Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Libro I/Capo III
![]() |
Questo testo è incompleto. | ![]() |
◄ | Libro I - Capo II | Libro I - Capo IV | ► |
Capo III.
Università ea’altre pubbliche scuole.
I. Quel comun desiderio di dissipare l’universale ignoranza che molte città d’Italia avea nello scorso secolo determinate aa’aprire PRIMO 71 entro le loro mura pubbliche scuole, facendosi in questo sempre maggiore , come ne accrebbe 1*. il numero, così raddoppiò ancora il fervore e l1 impegno de1 cittadini in renderle vieppiù fiorenti ed illustri. Appena si crederebbe che fra tanto rumore d’armi e d’armati, e fra tante esterne e domestiche guerre da cui era allor travagliata l’Italia, potessero i professori insegnar dalle cattedre tranquillamente al tempo medesimo che sotto le mura, e talvolta ancor nelle piazze e nelle vie della città, combattevasi con furore. Ma lo spirito di partito reggeva allora ogni cosa; e quella medesima rivalità che rivolgeva l’un contro F altro i principi e i popoli, faceali gareggiare tra loro nel procacciarsi tutti que’ mezzi onde le lor città divenissero sopra F altre famose e grandi. Al tempo stesso però avveniva sovente che le guerre riuscisser funeste alle scuole non meno che alle mura e alle torri; e che i pacifici professori non ricevessero minor danno dalle infelici battaglie che i valorosi guerrieri. Quindi vedrem sovente una università aperta ili quest1 anno, nel seguente cader a terra; i professori balzati qua e là, e costretti a cambiar sede più volte; le scuole medesime ora essere frequentate da folto numero di stranieri, ora rimanersi interamente vote e deserte. Facciamoci a svolgere le diverse vicende di ciascheduna di esse; nel qual argomento io tratterrommi tanto più volentieri , quanto meno è stato finora illustrato. E cominciamo dalla più illustre di tutte, cioè dall’università di Bologna. Ma nel trattare di essa troppo mi duole di non poter più seguire H2 LIBRO la fedele e sicura scorta dell* esattissimo P. Sarti; e ne ho dovuto portare io stesso la pena, costretto a ricercare con non poca fatica nelle antiche cronache di quella città e negli scrittori di que’ tempi le notizie a ciò necessarie *, giacche non ho creduto di dovermi affidare a’ moderni storici non sempre abbastanza esatti, ma pur essi ancora da me consultati per valermene al bisogno. Che se, ciò non ostante, questa parte di storia sembrerà agli eruditi bolognesi mancante e imperfetta , potranno essi consolarsi ben giustamente sulla speranza di veder continuata dal ch. P. abate Fattorini la Storia della famosa loro università, il qual erudito scrittore saprà sminuire il comun dolore conceputo per la perdita del P. ab. Sarti, col mostrarsene degno successore nella diligenza e nell’esattezza delle ricerche su questo argomento (a). II. Era l’università di Bologna al fine del seL’uni ver-.. 0.. sitù dì Bolo- colo scorso e al cominciamento di questo in fa "continui quel florido stato che nel precedente tomo abrJ: u2£ biamo descritto. I magistrati colla lor proleBi- zione le accrescevano a un tempo l’onore, e le assicuravano la tranquillità, come si vide l’anno 1303 nella difesa ch’essi presero del rettor di essa Federigo d’Alemagna maltrattato e gravemente ferito da un professore; di che veggasi il Ghirardacci che ne cita in pruova i libri delle Riformagioni (Stor. di Bol. t. i ,p.); (a) Già abbiamo altrove avvertito che si è perduta ornai la speranza di vedere almen per ora continuata un’opera che all’università di Bologna dovea recare cotanto lustro ed onore. PRIMO 73 e altrove accenna gli opportuni provvedimenti a vantaggio dell’uni vesità medesima dati (ib. p. 464, 539, 560, 581). Ma non andò guari che levossi contro di essa una fiera burrasca. Il cardinale Napoleone degli Orsini mandato l’anno 1306 da Clemente V in Italia col carattere di legato, e venuto a Bologna, mentre si adopera ad acchetarvi le interne discordie, cadde in sospetto di voler cambiare lo stato e il governo della città; ed eccitatosi perciò un popolare tumulto, fu costretto con suo grande pericolo a prender la fuga, e ritirarsi ad Imola. Quindi sdegnato contro la rivoltosa città, sottoposela all’interdetto, in cui nominatamente comprese lo Studio secondo il costume di que’ tempi (Chron. Bon. vol. 18, Script. Rer. Ital. p. 309), dichiarando scomunicati tutti gli scolari che ivi ancora si trattenessero (Chron. Estens. ib. vol. 15, p. 354). Fu questo come un colpo di fulmine che disperse quel fiorentissimo corpo, in modo che quasi tutti i professori co’ loro scolari passarono a Padova (Ann. Caesen. ib. vol. 14, p• |12y)? e questa università ne divenne perciò sempre più numerosa. Ma non perciò rimase per lungo tempo deserta quella di Bologna; perciocchè il Ghirardacci allegando i libri delle Riformagioni nomina i professori dell’uno e dell’altro Diritto, che l’anno 1306 vi furonchiamati (l. dtp. 492), e numero assai maggior ne veggiamo nel seguente anno 1307 (ib. p. 505); e, oltre ciò, è certo che Dino del Garbo famoso medico fiorentino era nello stesso anno 1306 e ne’ seguenti professore di medicina in Bologna, III. Altre \icende di es* sa, • passa"’ gio de1 |»rolesso ri e degli scolari a Siena. 74 LIBRO perciocché così ei comincia un suo comento ch’egli intitolò Dilucidatorio sopra Avicenna: In nomine Domini, ec. Incipit expositio quartae fene primi Canonis Avicennae, quam ego Dynus de Florentia incepi componere, cum legi Bononiae anno sexto meae lecturae mcccxi. Se dunque F anno 1311 era il vi della lettura di Dino in Bologna, convien dire ch’ei cominciasse a tenervi scuola lo stesso anno 1306, e che l’interdetto dello Studio non fosse molto curato da’ Bolognesi, o non avesse effetto che per brevissimo tempo; benchè i Bolognesi non ne fosser prosciolti che l’anno 1308 (ib.p. 523) (a). III. Più funeste per avventura sarebbono a quella università riuscite le domestiche turbo. lenze, se i magistrati non le avessero pronta; mente sopite. L’anno 1316 i rettori della Ragion canonica e civile irritati contro il podestà di Bologna, da cui credeansi offesi, uscirono improvvisamente dalla città e si ritirarono ad Argenta, e gli scolari già si accingevano anch’essi a seguir l’esempio de’ professori. Ma il Consiglio, spediti prontamente ad Argenta alcuni ambasciadori, si adoperò per modo, ch’essi fecer ritorno a Bologna, ove poscia si diede loro e agli scolari la dovuta soddisfazione, e si stabilirono solennemente condizioni e patti alla stessa università assai onorevoli. Di ciò non abbiam memorie nelle cronache antiche, ma solo presso il Ghirardacci (ib. p. 587), il quale però (r/) Veggasi questo passo meglio rischiarato e corretto nel libro II, capo *> , me più a lungo si ragiona di Dino. PRIMO 75 adducendone in pruova i pubblici monumenti e la stessa carta d’accordo, che allor fu pubblicata, non lasciò luogo a dubitarne. Ma pochi anni durò la pace: ed ecco qual fu l’origine, secondo l’antica Cronaca bolognese (Script. Rer. ital. vol. 18, p. 333), di un nuovo tumulto in questa università. Fu morto (l’anno 1321) nel Comune di Bologna uno scolare (che nella Storia di Matteo Griffoni (ib. p. 140) si dice Jacopo di Valenza) per cagione di una donna figliuola di Cecchino de’ Zagnoni d’Arzele, la qual era nipote di messer Giovanni Andrea dottore; onde essendo avvisato il padre, egli coll aiuto de9 vicini a gran fatica difese di essa figliuola non fosse rapita dallo scolare. E fu V incornineiamento della disfazione di Bologna; allora gli scolari si partirono da Bologna, e andarono a Imola. Il Ghirardacci rapporta (t. 2, p. 4, ec.) più stesamente questo fatto medesimo, ma insieme discorda dalla Cronaca sopraccitata, affermando che gli scolari per la maggior parte insieme con molti de’ dottori passarono allo studio in Siena, rimanendo gli altri nella città. Ma questa contrarietà si può conciliar facilmente; perciocchè Pietro Ancarano canonista, che viveva alla fine di questo secolo, narra (prœm. in l. 6 Decret.) che giunti gli scolari ad Imola spediron messi a molte città d’Italia perchè ofFrisser loro ricovero; e che i Sanesi furono i primi che, mandati due ambasciadori ad Imola, pattuiron con loro e li condussero a Siena. I patti furono che i Sanesi pagassero sei mila fiorini agli scolari, perchè essi potessero riscattare i lor libri deposti in pegno; e che a spese 70 LIBRO do’ Sauesi medesimi con tutti gli altri lor mobili si trasportassero a Siena; che a’ professori si pagassero ogni anno trecento fiorini d’oro; che agli scolari per un anno e quattro mesi si desse gratuitamente l’abitazione; e che procurassero di aver dal sommo pontefice il privilegio di conferire la laurea. Qual grande idea aveasi delle lettere in que’ tempi per altro sì barbari, poichè a sì gran costo le città si procacciavano i mezzi di coltivarle! Di questo fatto si fa menzione anche nelle antiche Cronache Sanesi pubblicate dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 15, p. 63), ma insieme si accenna l’infelice esito che ebbe, benchè ivi si narri non al 1321, ma all’anno innanzi: E nel detto tempo e nel mese di Maggio venne lo studio generale di Bologna in Siena, e a quelli Scolari el Comune fece grandi vantaggi. Ma poco tempo si stette; imperocchè ’l Comune lo’ promise di far lor avere dei previlegj del Convento , e poi ne li potero avere, e per questa cagione si partiro. Di questa medesima traslazione io trovo memoria nell’opera sopraccitata di Dino, il quale nel proemio d’essa così dice: Et licet Scholares omnes mei amici veri existant, maxime tamen Scholares, qui de Borioni a et aliis partibus ad Civitatem Sena rum gratia Reformationis studii, quod Bononie tunc tempori s fuit destructum, venerunt mihi non solurn amie iti a. sed etiam procurando honorem et salarium ab eodem Comuni. Ma al fine della stessa opera sembra che Dino si contraddica; perciocchè dopo aver detto, come al principio, ch’egli aveala cominciata in Bologna nel vi anno PRIMO 77 della sua lettura, dice che continuolla in Padova: deinde vero vocatus ad studium reparandum a Comuni Civitatis Paduae ibi legens hoc opus reincepi; e aggiugne che poscia per l’infelice stato di Padova passò a Firenze, e ivi continuolla, e la compì nel 1319. corae come" possiam noi conciliare il primo passo col secondo? E inoltre, se Dino compiè quest’opera nel 1319) dappoichè o da Siena, o da Padova egli