta.
Principiis òbsta: opponiti ai principi, cioè vedi di non cominciare, perchè tardi si appresta il rimedio quando i mali, per lasciarli fare, hanno preso forza. Bella sentenza di Ovidio (Rem. Amoris, 91, 92) divenuta, da antico, frase fatta negli ammaestramenti morali e pedagogici.
Principio edonistico: V. Edonismo. Qui si aggiunge che, secondo gli ultimi e più raffinati coltivatori di questa filosofia, essa sarebbe una specie di aroma estetico che deve penetrare la vita e le operazioni dell’uomo; perciò arte edonistica od edenica è una sapiente disciplina per cui cerchiamo di assaporare, il meglio ed il più profondamente possibile, le gioie. Tipi nell’arte, taluni eroi di romanzi francesi; presso di noi ad es. lo Sperelli nel romanzo il Piacere del d’Annunzio. Il principio edonistico è la norma per raggiungere questo fine: per es. ritmo dei piaceri affinchè nel periodo di tregua si riacquisti energia per godere di nuovo. NB. Occorrono a tale fine cinquantamila lire, almeno, di rendita, buon gusto e parecchio egoismo. Filosofia che è specchio dei tempi: ideale della civiltà borghese e scettica.
Privatista: scolaro che proviene dall’insegnamento paterno, che ha studiato privatamente.
Privazione: per disagio, cure, fatiche, patimenti etc., senza il compimento della cosa di cui uno si priva, è notato come gallicismo. Voce consacrata dall’uso.
Pro: è notevole l’uso e l’abuso recente di questa preposizione latina (in favore, in difesa) ne’ più svariati significati e ad ogni occasione: pro patria, pro montibus, pro deficienti, pro scola, pro Armenia etc. A quando pro lingua italiana?
Pro aris et focis: in difesa degli altari e dei focolari (Cicerone, Pro Roscio Amer., cap. V). Il motto ripetesi per legittimare alcuna giusta e disperata guerra.
Probatorio: latinismo usato nel linguaggio giuridico, da probare, provare: attributo di tutto ciò che ha attinenze con le prove in una data causa; quindi, argomento, sistema, mezzo, elemento probatorio.
Probitas laudatur et alget: stupendo motto, riferito all’umanista Flavio Biondo: la onestà è lodata, ma basisce dal freddo! Cfr. Homo bonus semper tiro est.
Probivìri: sono una specie di amichevoli compositori, chiamati a dirimere specialmente le questioni fra capitale e lavoro.
Problematico: per incerto, dubbio è notato dai puristi, come gallicismo: problématique = douteux, equivoque. Voce confermata dall’uso.
Pro captu lectoris habent sua fata libelli: V. Habent sua fata libelli.
Procedurale: attinente a procedura: fr. procédural. Anche procedura, (fr. procedure) per processo, procedimento, corso della causa è voce che spiace ai puristi ma è oramai conquistata dall’uso e necessaria. Dicesi anche processuale.
Procuratore del re: V. Publico Ministero.
Procureuse: lett. procuratrice: voce del gergo francese cui rispondono le parole nostre mezzana, ruffiana.
Prodiero: term. mar., aggiunto di cosa attinente alla prora.
Prodigare: significa dare, genericamente, qualche cosa di gran pregio per una grande causa. Es. prodigò le sostanze e la vita in pro della patria. — L’abuso alla maniera francese consisto (solito caso) nel piegare questo vocabolo a cose o mediocri o di piccolo conto. Es. le prodigò carezze per le fece molte carezze, la circondò di carezze.
Prodigioso: da prodigio = cosa mostrata dagli Dei, cosa portentosa, miracolo: è iperbolicamente riferito a cose minimo o indegne, e in tale caso ritiene dell’uso del fr. prodigieux.
Prodursi: per presentarsi al publico, comparire su la scena, etc. è neol. che ricorda ai puristi il se produire = s’introduire, se faire connaitre honorablement, s’avancer. Vero è che a cotesto prodursi, usato familiarmente, va congiunto un senso faceto.
Produzione: per dramma o commedia o tragedia è notata come voce inutile e impropria dai puristi, e di conio francese.
Professional beauty: locuzione inglese; vale bellezza celebre. Es. «la C*** godeva fama universale solo come canzonettista, e più ancora come professional beauty. Iersera si è rivelata un’artista etc.» Noi diremmo: bella donna di professione.
