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vennero poi a conglobarsi insieme sui primi del decimosesto secolo, ed a foggiare un concetto amoroso artifiziato, come la lirica poesia e la filosofica speculazione di quel tempo; e ne usci un tipo di donna metafisica, viva solo nel mondo dell’arte, circonfusa di nimbi angelici, ma scevra di umane e contingenti attinenze, una «beatrice» falsata. Non si spegneva però la tradizione umanistica: ché anzi, volgendosi al libero amore, dapprima invadeva gaudiosamente, e poi pervertiva licenziosamente la famiglia e la vita sociale. E da questo duplice indirizzo ne derivò quello strano sdoppiamento: del mondo dell’arte aulica, e del mondo dell’arte verista, per cui la «madonna» e la «cortigiana» poterono venir cantate ed amate insieme da uno stesso poeta.

Questo è il fondamento e la base, donde deve dipartirsi colui che voglia con vigile ed acuto occhio, secondo l’intima sua ragione, sceverare ed ordinare la produzione, che i letterati cinquecenteschi intorno alla donna dettarono. Produzione sterminata e inesauribile, come quella che infinita materia di discorsi porgeva ai loquaci e sottilizzanti cortigiani. E questi infatti si affannarono e si sbizzarrirono in ogni modo a ricercare: donde deriva il fascino donnesco, quali effetti produca la bellezza, e se l’amore, da questa prodotto nelle anime gentili, deva essere volgare o divino. Si volsero poi a considerare ed investigare se la donna sia un angelo o un dèmone; se sia migliore o peggiore dell’uomo e quali diritti quindi le competano. Si distesero inoltre ad esplicare le doti ch’ella deve possedere sí fisiche che morali; di conseguenza quali regole devano governare la sua vita di fanciulla, di giovane, di maritata, di vedova; quali siano le ragioni della sua bellezza, e quali i mezzi per conservarla, aggiustarla ed aumentarla. Per cui tutto il Cinquecento fu ripieno di trattati filosofici e letterari, di dialoghi, di esposizioni, di galatei, che la donna avevano come obbietto finale.

E questa ingente produzione si può, seguendo il concetto dualistico e le divisioni sovraesposte, in quattro parti distinguere, cioè: in opere encomiastiche, in opere misogine, in opere didascaliche morali ed in opere didascaliche fisiche. E a queste quattro categorie se ne può aggiungere una quinta, costituita da quelle operette, che si potrebbero chiamare «probrose»; le quali contenevano una critica arguta, oppure una disquisizione piacevole intorno alla vita comune o intorno alle disgrazie e sorprese, che la donna arrecava, anche nel secolo decimosesto, sia nel campo del libero amore, sia in quello dell’amore coniugale.