era passato a Firenze, come potè avvenire che lo Studio da Bologna si trasportasse a Siena solo nell’anno 1321? Aggiungasi, che lo stesso Dino al fine del suo comento sul secondo canone d’Avicenna così dice: Et finita est ec completa haec expositio et declaratio hujus partis Avicennae anno Chris ti i3a5, die 27 Mensis Octobris, quam ego Dynus de Florentia minimus inter Medicinae Doctores incepij cum viguit Studium in Civitate Senarum , et hanc partem Avicannae ibi in cathedra legi; sed eam complevi, cum Florentiam redii propter illius studii diminutionem et annichilationem. Tutte queste vicende però sembra che possano conciliarsi, dicendo che Dino circa il 1313 andò da Bologna a Padova, e che ivi stette fino al 1319); che allora andossene a Firenze, e vi compì il suo Dilucidatorio sopra Avicenna; che poscia passò l’an 1321 allo studio diSiena, ove molti scolari dell’università di Bologna vennero a udirlo; e che finalmente , sciolto non molto tempo dopo quel nuovo Studio, Dino un’altra volta tornossene a Firenze. ^8 LIBRO „ ,v- IV. Il Consiglio di Bologna non tardò punto Ritornano a. ° ° ,rr Bologna; «n;. a conoscere le ree conseguenze che da tal tatto a><nuovr’i- ^ poteano temere, e si adoperò prontamente «ude. a calmare gli animi irritati degli scolari. Quindi non solo fu il podestà obbligato a chieder perdono alla università dell1 insulto fattole col dannare a morte un suo scolaro, ma più altri amplissimi privilegi si concederono singolarmente a’ forestieri che per motivo di studio fossero in Bologna. Essi si posson vedere nello stromento autentico perciò formato e pubblicato dal Ghirardacci (l. cit p. 6, ec.). E perchè ciò non ostante molti de’ professori che aveano abbandonata Bologna, non pareano solleciti di ritornarvi, e il numero degli scolari ancora veniva scemando, si progettò lo stesso anno di chiamar da Perugia, ove teneva scuola di legge, Jacopo Belviso uno de’ più celebri professori che allor vivessero, e se ne formò un decreto a lui sommamente onorevole, che dal Ghirardacci medesimo è stato dato alla luce (ib.p. 10). Alcuni dei professori fuggiti altrove erano bolognesi, e stretti si erano con giuramento di non abbandonar mai la lor patria. Quindi contro di essi si procedette con più rigore, e si fe’ legge che, se dentro otto giorni non fosser tornati, se ne confiscassero i beni, se ne atterrasser le case, e colle obbrobriose divise di traditori ne fosser pubblicamente esposte le immagini (ib. p. 11). In tal maniera procuravano i Bolognesi di riparare il danno dalle ultime rivoluzioni recato al loro Studio, e d1 impedire singolarmente che quel di Siena non facesse troppo felici progressi. Ad essi si aggiunse il PRIMO 79 pontefice Giovanni XXII che Fanno i322 accordò a quella università grazie e privilegi non piccioli, come da’ registri della Vaticana pruova il Ghirardacci (ib. p. 27, 36). Così finalmente ottennero che gli scolari medesimi, i quali erano già da Bologna passati a Siena, veggendo queste lor nuove scuole sconvolte e mal ordinate, invogliaronsi di ritornare onde eran partiti, e invitati con cortesi maniere e con onorevoli privilegi da’ magistrati di Bologna , vennero l’anno 1323 a continuare ivi i loro studj (ib. p. 40). Infatti veggiamo all’an 1325 un buon numero di professori in Bologna occupare le cattedre delle più ragguardevoli scienze. Eccone il catalogo tratto per opera del Ghirardacci dai Libri delle pubbliche provvigioni (ib. p. 56): Leggevano quest! anno pubblicamente nello studio di Bologna Guido da Foligno dottore decretale alla lettura straordinaria de’ Decreti col salario di cinquanta lire, Rainiero da Forlì dottore di legge alla lettura del Digesto nuovo col salario di 100 lire, Pietro de’ Cerniti dottore di legge alla lettura del Volume col salario di 100 lire, frate Uberto da Cesena dottore decretale alla lettura ordinaria de’ Decreti col salario di trecento lire, maestro Cecco di Ascoli leggeva astrologia col salario di 100 lire, maestro Angelo d’Arezzo leggeva filosofia col salario di 100 lire, maestro Mondino dottore in medicina leggeva in pratica col salario di 100 lire, maestro Francesco dottore delle arti leggeva i libri piccoli della Filosofia Naturale, de Caelo, e la Meteora, col salario di 100 lire, maestro Vitale dottore in gramatica leggeva 80 LIBRO Tullio e le Metamorfosi. Ma mentre questa università sembrava risorgere all’antico suo lustro, da un nuovo sinistro accidente ella per poco non fu dissipata e dispersa. Udiamone il racconto dall’antica Cronaca di Bologna all1 anno i325 (Script. Rer. ital. vol. 18, p. 338): Fu giustiziato in Bologna uno scolare, cui fu tagliata la testa, e al suo famiglio, perche ave ano morto un uomo cittadino. Onde lo Studio fu interdetto, e gli scolari andarono a Imola. Il Ghirardacci narra tal fatto all1 anno i326 (l. cit. p. 63), non fa motto dell1 interdetto, e dice solo che molti fra gli scolari abbandonaron Bologna e trasportaronsi ad Imola. Infatti l1 università sofferse probabilmente in tal occasione qualche scemamento; ma ella pur sussistette; perciocchè lo stesso scrittore nel Libro delle Riformar gioni ha trovata memoria d1 un1 ambasciata (ib. p. 66) che lo stesso anno 1326 ella inviò al pontefice Giovanni XXII per ottenere, come ottenne di fatto, la confermazione de’ suoi privilegi. E l’anno appresso, allor quando il cardinale Bertrando del Poggetto fece il suo solenne ingresso in Bologna, veggiamo che gli uscirono incontro i dottori (ib. p. 76); di che parlando gli antichi Annali di Modena così dicono: Obvium etenim promiscui omnis ordinis et fortu* nae viri effusi sunt Artium et Legum Doctores purpureis induti paliis et varro suffultis (Script. Rer. ital. vol. 11, p. 113). Del detto Cardinal Bertrando ci narrano i Cortusii nella loro Storia di Padova, che riformò l1 università di Bologna (ib. vol. 12, p. 860). Ma di ciò non veggiamo indicio nelle storie di questa città. rumo 81 V. Ciò che è certo, si è che per cagione v v* l i- i t» i n • «uounnJel medesimo Cardinal Bertrando quella uni- untolo versità ebbe a soffrire un nuovo interdetto. r?^?i.ioné L’anno i33.{ sollevatosi in Bologna un popolar fSUruSUl tumulto contro il legato, questi fu costretto addo* andarsene; e vide fra poco quasi tutte le città della Romagna imitar l’esempio de’ Bolognesi e ribellarsi al pontefice. Giovanni XXII non ebbe tempo a punire cotal rivolta, morto nel dicembre di quest’anno medesimo. Benedetto XII, di lui successore, tardò sino al terzo anno del suo pontificato a far sentire il suo sdegno a’ Bolognesi. Negli antichi Annali milanesi, pubblicati dal Muratori (ib. vol. 16, p. 712), si narra che questo pontefice l’anno 1337 (cioè verso la fine di esso, come fra poco vedremo) fulminò contro di essi rigorosa sentenza, e ordinò , che se entro due mesi non avesser renduta Bologna alla Chiesa , rifabbricato il castello, e soddisfatto pe’ danni recati, la città fosse interdetta, scomunicati i colpevoli, sospeso lo studio e annullati tutti i privilegi. In fatti nella più volte citata Cronaca abbiamo (ib. vol. 18, p. 376) che l’anno 1338, a’ di 6 gennaio vennero lettere papali di scomunica di tutti i caporali di Bologna, che furono in numero di 250, tra’ quali vi fu il signor Taddeo de’ Pepoli (a cui in quel frattempo era stato dato il governo della città) e messer Brandeligi de’ Gozzadini, e gli altri delle altre case, e a quelli della città, cioè alC avanzo, che non erano nominati nelle lettere, fu dato termine fino a’ dì 1 1 del mese di marzo prossimo a rispondere alla beatitnd’me ilei j)apa; altrimenti cadranno nel caso dei Tiraboschi, Voi. V. 6 8j libuo sopraddetti nominati Soggiugne poscia la stessa Cronaca che per questa cagione si mandarono incontanente ambasciadori al papa ad Avignone, e pirono dell1 università degli scolari, e furono dal signor Taddeo salariati bene; il che pruova che nè la città nè lo Studio non era ancora stato interdetto. Ciò accadde solo, come continua a narrare la stessa Cronaca, il lunedì secondo di marzo, e fu il primo dì di quaresima. Convenne dunque chiuder le scuole e interromper gli studj. E nondimeno perchè il corpo dell’università non si sciogliesse del tutto, i Bolognesi preser consiglio di mandarlo almeno in parte a Castel S. Pietro, e il capo di questa spedizione fu Ranieri di Forlì celebre dottor di leggi a que’ tempi. De Mense Aprilis, così nella Storia del Griffoni (ib. p. 163), Dominus Raynerius de Forlivio Doctor Legum, et sex Scholares elee ti, ad legendum et tenendum studium in Castro S. Petri propter interdictum Studii, iverunt ad dictum Castrum dicta occasione, et multi Scholares iverunt ad intrandum ibi. dicta de causa. E così pure nell’altra Cronaca (ib. p. 378): A dì 16 di aprile andarono i dottori a leggere al Castello di S. Pietro a quegli scolari a’ quali piacque di andarvi, e furono i leggisti e i decretalisti; e ciascun dottore che leggeva innanti ebbe ad andarvi per suo onore. Il che pur si conferma dal Ghirardacci (t 2, p. 139)), il quale oltre Ranieri da Forlì nomina ancora Ugo da Parma decretalista, e specifica la casa in cui teneansi ivi le scuole. Non poteron però i Bolognesi impedire che altri di questa occasione non si piuyio. 83 valessero per trasportarsi altrove; perciocchè negli antichi Annali d’Arezzo leggiamo (Script. rer. ital.. vol. 24, p 878) che in quest’anno medesimo alcuni professori del Diritto canonico e del civile, non potendo per l’interdetto stare in Bologna, passarono a tenere scuola in quella città, e vi ebbero il salario di 100 fiorini d oro. L’interdetto durò fino all’ottobre dell’anno medesimo, in cui, riconciliati i Bolognesi col papa, esso fu tolto (ib. vol. 18, p. 378), ed è probabile che le pubbliche scuole ancora vi fossero tosto riaperte, e per più anni la loro pace non fosse punto turbata. VI. Giovanni Visconti arcivescovo e signor CVI- , ir 1... ° Siatn «1» di Milano, che fra molte città aggiunte agli <«••*Stati ricevuti da’ suoi maggiori ebbe la gloria wouti.’