Trattati del Cinquecento sulla donna/Nota
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NOTA
AVVERTENZA GENERALE
La donna, giá dai greci e dai romani fatta oggetto di lucenti glorificazioni o di volgari vitupèri; e quindi, come eccitatrice di acute, carnali dolcezze, perseguitata con aguzzi strali dai mistici scrittori cristiani, e dagli stessi, d’altra parte, esaltata ed indiata, quale sublime intermediario presso la divinitá sotto le apparenze della Vergine, col germogliare e fiorire de’ cavallereschi costumi corse trionfante le terre occitaniche, come fattrice di prodi, come stimolo alla virtú e dispensatrice di grazie; mentre pur brontolavano in disparte le satire misogine, e lieto s’innalzava lo spensierato canto goliardico.
Ma la massima sublimazione della donna accadde in Italia, allora che essa, da incitamento morale, passò a significare una ragione divina, quando fu incarnata dentro delle spoglie angeliche; quando l’Alighieri, associatala alla possa del suo genio, la portò di fronte a Dio, guida all’empirea visione. Ma la pura trascendenza dantesca si affievolí nel Petrarca, al quale Laura ora si presenta cinta di mistiche parvenze, ora lampeggia procace, suscitando fiamme di voluttá. Nell’opera poi del Boccaccio la donna viene ad essere rappresentata come strumento di piacere, come la femmina astuta e sensuale; ed è scevra di vita e di sinceritá quella idealizzazione di Fiammetta, ch’egli tardivamente tentò alla foggia dantesca. Poi, coll’aprirsi della primavera umanistica, la donna sbocciò, fiore olezzante, a significare la dolce compagna dell’uomo, soffusa di vergogna, ma vibrante di desiderio: pudicamente nuda, come la Venere botticelliana.
L’antico astrattismo trecentesco, l’ideale di virtú ciceroniano dei quattrocentisti, l’esaltazione lirica del Magnifico, il neoplatonesimo del Ficino e finalmente la scialba preziositá del Bembo vennero poi a conglobarsi insieme sui primi del decimosesto secolo, ed a foggiare un concetto amoroso artifiziato, come la lirica poesia e la filosofica speculazione di quel tempo; e ne usci un tipo di donna metafisica, viva solo nel mondo dell’arte, circonfusa di nimbi angelici, ma scevra di umane e contingenti attinenze, una «beatrice» falsata. Non si spegneva però la tradizione umanistica: ché anzi, volgendosi al libero amore, dapprima invadeva gaudiosamente, e poi pervertiva licenziosamente la famiglia e la vita sociale. E da questo duplice indirizzo ne derivò quello strano sdoppiamento: del mondo dell’arte aulica, e del mondo dell’arte verista, per cui la «madonna» e la «cortigiana» poterono venir cantate ed amate insieme da uno stesso poeta.
Questo è il fondamento e la base, donde deve dipartirsi colui che voglia con vigile ed acuto occhio, secondo l’intima sua ragione, sceverare ed ordinare la produzione, che i letterati cinquecenteschi intorno alla donna dettarono. Produzione sterminata e inesauribile, come quella che infinita materia di discorsi porgeva ai loquaci e sottilizzanti cortigiani. E questi infatti si affannarono e si sbizzarrirono in ogni modo a ricercare: donde deriva il fascino donnesco, quali effetti produca la bellezza, e se l’amore, da questa prodotto nelle anime gentili, deva essere volgare o divino. Si volsero poi a considerare ed investigare se la donna sia un angelo o un dèmone; se sia migliore o peggiore dell’uomo e quali diritti quindi le competano. Si distesero inoltre ad esplicare le doti ch’ella deve possedere sí fisiche che morali; di conseguenza quali regole devano governare la sua vita di fanciulla, di giovane, di maritata, di vedova; quali siano le ragioni della sua bellezza, e quali i mezzi per conservarla, aggiustarla ed aumentarla. Per cui tutto il Cinquecento fu ripieno di trattati filosofici e letterari, di dialoghi, di esposizioni, di galatei, che la donna avevano come obbietto finale.
E questa ingente produzione si può, seguendo il concetto dualistico e le divisioni sovraesposte, in quattro parti distinguere, cioè: in opere encomiastiche, in opere misogine, in opere didascaliche morali ed in opere didascaliche fisiche. E a queste quattro categorie se ne può aggiungere una quinta, costituita da quelle operette, che si potrebbero chiamare «probrose»; le quali contenevano una critica arguta, oppure una disquisizione piacevole intorno alla vita comune o intorno alle disgrazie e sorprese, che la donna arrecava, anche nel secolo decimosesto, sia nel campo del libero amore, sia in quello dell’amore coniugale.
Le opere encomiastiche derivano direttamente da quelle esaltazioni cortigianesche della donna, onde fu pervaso il Quattrocento.
Gli umanisti affamati lasciarono il posto ai segretari-poeti cinquecenteschi:
per opera de’quali tutte magnifiche, tutte belle, graziose e virtuose, tutte bionde ed occhiglauche ci appaiono le madonne del Cinquecento. E non solo le padrone o le protettrici dei singoii autori, ma eziandio tutte in mazzo quelle di un’intera cittá o di una intera provincia venivano egualmente cantate. Ma, di fianco alle magnificazioni di Nicolò Franco, un acido critico casalese, intento sopra il Dialogo delle bellezze, ghignando annotava via via le varie laudazioni, con postille, che ci svelano, aimè!, la impostura di quelle lodi. E non solo le donne in particolare, ma altresí la donna in generale venne abbondantemente esaltata dai nostri autori. Prima che Agrippa di Nettenstein compiacesse a Margherita d’Austria scrivendo il De nobilitate , Galeazzo Capella aveva composto il trattatello Della eccellenza e dignitá delle donne, che diede poi la stura ad una produzione stucchevole e noiosa, che, culminando coll’idropico Trattato del Domenichi, andò quindi a finire, dopo una profonda discussione circa la prioritá dei due sessi, con lo scoprire che la donna è superiore all’uomo, anzi che è la sola creatura perfettamente formata. Per cui l’uomo venne infine ad essere rinchiuso nella Mostruosa fucina del Passi, e alla donna venne tributata la palma finale, nella Vittoria del Bursati.
Ma non la passò liscia nemmeno «la nobiltá e la dignitá della donna», ché, raccogliendo la dote misogina del secolo precedente, lasciatagli nelle Invettive umanistiche e nelle infinite Malizie delle donne, il Cinquecento dapprima sussurrò qualche voce consigliante cautela e prudenza, quindi, col crescere della baldanza donnesca per le varie Difese, incominciò a polemizzare circa il famoso primato dell’uomo sulla donna, e finalmente a demolir la rivale nella sua intelligenza e nel suo sentimento, fino a che anch’essa, la tapina! andò a finir male, come l’uomo. La Disputatio periucunda (tradotta prestissimo in italiano) conchiudeva dimostrando che la donna non fa parte della specie umana!
Piú importante e notevole della produzione encomiastica e misogina è quella didascalica. Giá sulle porte del secolo decimosesto il padre Vincenzo Bologna scriveva L’operetta dello ornato delle donne, che trovava larga eco nelle operette morali, anche del primo Cinquecento, le quali culminarono col trattato «perfettissimo » del Dolce, Della instituzione delle donne (un plagio del De institutione di L. Vives) e vennero ad avere, specialmente nell’epoca della reazione cattolica, un’enorme fortuna. Fanciulle, spose, vedove, monache, vecchie, tutte ebbero il loro trattatista morale, troppo spesso noioso, sempre interminabilmente prolisso. Vere opere d’arte invece ispirò lo scopo di dare le regole e le norme della perfetta bellezza muliebre e quello di insegnarle i mezzi per conservarla ed accrescerla. I ritratti del Trissino, il Dialogo delle bellezze del Firenzuola, La bella donna del Luigini sono i piú cospicui trattati circa le doti físiche della donna. Infiniti sono poi i ricettari galanti, ne’ quali i belletti, le pitture, le acque, le stufe, tutta l’alchimia insomma della muliebre bellezza viene codificata; la quale trova la sua piú compiuta sintesi in quei Secreti del signor I. C. di Isabella Cortese, che potrebbero servire eccellentemente anche alle signore dei nostri giorni.