Professionale: detto di scuole che hanno intento tecnico e pratico, è neologismo ripreso dai puristi, e foggiato sul francese école professionelle = où l’on prepare à différents métiers. Io stesso, già tempo, non comprendevo bene che volessero dire queste scuole professionali, perchè davo a professione un alto senso. Ma trovando questa locuzione negli autorevoli scritti degli uomini che «siedono» su le cose della Istruzione, accusavo la mia ignoranza. Credo che lo stesso fenomeno avvenga nella mente del buon popolo, il quale udendo su autorevoli labbra voci ostrogote, queste ritiene nobili e degne, e le proprio, paesane e natie, condanna, | Rivalità professionali, meglio di professione o, come dice il popolo, di mestiere.
Professo: il vero gesuita.
Professionali (malattie): quelle derivanti dal mestiere esercitato.
Professore: detto di donna, per professoressa o professora è francesismo: le feminin professeuse, bien que employé par Voltaire, ne paraìt pas devoir réussir. Aujourd’hui, on s’accoutûme à dire professeur au feminin, comme on dit une femme auteur (Littré). V. Dottore, e così trovo citata la voce autore per autrice, e uno scrittore odierno vi annota: «L’Autore, dico; e lo dico per seguir la moda, perchè con questo gallicismo di prefisso mascolino al nome femminino pare di onorar meglio una scrittrice, una dottoressa, una pittrice, una poetessa.» Fenomeno di snobismo! Per ciò che riguarda l’abuso di questa parola, ecco quanto leggo nel dizionario degli Americanismi (Iohn S. Farmer, Americanism old& new). «Professor: parola male usata in America, cioè data senza eccezione a chiunque eserciti una professione qualsiasi. Simile abuso sta diventando di moda in Inghilterra. Un lustrascarpe in Nuova Jork una volta scrisse professore». Noi sino a questo punto non siamo ancora arrivati, però...!
Pro forma: lat. popolare, in apparenza, per salvar le apparenze.
Progetto, progettare: per disegno, disegnare, proporsi, ricordano ai puristi le voci fr. projet e projeter. Piú offende la locuzione per progetto, detto di chi fa a posta, per proposito. Voci e locuzione sancite dall’uso. Vero è che il popolo per significare per progetto ha vivi ed efficaci suoi modi e voci.
Prognatismo: voce della scienza antropologica, da [testo greco] = innanzi e [testo greco] = mascella: dunque sporgenza delle mandibole, cioè: disposizione del volto in modo che la linea dalla fronte al mento si protenda in avanti. Questa caratteristica è dato importante sì nella storia della evoluzione della specie come nello studio delle razze umane.
Programma minimo: dicono oggi, specialmente i socialisti per indicare quella piccola parte del loro programma di riforma sociale ed economico che ora possono o vogliono ridurre in effetto.
Progressione geometrica: si dice per indicare uno sviluppo grandissimo e rapido: la locuzione è tolta dalle matematiche, nello quali si dice geometrico quel rapporto costante fra numero e numero (ragione) che è superiore all’unità. Con la ragione 2 la progressione è 1, 2, 4, 8, 16 etc., con la ragione 3, la progressione è 1, 3, 9, 27 etc. Dicesi geometrica perchè occorre più frequentemente in questa scienza. Su questo principio numerico si fonda quell’antico e noto racconto del premio chiesto dall’inventore della scacchiera.
Prolasso: term. med., dal latino pro = in avanti e labi = cadere (part. lapsus). Caduta o abbassamento di un organo o di una parte di esso per effetto di rilassamento degli organi di sostegno.
Proletariato: da proletario, lat. proletarius. Antico vocabolo della costituzione di Servio Tullio, che indicava il cittadino dell’ultima classe sociale, ricco di sola prole (onde il nome), non di averi: serviva la patria soltanto col far figliuoli: censiti per testa (capite censi). Proletariato oggi è sinonimo di pauperismo, indica cioè la miseria considerata non nell’individuo ma nella società.
Proletariato intellettuale: locuzione nuova, indice de’ nuovi tempi. Vale ad indicare il numero grandissimo di coloro che, datisi agli studi, alla carriera degli uffici o insigniti di laurea, non trovano uffici ovvero remunerazione o grado corrispondente agli studi fatti (o indicati su le vane patenti o lauree). Inetti a lavori manuali o ad intraprese audaci, formano una pietosa zavorra sociale da cui in gran parte si genera il malcontento de’ nostri tempi. Ma oltre a queste vittime, per così dire, dell’alfabeto, della scuola e della civiltà, si possono comprendere sotto il nome di proletariato intellettuale i veri lavoratori del pensiero, i plasmatori di idee e di anime, gli amatori dell’arte e dell’ideale, a cui la civiltà industriale e positiva spesso è matrigna.