° di noverare ancora Bologna vendutagli l’anno 1350 da Giovanni de’ Pepoli. rivolse i suoi pensieri anche a quella famosa università, e l’anno 1353, come abbiamo nella più volte citata Cronaca, di giugno, messer l’arcivescovo mandò in Bologna messer Niccolò da Reggio suo uffiziale a sopravvedere i fatti del Comune e dello Studio (ib. p. 429)- Ma pochi anni ap.presso un altro interdetto turbò e sconvolse Bologna. Nella Cronaca del Griffoni si narra (ib. p. 173) ch’esso fu intimato a’ 12 d’aprile del 1357 dal vescovo di Bologna pe’ danni recati alla famiglia del Cardinal Bertrando legato l’anno 1334* Nè io so intendere per qual ragione tanti anni dopo si rinnovasse la pena contro un delitto sì antico, punito già dal pontefice Benedetto XII, e poscia ancor perdonato. Nell’altra Cronaca di Bologna si dice (ib.p. 44^) 84 LIBRO che l’interdetto fu intimato per lettere d’innocenzo VI, e non se n’accenna ragione alcuna. A me sembra assai più probabile il motivo che il Ghirardacci ne reca (t. 2, p. 234)? cioè la tirannia che in quella città usava Giovanni da Oleggio, e il non volersi da lui riconoscere il supremo dominio su quella città della Sede apostolica. Questo interdetto ebbe più lunga durata che il precedente; e non fu tolto che a’ 24 di ottobre dell’anno seguente 1358 (Script Rer. ital. l. cit. p. 448)- Io non trovo però indicio che lo Studio vi fosse in alcun modo compreso; e se pure Innocenzo VI recò con questo interdetto molestia e danno all’università di Bologna, egli stesso gliene diede un onorevol compenso l’anno 1362 quando spedì un amplissimo privilegio in favore di essa, con cui dopo averne dette gran lodi, e paragonatala a luminosissima stella che gitta per ogni parte la sua luce, stabilisce che in essa debba in avvenire tenersi ancora pubblica scuola di sacra teologia, e che in essa non meno che nell’altre scienze si debba conferir la laurea a coloro che ne saran meritevoli (a). Questa Bolla è stata data alla luce € {a) Il privilegio di accordar la laurea teologica conceduto all1 università di Bolognii fece quasi interamente cessare l’uso assai frequente in Italia di trasportarsi all’università di Parigi per ottenerla: e tanto si accrebbe per ciò il numero degli scolari in quella università , che parve in certo modo che lo Studio pubblico fosse stato da Parigi trasportato a Bologna. Così pare che debbasi spiegare un decreto del primo di ottobre del 1380 del pubblico Consiglio di Udine, che conservasi nell’archivio di quella città, ove si espone PRIMO 85 dal Ghirardacci (l. cit p. 262) e dall’Ughelli (Ital Sacra, t. 2, in Episc. Bon.), e intorno ad essa abbiam ragionato abbastanza nel quarto tomo di questa Storia (l. 2. c. i)> esaminando se da essa si possa raccogliere che innanzi a quest’anno quella famosa università fosse priva e mancante di cattedra teologica. Frattanto non vuolsi ommettere il catalogo di tutti i professori che ivi leggevano l’anno 1360, conservatoci dal Ghirardacci, il quale, dopo aver detto che il Cardinal Egidio Albornoz legato fece a tutti accrescere lo stipendio, dice ch’essi erano Gandino de’ Gandoni decretale, Alberto di S. Giovanni e Giovanni da Canetolo in legge, Giovanni Alvaro Spagnuolo, Giacomo d’Arpino, Giovanni Garsia e Giovanni d’Ascoli in canonica, Floriano da S. Pietro e Gherardo da Galerata in medicina ed arti, Antonio dall’Olmo, Giacomo da Farneto, Giacomo da Parma, Antonio da Faenza, Giovanni da Muglio, Pietro da Varignana, Guido de’ Preunti in gramatica, e Pietro dalla Matrice e Stefano da in notaria (t. 2 , p. 25o). VII. Ciò non ostante era a questi tempi as- „ yn • • p l- 1 v n 1 « 1, Il P.-tr.»rra sai infelice lo stato di quella una volta si ce- ne piange ij lebre università. Il Petrarca, che ne’ giovanili suoi anni aveala veduta per valore di professori e per numero di scolari oltre ogni modo fiorita, al rimirarla ora sì squallida e sì deserta la supplica ad esso presentata: per D. Fratrcrn Gabriele/n Ordinis Predicatorum, quia tfurus en ad Studium Generale in Bnnonia quod fiebal Parisiis, ibi tran si a t uni. 86 LIBRO provava indicibil dolore: Noi andammo già in* sieme, scriveva egli l’anno 1367 a Guido da Settimo (Senil. l. 10, ep. 2), suo compagno nei primi studj e allora arcivescovo di Genova , noi andammo già insieme a Bologna, di cui non era allora città più piacevole, o più libera in tutto il mondo. Tu ben ti ricordi qual folla di scolari vi avesse, qual fosse il loro ordine, e quale la vigilanza de’ professori. Parevaci di veder risorti quegli antichi giureconsulti. Ma ora appena ve ri ha alcuno. A que’ tanti e sì grandi ingegni è sottentrata una universale ignoranza; e Dio voglia ch’ella sia come nemica, e non come ospite, o se come ospite, almeno non come cittadina, e, ciò ch’io pur temo, signora. Tanto a me sembra che tutti, perduto omai il coraggio, si stiano oziosi. Quale abbondanza inoltre di tutte le cose eravi allora, e quale fertilità! sicchè in ogni parte del mondo dicevasi comunemente la pingue Bologna. Ella comincia ora, è vero, per opera del regnante romano pontefice (Urbano V) a risorgere e a rifiorire; ma fino al presente per cercarne che tu facessi non sol le viscere, ma ancor le mi-, doUe, non troveresti cosa più arida e più smunta. Il Cardinal legato (Androino dalla Rocca) che di fresco ne ha avuto il governo, essendo io andato tre anni sono a visitarlo , poichè mi ebbe ricevuto e abbracciato cortesemente, messo il discorso sullo stato infelice di quella città, Questa, mi disse scherzando, fu già Bologna, ma ora è Macerata, alludendo al nome di una piccola città della Marca. E poco appresso: Perchè vo io trattenendomi tanto PP. IMO 87 intorno a questa città? Io ho così vivamente, impressa nell animo l immagine dell antica Bologna, che ogni qualvolta mi volgo a rimirar la presente, per poco sembrami di sognare, e appena credo ai miei occhi; già da molti anni alla pace è sottentrata la guerra, alla libertà il servaggio, all abbondanza la povertà, a’ giuochi la tristezza, a’ canti i gemiti, alle danze delle fanciulle le schiere de’! ladroni, cosicchè, trattene le alte torri e le chiese che ancor sussistono, e che dalle lor cime rimirano l infelice città, questa che si dicea Bologna, or sembra tutt!altro ornai clic Bologna. Della premura e della sollecitudine da Urbano V usata nel ricondurre all’antica sua gloria l’università di Bologna parla ancora il Petrarca in un’altra sua lunghissima lettera scritta l’anno innanzi allo stesso pontefice (ib. l. 7, ep. 1); e perchè scrive a lui stesso, sembra esagerare alquanto il felice effetto ch’ei ne ottenea, anche per animarlo a proseguire la ben cominciata impresa. Io udiva parlare, die’egli, del singoiar ti 10 impegno e della paterna tua sollecitudine per l u.jiiversità di Bologna, quale in niun pontefice si è mai veduta e in niun sovrano; con quanti e quai privilegi, con quale magnificenza, con quale affetto cerchi di ristorare quella università abbattuta ed oppressa da continui tumulti di guerre, e non solo di renderle l’antico lustro , ma di accrescerglielo ancor maggiormente, ove sia favorevole la fortuna! E questa ancora io riputavala impresa degna di te, e a te riserbata. Perciocchè chi recar dee aiuto e soccorso a una città madre e nudrice di tutti gli studi, 88 LIBRO e del diritto singolarmente, fuorchè tu peritissimo nell’uno e nell’altro diritto , e di uno ancora avuto in conto di fondatore ed interprete unico e singolare? E chi fuor di te potrebbe, o vorrebbe sottoporre le spalle a una sì grande rovina della letteratura? E forse a questa protezione che Urbano V accordava alla università di Bologna, si dee attribuire ciò che leggiamo nell’antica Cronaca di questa città (Script. Rer. ital. vol. 18, p. 486), cioè che l’anno 1369 es“ sendo stati costretti ad uscirne tutti i sudditi di Barnabò Visconti signor di Milano, ne furono eccettuati gli scolari. Ma certamente dee da esso riconoscere quella università, che ciò che da Innocenzo VI era stato ordinato riguardo alla cattedra e allo studio teologico, e che non erasi ancor seguito, si conducesse ad effetto l’anno 1364, (di che diremo più a lungo nel libro seguente. E inoltre il Ghirardacci accenna più privilegi che lo stesso pontefice accordò all’università per ristorarla da’ gravissimi danni sofferti (t. 2, p. 284)vin. VJII. Ad accrescere vie maggiormente, quanto Elogio d.*i, „7, 1. raniinaie Ai- il permettevan que’ tempi, la lama dell umverÌJTLJSi sità di Bologna, dovette giovar non poco la .’ J1/ fondazione del collegio degli Spajmuoli, che in Grrgot io XI. 11 • ^ • • l* 1 quella città tuttavia sussiste, ordinata nel suo testamento dal cardinale Egidio Albornoz. Era egli legato in Bologna, e per tal modo erasi conciliata la stima e’ ’l rispetto de’ cittadini, che l’autore della più volte citata Cronaca, dopo averne narrata la morte avvenuta in Viterbo neiP agosto del 1367, ne lasciò scritto il seguente elogio (l. cit. p. 482): Fece comunemente ad ogni PRIMO 89 nomo di Bologna gran male della sua morte, imperciocchè esso era stato un grande e prudente uomo, savio e grande amico degli uomini di Bologna, e fu quegli che ci cavò dalle mani di quello da Milano con gran sudore e fatica. E per certo non si potrebbe scrivere appieno quello che meriterebbe V onor suo. Or questi nel suo testamento fatto tre anni innanzi, cioè l’anno 1364? e c^° è stato dato alla luce in Bologna l’an 1533 dopo aver disposto di parte de’ beni suoi in parecchie opere pie, ordinò che del rimanente di essi si fondasse in Bologna presso le pubbliche scuole un collegio, e si fabbricasser perciò le case opportune con giardini, con sale e con tutto ciò che potesse esser d’uopo a tal fine; e che ivi si mantenessero ventiquattro giovani spagnuoli con due cappellani, il qual collegio egli lasciò erede di ogni suo avere, e nominatamente dei suoi libri legali. Egli stesso sopravvivendo al suo testamento fe’ cominciare nel seguente anno la fabbrica (Ghirardacci, t. 2, p. 288), la quale finita poscia fra pochi anni, il collegio fu aperto, e fin dall’anno 1377 ne erano state non solo distese, ma approvate ancora dal pontefice Gregorio XI le leggi. Così alla nazione spagnuola, che fin dal secolo precedente avea a questa università inviati alunni e professori di non ordinaria fama, si agevolò sempre meglio la via per frequentare queste celebri scuole, che anche in mezzo all’universale desolazione di tutta l’Italia serbavan qualche vestigio dell’antico lor nome. L’esempio del cardinale Albornoz fu presto imitato dal pontefice Gregorio XI, che QO LIBRO l’anno 1371 fondò in Bologna un nuovo collegio che dal nome di lui fu detto Gregoriano (ib. p. 302, 307), e fu poscia dallo stesso pontefice in diverse maniere favorito e protetto. _ ,x. IX. Lo