L’arte poi di piacere e di avere «bella creanza», il galateo mondano piú squisitamente raffinato, lo ebbe il Cinquecento nel Dialogo di Alessandro Piccolomini.
Circa i trattati probrosi, basterá appena citare la quantitá strabocchevole di Lamenti contro le cortigiane o delle cortigiane stesse, onde fu pervasa l’Italia, specialmente dopo la terribile propagazione di quel male, che il Fracastoro cantò in eleganti esametri. E a questi lamenti tenevano bordone tutti quei libercoli, che il Garzoni tardivamente assommò nell’Admirabile cornucopia consolatorio, intorno alle disgrazie maritali.
La scelta fra tutta questa disparata congerie di lavori, fra tutto questo guazzabuglio, dove l’idealitá si mescola col desiderio fremente, dove le misure della fisica bellezza s’intrecciano con le ricette per ben fare il belletto, dove le norme morali vengono interrotte dai lamenti della cortigiana ferrarese o del tribulato Strascino, non fu nè presta nè agevole. Ma, poiché la parte speculativa trova posto in altri volumi di questa collezione, il curatore pensò di dar luogo in questo a quelle produzioni intorno alla donna, scritte circa la prima metá del Cinquecento, le quali offrano un esempio delle composizioni didascaliche fisiche e morali, ed anche di quelle scatologiche, che tale secolo produsse. E, siccome non si trattava di riprodurre noiose filotee oppure rigide trattazioni cispose, che noiosamente ripetessero lo stesso motivo morale, il criterio informativo della scelta fu soprattutto quello di mettere in luce opere, che siano artisticamente composte, o che all’artistica espressione maggiormente s’accostino.
Per primo quindi venne accolto il Dialogo de la bella creanza de le donne di Alessandro Piccolomini, gioiello della Rinascita, la piú bella «scena» che il Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento didattico deliziosamente si svolge di su una comica trama. Per quali meati sa Raffaella penetrare nel cuore di Margherita e corromperlo? Il filo conduttore è l’insegnamento della bella creanza, ma lo scopo pedagogico si converte in arte rappresentativa squisita, in un gioco psicologico tutt’affatto moderno. Margherita viene convinta dagli ipocriti sillogismi della ruffiana, ma piú dallo sciorinar, che questa fa, di tutti i mezzi e di tutte le allettevoli forme, onde la donna può, e deve farsi, bella e godere la vita. Per cui il racconto di tutte le finezze e i segreti della toilette (perfino le ricette) vengono via via a sedurre la ingenua sposina, che, solleticata in quel fondo civettesco, che in ogni donna naturalmente risiede, fugati gli scrupoli e lusingata nell’amor proprio, cede infine all’amore e alla vivace giovinezza.
Il bizzarro ingegno di Michelangelo Biondo ci fornisce l’esemplare del trattato misogino. Strano, contorto, ineguale è lo stile di questo scapigliato; ma appunto in questa spontanea incostanza e nella sinceritá espressiva sta il pregio dell’originale operetta Angoscia, Doglia e Pena, le tre furie del mondo.
Questa è un guazzabuglio, dove una specie di «confessione» autobiografica di disgrazie coniugali dá luogo a curiose osservazioni psicologiche, a interessanti paradossi, a strampalate induzioni contro la natura intima della donna e contro i legami matrimoniali. Lui era un gran dottore in medicina, in iscienze naturali, fisiche, occulte. Lei una fiorente bellezza con una gran massa di trecce bionde e un viso «ornato di pietosi colori e di ésca amorosa, che dal petto venia a quei labri vermigli, di quali ricevendo il fiato, ardeva maravigliosamente». Era la lucente primavera; ed egli la amò, riamato ardentemente, e la prese come sposa. Oh, i dolci baci dapprima, le acute carezze! Poi le cose mutarono. Incominciò lei a non essere piú contenta del grande scienziato, oppure lui non seppe farsi piú amare? Mistero! Fatto è che la sfrenata vanitá, il velenoso inganno, la proterva superbia a poco a poco s’impadronirono della bella napoletana. Si diede ad indossare vestiti di panno finissimi, fimbriati, tratessuti di vari colori, sottane di damasco od ormesino; le gambe, strette da calze di seta con giarrettiere d’oro, terminavano in minuscole pianellette, di cordovano in casa, di velluto fuori, tutte «arabescate con tagli, striche e cordeline», sí che eccitavano «a spassi lussuriosi». Il seno, chiuso dentro busto fiorentino, lasciava travedere una rimula delicata fra le mammelle, coperta appena da un pendente d’oro o da una gioia levantina. E tutto questo non giá per il marito! Al marito sgarbi, inganni, imprecazioni, persino busse. Il misero sposo, maltrattato, ingannato, avvilito, non potendo vendicarsi altrimenti, scaraventò contro la bisbetica moglie tre libri di insolenze letterarie. Eppure egli le voleva bene. IL desiderio del bel corpo della bionda napoletana lo fa sobbalzare ogni tanto di fra la litania degli improperi. E, morta ch’ella fu, ricordando la sua grazia e la sua beltá, non poteva non sospirare e piangere ancora. Egli la amò sempre, quando non la odiò.
Nell’elegante e sereno dialogo, onde il Luigini foggia nel suo sogno La bella donna, vengono esposte le regole della bellezza del corpo e quelle della bellezza dell’animo; e dall’esposizione della perfetta armonia ideale delle due bellezze egli fa scaturire una difesa e una esaltazione dignitosa della donna.
Dai capelli fino ai piedi egli discende, notando minutamente le peculiari bellezze, di cui ogni parte muliebre deve essere adorna, non intralasciando nemmeno i punti piú scabrosi. Quindi, dopo di aver inveito con vivaci parole contro i profumi e le corruzioni artificiali, passa ad assegnarle le doti morali necessarie: quali l’onore, la pudicizia, la dolcezza, la moderazione, l’amore alle cose domestiche e finalmente la cultura musicale e letteraria. Soggiunge quindi l’autore che tutte queste doti, che si trovano divise fra molte donne, ciascuna doveva dar opera affinché si raccogliessero tutte insieme in una sola; perché a questa perfezione appunto può giungere il sesso femminile.
Ma l’esposizione delie doti morali pratiche e la nota del buon senso circa le condizioni della donna e le sue relazioni matrimoniali coll’uomo, ci viene pòrta dal Modio nel Convito, overo del peso della moglie. Quivi il medico romano introduce il Salvago e Alessandro Piccolomini a sostenere dapprima che la moglie infedele non fa vergogna all’uomo, ma a se stessa, e quindi a scrutare le ragioni dei frequentissimi adultéri; e trova che ciò deriva in piccola parte dalle mogli e in grandissima dai mariti, i quali contraevano matrimoni dettati solo dall’interesse o dalle ragioni della casta, e che si ammogliavano quando i vizi avevano giá roso il loro corpo fisicamente e moralmente. Quindi egli conclude, per bocca del Piccolomini, consigliando gli uomini a sposarsi giovani, a trattar bene le loro compagne e, per mezzo dell’amore, a giungere a quel grado possibile di felicitá umana, che solo nel matrimonio riposa. E questo dialogo, scritto con brio e con rara eleganza, ci dá anche l’esempio di un trattato probroso, ché in esso fondamentalmente si parla dell’adulterio — «le corna», — e di esse si ricercano con vivacitá ed acutezza le ragioni e la storia, giungendo a conclusioni, come si disse, praticamente moralissime.
Dentro di ciascuna di queste opere (che vennero curate e messe insieme in questo volume con le norme consuete) si intrecciano adunque parecchie delle correnti, e risultano bellamente ed artisticamente fuse ed accomodate tutte le forme della produzione, che intorno alla donna nel decimosesto secolo si scrisse; e tutte insieme ci aprono inoltre deliziosi squarci della vita intima di quel tempo, e ci forniscono ghiotte notizie sulla storia del costume.
I
Del Dialogo de la bella creanza de le donne de lo Stordito Intronato , e cioè di Alessandro Piccolomini, ci rimangono (almeno secondo il risultato delle mie ricerche) sette edizioni del Cinquecento, una edizione parziale del Seicento, una intera del Settecento, due del decimonono ed una del presente secolo.