Proliferazione: voce scientifica universale (fuorchè in tedesco in cui dicesi Zellvermehrung), dal lat. proles e ferre: indica il moltiplicarsi delle cellule per la divisione delle precedenti cellule.
Promenoir: voce fr., abusivamente usata per ballatoio, terrazza, loggia.
Prometter Roma e toma: modo nostro, cioè prometter mari e monti. Questo toma è probabile corruzione di et omnia = e ogni cosa. V. altresì Roma e toma.
Promissio boni viri est obbligatio: lat., la promessa dell’uomo onesto è obbligo.
Promoveatur ut amoveatur: sia promosso affinché sia rimosso, allontanato. Sentenza di curia: norma di governo che si applica con quegli impiegati, che, riconosciuti inetti all’ufficio, o sospetti, vengono per effetto di protezione e di clientela destinati a più elevato grado.
Pronta cassa: per pagamenti in contanti, spiace a’ puristi. «Pronta cassa per dare o per ricevere?» (G. Romanelli, op. cit., pag. 59, nota). La facezia è forte, ma l’uso è più forte: la locuzione commerciale si deve essere formata sull’inglese ready money. Dicesi anche a pronti = a contanti.
Pronti (a) : V. Pronta cassa.
Pronunciamento: ribellione militare dei capi con intento politico. Voce e cosa spagnuola (pronunciamiento).
Pronunciarsi: per decidersi, dichiararsi è notato dal Rigutini come «uno dei gallicismi più crudi», anzi «crudi, crudi» secondo il Fanfani: infatti, se prononcer = manifester son sentiment. Voce dell’uso ancor che cruda e accolta nei diz. recenti.
Propos (l’à-) : sostantivato, vale in fr. opportunità.
Propre e propreté: parole francesi a cui è abilmente connesso il doppio senso di correttezza, di decoro e di pulizia: spesso tradotte in proprio e proprietà.
Propter vitam vivendi perdere caussas: stupendo emistichio di Giovenale (Satire, VIII, 84) rimasto popolare nelle regioni colte: per amor della vita, perder la ragion del vivere. Giovenale si riferisce a chi trascura l’onore per conservare l’esistenza.
Proravia e poppavia: tali espressioni sono usate in marina in luogo di dire anteriormente, posteriormente, di qualsiasi oggetto che è sulla nave, e siccome la posizione di ciò che è a bordo è riferita sempre rispetto alla prora e alla poppa, i due termini proravia e poppavia escludono ogni dubbia interpretazione.
Prosit: cong. latino, vi faccia pro, prosito: formula d’augurio, specie al finire dello mense. I tedeschi usano dire prosit nell’atto del bere, toccando le tazze per propinare.
Protesi: da [testo greco] e [testo greco] = pongo: parte della chirurgia che si propone di sostituire un organo o parte di esso con un apparecchio artificiale, simile più o meno, all’organo: es. protesi dentaria. Protesi in grammatica è l’aggiunta di una lettera o sillaba alle parole, come istudio: da non confondere con protasi, che deriva da [testo greco] e [testo greco] = dispongo.
Protettore: nel linguaggio della galanteria dicesi di chi fa le spese a donna di ventura: fr. protecteur = entreteneur.
Protezionismo: sistema economico che vuol difendere le industrie nazionali, per mezzo delle dogane, dalla concorrenza dei prodotti forastieri: der. protezionista: fr. protectionisme e protectionniste. V. Libero scambista.
Protezionista: V. Protezionismo.
Protista: dal gr. [testo greco] = primo: vocabolo strettamente scientifico, proposto dall’Haeckel nella sua opera magistrale Das Protistenreich (1878) per significare i viventi più semplici, gli elementi primitivi della struttura organica (semplice protoplasma senza nucleo).
Proto: gr. [testo greco] = primo; antica voce, viva sul litorale nostro adriatico, per dire il mastro d’ascia, capo della maestranza: (dicesi comunemente delle maestranze dogli stampatori tipografi).