scisma che poco appresso divise fuStato di essa.. * 1 1.. r,.,. a» tempi «u pestamente la Chiesa, e per tanti anni 1 aulisse, Urbano VI.i r * 1 *• * fece esso ancora conoscere in quale stima si avesse l’università di Bologna. Ella, seguendo l’esempio della maggior parte d’Italia, erasi dichiarata pel vero pontefice Urbano VI. Carlo V re di Francia, che dichiarossi poi per Clemente VII, volle esaminare dapprima qual fosse il sentimento di quelli che in ciò meritavano maggior fede; e scrisse perciò alla università di Bologna una onorevolissima lettera, pregandola a dichiarare a qual dei due pontefici si dovesse ubbidienza. Ella è stata data alla luce dall’eruditissimo monsig. Mansi (Miscell Baluz. t. 1 , p. 446; ed. lucens.), il quale ad essa ha aggiunta una Relazione dell’origine dello scisma, cui l’università medesima mandò al re Carlo, perchè vedesse quanto fosse stata legittima l’elezione di Urbano. Alla Relazione aggiunse l’università il suo parere e la sua decisione in favore dello stesso Urbano, la quale però non è stata data alla luce. Ma Carlo ciò non ostante, come si è accennato, per altre ragioni che a questo luogo non appartengono, seguì l’opposto partito, e aderì a Clemente. Questo contrassegno di stima che Carlo diede all’università di Bologna, ci fa conoscere di qual fama ella godesse anche nel regno di Francia, e ci mostra, che benchè l’università di Parigi fosse in ogni parte sì rinomata, singolarmente per PRIMO C)I ciò che appartiene agli studj sacri, in un affare però di tanta importanza volle il re Carlo udire ancora il parere de’ professori bolognesi; e se egli insieme cogli altri principi cristiani, oltre l’udirlo, l’avesse ancora seguito, la Chiesa non sarebbe stata costretta a piangere per tanti anni le gravi sciagure da cui all’occasion dello scisma ella fu travagliata. Andava frattanto l’università di Bologna crescendo a stato sempre più lieto, e gran copia vi si trovava raccolta di professori in ogni scienza eccellenti e di scolari venuti da ogni nazione. Ne abbiamo in pruova certi articoli che a sopir le contese nate fra questi l’anno 1379 furon di comun consenso stabiliti, e che si posson leggere presso il Ghirardacci (l. cit p. 376), ove si trovan nominati molti di essi. Questo scrittor medesimo ci ha dato il catalogo de’ professori (ib.p. 389) ch’ivi tenevano scuola l’anno 1381, insieme collo stipendio a ciascheduno assegnato. Quelli sono in numero di quarantaquattro, questo in tutto giugne a lire 7987, essendo il maggior di tutti lire 620 assegnate a Giovanni da Le,gnano, il più piccolo di lire 50. Un somigliante catalogo egli ci ha dato de’ professori e de’ loro stipendj all’anno 1384 (ib. p. 398), e in amendue veggiam molti uomini de’ più famosi che allora fossero in Italia. Ma all’anno 1388 troviam ch’egli afferma (ib. p. 424) che assai scarso era il numero de’ professori in Bologna, senza che egli ci accenni onde ciò avvenisse, e che perciò molti dottori in filosofia e astrologia furon da diverse parti chiamati, e singolarmente maestro Polo da Modena, uomo 92 LIBRO dottissimo e molto alto all insegnare. Il che dovette avere felice successo, poichè l’anno 1390 i professori di essa giugnevano al numero di quarantacinque (ib. p. 4§o). E. X. Quando ad Urbano VI l’anno 1389 suc" f«»o j\. cedette Bonifazio IX, questi mostrossi sollecito di avere a sè favorevole questa sì celebre università; e benchè dapprima ei si mostrasse sdegnato co’ Bolognesi, perchè non ancora gli avean renduto alcun atto d’ossequio, e giugnesse anche a fulminar l’interdetto sopra la lor città, placatosi poi nondimeno a una onorevole ambasciata che gl’inviarono l’anno 1392, scrisse a’ Bolognesi alcuni onorevolissimi brevi, ne’ quali oltre più grazie e più privilegi a quella chiesa e a quella città conceduti, facea espressa menzione delle pubbliche scuole, e ad esse ancora accordava distinzioni ed onori. Ancora, dice l’autore della Cronaca sopraccitata facendo un compendio de’ detti brevi (Script Rer. ital. vol. 18, p. 553), ei concede lo studio alla città di Bologna. Di più, che ciascuna persona la quale volesse studiare a Bologna, e avesse alcun benefizio, possa stare ad istudiare ed aver ^ le rendite del benefizio che avesse. Ancora ci concede il privilegio di Teodosio impera dorè. E poco appresso (ib. p. 554 > ec-): ^LCl confermate le bolle e i privilegi conceduti al nostro Comune, e specialmente quello di papa Innocenzo VI, che contiene la concessione dello studio generale in Ragione e di Sacra Pagina in perpetuo, ed eziandio privilegio di Teodosio imperadore.... Item ha conceduto che tutti i cherici a’ quali è proibito (f istudiare in legge, PRIMO C)3 o in medicina, possano studiare in Bologna nelle dette facoltà. Così questo pontefice ricompensava insieme e si assicurava sempre più f attaccamento di un corpo così rispettabile , com’era l’università di Bologna. Io non credo però , che alcun vorrà valersi di questi brevi a confermare la popolare opinione della fondazione di essa fatta dall’imperador Teodosio II, come se il pontefice l’avesse con ciò approvata quasi articol di fede; altrimenti troppo grande sarebbe il numero di coloro che accusar dovrebbonsi di eresia. XI. Tal fu lo stato dell’uni versi tà di Bologna _ Xl* il 11 i • Ragioni dclnel secolo xiv, m cui ella per molto tempo de-)a decadde dallo splendore e dal lustro a cui nel secolo precedente era salita , non già per colpa de’ suoi professori, o di que’ che la presiedevano, ma per le infauste vicende de’ tempi, che sì spesso costrinsero quelle celebri scuole ora ad ammutolire, or ad andarsene esuli e raminghe, e scemaron non poco il numero di coloro che da ogni parte venivano ad instruirvisi. Noi vedrem nondimeno che in questo secolo ancora non le mancarono egregi profes.’sori, singolarmente nella legge civile e nella canonica. Ma di ciò non è questo il luogo di ragionare. Or dobbiam vedere a quali vicende fosser soggette le altre università già fondate in molte città d’Italia, e quali altre si venissero nuovamente aprendo. xn. v um\ersila di Padova aperta sul co- xn. minciare del secolo precedente, poscia dopo alcuni anni venuta meno, e finalmente di bel «•?*» nuovo risorta e salita a gran fama verso la fine à’ó vìi. m (j/\ LIBRO dei medesimo secolo, andava facendo sempre più lieti progressi. Guglielmo Cortusio, scrittore di questi tempi, ci descrive il florido stato in cui trovavasi Padova, e singolarmente l’università l’anno 1310. Erat Padua, dic’egli (Hist. de Novit. Paduae, l. i, c. 11, Script. Rer. ital. vol. 12, p. 778), armis et equis plena, et aliis divitiis infinitis, munita et turribus et aliis aedificiis delicatis. Forenses de diversis partibus Paduam veniebant ad refugium salutare. Sapientibus viris Doctoribus in qualibet Arte liberali Religiosis viris splendida, ec. Ma mentre ella godeva della lieta sua sorte, poco mancò che non piangesse l’intera sua rovina. L’anno 1313 essendosi i Padovani ribellati all’iinperador Arrigo, questi, che allora era in Italia, fulminò contro di essi severo bando; e fra le altre pene tolse loro il diritto d’insegnare pubblicamente e di conferire la laurea. Privamus etiam, così egli nel suo Editto pubblicato da Albertino Mussato (Hist. Aug. /. 1 4? rubr. 7, Script. Rer. ital. vol. 10, p. 542)) Civitatem eamdem et privatam esse declaramus studio literati, ac licentia doctorandi et omnibus franchisiis, privilegiis, ec. Del qual fatto mi sembra strano che v nè il Facciolati nè alcun altro storico di quella università non abbia fatta parola. Io non credo però, che il divieto d’Arrigo ottenesse effetto veruno, perciocchè in tali occasioni le sentenze non han vigore, se non sono sostenute dall’armi; e Arrigo non ebbe pur tempo a punire, come avrebbe desiderato, i Padovani; perciocchè egli morì nell’anno medesimo, ed è probabil perciò, che niun danno quella università ricevesse dallo sdegno di Arrigo. PRIMO <j5 X1DL Anzi l’anno seguente 1314 ella ebbe la *mo •.. Ma • «uo cloria di avere a suo rettore un principe di «aito» ai ili ^ i «..* p berlo prinriuua delle più ragguardevoli tra le sovrane la- di s«*onùglie di Europa, cioè Alberto duca di Sas-nu* so ni a. Così ci assicura il ch. Facciolati (Fasti Gymn. patav. pars 1, p. 15), e noi ne vedremo un autentica pruova parlando della corona d’alloro da lui conferita ad Albertino Mussato. Ma chi fu egli questo Alberto che dicesi duca di Sassonia l Di ciò non ci ha data il Facciolati notizia alcuna. Ei non potè certamente essere Alberto II, che fu il solo di questo nome che verso questi tempi fosse signore di quel ducato, perciocchè egli morì o sul fine del secolo XIII, o in uno de’ primi anni del xiv. Ma egli ebbe un figlio del medesimo nome (V. Art de vérifier les Dates, p. 168, éd. Paris. 1770), il quale poscia l’anno 1320 fu eletto vescovo di Passavia, e visse fino al 1342 (Hansiz. German. sacra, t. 1, p. 456, ec.). E questi dovett’essere certamente il rettor dell’università di Padova, e perciò ei dovrebbe a ragione chiamarsi non duca di Sassonia, di cui mai non ebbe la signoria, ma figliuolo del duca di
- passoni a. Onore per vero dire straordinario e