Le edizioni moderne, sebbene curate da due valentuomini, il Fanfani1 e il Camerini2, sono assai lontane dal riprodurre il testo genuino. Il Fanfani si è tenuto stretto soltanto alle edizioni tardive ed ha rabberciata tutta la grafia. Molto meglio operò il Camerini, quando preferí la prima edizione milanese, e, con l’aiuto di questa, riformò le lezioni della ristampa fiorentina. Ma nemmeno il Camerini diede un testo corretto e, possibilmente, perfetto di questo dialogo, perché non conservò la grafia originale, nè pose mente ai molti errori, onde formicola la sua ristampa. Ad un certo punto ha persino saltata una riga!3. E ad occhi completamente chiusi segue l’edizione daelliana l’anonimo curatore della recente edizione milanese4, a tal punto che candidamente salta la stessa riga, dal Camerini dimenticata!
La edizione luganese (con la falsa data di Londra) segue le edizioni tardive del Cinquecento, e non ha alcuna presunzione critica5. Né ha valore alcuno la scelta dei Costumi lodevoli6, spiluccati dal Dialogo del Piccolomini ed editi dal Barezzi in quel volumetto che contiene varie operette intorno alle donne.
Ci rimangono quindi da osservare le sette edizioni del decimosesto secolo. Chi dia anche una semplice scorsa a queste varie edizioni non può non restare colpito da un fatto evidente: che esiste cioè una grande differenza tra le prime edizioni e le tardive. Per cui esse tutte si possono in due gruppi sceverare: il gruppo A, comprendente l’edizione di Curzio Navò7 e la milanese del 15408 (l’edizione del 1541, che era notata nel catalogo nenciniano, ora è sparita)9, con distacco costante delle preposizioni articolate, con parole e forme prettamente toscane e con ortografia caratteristica.
Il gruppo B, comprendente tutte le altre edizioni del Griffio10 del Meda11 e del Farri12, con unione costante delle preposizioni articolate, con correzione delle voci dialettali e con una ortografia omogenea. Quale dei due gruppi rappresenta piú probabilmente il testo piccolominiano? Poiché nessun manoscritto arreca luce a tale questione (ché il manoscritto della Nazionale di Parigi13 è una copia, tardiva assai, di mano francese), io ho giudicato che il piú genuino sia il gruppo A: e ciò per varie cause. Dapprima per l’evidente ragione cronologica: i piccoli nei, gli errori materiali, molte parole e forme speciali e dialettali toscane dimostrano, a mio avviso, chiaramente che il Navò ebbe sott’occhio l’originale. In secondo luogo queste particolaritá, specialmente grafiche, corrispondono alle stesse che si riscontrano nelle prime edizioni del Piccolomini. Si prenda, per esempio, la prima stampa veneziana della sua opera De la instituzione di tutta la vita de l’uomo nato nobile14: la grafia del titolo stesso dimostra che la tendenza a disgregare le preposizioni articolate era peculiare al letterato senese. E nella prima edizione di questo trattato permangono le forme speciali, che anche nelle prime edizioni del Dialogo si riscontrano. In terzo luogo un’altra fortissima ragione impedisce di credere che l’autore possa aver curato il gruppo B. È risaputo che nel libro sopra citato il Piccolomini condanna il suo Dialogo. «E, se, giá molti anni sono, dissi alcune cose in questo proposito, da le quali può parer che s’offoschi la virtú de la donna, in un Dialogo, che si domanda La Raffaella, ovver La creanza de le donne, io al presente ritorno indietro, e ritratto tutto quello che io avessi detto quivi contro l’onestá de le donne; posciaché fu fatto da me tal dialogo quasi per ischerzo e per giuoco, sí come alcuna volta si fingono de le novelle e de’ casi verisimili piú che veri, come fece il Boccaccio, sol per dare un certo solazzo a la mente, che sempre serena e grave non può stare»15. Ora si badi che tali espressioni ricorrono nella prima edizione di questo volume, che è del 1543, laddove la prima stampa del gruppo B è del 1557, cioè del tempo in cui l’autore era ben altr’uomo da quello che era stato.
Per queste ragioni adunque mi sono attenuto sostanzialmente al testo edito da Curzio Navò e fratelli16. Quindi conservai tutte le forme che questa edizione mi offriva, correggendo gli evidenti errori di stampa o mancamenti, valendomi però in questo lavoro anche delle lezioni del gruppo B, che tenni sempre sott’occhio.
Per cui, quando il testo A mi diede forme varie ed instabili di nessun valore fonologico, ho accettato di buon grado di togliere tutto ciò che inasprisse o imbrogliasse il testo, ché mi risuonavano nelle orecchie le parole di Ottaviano Scoto: «Si conosce in esse (opere del P.) uno stile continuato, ripieno di chiarezza e dolcezza, non aspro o gonfiato, o di ‛quanchi’ e ‛soventi’ pieno, e da soverchi epiteti sostenuto; ma, da se stesso sostenendosi, vago, aperto e soave si mostra altrui»17.
Ho però conservate le forme dei doppioni, che avessero un qualche valore fonologico; per esempio: «arán», «arrán», «arrá», «averá», «elletto» ed «elezione», «giovane», giovene», «giovine», «megliore» e «migliore», «nova» e «nuova», «potrebbono» e «potrebbero», «ragione» e «raggionare», «recamo» e «reccamare», «sète» e «siete», «sospicare» e «suspicare», «vencita» e «vincere», ecc.
Ho inoltre conservate le forme particolari (che in parte sono corrette nel gruppo B): «accascare» per «avvenire», «apartenere», «avertire», «biasmare», «capio», «consegliare», «commodo», «depingere», «dubbitare», «ellegere», «inamorato», «inanzi», «indrizzo», «interizita», «intertenersi», «intrare», «infirmitá», «lassare» sempre per «lasciare», «longo», «nissuno», «perfezzione», «prattica», «reccare», «sciapito» per «scipito», «sfaciato», «sodisfare», «tratenimento», e simili.
Ho anche riprodotto le forme verbali: «abbi», «aviamo», «doveriamo», «doviamo», «para», «potiamo», e le speciali «dicati», «soglian», ecc. in luogo di «dicono», «sogliono» ecc.; come non ho mutato le forme nominali: «occasione», «lode», «cenere», ecc. in luogo di «occasioni», «lodi», «ceneri», ecc.
Voglio inoltre porre in rilievo le parole e le frasi lessicali nella forma peculiare dal P. usata: «abietta» per «trascurata», «ammaiare» e «ammagliare» per «infiorare», «appoioso» per «noioso», «assegnata» per«regolata», «bagno marie», «berzo», «camorra» per «gamurra», «centolo» per «giarrettiera», «cordella» per «fettuccia», «capevole», «corpo» per «spessezza», «falotica» per «stupida», «fango» per «sudiciume», «favore» per «dono», «frittole» per «frittelle», «foggia» per «moda», «fumoso» per «pomposo», «fuogoni» per «grandi caldani», «griccia» per «guardatura torta», «gomiccolo» per «gomitolo», «lenza» per «cordellina», «levantino» per «stizzoso», «lista» per «listella», «livrea» per «vestito da maschera», «maniglia» per «collana», «mongile» per «monile», «musco» per «muschio», «poccia» per «poppa», «novellaio» per «ciarlone»,«portatura» per «modo di portar i vestiti», «pollastriera» per «mezzana», «rimbrottolare», «risecco» per «secco», «rullo» per «bizzarria», «saia», «sbernia», «sbernietta», «scuffia», «scuffi otto», varie parti dei vestiti femminili, «stemperato» per «esagerato», «straccamurelli» per «ozioso», «sfoggiato», «sciacciatelle» per «pastiglie», «stuffa» per «batuffolo da tintura», «succio» per «sugo», «taglio» per «frastaglio», «termentina» e simili. E le frasi e modi: «far de’ belli stentolini» per «vivere miseramente», «delicatura delle carni» per «modo di lisciare le mani», «allume scaglinolo, zuccarino, gentile», «colore giugiolino o leonato», «viso incalcinato», «occhi appicciati», «spurarsi le mani», «bocca pinciuta», «far fare alle pocchie la chiaranzana», «la veste piagne in dosso», «correre a staffetta», «andar agiato», «esalar di sete», «porgere un talmicin di lingua», «esser fracida» per «esser cotta d’amore», «andar a brudetto» per «andar male», «far un burbucchio», «stringato in sul bellaccio» per «avaro», «troncar le maestre» per «togliere l’ardire», «gittar per le finestre» per «fare pazzie», «non creder il paternostro» per «non credere nulla», «uccellare ai presenti» per «desiderar doni», «parlar bucarato» per «parlare sconciamente», «pesca fu» per «poteva avvenir peggio», «star male di uno» per «esserne innamorata», «grattarsene gli occhi» per «non importare punto», e altre molte che il volenteroso lettore potrá trovare agevolmente da per sè18.
