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390 | nota |
che l’altra stampa (se se ne eccettui la nitida lindura della prima) sono però istessamente orrende, non forse per colpa dello stampatore, ma per colpa dello stesso Biondo, che apprestò un testo senza alcuna divisione logica di periodi, senza alcuna correttezza ortografica, con nessi, sigle, unione di parole che dovevano leggersi separate, e disgregazione di altre che dovevano andare insieme; onde il testo è davvero un caos, irto di difficoltá, date appunto dalla incertezza continua della lezione. Perché alla incuria grafica il Biondo aggiunse una libertá cosí sconfinata di parole e di costrutti, che trova riscontro solo nella libertá delle espressioni ch’egli usa. Egli infatti si propose di scrivere in forme ortografica e sintattica «cottidiana», e vi riuscì, il brigante! oh, se vi riuscí! «Questa contemplazione non averá di lingua mordente di Aretino, nè di alta rima di Molza, nè ancora di nova poesia di Claudio, ma averá il dire cottidiano, come io soglio talvolta ragionar, godendo quella». Perciò egli mescolò in un crogiuolo, insieme a rudimentali forme volgari, frasi ed espressioni veneziane, forme e costrutti romani, napoletani ed esotici, anacoluti, inversioni, e il tutto cementò con parole scritte in una forma ortografica, della quale io credo che egli stesso abbia portato nella tomba il segreto. Eppure questa forma «biondeggiante» è proprio quella che dá vivacitá ed originalitá a questo trattato; per cui credetti mio dovere di mantenere costantemente e strettamente la forma ortografica e fonica del testo, che dá al lettore il ritratto perfetto di un veneziano meridionalizzato nel decimosesto secolo. Veramente la prima edizione dell’Angoscia e della Doglia contiene alcune parole o alcune frasi differenti dal testo della seconda edizione; ma, poiché dalla collazione delle varianti risulta evidentemente che lo stesso autore corresse la forma che offre la stampa cominese, ho creduto di dover attenermi scrupolosamente a questa, e questa con fedele cura riprodurre.
Aggiungo inoltre che il congedo della Doglia nella prima edizione terminava con quest’ultime parole: «Nondimeno la Pena nostra, dopo la presente, vi fará certi delle forze umane e del nostro fine. Sí che in breve l’aspettarete». Voler segnare qui tutte le particolaritá dell’Angoscia, della Doglia e della Pena sarebbe un voler ripetere in nota quasi tutto il dialogo, sì esso ne è tutto informato e compenetrato. Quindi l’esame minuto di questo testo indiavolatamente bislacco, da noi seguito con tutta la possibile superstizione, lasceremo a qualche volenteroso lettore.