Protocollare: brutto verbo neologico formato da protocollo, dal basso latino protocollum, dal greco [testo greco] = primo e [testo greco] = colla: registro incollato ove si riportano gli atti. Protocollo, in diplomazia vale il resoconto o il processo verbale delle conferenze tenute tra i ministri de’ vari Stati.
Protocollo: V. Protocollare.
Protoplasma: da [testo greco] = primo e [testo greco] = formazione: è la parte vitale della cellula la quale è considerata come la più elementare unità organica od anatomica. Nel mezzo del protoplasma trovasi il nucleo. Possiede sensibilità, moto e facoltà di nutrirsi. La parola fu introdotta da von Mohl, naturalista di Stuttgarda (1805-1872).
Provando e riprovando: (Dante, Par. III, 3), parole torte in altro senso quale motto della gloriosa scuola sperimentale del Cimento, (Accademia fiorentina del Cimento, 1657), giacchè in Dante riprovando non vuol dire provar di nuovo, ma confutare, rigettare.
Provinciale: nel senso di mal pratico degli usi e delle eleganze cittadine, è il fr. provincial; e ciò si comprende in Francia, dove ciò che non è parigino è provinciale; ma per l’Italia dalle molte città, la parola provinciale non ha che valore di importazione. V. però ciò che è detto alla locuzione Romano de Roma.
Provocatore (agente): nel linguaggio politico e giornalistico è dato questo nome a colui che ad arte provoca disordini nelle manifestazioni popolari allo scopo di dare poi pretesto alle persecuzioni o repressioni poliziesche. L’agente provocatore spesso è un servizievole personaggio ideale che aiuta a spiegare ciò che spiace di confessare. Fr. agent provocateur.
Pròvola e provatura: nome di latticini o formaggi napoletani, in forma di grossa pera.
Provvigione: il compenso dato a chi si incarica della esecuzione di un affare per conto nostro.
Provvisorio, provvisorietà, provvisoriamente: detto di cose fatte per provvedere al momento «sono voci che non hanno storia in Italia» ma che è necessario accettare dacchè le voci transitorio, passaggero, momentaneo, e sim. non esprimerebbero l’intero concetto (Rigutini).
Proximus ardet Ucalegon: già brucia la casa del vicino Ucalegonte, così Enea, narrando la distruzione di Troia. L’emistichio Vergiliano è ripetuto sposso con senso traslato per indicare un pericolo che si appicca al vicino; spesso dicesi in suono faceto.
Prude: V. Pruderie.
Pruderie: non vuole indicare solo il riserbo, la circospezione, la saggezza; ma l’eccesso ridicolo (il che è più frequente nella donna) di queste virtù. I francesi hanno prud’homme e prude femme, o semplicemente prude, detto di donna che ostenta repulsione per tutto ciò che non è conforme alle norme, al decoro, alla virtù di convenzione e di moda.
Pschutt: voce di gergo francese: vale elegante, sommo dell’eleganza. V. Lion.
Pseudo: gr. [testo greco] = fallace, non vero, parvente. Prefisso comodo ed usatissimo, specie nel linguaggio della scienza, a formare gran numero di parole in cui si voglia indicare il concetto di parvenza, o simiglianza, o falsità.
Pseudo membrana: essudato patologico che si produce di solito alla superficie delle mucose.
Psiche: per specchiera, fr. psyché.
Psiche: [testo greco] in greco vuol dire fiato, respiro^ cioè il segno visibile e sensibile del vivere, quindi forza vitale, anima, appunto come animus e anima in latino che vogliono dire nulla più che fiato, spiro. (Cfr. [testo greco] = vento). Ma anima sembra ai moderni filosofi e fisiologi includere l’idea di spiritualità, cioè di forza vitale fuori della materia: appunto ciò che i credenti e i cristiani intendono per la parola anima. Ora i filosofi volendo semplicemente indicare le forze vitali che cadono sotto il loro esame, dicono psiche. Da psiche, poi, si forma un numero grandissimo di vocaboli, aventi attinenza con le scienze naturali e con la filosofia. NB. Non è però a credere che tutti quelli che usano ed abusano di questa parola psiche siano filosofi o fisiologi.
Psico: (dal gr. [testo greco] = anima) elemento primo o prefisso di molte parole scientifiche e filosofiche per indicare ciò che in varia misura ha relazione con l’animo.