Poche modificazioni, aggiunte o variazioni vennero introdotte: a pag. 17, r. 32 «pieacci» invece di «piciacci», a pag. 19, r. 32 vennero aggiunte le parole «nei colori», che mancano per evidente dimenticanza, a pag. 20, r. 24 corretto «che una abbi» in luogo di «che una che abbi», a pag. 29, r. 1 venne sostituito «s’usavano» al «s’usano» di A e al «s’usava» di B, a pag. 36, r. 23 corretto «comandar» al «commodar» dei testi; a pag. 57, r. 26 messo «possan» invece di «possa»; a pag. 60, r. 9 messo «con l’amante» in luogo di «con la mente» di A e «solamente» di B; a pag. 64, r. 20 corretto «promettimi» invece di «promettetemi».
Venne poi preferita la lezione B, anzi che quella di A, nei seguenti punti: a pag. 3, r. 23 «vi recco» invece «mi recco»; a pag. 5, r. 5 «convenirsi» invece di «conviensi»; a pag. 14, r. 36 «fanno» invece di «faranno»; a pag. 23, r. 18 «cederei» invece di «credarei»; a pag. 25, r. 13 «dite» invece di «date»; a pag. 32, r. 21 «nascondino» invece di «nascondere»; a pag. 57, r. 18 «dá» invece di «danno»; a pag. 51, r. 30 «moglie» invece di «voglia». Ho inoltre aggiunte le seguenti parole che mancano in A: a pag. 5. r. 16 «non»; a pag. 7, r. 21 «tale»; a pag. 18, r. 27 «se»; a pag. 26, r. 25 «mescolate»; a pag. 58, r. 12 «debbano»; a pag. 59, r. 7 «suoi»; a pag. 60, r. S «questo».
Offro finalmente in doppia colonna le lezioni principali, varianti nei due gruppi A e B.
A | B | ||||
p. | 3 | r. | 29 | non solamente | solamente |
» | 3 | » | 29 | non solamente | solamente |
» | 4 | » | 10 | e l'ammala di sorte | e chi è di mala sorte |
» | 4 | » | 19 | si sentiran | sentiranno |
» | 6 | » | 8 | Di Lucignano ad asso | Di Lucignano |
» | 7 | » | 12 | Uh! | — |
» | 8 | » | 8 | la Magnificat | il Magnificat |
» | 8 | » | 36 | via | — |
» | 9 | » | 27 | oramai | — |
» | 9 | » | 32 | oh ! | e |
p. | 9 | r. | 34 | me la son allevata | me l’ho allevata |
» | 10 | » | 14 | avertile | avvertirvi |
» | 10 | » | 32 | a’ conviti, a ritruovi | a’ conviti |
» | 11 | » | 9 | doviam | dovemo |
» | 11 | » | 16 | rosedie | roseide |
» | 12 | » | 10 | giorno | di |
» | 12 | » | 15 | d’oggi | oggi |
» | 12 | » | 22 | assaissimo | assai |
» | 13 | » | 11 | se ben, che noi credo... | e se, benché noi credo... |
» | 14 | » | 3 | del tuo marito | del marito |
» | 14 | » | 12 | questa | la |
» | 14 | » | 12 | viva viva | viva |
» | 14 | » | 16 | innanzi che ella morisse | avanti che morisse |
» | 14 | » | 21 | quel poco tempo | nel poco tempo |
» | 14 | » | 35 | Dio! | — |
» | 13 | » | 14 | rimessa | rimasa |
» | 15 | » | 17 | si ragioni di sollazzi e di feste | si ragionasse di sollazzi e di feste, |
» | 15 | » | 20: | in | a |
» | 15 | » | 20 | in | a |
» | 15 | » | 26 | cosa da stimarla moltissimo | cosa da stimarsi moltissimo |
» | 15 | » | 35 | tuttavolta | sempre |
» | 16 | » | 21 | che l’asprezza | che a l’asprezza |
» | 17 | » | 3 | Che vi par meglio a voi? | Come vi par meglio a voi. |
» | 17 | » | 14 | camorra | gamurra |
» | 17 | » | 20 | questa pienezza | quest’ampiezza |
» | 19 | » | 7 | di chi di una veste | che di una veste |
» | 19 | » | 15 | si per parer... si perché | per parer di mutar veste |
» | 19 | » | 34 | pari | pure |
» | 20 | » | 4 | sarebbe bruttissima | è bruttissima |
» | 21 | » | 4 | bellissime | nobilissime |
» | 21 | » | 30 | che è la terza parte ecc. | — |
» | 22 | » | 18 | grossa | goffa |
» | 22 | » | 24 | a pazzie | a (razzia |
» | 23 | » | 16 | salvetro | salnitro |
» | 23 | » | 17 | acque divine | acqua eccellente |
» | 23 | » | 29 | e piú perle | — |
» | 23 | » | 34 | cosí bene intesa | bene intesa |
» | 25 | » | 24 | chiare d’uovo | chiaro d’uovo |
» | 26 | » | 21 | mi spuro | mi lavo |
» | 26 | » | 23 | vizo | vizze |
» | 26 | » | 29 | belgui | belgioi |
» | 27 | » | 5 | acqua di fonte | acqua |
» | 28 | » | 13 | cardarino | caldarino |
» | 28 | » | 18 | assetto | aspetto |
p. | 29 | r. | 1: | s’usano | s’usava |
» | 29 | » | 5 | si ha detto | si è detto |
» | 29 | » | 17 | le due sorelle | le tue sorelle |
» | 29 | » | 21 | che voi dite esser la terza cosa che s’appartiene al vestir bene | che voi dite che appartengono al vestir bene. |
» | 30 | » | 21 | in su’ piei | sempre in su |
» | 30 | » | 28 | ce ne sono | ci sono |
» | 30 | » | 55 | nissun... perfetto | niuna a... perfetta |
» | 31 | » | 17 | a duomo | in duomo |
» | 32 | » | 3 | in tutte le cose | in niuna cosa |
» | 32 | » | 9 | spensierita | spensierata |
» | 32 | » | 13 | ma servi | ma serva |
» | 32 | » | 5 | non potrá | non potrai |
» | 32 | » | 27 | e in mille altre cose, che le si possono occorrere tutto ’l giorno, | e in mille altre cose. |
» | 32 | » | 30 | gli possa | esso le possa |
» | 32 | » | 31 | visto | veduto |
» | 32 | » | 36 | non è per forza | non per forza |
» | 33 | » | 1 | bagatelle | bagatelli |
» | 33 | » | 5 | scavalcando, a passar qualche fossatello e simili, poter destramente, ecc. | scavalcando poter destramente, ecc. |
» | 33 | » | 27 | o con qualche | con qualche |
» | 33 | » | 31 | E, replicandoti, ti dico che insomma ella, ecc. | In somma ella, ecc. |
» | 34 | » | 4 | con un poco piú di rossore | con un poco di rossore |
» | 34 | » | 11 | una romita | un romito |
» | 34 | » | 19 | dunque | qualche erroruzzo |
» | 34 | » | 15 | un poco di qualche erroruzzo | perchè |
» | 34 | » | 22 | par che | guardarti o mantenerti |
» | 34 | » | 25 | guardarti e mantenerti | senz’un peccato |
» | 34 | » | 26 | senza un minimo peccatuzzo | brancatido vigilie |
» | 34 | » | 28 | braccando vigilie | disprezzassi il tutto |
» | 34 | » | 28 | ti disprezzassi in tutto | ti conseglio |
» | 34 | » | 29 | ti conseglio, da figliuola | scusato da tutti. |
» | 34 | » | 32 | scusato da tutti, e perdonato da Dio con l’acqua santa, | di qualche santo |
» | 35 | » | 6 | di qualche santo padre | seguite. |
» | 35 | » | 10 | seguite, di grazia, | come io t’ho detto |
» | 35 | » | 18 | come io t’ho detto disopra | ogni cosa |
» | 35 | » | 25 | cosí ogni cosa | la sua robba ed i figliuoli |
» | 35 | » | 32 | la robba e i figli | la robba e i figli |
p. | 36 | p. | 3 | dentro di fuora | da di fuora |
» | 36 | » | 6 | e l’altro spargesse e la lassasse andar male | e l’altro spargesse |
» | 36 | » | 24 | spontaneamente e con affezione | spontaneamente |
» | 36 | » | 29 | gridando | grigliando |
» | 36 | » | 30 | del diavolo | del gran diavolo |
» | 36 | » | 34 | non se ne accorgono e non ne hanno cura | non ne hanno cura |
» | 37 | » | 8 | con far rimenio | come far rimedio |
» | 37 | » | 30 | a farlo, e cosí si dá ne la ragna ecc. | a farlo. |
» | 38 | » | 11 | reputi a lei | imputi a lei |
» | 38 | » | 25 | imputino il tutto a la condizion sua ed a le stelle | imputi la condizion sua alle stelle |