grande, e che è manifesto argomento del nome sparso in ogni parte di quella celebre università. XIV. In quest’anno stesso però, in cui ella Xlv fu onorata cotanto, si vide sorgere quasi a! |( fianco un’altra università da cui ella potea te-pubbli™ fimere non leggier danno. I Trevigiani vollero iTIÌtmJ?" essi ancora aprire un pubblico studio , e , 6‘* come narra il Bonifazio (Stor. di Triv. l. 7 , ad ari. 13 i 4), deliberarono che con onesta q6 libro stipendio fosser condotti nove de’ più famosi dottori che fossero in Italia, de’ quali 3 fossero ordinarj, 3 altri straordinarj lettori di Ragion civile, e gli altri tre di Ragion canonica. Anzi a’ 7 d’agosto di quell’anno medesimo condussero il celebre Pietro d’Abano, perchè per un anno esercitasse in quella città la medicina; ed egli perciò, abbandonata Padova, venne a fissarsi in Trevigi. Il Facciolati ritarda fino all’anno 1318 l’aprimento di queste scuole (l. cit.), e vuole che ciò si facesse per editto di Federigo d’Austria, il quale allora in alcune città d’Italia era riconosciuto re de’ Romani. Ma il Bonifacio, scrittor moderno bensì, ma assai esatto, e che fonda comunemente le sue narrazioni sulle autentiche e antiche memorie , afferma che il decreto di Federigo non fu già per aprire, ma per confermar quello studio (l. 8, ad an. 1318), acciocchè vi si professasse non solo la Ragione civile e canonica, ma ogni altra scienza, col privilegio ancora di conferire la laurea, e con altri favori ad altre università conceduti. Se dall’aprimento di queste scuole soffrisser danno quelle di Padova, non ne trovo memoria. Il Facciolati però ci narra (l. cit. p. 16) che Federigo tanto fu lungi dal voler con ciò danneggiare l’università di Padova, che con un decreto de’ 29 di maggio del i32o le confermò i privilegi e gli onori tutti de’ quali avea finallora goduto. Il qual decreto se dal Facciolati fosse stato dato alla luce, egli avrebbe fatta cosa gradita assai agli amatori delle antichità accademiche e letterarie. Queste sono le sole notizie che dell’università PRIMO 97 di Trevigi il Bollila ciò ci ha date; e solo ei soggiugne ch’essa continuò con gran numero di professori, anche poichè i Veneziani ottennero il dominio di quella città; ma che quando essi divennero signori di Padova, volendo che quivi si radunasse il fiore tutto della letteratura, distrussero perciò l’università di Trevigi (*). (*) Parecchi bei monumenti intorno allo Studio pubblico di Trevigi, che in quella città conservansi, mi ha indicati P eruditissimo sig. conte canonico Rambaldo degli Azzoni Avogaro. Vi è tra essi la lettera della Comunità di Trevigi de’io maggio 1314, con cui notificano Communibus et homi ni bus cujuslibet C ivi tati s et loci, scliolaribus 9 auditori bus, et scicntiam cupicntibus adipi sci.... In nostra C ivitate generale studi uni mansurum decrevimus exerceri... vocantes et salariantes $ ad hoc Doctores egregios juris vid. utriusque, et Physicos ordinarii et extraordinarii ad festum S. Michaelis nuper venturum legere, et studi uni incepturos, ec. In altri decreti de’ 26 luglio e de’ 9 agosto si danno alcuni provvedimenti per lo Studio, e si ordina che ciascheduno de’ professori debba avere comunemente per suo annuale stipendio cccc lib. den. par., che or corrisponde a circa 400 ducati veneti. Ivi ancor si trovano i nomi de’ professori allor destinati, e sono Ordinarii in Jure Civili eligendi ad legendum ordinarie D. Paganinus de Zoccolis de Parma, d. Petrus de Suzaria de Regio , D. Franciscus de Fontana de. Parma. In Jure Canonico D. Zambonus de Mattarello , D. Ablaticus de Mediolano, D. Ricobaldus Monachus de Bononia. Extraor dinarii in Jure Civili, D. Leri de, Sancto Miniato , D. Belcarius de Padua, D. Arpolinus de Mantua, qui moratur Tarvisii. In Phy sic a Magis ter Petrus de Abano, Magister Anzelerius de Monte-Martino de Placentia, qui moratur Tarvisii, Magister Joannes de Parma , qui regit Bononiae. Da altri documenti raccogliesi che nell’ottobre Tiiuboschi, Voi V. 7 C)8 LIBRO sut^dlìi* u Siegoe il Facciolati a narrare che quando niveràti di l’anno i3^8 fu conceduta la signoria di Padova gnd&aigcri a Can dalla Scala, furon dapprima chiuse le « iCanarwi. scuoje? quindi riaperte, ma solo pe’ dottori natii di Padova , congedatine gli stranieri; e che finalmente avendo i Carraresi ricuperato il dominio di quella città, Ubertino le ricondusse all’antico onore, e confermò ad esse tutti que1 privilegi che nel secolo precedente erano stati lor conceduti. Di ciò io non trovo vestigio nò presso il Mussato, nè presso i Cortusii, nè presso il Vergerio, autori lui ti di questi tempi; e appena mi sembra credibile che Can dalla Scala, uomo di quella regia magnificenza che abbiam poc’anzi descritta, e grande fomentator degli studi, volesse o comandare, o permettere che si togliesse a Padova il principal dell7 anno stesso Francesco Fontana parmigiano, Rizzardo Malombra, Bleorisio Azzoguidi e Jacopo Botrigari si scusarono dal venire a Trevigi, ove erano stati invitati, che nel 1315 a’ 29 di ottobre fece istanza per avere il suo onorario Mag. Gerardus de Mutina Doctor Scientiae Medicinae cum legerit quotidie anno elapso , et intendat tempore venturo , ec. E più altri documenti su tale argomento ivi esistono, e fra essi il privilegio di Federigo re de’ Romani segnato a’ 16 di dicembre del 1318. Uno di questi monumenti de’ 2 di agosto dell’anno stesso 1318, da cui raccogliesi che in quell’anno furono eletti a leggere in quello Studio pe’ tre anni seguenti Uberto da Cremona, e Virgilio Foscarari, allora professori in Bologna , e Niccolò de’ Rossi trivigiano, e il celebre Cino da Pistoia, è stato pubblicato nella Storia letteraria d’Italia (t. 7, p. 297). Alcuni documenti intorno a questa università sono stati pubblicati anche dal signor Verci (Storia della Marca Trivig. t. 8, App. p. 142 145, 147 > i55). PRIMO s,io ornamento; c molto più che leggiamo che egli adoperava ogni arte per acquistarsi l’amore di que’ cittadini. Narra bensì di Ubertino da Carrara il Vergerio (Script. Rer. ital. vol. 16, p. 170, 171) che egli provvide agli studi delle belle arti in Padova, e che con grande magnificenza li fomentò; ed è assai probabile che a quella università ei confermasse gli antichi privilegi , ed altri nuovi ne concedesse. Ma del silenzio impostole da Can dalla Scala, e della restrizione fattane poscia a’ soli cittadini , non trovo indicio alcuno. Ciò non ostante io credo che il Facciolati non abbia ciò affermato senza buon fondamento; il quale però sarebbe stato opportuno ch’ei ci avesse accennato qual fosse. XVI. All’impegno de’ signori di Padova nel sostenere e nell’accrescer le glorie della loro ledru mi <■ ’università, si aggiunse quello ancora de’ romani pontefici. Perciocchè Clemente VI l’anno i34f>daU* confermò con sua bolla tutti i privilegi ad essa già accordati , e quello singolarmente di poter conferire la laurea non sol nell’uno e nell7 altro Diritto , ma nelle altre scienze ancora. La sola teologia ne fu eccettuata , perciocchè , come abbiamo osservato , la stessa università di Bologna non aveane ancora il diritto, che parea riserbato a quella sola di Parigi. Ma poichè Innocenzo VI l’anno 1362 ebbe un tal onore accordato alla suddetta università di Bologna, quella di Padova non volle essere inferiore alla sua rivale, e Francesco da Carrara, signore allora di quella città, le ottenne nel 1363 dal pontefice Urbano V l’onor medesimo. Ne abbiamo la bolla nel Bollario romano (t. 3, pars 2^ 1OO LIBRO p. 325), e trovasene inoltre menzione nell’aggiunta alle Croniche de’ Cortusii pubblicata dal Muratori (Script Rer ital. voi. i 2 , p. 977). Il Facciolati aggiugne qui ancora la fondazione in quell’anno stesso accaduta del collegio che di- m cesi di Tournay, fatta in Padova da. Pietro 1 Boaterio cittadin bolognese , e col suo favore promossa da Francesco Novello da Carrara; e parla ancor delle leggi che al regolamento di esso furon prescritte, e del numero e della scelta de’ convittori, che in diversi tempi è stata diversa. Rammenta oltre ciò la fondazione (l. cit. p. 24) di un altro collegio fatta l’anno i3c)o da Jacopo d’Arquà per alcuni poveri giovinetti che volessero attendere agli studi della filoso^ ila o della medicina (a); e quello da Pier di Garfano fondato l’an 1393 (ib. p. 25) per tre scolari dell’Isola di Cipro; e quello che il cardinale Pileo da Prata istituì ’l’anno 1394 1 (ib. p. 26) per venti giovani che fossero ve- ‘ neziani, o padovani, o trivigiani, o del Friuli, e un altro per quattro scolari di Osimo fondato da Andrea da Recanati (ib. p. 28) l’anno 1397, e Analmente quello che per sei giovani (a) Jacopo d:Arquà era valoroso professore di medicina in Padova; ed è degno d5 esser qui accennato. un decreto che dal collegio degli artisti egli ottenne nel 1567 , e di cui mi ha data notizia l’eruditissimo | sig. abate Francesco Dnrighello. E rasi introdotto il co- J slume che alcuni professori radunavano in casa loro di notte tempo gli scolari, e leggevan loro que’ libri che più a ciascheduno piacevano. Parve questo un abusa pericoloso, c ad istanza di Jacopo si ordinò che dal priore e da’ consiglieri dello stesso collegio si dovesV*ro stabilire i libri , i quali da ciascheduno de’ prò* fessoli si dovesser leggere a’ loro scolari. PRIMO lOI padovani studiosi di medicina stabilì l’anno seguente Niccolò Rido (ib. p. 29) (a). Di tutti i quali collegi potrannosi presso il medesimo autore veder le vicende e i cambiamenti diversi che in varii tempi han sofferto. A tutti questi collegi prestarono il lor favore, e ad alcuni ancora mostrarono la lor munificenza i due Carraresi che a que’ tempi furon signori di Padova, Francesco il vecchio e Francesco Nch vello. Ma io non veggo che il Facciolati (faccia parola di un collegio che dal primo di essi fu interamente fondato e dotato. In questo tempo, così nella sopraccenata aggiunta alle Cronache dei Cortusii (l. cit. p. 974), per lo sopraditto Magnifico Messer Francesco da Carrara in la Contrada del Santo, in le Case, che era stade di alcuni Pelizzari, fu fatto un Collegio, in lo quale stava Scolari dodese, che studiava in Legge, et fo el ditto Collegio abondevolmente dotado delle possessioni proprie del ditto Ma* gnifico Messer Francesco da Carrara. Se questo fosse un collegio diverso dagli altri finor mentovati, o se fosse uno di essi la cui fondazion qui si attribuisca al Carrarese, nella mancanza in •(Sii siamo di documenti, nol possiam diffinire» Io lascio ancor di parlare di parecchie leggi pel regolamento dell’università pubblicate, de’ varj rettori eli1 ella ebbe , de’ cui nomi dobbiam esser tenuti al ch. Facciolati il quale (a) 11 suddetto sig. Abate Dorighello crede che Niccolò , il fon da Lor del collegio di cui qui purhamo, fussé della famgilia de Rivo o da Ilio, e 11011 di quella de Rido , la qual per altro era io Padova e in più remi divisa. XVII. Sialo dell* uDiversità tli Napoli. 