Psicofìsica: [testo greco] = anima e [testo greco] = naturale) sinonimo di psicologia sperimentale o fisiologica: studio delle relazioni tra gli stimoli e le impressioni fisiche e la intensità delle sensazioni morali.
Psicopatìa: dal gr. [testo greco] = anima e [testo greco] = malattia: dunque malattia mentale, derivato psicopatico.
Psicòsi: dal gr. [testo greco] = spirito, e il suffisso osi che indica le forme di malattia cronica: termine generico usato specialmente in patologia, per indicare un anormale stato della mente con disordine delle sensazioni, degli affetti, della coscienza. Mania, paranoia, pazzia morale, lipemania: in latino vesania.
Psittacosi: dal gr. [testo greco] = papagallo: malattia infettiva trasmessa all’uomo dal papagallo infetto e dovuta ad uno speciale bacillo (di Nocard). Manifestasi con febbre, sconcerti intestinali e dell’apparato respiratorio.
Psoriasi: da [testo greco] = gratto. Affezione cutanea che si manifesta con isquame secche, brillanti, che si tolgono col grattare e lasciano sotto una superficie rossa, lucente sanguinosa.
Ptomaine: da [testo greco] = cadavere (Selmi 1881), nome generico dato ai numerosi alcaloidi (inoffensivi o tossici) che nascono dai cadaveri in putrefazione.
Publicista: neol. usatissimo per scrittore ne’ giornali o per le riviste. Nel senso di scrittore politico o di diritto publico, mi pare alquanto disusato. In ambo i casi, dal fr. publiciste.
Publico Ministero: si scrive abitualmente P. M. È l’ufficio che sostiene l’accusa nelle liti penali. Ha speciali incarichi e ingerenze anche nelle cause civili. Presso le Cassazioni e presso le Corti d’Appello vi sono i Procuratori Generali e i Sostituti Procuratori Generali; presso i Tribunali, i Procuratori del re e i Sostituti Procuratori del re. Sono detti anche nel linguaggio forense: Rappresentanti il P. M., ovvero Rappresentanti la Legge.
Puddìng: voce inglese, accolta in francese in Pouding. In italiano più spesso si dice bodino che pudding: ora questo bodino sarà versione del fr. boudin, ma indica torta dolce, come appunto in inglese pudding. V. Bodino e V. Plumpudding.
Puffìno: (genere Puffinus) uccelli d’alto mare chiamati Berte.
Pugnetta: V. Appendice.
Punch: voce inglese: in fr. ponche: deriva dal sanscritto panch = cinque, cioè i cinque ingredienti di cui è formata tale bevanda, spirito, acqua, limone, zucchero, spezie. È ricordato sino dal 1669. La parola è fatta italiana in ponce, poncino, il che non toglie che molti pronuncino alla straniera. | Punch indica anche una specie di pastrano senza maniche e mantellina.
Pulcre, bene, recte: bello, bene, benissimo. Orazio, Arte Poetica, 428.
Puleggia: fr. poulie, dall’ingl. pulley, rad. pull = tirare, è voce dei meccanici più usata che le nostre caruccola e girella. Notata da antico ne’ lessici nostri.
Pull: nelle latrine ad acqua (water-closet) dette dal popolo lombardo inglesi, sul manico della catenella per ismuovere la pila dell’acqua, è scritto pull in luogo di tira, e sono fabbricate in Italia. «Notate anche codesto?» altri può chiedere. Certo sono inezie, ma come indice e sintomo, servono anche le inezie.
Pullmann: nome dato a speciali vetture ferroviarie, lunghissime, di gran lusso, comunicanti fra di loro e così bene posate su le ruote che lo scotimento o rullio del treno vi è minimo. Il nome proviene dall’inventore americano. Pullmann city è nome di un sobborgo di Chicago (Stati Uniti) ove sono lo officine di queste carrozze. V. Sleeping-car.
Pulvis es: sei polvere. V. Memento mori e cfr. il motto d’Orazio, (Odi IV, 7, 16): Pulvis et umbra sumus.
Punica fides: lat., fede cartaginese, cioè mancanza di fede. Antichissima locuzione sopravissuta sino al dì d’oggi.
Punta: nella locuzione fare una punta per spingersi in armi sino ad un dato punto estremo, è voce del linguaggio militare, tolta dal fr. faire une pointe. Dare una scappata è altra cosa e non si dirà certo di milizie.