» | 38 | » | 29 | la varietá | la veritá |
» | 39 | » | 11 | gli sia da fuggire | le son da fuggire |
» | 39 | » | 13 | de le cose come le sono, salvo quel che... | delle cose come son quelle... |
» | 39 | » | 28 | mal nissuno | mal d'alcuno |
» | 41 | » | 14 | questa giovi ne, che io ti dico, | questa giovine |
» | 41 | » | 26 | il buono | il bene |
» | 41 | » | 30 | scrucciata | crucciata |
» | 42 | » | 1 | compongan casi | impongon casi |
» | 42 | » | 10 | e stemperoccisi si... | e stemperoccisi... |
» | 42 | » | 11 | gli comportar | comportar |
» | 42 | » | 26 | si mostra non stimar | si mostra stimar |
» | 43 | » | 17 | ha da sapere usare | ha da usare |
» | 43 | » | 36 | chi tratti da qualche speranza, chi per uccellare | tratti da qualche speranza per uccellare |
» | 44 | » | 4 | una parola di bocca | una parola da comentarvisi |
» | 47 | » | 14 | il paradiso | il diavolo |
» | 47 | » | 36 | fastidiosi, senese | fastidiosi senesi |
» | 47 | » | 36 | dama | donna |
domandarne | domandare | ||||
» | 49 | » | 21 | la ruina di quella donna | la ruina di quella meschina donna, in tal caso infelice, |
» | 50 | » | 13 | capavóli | capevoli |
» | 50 | » | 25 | bene ogni cosa | bene in ogni cosa |
» | 50 | » | 34 | defensor de l’onor de le donne | difensor delle donne |
» | 51 | » | 33 | ma non con chierica | ma non chierico tale |
» | 52 | » | 15 | appicchisi a chi | applichisi a cui |
» | 52 | » | 29 | per amante | per avanti |
» | 54 | » | 8 | centenaia | centonaia |
» | 54 | » | 23 | arra dunque | avrá dunque a fare una... |
» | 55 | » | 5 | il marito | il suo marito |
» | 55 | » | 23 | che gli venga occasione, gli dá. | che lor venga a occasione, lor dá. |
» | 56 | » | 6 | preti | petti |
» | 56 | » | 28 | svilupparebbe il paradiso | svilupparebbe il diavolo |
» | 57 | » | 15 | a’ presenti, a le vencite o simil cose | a’ presenti e a simil cose |
» | 58 | » | 9 | che cosa, eh! | che cos’è |
» | 58 | » | 22 | non so’ conoscere | non so, per me, conoscere |
» | 59 | » | 9 | divinissima | perfettissima |
» | 59 | » | 30 | far mai un minimo peccato | far un minimo peccato |
» | 60 | » | 9 | con l’amante | solamente |
» | 60 | » | 13 | un quattrino | un marcio quattrino |
» | 61 | » | 16 | oh, allegrezza | allegrezza |
» | 61 | » | 26 | non fosse avuto; anzi quasi tutto ’l contrario. | non si fosse avuto; anzi è quasi piú dolce. |
» | 61 | » | 28 | del tempo buon passato | del tempo ben passato |
» | 62 | » | 24 | perderne pur una | perdendone pur una |
» | 62 | » | 36 | quando una donna si trova | a una donna quando si trova |
» | 64 | » | 6 | come «burlare»? Burlerò io ecc. | come? Burlerò io ecc. |
» | 64 | » | 14 | egli è quel ch’io ti dico | egli è com’io ti dico |
» | 65 | » | 32 | ch’io mi penti | ch’io non mi pentii |
» | 65 | » | 34 | de l’allegrezza, | st’allegrezza |
Mi sembra inutile di parlare delle varie attribuzioni di questo Dialogo fatte all’Aretino, a Paolo quinto e Pio quarto19, per il fatto semplicissimo che, tre anni dopo la prima stampa, il Piccolomini la confessava roba sua, e la ritrattava anche per giunta. Che sotto il nome di Aspasio si nasconda lo stesso autore è probabile20: anzi questo fatto trova la sua conferma nello Specchio d’Amore del Gottifredi, giá da me ripubblicato21. Nego invece risolutamente che La Raffaella sia «una satira di costumi»; e tanto meno che «rispecchi tutta la letteratura amorosa anteriore e
contemporanea», come fu recentemente asserito22. Piuttosto ricorderò, accennando, che la fortuna di questo dialogo fu grandissima, ché ebbe molte edizioni integrali e parziali, come si vide, molte imitazioni, e perfino nel 1755 una confutazione in tutte le regole dal padre Ubaldo Montelatici23. Quest’operetta fu inoltre tradotta ed imitata in Francia da Maria de Romieu, da Francesco d’Amboise e dagli anonimi compilatori delle varie Instruclions aux jeunes dames24.
Sul Piccolomini non esiste un’opera comprensiva, degna dell’uomo senese, figura veramente cospicua.
Noto, per il nostro argomento, lo studio, assai esiguo in veritá, della sign. Maria Rossi, Le opere letterarie di A. P., nel Bollettino senese di storia patria, dove si trova raccolto tutto quello che giá sparsamente era stato detto intorno al Piccolomini.
II
Dell'Angoscia, Doglia e Pena, le tre furie del mondo di Michelangelo Biondo, veneziano per nascita, ma vissuto a Roma e a Napoli (nella quale ultima cittá conobbe e sposò donna Giulia Marzia Martina, che fu lo stimolo, onde uscì il suo curioso zibaldone misogino), esiste una sola edizione, la quale comprenda tutte e tre le parti25. Ma le prime due, cioè l’Angoscia e la Doglia26, erano uscite separatamente a Venezia quattro anni prima. Sì l’una che l’altra stampa (se se ne eccettui la nitida lindura della prima) sono però istessamente orrende, non forse per colpa dello stampatore, ma per colpa dello stesso Biondo, che apprestò un testo senza alcuna divisione logica di periodi, senza alcuna correttezza ortografica, con nessi, sigle, unione di parole che dovevano leggersi separate, e disgregazione di altre che dovevano andare insieme; onde il testo è davvero un caos, irto di difficoltá, date appunto dalla incertezza continua della lezione. Perché alla incuria grafica il Biondo aggiunse una libertá cosí sconfinata di parole e di costrutti, che trova riscontro solo nella libertá delle espressioni ch’egli usa. Egli infatti si propose di scrivere in forme ortografica e sintattica «cottidiana», e vi riuscì, il brigante! oh, se vi riuscí! «Questa contemplazione non averá di lingua mordente di Aretino, nè di alta rima di Molza, nè ancora di nova poesia di Claudio, ma averá il dire cottidiano, come io soglio talvolta ragionar, godendo quella». Perciò egli mescolò in un crogiuolo, insieme a rudimentali forme volgari, frasi ed espressioni veneziane, forme e costrutti romani, napoletani ed esotici, anacoluti, inversioni, e il tutto cementò con parole scritte in una forma ortografica, della quale io credo che egli stesso abbia portato nella tomba il segreto. Eppure questa forma «biondeggiante» è proprio quella che dá vivacitá ed originalitá a questo trattato; per cui credetti mio dovere di mantenere costantemente e strettamente la forma ortografica e fonica del testo, che dá al lettore il ritratto perfetto di un veneziano meridionalizzato nel decimosesto secolo. Veramente la prima edizione dell’Angoscia e della Doglia contiene alcune parole o alcune frasi differenti dal testo della seconda edizione; ma, poiché dalla collazione delle varianti risulta evidentemente che lo stesso autore corresse la forma che offre la stampa cominese, ho creduto di dover attenermi scrupolosamente a questa, e questa con fedele cura riprodurre.