102 LIBRO primo fra tutti gli ha scoperti, e di altre più minute cose che questo scrittore ha opportunamente inserite nella sua Storia di quella università, ma che al disegno della mia opera non sono opportune, poichè la condurebbero a una minutezza che alla più parte de’ leggitori riuscirebbe noiosa. XVII. Dopo le università di Bologna e di Padova, la più famosa nel secolo XIII fu quella di Napoli fondata da Federigo II, e da’ successori di lui or rinnovata, or con onori e con privilegi illustrata. Da un sovrano protettor sì splendido de’ letterati, qual fu il re Roberto, ben era ad attendersi che a’ maggiori suoi non cedesse nel promuovere e fomentare in ogni maniera quelle regie scuole. Noi vedremo infatti, ove parleremo degli uomini in ciascuna scienza più illustri, che molti di essi da lui furon chiamati ad occupar quelle cattedre. Il Giannone rammenta oltre ciò (Stor. civ. di Nap. l. 22, c 7) gli antichi privilegi da Federigo a quella università conceduti, e confermati da Roberto, e quello singolarmente con cui vietavasi che altrove, fuorchè in Napoli, non si tenessero scuole delle scienze maggiori; e generalmente asserisce che nel suo regno fiorirono le lettere in guisa, che i professori di qualunque condizione si fossero, ancorchè di bassa fortuna, gli innalzava a’ primi onori, e con umanità grandissima gli accoglieva ed accarezzava; andava a sentire in piedi i pubblici lettori che leggevano in Napoli, ed onorava gli scolari. Le quali circostanze, benchè io non ne trovi espressa menzione in alcuno degli scrittori di PRIMO 103 que1 tempi, ci si rendono nondimeno probabili assai dal carattere di questo incomparabil sovrano, il qual pareva che non ad altro fine si credesse posto sul trono, che per favorire ed onorare in ogni maniera le scienze e gli uomini dotti. Le turbolenze dalle quali il regno di Napoli dopo la morte del re Roberto fu travagliato, a quella università ancora dovettero esser fatali -, e benché veggiamo in Napoli anche a que’ tempi alcuni famosi giureconsulti, non veggiamo però, che alcun de’ sovrani, che in questo secolo saliron dopo Roberto a quel solio, prendesse a imitarne la regia magnificenza a pro delle lettore, e non è perciò a stupire che quella università cominciasse a decadere e a venir meno. XVIII. Mentre queste università, già fondate in addietro, continuavano per tal maniera a giovare non poco al coltivamento degl’ingegni, altre ne sorgevan di nuovo, e fin dal primo lor sorgere cominciavano a gareggiar colle antiche. Due fra le altre ottennero fin d! allora gran nome, che mantenuto da esse, e renduto sempre maggiore col volger dei secoli, le ha . fatte meritevolmente riporre nel numero delle più ragguardevoli fra le pubbliche scuole d’Europa*, dico le università di Pisa e di Pavia. E cominciando dalla prima che è la più antica, già abbiamo altrove mostrato che benchè fosse in Pisa fino da’ tempi addietro qualche studio di legge, non vi è però monumento che ci comprovi che anche le altre scienze vi avessero pubblici professori. Il sig. Stefano Maria Fabbrucci professore della stessa università, XVIII. FnndaxìoDe dell"’università di Pisa. 104 LIBIlO che con parecchi eruditi opuscoli inseriti nella Raccolta Calogeriana ne ha illustrata la storia, confuta a lungo l’opinion di coloro che la voglion fondata prima del secolo xiv (Racc.d’Opusc. scient t. 21, p. 3, ec.), e a me non.sembra che l’erudito cavalier Flaminio dal Borgo abbia nell’impugnarlo recati tali argomenti (Dissi dell Univ. pis.) che il convincan di errore. Egli ancora rigetta il sentimento di alcuni che seguendo l’Ughelli (Ital. sacra, t. 3 , in Archiep. pisan.) affermano che l’imperador Arrigo VII fu il fondatore di quella università, poichè ciò nè pruovasi con alcun diploma di quel sovrano, nè si asserisce da alcuno di quegli antichi scrittori che ne hanno stesamente scritta la Vita. Concede bensì che l’anno 1319 fosse ivi professore di Canoni Francesco abate di S. Quirico dalle Colline, poichè nell’archivio di quella città conservasi il monumento con cui si comanda che gli si paghino 50 denari minuti pisani per la terza paga che in quel primo anno di sua lettura gli era dovuta. Ma insieme opportunamente riflette che ciò non basta a conchiudere che fosse in Pisa un generale pubblico studio. Quindi egli abbraccia e sostiene quell’opinione che sembra veramente fra tutte la più probabile, poichè appoggiata alla testimonianza delle antiche Cronache di quella città, cioè che l’università di Pisa avesse cominciamento l’anno 1339. Eccone la precisa memoria che ce n’è rimasta in una Cronaca pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 15, p. 1003). Nel mille trecento trentanove venne lo studio in Pisa1 e fue da molti Cittadini lodato, ma non per PRIMO 105 la Chiesa di Roma. Lo quali ultime non ben chiare parole si spiegano insieme e si confermano da ciò che il Tronci racconta; cioè che il Conte Fazio fece ampliare la piazza degli Anziani, acciò la nobiltà vi potesse più comodamente passeggiare, e per rendere più riguardevole la Città col parere di tutti gli Anziani e di tutto il Senato stabilì di fondarvi uri Università, per condurre Dottori principali a leggervi; e ridotto a buon termine il Teatro delle Scuole, mandò Ambasciadori a nome della Repubblica a Papa Benedetto 7 supplicandolo di autorizzare colla sua grazia, che per mantenimento de’ Lettori si potesse imponere una decima da pagarsi dagli Ecclesiastici; alla qual domanda sua Santità non acconsentì, e i Pisani, di erano risoluti, tirorno avanti i lor pensieri, e chiamorno soggetti insigni a leggere (Monum, istor. ad an. 1338). Per ciò però che appartiene al teatro delle scuole, il Fabbrucci osserva ch’essa è certamente di tempo assai posteriore; anzi da molte carte di quegli archivj egli raccoglie che in que’ primi anni non avea ancora l’università sede certa e determinata; ma che i professori qua e là dispersi in diverse case insegnavano, ove pareva più opportuno. XIX. A render più celebre e più popolosa xiw la loro università, le accordarono i Pisani più JclT^’liprivilegi, e quello fra gli altri l’anno ìo/\ì, clic n,ede“,uasi riferisce dal citato Fabbrucci (Raccolta, ec. t. 23), con cui comandano che i libri tutti appartenenti al civile o al canonico Diritto, o ad altre scienze che s’introducono in Pisa, sieno esenti da qualunque gabella, non così quelli IO6 LIBRO che dalla stessa città si estraggono. Essi inoltre rivoltisi di bel nuovo con calde preghiere alla sede romana, trovarono in Clemente VI? ch’era frattanto succeduto a Benedetto XII, animo verso di essi e della università loro più favorevole. Perciocchè egli con sua bolla, spedita l’anno 1343, non solo onorolla di magnifici encomj, ma tutti ancora accordolle que’ privilegi che si soleano alle altre concedere, e quelli nominatamente che all’università di Bologna e di Parigi sono stati concedutij anzi vi veggiamo nominatamente aggiunto lo studio teologico che ivi chiamasi Studium Sacrae Paginae, e il privilegio di conferire la laurea in tutte le scienze; nel che però non possiamo accertare se anche la teologia fosse compresa, poichè sembra che per essa facesse d’uopo di menzione speciale, come vedrem fra poco parlando delle università di Fermo e di Roma. Nell’anno stesso con altra sua bolla ordinò che qualunque chierico per motivo di studio si trovasse in Pisa, goder nondimeno potesse del frutto de’ beneficj che altrove avea. Le quali due bolle si posson vedere presso lo stesso Fabbrucci (l. cit.). A’ privilegi pontificj si aggiunsero poscia ancor gl’imperiali; perciocchè, come n’ è fama in Pisa, non appoggiata però ad alcun autentico monumento (V. Fabbrucci ap. Calogerà, t. 25), l’imperador Carlo IV quando l’anno 1354 onorò ivi di poetico alloro Zanobi da Strada, a quella università ancora concedette il privilegio di conferire in qualunque scienza la laurea. Ma se questo privilegio fu veramente conceduto, noi fu che a PRIMO IO7 voce; e non si è trovato giammai o vestigio o indicio alcuno di editto su ciò pubblicato. Il Fabbrucci a provare che Carlo IV accordò quest’onore a quella università, reca i registri delle lauree in essa conferite, ne’ quali si fa menzione della ponteficia insieme e della imperiale autorità. Ma come egli stesso confessa che que’ registri non incominciano che dal secolo seguente, così non sembra provato abbastanza che l’imperadore, il quale onorò con tal privilegio l’università di Pisa, fosse Carlo IV piuttosto che alcuno altro degl1 imperadori susseguenti. Assai più certo è l’onore che questa università ricevette da’ celebri professori che ad essa furon chiamati; poichè la vedremo in ciò gareggiare con quelle di Bologna e di Padova, e i Bartoli e i Baldi ed altri uomini a questa età famosissimi tenervi con sommo applauso le lor lezioni. XX. Ma le pubbliche calamità, le guerre, le D JJj*{pestilenze, le civili discordie che sommersero scia r<l « 11talia tutta in gravissimo lutto, non furonolop‘ meno funeste a Pisa e all’università ivi aperta; e le sciagure giunsero a tale, che l’anno 1359 furono i Pisani costretti a formare e pubblicare un decreto, che si riferisce dal mentovato Fabbrucci (ivi), con cui ordinarono che in avvenire niun professore venisse più condotto a tenere scuola di legge civile e canonica, e che quegli che allor la teneano, fossero licenziati. Rimase dunque soltanto qualche professore che insegnasse gli elementi delle altre scienze, poichè più oltre un uom solo non poteva; e ne abbiamo in pruova il decreto fatto da quel I08 LIBRO Comune l’anno i362, con cui Francesco da Cremona viene fissato a tenere egli solo scuola per l’anno seguente; e gli vengono assegnate 150 lire di denari pisani: Magister Franciscus de Cremona Magister in Grammatica, Loie a , et Physica, teneatur, et debeat legere in Civi tate Pisana dictas Scientias, retinendo per se solum scholas in Civitate Pisana , in quibus scholis doceat unicuique volenti doceri dictas Scientias a festo S. Lucae proximi venturi ad unum annum tunc proxime secuturum. Pro qua lectura et doctrina tradenda per cum , ut dictum est, dicto tempore unius anni habeat. et habere possit et debeat a Communi Pisano libras centum quinquaginta denariorum Pisanorum pro suo salario et mercede, ec. Alcuni altri professori si trovano nominati ne’ monumenti pisani diligentemente esaminati dal detto Fabbrucci 7 e di alcuni di essi noi pur parleremo a luogo più opportuno. Anzi sembra che anche lo studio legale ivi si riaprisse innanzi al finire di questo secolo , come vedremo parlando di alcuni de’ più famosi giureconsulti che in esso vivessero. Ma egli è certo che questa uni versiti! non ritornò ad ottenere la fama che in sul primo suo nascere si era acquistata, se non nel secolo xv, e sarà perciò di altro luogo l’esaminare quando e come ciò avvenisse, xxi. XXI. Nulla meno felici furono i cominciaa menti dell’università di Pavia. Era in Milano, tcnipi non r-,1(^ secolo di cui ora trattiamo , gran numero sistevj. di scuole e di professori j e il