Puntata: «è voce tutta nostra ed è, pare a me, ben formata» (Rigutini). Usasi per indicare un fascicolo di periodico o di opere in corso, stampato a fascicoli; cioè quel tanto di fogli che il legatore ferma con un punto.
Punti neri: cioè segni furieri di sventura: locuzione metaforica di probabile provenienza francese, points noirs, attribuita a Napoleone III in un suo discorso del 26 Agosto 1867: Depuis quatorxe ans beaucoup de mes espérances se sont réalisées. Gependatd des poinis noirs sont venus assombrir notre horizon.
Punto: nelle note locuzioni punto di vista, punto d’appoggio, punto culminante, punto di partenza, punto d’onore, ricorda ai puristi i modi equivalenti francesi point de vue, point d’appui, point culminant., point departage, point d’honneur (forma tipica di puntiglio al tempo di Luigi XIV, fra gentiluomini, cagione di infiniti duelli. «Senza sfide! Senza bastonate! Addio il punto d’onore». Manzoni, Promessi Sposi, cap. V). E aggiungi: punto critico = momento tipico e difficile (point critique), punto morto (point mort) sì in meccanica che in senso morale, punto interrogativo (un) = un’incognita, il lato cioè di una questione proposta come una domanda, ma su cui sembra difficile arrischiare il giudizio. Dicesi anche di persona. Tutti questi punti, quale ne sia la loro origine, sono sanciti dall’uso. | Punto: nel ling. mar., indica il luogo occupato dal bastimento in mare: onde la locuzione fare il punto = determinare coi metodi della navigazione stimata o dell’astronomia nautica l’incrocio (punto) della longitudine e della latitudine. | Punto nel linguaggio di Borsa indica la unità di moneta legale (lira, marco, corona). Es. la rendita è ribassata di un punto.
Punzonare e punzonatrice: da punzone, voci ristrette al linguaggio dei meccanici.
Pupa: per bambola, pupattola, e dal puro latino pupa: dicesi in Romagna, nel Lazio e in molti paesi dell’Italia centrale. Dicesi anche di donna stupida ancorchè appariscente. Pigotta in milanese. Pupo in dialetto romanesco significa anche bimbo piccino, lattante.
Pupazzettare: disegnare pupi o pupazzi o pupazzetti, specie di caricature tirate giù alla brava, ne’ giornali. Il giornalismo romano ebbe rinomanza per cotale genere di vivaci satire, al tempo dei Ministeri Deprotis e Crispi specialmente.
Pupo: V. Pupa.
Pur che il reo non si salvi, il giusto pera: verso sontenzioso del Tasso, Gerusalemme Liberata, II, 12, rimasto popolare.
Puree: voce di incerta etimologia francese: alcuni la vogliono derivata dal verbo purer, purificare, e mi pare più probabile, altri da porrata, (cfr. porrum, legume con cui si fanno minestre) altri da piperata, (cfr. il lat. piper, pepe) perchè il pepe è condimento di questa vivanda. Purée: iusculum pisorum depuratum et colatum. (Richelet). Noi potremmo benissimo dire crema di piselli, di patate, di fagiuoli, e così si dice, oppure fagiuoli, piselli passati (al setaccio). Nell’uso è prevalente la parola purè. Il Rigutini suggerisce il sost. passato, ma chi l’usa? In alcune regioni dell’Italia centrale, le patate schiacciate (specie di purée) sono dette mâchées (scritto un po’ come si vuole), e letteralmente vale masticate. Ma in francese non esiste tale parola in tal senso.
Puritanismo: ingl. puritanism, dal lat. purus = puro: nome dato al movimento politico e religioso che guidò la rivoluzione inglese e condusse alla Republica sotto il Cromwell. Il puritanismo sorse nel XVI secolo come reazione alla rilassatezza dei costumi del tempo ed alla chiesa di Roma.
Puritano: seguace della setta evangelica del puritanismo. V. questa parola. Per estensione dicesi di persona che ostenti grande severità ne’ costumi e ne’ principi politici. Così pure in fr., puritain.