Aggiungo inoltre che il congedo della Doglia nella prima edizione terminava con quest’ultime parole: «Nondimeno la Pena nostra, dopo la presente, vi fará certi delle forze umane e del nostro fine. Sí che in breve l’aspettarete». Voler segnare qui tutte le particolaritá dell’Angoscia, della Doglia e della Pena sarebbe un voler ripetere in nota quasi tutto il dialogo, sì esso ne è tutto informato e compenetrato. Quindi l’esame minuto di questo testo indiavolatamente bislacco, da noi seguito con tutta la possibile superstizione, lasceremo a qualche volenteroso lettore.
La correzione, sebbene sia stata molto parca e guardinga, pure per forza dovette essere abbondante, data la singolaritá del testo. Oltre agli evidenti errori di stampa, vennero quindi introdotte le seguenti mutazioni:
p. 73, r. 6 «sforzato» per «sforazato»; p. 77, r. 14 «fè» per «se»; p. 77, r. 27 «dissension» per «discension»; p. 80, r. 11 «che ’l cade» per «che l’acade»; p. 81, r. 24 «sottoposte» per «sottoposti»; p. 83, r. 16 «colana» per «cotona»; p. 83, r. 19 «vostri» per «nostri»; p. 85: in questa pagina vi sono alcune ripetizioni evidenti. Che il testo sia stato rovinato dal primo tipografo, oppure che sia un noioso rinculcamento che l’autore fa al paziente lettore? Nella incertezza, il testo venne mantenuto intatto; p. 87, r. 12 «qualcuna» per «qualuno»; p. 91, r. 31 «de» per «da»; p. 99, r. 31 «donna è» per «donna»; p. 101, r. 8 «quante» per «quante non»; p. 101, r. 9 «di» per «da»; p. 102, r. 14 «dimanda» per «dimandai»; p. 103, r. 3 «all’» per «di»; p. 104, r. 28 «Candia» per «Candida»; p. 104, r. 30 aggiunta la parola «intrati»; p. 107, r. 14 «delli» per «dalli»; p. 117, r. 12 «nè la» per «nella»; p. 120, r. 15 «impresa» per «imprese»; p. 126, r. 13 «l’anima» per «anima»; p. 129, r. 2 aggiunto «se»; p. 131, r. 11 «India» per «Italia»; p. 131, r. 32 «Fiorenza» per «Fierenza»; p. 133, r. 1 «quela» per «quele»; p. 133, r. 21 «inimica» per «inimico»; p. 137, r. 1 «poscia» per «possa» e cosí sempre, perché intralciava sempre il senso; p. 137, r. 29 «state» per «stati»; p. 138, r. 1 «guardarete» per «guardate»; p. 140, r. 26 «a la donna» per «la donna»; p. 143, r. 33 «lusuria» per «lusuriosa»; p. 144, r. 35 «contento» per «connette»; p. 147, r. 36 «averei» per «averai»; p. 151, r. 19 «orrende» per «orrendi»; p. 153, r. 31 «debbiate» per «debitate»; p. 154, r. 27 «circa» per «cerca»; p. 156, r. 15 «trattato» per «tratto»; p. 157, r. 8 «e conservare a la consuetudine» per «al conservarle e la consuetudine»; p. 158, r. 13 «dal» per «del»; p. 159, r. 29 «a le altre» per «a glie»; p. 164, r. 2 «finta» per «fitta»; p. 164, r. 20 «il nato cieco» per «nato cieco»; p. 165, r. 17 «chi» per «che»; p. 166, r. 20 «simulando» per «stimolando»; p. 166, r. 22 «ella» per «egli» e r. 27 «le» per «gli», e cosí poi sempre per non intralciare il senso; p. 174, r. 33 «chi ’l» per «che ’l»; p. 177, r. 2 «plage» per «piaghe»; p. 177, r. 15 aggiunta la parola «nudo»; p. 178, r. 7 «la» per «nella»; p. 178, r. 24 «che» per «ed»; p. 180, r. 11 «pene» per «penne» e cosí sempre; p. 188, r. 33 «fatto» per «fatta»; p. 191, r. 2 «vi si fa» per «vi fa»; p. 197, r. 3 «de» per «da»; p. 208, r. 24 «maglie» per «moglie»; p. 208, r. 29 «vi» per «ci»; p. 209, r. 2 «liberasi» per «liberarsi»; p. 211, r. 17 aggiunta la parola «donna»; p. 213, r. 30 aggiunta la parola «ho»; p. 214, r. 12 «o no» per «e no»; i Commiati, che nella edizione completa sono riuniti insieme, vennero divisi e accodati ad ogni singola dedica.
Noterò ancora che ciascuna parte di questo trattato non è, in fondo, che la dichiarazione dei versi di due sonetti e di una strofe. Ecco infatti il sonetto che risulta dalla riunione dei vari versetti dell’Angoscia:
Nipo e Socrate
— Che cosa è donna?— Fumo ed ombra vana,
furor, superbia e mar di venti pieno. —
Chi la governa? — Non ha legge o freno,
ragion non teme, né gli è cosa umana.
— Ha guida? — Sì, sfrenata voglia insana. —
Quale sua arte?— Empir d’inganni il seno. —
Che cibo a’ servi dá? — Dolce veneno. —
Il studio suo qual è? — Pompa mondana.
— Che fa con essa? — Altrui lega e scioglie. —
Di che trionfa? — Di dolci cor d’amanti. —
Chi la nutrisce? — L’amorose spoglie.
— Che arme adopra? — Parole, cenni e canti,
e risi e sguardi. — Che frutto ricoglie
chi l’ama? — Infamia, morte, angoscia e pianti.—
Ecco il sonetto che risulta dalla riunione dei vari versetti della Doglia:
Nifo e Socrate
— Che cosa è donna? — Furia proterva;
carca di fausto e di superchio sdegno;
padul di morte, ed ha col serpe regno;
qual nascosto venen in bocca serva.
Astuta volpe, che sempre l’uom snerva,
e, dove il piè non può, porta l’ingegno;
ventre d’inganni e di lussuria pregno,
pungente spino, d’ossa, carne e nerva.
Animal che non sta fermo o costante,
onor disprezza, a l’appetito cede,
volubil sempre, vagabondo, errante.
Falace e vana, inimica di fede,
suave fuoco a consumar l’amante.
Oh, felice colui che non gli crede! —
Deh, non credete a femina scioca
e non ve accenda sua finta bellezza!
Il fuoco giá, le femine e la terra,
l’abisso, l’inferno non dicon «basta».
Un basar furioso, un esser nudo
un cavalcar, un pigliarsi a doi mani,
un volger d’ochi, con ’na man aperta,
un macinar a tempo,
un per nome chiamar
e con la bocca, vibrar di lingua:
un tutto stanco dir, e fame far,
son le catene che ligato m’hanno.
Di questo bislacco e originale medico e letterato, astrologo, e cultore di scienze occulte, è molto vasta la produzione. Oltre ai trattati scientifici in latino, alle versioni e ai commenti ad alcuni classici, egli ha scritto opuscoli in volgare interessanti, intorno all’arte, alla cortigiania, alla rettorica e alla... pazzia27.
Il Mazzuchelli28 ne ha tracciata la vita, e ha dato la lista delle opere colla consueta diligenza; cosí pure l’Agostini29. Recentemente, oltre il Flamini,30 l’hanno ricordato il Graf31 e il Rodocanachi32.