Fiamma, che scrivea al principio di esso, ce ne ha lasciata distinta memoria con queste parole: Snnt in PRIMO lO<) Civitate Doctores (Ap. Saxium de Stud. Mediol. c. 7) Jurisperiti , qui publicas Scholas regunt in Jure quos audiunt Scholares multi. Doctores Artis Grammaticae etLojcae sunt plures XV, quorum quilibet habet scholarium multitudinem magnam. Magistri vero puerorum quantum ad initiales literis sunt plures lxx. Scriptores librorum sunt numero xl. Artis Medicinae Professores et Philosophi nominati, computatis Chymicis , sunt plures clxxx , inter quos sunt plures salariati per Comunitatem , qui gratis tenentur pauperes medicare. Ciò non ostante Galeazzo Visconti formò il glorioso disegno di una università che non essendo molto discosta dalla capitale, ad essa e alle altre città del suo Stato somministrasse tutti i mezzi alle scienze opportuni. Egli scelse a tal fine Pavia , ove ancora erano già non pochi che per lo studio che fatto aveano nelle altre università , e in quella di Bologna singolarmente, erano assai versati nelle più utili scienze. Ne abbiamo in pruova l’opuscolo delle lodi di Pavia scritto verso il 1330, e pubblicato dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 11. p. 1); in cui dopo aver rammentati gl’innumerabili avvocati e giudici e notari che ivi erano, e i molti che di colà eran passati ad altre città, e vi avean conseguita la laurea nella sacra Scrittura. o in altre scienze (ib. y... p. 23), così si aggiugne: Multi sunt in Civitate peritissimi Medici tam Physici quam Chirurgia nam inter alias Civitates illarum partium de ista plures mittuntur ad Scholas Bononiam, quie illinc minus quatuor dioetis distat. De no LIURO qua veniunt periti et dotti in Le gibus, Dccretalibus, et Medicina multi, et quidam in iis artibus conventati (cioè laureati). Multi quoque sunt ibi docti in Theologia Clerici, Religiosi , et nonnulli Laici (ib. p. 26). Le quali parole bastano, s’io mal non avviso, a confutare sempre più evidentemente l’opinione del Gatti che vorrebbe persuaderci (Hist Gymn. ticin. c. 16) l’università di Pavia fondata già, com’egli dice, da Carlo Magno , non esser mai venuta meno; e solo aver sofferto per le vicende de’ tempi qualche decadimento. In pruova di ciò egli afferma che Pietro Azzario, scrittore del secolo xiv, fa spesso menzione dell’affollato numero di scolari, che prima dclf anno 1362 a quella università concorreva. Io ho letti gli Annali dell* Azzario dal Muratori dati alla luce (Script. Rer. ital. vol. 16)? e non vi ho trovato cenno di ciò. Anzi la maniera con cui egli ne racconta la fondazione, ci mostra di’ egli era bensì persuaso che nei tempi antichi fosse stato in Pavia uno studio generale , ma che già da gran tempo esso era interamente cessato. Rechiamo le stesse parole di questo autore, poichè gli scrittori di questi tempi hanno per lo più nello scrivere una cotal graziosa semplicità, che in altra lingua perde ogni pregio. Praeterea, dic’egli all’anno 1362 (ib. p. 406), Dominus Galeaz curavit habere universa studia in Civitate Papiae, in qua antiquitus fuisse dicuntur, et certe de.Jure bene stat. Nam ipsa Civitas et domus sunt plerumque vacuae et inhabitatae , et mercatum de pensionibus domorum habebimus pro libito. Ibi infinita copia vino rum et frumenti, de quibus nihil aut parum pretii invenitur. De lignis non est dicendum, quia pluribus annis praeteritis nemora pacem habuerunt. Hisce consideratis curavit habere in universis Scientiis Doctores, et privilegia, et facultatem conventandi in ipsis Artibus. Sembra dunque che si credesse (e qual cosa non si credeva in que’ barbari secoli?) che Carlo Magno avesse già fondata in Pavia una solenne università. Di ciò già abbiamo altrove parlato, nè io penso che ad alcuno parrà molto forte argomento a pruova di tal opinione la credenza che di ciò aveasi nel secolo xiv. Ma sembra insieme evidente che allora non v’era in Pavia studio generale di sorta alcuna.
Fondazione di essa: scuole in Milano.
XXII. A Galeazzo Visconti signor di Milano deesi per tanto la lode di aver fondata quella celebre università. Egli per darle più durevole stabilimento ottenne prima dall’imperador Carlo IV un editto in cui comandava che si aprisse in Pavia uno studio generale[1]. Il Gatti sembra trionfare su una parola di questo diploma, in cui l’imperador dice che i Pavesi aveanlo supplicato de instaurando generali Studio, come
se questo chiaramente provasse che lo Studio doveasi sol riformare, ma non eriger di nuovo; mentre egli è pur evidente, che ad usar tal
parola potea bastare il credersi che a’ tempi di Carlo Magno fosse ivi stato cotale Studio. Lo stesso imperadore nel suo rescritto pare che
non si mostri troppo persuaso in favore di questa opinione de’ Pavesi, perciocchè egli comanda, ut in praedicta Civitate Papiae generale Studium utriusque Juris videlicet tam Canonici quam Civilis, nec non Philosophiae, Medicinae et Artium Liberalium erigatur et ex nunc perpetuis temporibus observetur. Quindi a questa università concede tutti i privilegi che alle altre si solevan concedere, e nomina espressamente quelle di Parigi, di Bologna, di Oxford, d’Orleans, di Montpellier. Il diploma è stato pubblicato interamente dal Gatti (l. cit.). Poichè Galeazzo ottenuto ebbe l’imperiale rescritto, il pose tosto in esecuzione, e nell’ottobre del 1362 pubblicò un ordine inserito nella sua Cronaca dall’Azzario (l. cit p. 406), in cui a
tutti i podestà del suo Stato commise che ordinassero a tutti gli scolari di andar subito
PRIMO I I 3
gli1 università di Pavia, e richiamassero quelli
eh1 erano ad altri Studi, perchè essi pure colà
si recassero senza indugio; e due anni appresso
impose una taglia al clero di Novara affin (di
provvedere i lettori deli’ università di Pavia de’
letti e de’ panni lor necessarii (ib.p. Egli
ancora, come abbiamo negli antichi Annali milanesi ib. p. 432), cercò di avere i più famosi
dottori che fossero allor conosciuti in Italia, e
molti in fatti ne ebbe, come altrove vedremo.
Nè perciò cessarono le scuole in Milano, perciocchè negli Statuti di questa città, pubblicati
l’an 1396, troviam questa legge: Quilibet
Civita ti s et Comitatus Mediolani et aliunde undecumque sit possit libere stare et morari in
Civitate et Burgis conjunctis in Studio Legum,
Decretalium, Physicae, Cilorgiae, Tabellionatus, et pro addiscendo scribere, et cujusliber
Artis Liberalis (Giulini, Continuaz. delle Mem.
di Mil. t. 2, p. 594)•
XXIII. Così T università di Pavia col favore xxm.
di Galeazzo signor di Milano veniva crescendo r» Punivertifelicemente. Quando ella si vide in certo modo [[
assalita da una vicina rivale, con cui e allora e
poscia ebbe sovente occasione di gelosia e di via.
contrasto. Già abbiam veduto che l’anno 1246
il pontefice Innocenzo IV avea in Piacenza fondato un generale studio, e onoratolo di que’
privilegi che di altri somiglianti studj erano
proprj. Qual fosse l’esito di una tal fondazione,
e sin a quando durasse ivi lo Studio, non ne
trovo indicio alcuno nelle antiche Cronache di
quella città. Anzi il vedere che dopo il suddetto anno, per lo spazio di un secolo e mezzo,
TlRABOStHi, Voi. V. 8 1 | 4 LiBRO
non trovasi più alcuna menzione dell’università
di Piacenza, mi muove sospetto ch’essa non.
avesse che assai breve vita. Ma l’anno 1397 9
come narra nella sua Cronaca Giovanni Musso
scrii tor contemporaneo (Script. Rer. ital. vol. 16,
p. 558), alcuni nobili piacentini spediti perciò con solenne ambasciata a Gian Galeazzo
Visconti duca di Milano, ne riportarono un bellissimo privilegio per rinnovare nella lor città
lo Studio. Eodem anno die VIII Februarii venit Placentiam Privilegium pulcherrimum illustris Principis Domini Ducis Mediolani etc.
Comitis Virtutum pro Studio, et quod Conventus et omnia fiant in Civitate Placentiae, ec.
Lo stesso storico aggiugne che sin da quell’an a’ 4 di dicembre cominciarono i professori a tener ivi pubblica scuola: et Doctores
dicti Studii inceperunt legere in dicta Civitate
Placentiae usque die IV Mensis Decembris dicti
anni. Negli antichi Annali milanesi l’erezione di
questo Studio si fissa all’anno 1398 (ib. p. 832) 5
ma pare che maggior fede si debba allo storico piacentino contemporaneo ed abitante in
Piacenza, qual era il Musso. Ciò non ostante
il canonico Campi, seguito poscia dall’esattissimo moderno storico di Piacenza il proposto
Poggiali (Stor. di Piac. t. 7, p. 59, ec.), pensa
che ciò debbasi differire all’anno 1399, e ne
reca in pruova lo stesso editto del duca Gian
Galeazzo, da Alberto di Ripalta inserito ne’ suoi
Annali (Script. Rer. ital. vol. 20, p. 936, ec.)?
con cui concede l’erezione del detto Studio:
concedimus , ut in praedicta Civitate Placentiae
generale Studium utriusque Juris, vi delie et tam Canonici quatn Civilis, nec non Philosophiae,
Medicinae, et Artiicrn Liberalium, ac quarumcumque Scientiarum approbatarum erigant, ec.;
il qual è segnato del primo di gennaio del 1399
nella settima indizione che in quell’anno appunto correva. Un tal monumento convincerebbe manifestamente di errore il Musso, se
fossimo certi che il Ripalta ce ne avesse dati
una copia esatta e fedele. Ma come al contrario siam certi ch’esso è stato alterato, perciocchè gli stessi più recenti storici mentovati poc’anzi, il Campi e il Poggiali, osservano che
vi è stato o per errore, o per malizia inopportunamente intruso il nome di Guglielmo de’
Centuarii vescovo di Piacenza, che fin dall’anno 1386 era stato trasferito alla sede di Pavia,
così chi ci assicura che l’anno ancora e l’indizione sian senza errore? Nè è questo un sospetto che non abbia alcun fondamento, perciocchè io rifletto che il Gatti (Hist Gymn. ticin.
c. 17) ha pubblicato un editto dello stesso Gian
Galeazzo segnato in Melegnano a’ 28 di ottobre del 1398, con cui comanda che tutta l’università di Pavia si trasporti a Piacenza, e che
• a Piacenza vadan coloro che in avvenire vorranno applicarsi agli studj. Certo sembra adunque che Gian Galeazzo fondasse veramente
l’anno 1397 lo Studio in Piacenza; e che l’anno
seguente per vederlo più numeroso e più celebre, ordinasse il trasporto dell’università di Pavia allo Studio nuovamente eretto nella suddetta
città, e che perciò abbia a credersi al Musso,
quando afferma che nell’anno 1397 ebbe principio l’università di Piacenza. XXIV.
in qual
fiore essa ivi
fosse f benché per breve tempo.