Purista: è parola già notata in ogni dizionario: se non che mi pare necessario fare una distinzione: come scuola letteraria, puristi furono detti quegli ingenui esteti — così li chiamerei con nuova parola — i quali innamorati della pura e semplice bellezza dell’aureo Trecento, avrebbero a quella sacrificata persino la naturale evoluzione del linguaggio (il Cesari, il Puoti, il Ranalli ed altri, fra i quali molti preti, specie in Romagna, come ad es. il canonico Balsimelli, a cui nominare il Manzoni era un amareggiare la vita). Puristi poi sono detti quei letterati ed amatori della lingua italiana i quali, nell’accogliere nuove parole, domandano che siano necessarie, conformi al genio della nostra lingua, e di buona formazione, e non — come spiega il Petrocchi — «che non vogliono ammettere nella lingua se non parole vidimate dai classici antichi», la qual cosa è assurda ed offensiva per valentuomini come il Tommaseo, l’Ugolini, il Fanfani, il Rigutini, etc. per non citare se non i più noti. Evidentemente il Petrocchi confonde il dogmatismo estetico della scuola del Cesari con le dottrine di quei nostri letterati, i quali per quanto possono, si argomentano di porre un argine all’invadere del forastierume, spesso illogico e goffo, nella favella italiana. I puristi, in questo secondo senso, hanno, se mai, un solo torto, cioè di restringersi troppo grettamente all’esame della parola e non riconoscere il fatto fatale che alla servitù delle idee segue la servitù del vocabolo. Del resto la nobile schiera nella universale indifferenza degli italiani, nel diffondersi delle più barbare voci, vantate come conquista di libertà, cede ormai, ed era la sola sincera difesa. Derivato, Purismo.
Puro sangue: vale cavallo di razza: fr. pur sang.
Purus grammaticus, purus asinus: semplice grammatico, semplice asino, antica sentenza latina che contiene altrettanta verità quanto odio; detto di chi non sa vedere più in là delle leggi formali della grammatica, la quale saviamente intesa, è pure il fondamento di ogni buon studio.
Pus: (lat. pus, puris, gr. [testo greco] = marcia, sanie) è voce del linguaggio medico, estesa anche all’uso comune, per indicare un noto essudato patologico di consistenza fluida, d’aspetto cremoso, viscido, di color giallo verdognolo o biancastro il quale tiene sospese delle cellule, dette globuli del pus.
Pusterla: termine lombardo: «specie di seconda porta che per lo passato si usava quasi sempre tra la porta da via e il cortile delle nostre case, e in vece della quale usa oggidì comunemente un cancello di ferro o di legno» Cherubini. Posterla o postierla, in antico, piccola porta di città, in opposizione alla porta principale. La Pusterla de’ Fabbri, recentemente e inconsultamente abbattuta in Milano, ricordava una di cotali antiche porte.
Pustza: campagna (per il pascolo dei cavalli) in Ungheria.
Puta-caso: per ipotesi, per esempio, dal lat. puta = reputa, credi.
Puteale: lat. pùteal da puteus = pozzo, bocca di pozzo: per lo più di marmo con fregi come ne provano gli antichi avanzi. Era anche ne’ templi per le acque lustrali. Cfr. la voce del dialetto veneziano vera o vera dei pozzi.
Putifarre: la moglie di Putifarre, ministro del Faraone, tentò di sedurre il giovane Giuseppe (V. Casto Giuseppe), il quale resistendo alle avide brame, ne ebbe strappato il mantello, che dalla rea femmina fu mostrato come documento di accusa contro il troppo virtuoso giovane. Questo noto e tipico racconto biblico diede vita alla locuzione la moglie di Putifarre con riferimento a casi consimili e con senso caustico, che è tanto facile intendere come inutile spiegare. La psicologia e la fisiologia muliebre vi sono assai bene adombrate. Nel gergo francese trovo putipharder = violer, prendre de force.
Putrella: V. Poutrelle.
Putrido (c’è del putrido in Danimarca): nota locuzione per significare corruzione, marcio, guasto organico. (Amleto I, 4).
Putrescat ut resurgat: imputridisca per risorgere: legge della materia che si rinnova, trasportata al senso morale. Sentenza probabilmente dedotta da S. Paolo. (Ai Corinti, Cap. XV, 53): Oportet enim corruptibile hoc induere incorruptionem (in quel corpo stesso risorgeremo che adesso portiamo).
Puttaniere: voce antica e classica, viva e popolare oggidì, qui notata perchè in molti lessici comuni è ommessa, o per oblio o per ragione di inutile decoro. È sinonimo alquanto spregiativo e plebeo di donnaiuolo. «Acciò che io taccia, per meno vergogna di voi, i ghiottoni, i tavernieri, i puttanieri» Boccaccio, Lettera messer Pino de’ Rossi. Udii come eufemismo, sottaniere.