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mente, che sempre serena e grave non può stare»1. Ora si badi che tali espressioni ricorrono nella prima edizione di questo volume, che è del 1543, laddove la prima stampa del gruppo B è del 1557, cioè del tempo in cui l’autore era ben altr’uomo da quello che era stato.

Per queste ragioni adunque mi sono attenuto sostanzialmente al testo edito da Curzio Navò e fratelli2. Quindi conservai tutte le forme che questa edizione mi offriva, correggendo gli evidenti errori di stampa o mancamenti, valendomi però in questo lavoro anche delle lezioni del gruppo B, che tenni sempre sott’occhio.

Per cui, quando il testo A mi diede forme varie ed instabili di nessun valore fonologico, ho accettato di buon grado di togliere tutto ciò che inasprisse o imbrogliasse il testo, ché mi risuonavano nelle orecchie le parole di Ottaviano Scoto: «Si conosce in esse (opere del P.) uno stile continuato, ripieno di chiarezza e dolcezza, non aspro o gonfiato, o di ‛quanchi’ e ‛soventi’ pieno, e da soverchi epiteti sostenuto; ma, da se stesso sostenendosi, vago, aperto e soave si mostra altrui»3.

Ho però conservate le forme dei doppioni, che avessero un qualche valore fonologico; per esempio: «arán», «arrán», «arrá», «averá», «elletto» ed «elezione», «giovane», giovene», «giovine», «megliore» e «migliore», «nova» e «nuova», «potrebbono» e «potrebbero», «ragione» e «raggionare», «recamo» e «reccamare», «sète» e «siete», «sospicare» e «suspicare», «vencita» e «vincere», ecc.

Ho inoltre conservate le forme particolari (che in parte sono corrette nel gruppo B): «accascare» per «avvenire», «apartenere», «avertire», «biasmare», «capio», «consegliare», «commodo», «depingere», «dubbitare», «ellegere», «inamorato», «inanzi», «indrizzo», «interizita», «intertenersi», «intrare», «infirmitá», «lassare» sempre per «lasciare», «longo», «nissuno», «perfezzione», «prattica», «reccare», «sciapito» per «scipito», «sfaciato», «sodisfare», «tratenimento», e simili.

  1. De la instituzione, x, 9, 458.
  2. Naturalmente mi riferisco all’edizione da me veduta nell’esemplare pisano del 1540.
  3. De la institutione, Lettera proemiale di Ottaviano Scoto.