III
L’unica edizione antica33, che contiene il trattato Della bella donna di Federico Luigini da Udine, ci presenta un testo elegante, lindo, corretto, nel quale perfino la punteggiatura in molti punti è buona, sebbene manchi di continuitá e di omogeneitá. L’autore stesso poi ha accodato al suo libro una diligente Errata-corrige, nella quale sono corretti quasi tutti gli spropositi dello stampatore. «Sono altri erroretti di stampa — avverte l’A., — che si suppongono al giudicio de’ lettori». Ad ogni modo fra le pieghe del nitido lavoro luiginiano rimase ancora qualche errore che noi abbiamo dovuto emendare. Per esempio a pag. 227, r. 13 si corresse «puotei» per «puoti» che ha il testo; a pag. 227, r. 24 «Picezza» per «Pizezza»; a pag. 229, r. 2 «dissegnando» per «disdegnando»; a pag. 230, r. io «esse» per «essi»; a pag. 237, r. 2 «dalle» per «delle»; a pag. 250, r. 3 aggiunto «non»; a pag. 25, r. 29 «quelle» per «quei»; a pag. 252, r. 34 «vi» per «mi»; a pag. 254, r. 25 «aspettavamo» per «aspettavano»; a pag. 255, r. 20 «n’han» per «m’han»; a pag. 255, r. 24 «natiche» per «nati»; a pag. 260, r. 9 «volete» per «volere»; a pag. 264, r. 15 «ei» per «vi»; a pag. 264, r. 33 «di» per «la»; a pag. 265, r. 6 «questo» per «questa»; a pag. 267, r. io «colorirne» per «colorire»; a pag. 200, r. 31 «e Cesare» per «a Cesare»; a pag. 270, r. 3 «si» per «ci»; a pag. 273, r. 13 «o d’oro» per «ad oro»; a pag. 277, r. 2 «infino le» per «infino alle»; a pag. 278, r. 22 «falerno» per «salerno»; a pag. 282, r. 13 «dal» per «del»; a pag. 287, r. 1-3 noto una contraddizione che non sono riuscito a spiegarmi, a meno che «gioveni» non voglia dire «fanciulli» e «giovani» invece «uomini»; a pag. 292, r. 2 «per ciò arrossito» per «arrossito»; a pag. 295, r. 35 «si Tacchettassero» per «gli Tacchettassero»; a pag. 302, r. io «Letture» per «Lettere». Vennero però conservate le poche forme doppie, secondo il consueto, cioè: «avea» e «aveva»; «augello» e «uccello»; «biasimato »; e «biasmato», «desio» e «disio»; «inanzi» e «innanzi»; «fosse» e «fusse»; «fia», «fie», «fien»; «maggiore» e «magiore »; «maraviglioso» e «meraviglioso»; «negri» e «neri»; «prova» e «pruova»; «remirare» e «rimirare»; «scuopre» e «scopre»; «sète» e «siete»; «sopra» e «sovra»; «Vergilio» e «Virgilio».
Vennero inoltre mantenute le forme peculiari: «aggia»; «apparare » per «trovare»; «avenire»; «aveduto»; «avesse» per «avessi»; «averanno»; «aviso»; «aggradare»; «brieve»; «caulinare» e «camino »; «cennare» per «accennare»; «commune» e «communemente »; «deono» per «devono»; «devesse»; «disiderevole»; «dissegnato»; «doppo»; «femina»; «fussimo» e simili; «giamai», «introduzzione»; «labra»; «leggista»; «loda» per «lodi»; «madriale »; «maladetta»; «matutino» per «del mattino»; «mamelle»; «mezo» e «mezano»; «nevo» per «neo»; «obligo»; «oltra»; «perfezzione»; «ponno»; «rassimigliare»; «recreare»; «risguardare » ; «scimi a»; «sodisfare»; «sovenire»; «speronare»; «suto» e «suta» sempre per «stato» e «stata»; «traposto» per «frapposto »; «vollono» e simili.
Sono degne di nota poi alcune forme lessicali usate dal nostro autore. Per esempio: «ricevere un monte di benefici»; «andar a falcone» per «andare alla caccia del falcone»;«smarrirsi l’oro» per «scolorarsi»;«essere debole barbaro a tal corso» per «stancarsi presto»; «cadere la gragnuola a tempo sereno»; «mandar per fuoco e per armi» per «esser sottomesso ad uno»; «essere parco a» per «andar piano a»; «leccalucerne» per «buono a nulla»; «pungente come il tribolo»; «agramente acceso» per «fortemente innamorato»; «acque nanfe, acque rose, il muschio, il zibetto, l’ambracane, il moscato»; «tirare di palo in pertica» per «di palo in frasca»; «bazzicature» per «sciocchezze»; «liscio, belletto, fattibello» («fattibello» era parola veneta); «sole di meriggiana»; «stare al martello» per «esser piú conforme al vero»; «dorati pironi» per «forchette d’oro» (parola veneta, ancor oggi in uso, per indicare la forchetta da tavola); «chente» per «quale»; «donne morbide e garzone» per «donne delicate e giovani»; «auricome capo» per «capo biondo»; «i giardini ameni sono come zolfanelli alla lussuria»; «calli» per «strade»; «dar le cervella a rimpedulare» per «aver perso la testa»; «semplicitá colombina» per «di colombo»; «pasta mucida» per «pasta non rilevata»; a pag. 277 noto la descrizione di un pranzo, importante per la storia del costume; «in prode» per «in grazia»; «apparare» e «imprendere» per «imparare»; «scarso» per «che non concede niente a nessuno»;«forfante» e sue specialitá a pag. 297; «postergare» per «metter dopo»; «gittare in occhio altrui» per «far credere»; «passarsene col piede asciutto» per «non parlarne». Intorno a Federico Luigini non esiste alcun lavoro particolare. Danno qualche notizia di lui il Tiraboschi34 e il Quadrio35, fondandosi su quello che ne scrisse il Liruti36, il quale dá anche cenni dei suoi fratelli Luigi e Francesco. Recentemente fecero menzione del Libro della bella donna il Flamini37 e il Rosi38.
IV
Delle due edizioni39 che contengono il Convito di Giovanni Battista Modio, venne in questa ristampa seguita la prima, nitida, elegante, accuratissima. I pochi errori del testo vennero dallo stesso autore corretti in una Errata-corrige diligentissima; sí che al curatore non rimase presso che nulla da raddrizzare; eccezion fatta per l’ortografia, che, come al solito, lascia molto a desiderare. Ecco l’elenco delle poche correzioni: a pag. 326 r. 33 «fie» per «si è»; a pag. 349, r. 16 «sorti di cose» per «sorti cose»; a P a g* 357» r * 32 «E pur» per «O pur»; a pag. 364, r. 12 «viola» per «a violar». Vennero naturalmente conservate le forme peculiari: «ará», «soghignare», «correno», «sodisfare», «aremo», «spezie», «avenire», «disaggio», «contracambio», «azzione», «loda» per «lode», «debbe», «auttoritó», «parasito», «sentenzia», «elezzione», «abbi» per «abbia» sempre, «robba», «dipignere» e «depingere», «femina», «leggitima», «publica», «essempio», «frategli», «commodo», «contradire», «envitare», «preggio», «artegiano», «begli», «feminile», «essercitare», «deveno», «imaginare», «moteggiare», «escesso», «approbare», sempre per «approvare». Noto inoltre un grande uso di participi passati per l’aggettivo corrispondente: «vissa» per «vissuta», «racconto» per «raccontato» ecc.
Noto inoltre alcune forme lessicali particolari al Modio: «pensiero poetico» per «pensiero strano», «umore» per «caposcarico», «inglesarsi» per «prendersela fortemente con qualcuno», «cotali brigate» per «cotali compagni», «bisquizare» spagnolismo per «sottilizzare», «barrarie» per «truffe», «nel rancolo del marito» per «fra i malanni del marito», «mattacini» per «maschere», «a miglior otta» per «in miglior occasione».
Del Modio, medico e letterato calabrese, poi entrato nella confraternita di san Filippo Neri, rimangono due sorta di notizie: quelle religiose (offerteci dal Gallonio nella Vita di san Filippo) per noi poco interessanti, e quelle letterarie, che lo Zavaroni40 diligentemente ci porge. Recentemente del Convito fece un buon cenno il Rosi nel suo opuscolo sulla Scienza d’amore41.
- ↑ Dialogo dove si ragiona della bella creanza delle donne di A. P., Firenze, stamperia del «Monitore», 1862, in 16° (ed. curata da Pietro Fanfani).
- ↑ Dialogo ecc. di A. P. nuovamente ridono a miglior lezione, Milano, Daelli, 1862, in 16°. Il Camerini premise un breve proemio.
- ↑ Op. cit., p. 52
- ↑ Dialogo ecc. di A. P. Milano, Sonzogno, 1912 (Biblioteca universale).
- ↑ Dialogo ecc. In Londra, 1750, Per Samuele Harding (in 8° piccolo). Ma la data è falsa, giacché l’edizione è di Lugano.
- ↑ Gli costumi lodevoli che a nobili gentildonne si convengono, nel volume edito da Barezzo Barezzi, Venezia, 1622.
- ↑ Dialogo de la bella creanza de le donne de lo Stordito Intronato. Per Curzio Navò e fratelii, mdxl, di pag. 86 non numerate (in 16°). Nel mezzo c’è una marca tipografica rappresentante un leone con una scritta: «Invidia fortitudine superatur». In fine la marca rappresenta uno scudo, con un leone rampante, sostenuto da due uomini che hanno imposto il nome «Scipione», «Fabio». Prima del dialogo c’è una incisione che rappresenta Margarita e Raffaella in colloquio. Questa è l’edizione del Navò, che io ho potuto vedere di su un esemplare dell’Universitaria di Pisa. Nessun’altra mi venne fatto di poter trovare portante la data del 1539, che sarebbe l’epoca della prima edizione secondo tutti i bibliografi. Per me quindi ritengo, fino a prova contraria, che questa sia davvero la prima edizione, con la data del 1540.
- ↑ Dialogo de la bella creanza ecc. In fine: Stampata in Brovazzo, per dispetto d’un asnazzo, mdxxxx, carte numerate 39, in 16°, s. 1. (ma Milano).
- ↑ Era giá perduta fin dal 1886; nè mi fu possibile rintracciarne un’altra copia.
- ↑ Il Grifio la pubblicò nel 1557 (in 12°) e nel 1574 (in 12°) a Venezia.
- ↑ Questa edizione milanese del 1558 nel frontespizio ha: In Milano, appresso di Giovan Antonio degli Antonii, mdlviii — al segno del Leone. Ma in fine si legge: In Milano imprimevano i fratelli da Meda, 1558.
- ↑ Dialogo ecc. Opera veramente degna di essere letta da ogni gentile spirito. All’illustre signor Giovan Francesco Affaetato prencipe di Chistella. In Venetia, appresso Domenico Farri, s. a. (ma 1562) in 16°.
- ↑ Il nostro dialogo è dentro di una raccolta di varie opere, che sembrano scritte tutte da una istessa mano, e francese. È del xvii secolo ed appartenne al Baluze (n. 636), quindi alla collezione reale (Regins, 104802) e finalmente ebbe il numero 728 nella divisione dei fondi della Nazionale per lingue. Il Dialogo della bella creanza delle donne del Stordito Intronato incomincia al fol. 454; e, in generale, sembrerebbe la poco esatta copta di un testo B; ma a ciò si oppone il fatto che la data è segnata: «Di Lucignano ad asso, il di 22 d’ottobre 1538». Quindi bisogna concludere che il copista o ebbe sotto gli occhi due testi delle due edizioni (il che non mi pare probabile), oppure che raffazzonò un testo o una copia del gruppo A (il che mi sembra più verisimile).
- ↑ Venezia, 1543.
- ↑ De la instituzione, x, 9, 458.
- ↑ Naturalmente mi riferisco all’edizione da me veduta nell’esemplare pisano del 1540.
- ↑ De la institutione, Lettera proemiale di Ottaviano Scoto.
- ↑ Anche il Camerini mise in fondo alla sua edizione una nota delle Varianti, p. 81; e un Indice di voci e maniere di dire, p. 93, di cui naturalmente ho tenuto conto
- ↑ Cfr. Rossi Maria, Le opere letterarie di A. P., in Bullettino senese di storia patria (xviii e xix, 1910, 1911), xix, p. 10.
- ↑ Op. cit., xix, 9 e Proemio del Camerini, p. ix.
- ↑ Cfr. Trattati d’amore del Cinquecento, editi in questa stessa collezione.
- ↑ Maria Rossi, op. cit., xix, p. 8.
- ↑ Dialogo della bella creanza delle donne composto da un italiano cristiano e confutato nella sua maggior parte da un greco gentile, da Speusippo Platone (Ubaldo Montelatici), 1755.
- ↑ Maria Rossi, op. cit., xix, 12 e Brunet, Manuel, 667 e sg.
- ↑ Angoscia Doglia e Pena ecc. Con autoritá del summo pontefice e privilegio della illustrissima signoria di Vinegia in anni dieci. Dalla casuppula del Biondo — E in fine: Da Vinezia, per Comino da Trino de Monferrato. Del mdxlvi. — In 8° piccolo; pagg. numerate 164. È diviso in tre parti: a ciascuna delle quali è preposta una lettera dedicatoria e un proemio.
- ↑ Angoscia, la prima furia del mondo con autoritá del summo pontefice e privilegio della illustrissima signoria di Vinegia in anni diece. Dalla casuppola del
Biondo. — In fine: in Vinegia, per Giovanuautonio e Pietro fratelli de Nicolini de Sabio. Nell’anno mdxxxxiii del mese di Marzo.
Doglia, la seconda furia. Con autoritá ecc. mdxlii. In fine: — In Vinegia, per Giovannantonio e Pietro fratelli de Nicolini da Sabin, mdxlii. - ↑ Accenno, di sfuggita, che un esemplare dell'Angoscia si trova alla Marciana (6o c., 65)
- ↑ Mazzuchelli, Scrittori italiani, 112, 1250.
- ↑ P. Degli Agostini, Degli scrittori veneziani, 11, 488. Cfr. anche Tiraboschi, St. d. lett., vii2, 17, 90. Per la sua attività scientifica: Portal, Historie de l’anatomie, 1, 254.
- ↑ Fr. Flamini, Il Cinquecento, 356.
- ↑ A. Graf, Attraverso il Cinquecento. Parla dell’Angoscia.
- ↑ E. Rodocanachi, Courtisanes et bouffons. E̋tude de mœurs romains au XVI° siècle, Paris, 1894.
- ↑ Il libro della bella donna composto da messer Federico Luigini da Udine — Con privilegio — Nel mezzo una marca tipografica: un alloro con fascia svolazzante e motto: «Semper virens» — In Venetia, per Plinio Pietrasanta, mdliiii.— In fine: copiosa Errata-corrige; quindi sono ripetute le indicazioni del froutespizio.
Il Camerini stampò di nuovo questo volumetto nella Biblioteca rara del Daelli, Milano, 1863, premettendovi, come di solito, una breve introduzione. - ↑ Tiraboschi, Storia della lett. it., vii2, 17, 90.
- ↑ Quadrio, Storia e ragion d’ogni poesia, II, 510.
- ↑ Liruti, Notizie dei letterati del Friuli, II, 133 e sgg.
- ↑ Flamini, Il Cinquecento, 382.
- ↑ Rosi, Scienza d’amore, 49.
- ↑ Il Convito di messer Giovanni Battista Modio ecc. — Col privilegio del sommo pontefice e dell’illustrissimo duca di Firenze per anni X — In fine: In Roma per Valerio e Luigi Dorici fratelli Bressani. A’ 27 d’ottobre 1554, 8° piccolo, di pag. 179 numerate. Seguono le sentenze e i vocaboli greci, più la tavola delle materie e le dediche fino a pag. 208.
La seconda edizione (Milano, presso Antonio degli Antonii, 1558) contiene anche una novella del Cornazzaro: Origine del proverbio che si suol dire: «Anzi corna», che parve inutile qui riprodurre. - ↑ Zavaroni, Biblioteca calabrese, 89.
- ↑ Rosi. Scienza d’amore, 60.