116 UUhO
XXIV. li Gatti afferma che il trasporlo da
Gian Galeazzo ordinalo dell1 università di Pavia
a Piacenza non ebbe effello, e ne reca in pruova
la Bolla di Bonifazio IX segnata ai 16 di novembre del primo anno del suo pontificato,
cioè, com’egli dice, del 1399, con cui rinnova
e conferma l’erezione dell’università di Pavia, e
le concede i privilegi consueti di tutte l’altre più
celebri università. Ma è egli possibile che il Gatti
non abbia qui avvertito il grave anacronismo in
cui è caduto, fissando il primo anno di Bonifazio IX all’anno 1399, mentre ei fu eletto nell’ottobre del 1389 / Or se in questo primo anno
del suo pontificato ei confermò l’università di
Pavia, come pruovasi mai che non seguisse il
trasporto di essa* a Piacenza l’anno 1398?
Anzi è certissimo ch’esso seguì. Perciocchè nell’elenco degli Atti di quella università, pubblicato dal Parodi, veggiamo accennata sotto i 24
d’ottobre del 1398 una dichiarazione del rettore
di essa intorno alla traslazione da farsene a
Piacenza, e sotto i 29 di decembre dell’anno
seguente la rinuncia di una casa presa a pigione dall’università in Pavia, e non più necessaria dopo il trasporto di essa fatto a Piacenza; e sotto i 27 d’aprile e i 4 di maggio
del 1400 lettere d’invito all’università rinnovata
nella stessa città di Piacenza (p. i/\: ec.) ».
Questa translazione confermasi ancora dal numeroso catalogo de’ professori dell’università di
Piacenza nel detto anno 1399, che dall’autore
degli antichi Annali piacentini è stato inserito
nella sua Cronaca, colla nota dello stipendio
che dalla comunità lor si pagava ogni mese PRIMO I I 7
(Script. Rer. ital. voi. 20, p. 939). Essi sono
in numero di 71, oltre i due bidelli; e 37 di
essi son nominati come professori qual di una
qual di altra parte del Diritto canonico e del
civile; gli altri sono per altre scienze, tra le
quali veggiam nominata la lettura di Dante, la
lettura di Seneca e la lettura degli autori. I due
più celebri, che qui ci si offrono, sono il famoso Baldo lettor del Codice ordinario collo
stipendio di lire 164 al mese, e Marsiglio di
Santa Sofia collo stipendio di 170, 6,8 compresa la pigion della casa. Gli altri stipendj sono
notabilmente minori, essendo i maggiori tra essi
due di lire 66 al mese, e due di lire 53, e ve
ne ha 22 di sole 4 lire ogni mese. Io credo
bensì probabile che non tutti cotal professori
leggessero nello stesso anno 1399, e che l’annalista alcuni ne abbia aggiunti che forse tennero scuola ne’ primi anni del secol susseguente;
dico ne’ primi, perciocchè io non trovo tra essi
alcuno di cui si sappia che vivesse più tardi
assai; e per altra parte lo Studio di Piacenza,
come vedremo nel tomo seguente , non ebbe
troppo lunga vita; onde convien credere ne• eessariamente che sì gran numero di professori,
se non appartiene al solo anno 1399, non
debba però distendersi molto più oltre. Se il
Gatti avesse esaminato con diligenza le antiche
memorie di quella università, avrebbe potuto
raccogliere e comunicarci su di ciò le opportune notizie. Ma egli dopo aver impiegata la
maggior parte del suo libro in parlare dell’università di Pavia, quando essa ancora non
esisteva, appellila giunto al tempo in cui ella 1 iS LIBRO
fu veramente fondala , ne interrompe il racconto, e ci lascia quasi interamente digiuni
delle vicende e delle glorie di quelle celebri
scuole: e a noi perciò converrà nei secoli susseguenti l’andarle qua e là ripescando ove ci
verrà fatto di ritrovarle,
xxv. XXV. Io ho parlato delle università di Pisa
FirenteTi à- e di Pavia prima delle altre, perchè esse ot£2. univ*r tennero ne’ secoli posteriori tal fama, che parvero gareggiare colle più illustri. Altre però ne
sorsero al tempo stesso, che recarono non leggier vantaggio alla letteratura. I Fiorentini non
vollero essere inferiori a’ Pisani; e veggendo
l’università di questi aperta crescere a grande
onore, imitarono non molti anni appresso il
loro esempio, e, ciò che è più a stupire, scelser quell’anno che pareva il meno opportuno,
cioè il 1348, anno di troppo luttuosa memoria
per la fierissima pestilenza onde fu devastata
l’Italia tutta. Ma questa sventura fu dessa appunto che diede origine alla nuova università:
Rallentata la mortalità, dice Matteo Villani
(Istor. l. 1, c. 8), e rassicurati alquanto i Cittadinij che ave ano a governare il Comune di
Firenze, volendo attrarre gente alla nostra Città,
e dilatarla in fama et in onore, e dare materia
ai! suoi Cittadini (d’essere scienziati e virtuosi,
con buono consiglio il Comune provvide, e mise
in opera, che in Firenze fosse generale Studio
di cadauna Scienza, di Legge Canonica e Civile, e di Teologia. Siegue quinci a narrare come
furono perciò nominati magistrati, assegnati ai
professori gli stipendj sull’erario del Comune,
e adattato il luogo opportuno a tenere le scuole; primo 119
e die mandatone per tutta l’Italia l’avviso, e
chiamati dottori assai celebri, si apri lo Studio
a’ 6 di novembre dell’anno stesso, il quale fu
poi dal pontefice Clemente VI onorato l’anno
seguente di tutti que’ privilegi che a quel di
Bologna e agli altri più rinomati erano stati
già conceduti.
XXVI. Ma niuna cosa mi sembra a questa
università tanto gloriosa, quanto la risoluzione ma invano di
■ • f-v • 1* 1 • 1 condurvi il
che presero i fiorentini di chiamare ad essa petmca.
il Petrarca. La fama da lui ottenuta, singolarmente dacchè avea avuto in Roma il solenne
onore della corona , non avea ancora estinto
quel fuoco di civili discordie, per cui esiliato
già da Firenze Petracco padre del nostro poeta,
questi era nato fuor della patria, e non vi
avea mai posto il piede fino all’anno 1350 all’occasione di andare a Roma pel giubileo. E
io non so per quale inavvertenza l’ab. de Sade,
osservatore sì scrupoloso, dell’epoche e della
cronologia, parlando di questa andata del Petrarca a Firenze, dica (Mém. de Petr. t. 2,
p. 78): Il Petrarca bramava, assai di rivederla
sua patria da lui lasciata in sì tenera età, che
non aveane conservata che una confusa idea.
E nondimeno egli non ci ha mai detto che il
Petrarca avesse prima d’allora veduta Firenze ,
anzi da tutto ciò ch’egli narra, raccogliesi chiaramente che non vi avea mai posto il piede.
Or quella prima gita del Petrarca a Firenze
non avea ancora potuto determinare i Fiorentini a rendergli i beni paterni già confiscati.
Ma l’anno seguente 1351 finalmente presero una
risoluzione, ch’io non so se fosse di maggior 120 LIBRO
gloria ad essi, o al Petrarca. Ordinarono dunque che co’ denari del pubblico erario si riscattasser dal fisco i beni del Petrarca, e che
il Boccaccio già stretto in intima amicizia con
lui, andasse in nome di quel Comune a Padova ove allora era il Petrarca , e gli recasse
una lettera in cui i Fiorentini lo ragguagliavano
di ciò che avean fatto, e caldamente il pregavano a ritornare alla sua patria, e ad onorare
colla sua presenza non meno che colle sue
fatiche quella nascente università. Questa lettera
già è stata pubblicata in parte nel suo originale latino dall’ab. Mehus (Vita Ambr. camald.
p. 223), poscia interamente tradotta in francese
dall’ab. de Sade (l. cit. p. 125). Ella è troppo
lunga per esser qui inserita, ed io ommettendo
gli encomj ch’essi gli rendono, e le onorevoli
espressioni con cui accompagnano la restituzione che gli fanno de’ beni paterni, ne sceglierò sol quella parte in cui l’invitano a recarsi
a quella loro università: Non ha molto, dicono
essi, che veggendo noi priva la nostra città di
buoni studj, abbiamo con opportuno consiglio
determinato che in avvenire fioriscano e si coltivin tra noi le arti, e che vi sieno studi d ogni
maniera x acciocché la nostra repubblica per tal
mezzo, come già Roma, si sollevi gloriosamente
sopra le altre città d Italia, e cresca sempre
più lieta e più illustre. Or, ciò che anche presso
gli antichi sì di raro avvenne. la nostra patria
pensa che tu sei l’unico e il solo, per mezzo
di cui ella può ottenere il suo intento. Ella ti
prega adunque, quanto più può caldamente.
che tu ti prenda pensiero di questo Studio, PRIMO 121
e eli esso per tuo mezzo fiorisca. Scegli quel
libro a spiegare che più ti piace, e quella scienza
che al tuo onore e alla tua tranquillità crederai più opportuna. Alcuni di egregio ingegno
sarannovi per avventura, che dal tuo esempio
eccitati prenderanno coraggio a pubblicare i
lor versi; perciocchè da tenui principj tutte le
più grandi cose prendono origine. Accingiti
innoltre, se ci è lecito ancor V esortati, a compire F immortai tua Africa, e fa che le Muse
per tanti secoli trascurate, ritornino a soggiornare fra noi. Abbastanza hai viaggiato finora,
e abbastanza hai esaminati i costumi e l’indole
di altre città. I magistrati tutti e i cittadini privati, i nobili e i plebei, l’antica tua casa e i
tuoi ricuperati poderi ti aspettano. Vieni adunque , vieni dopo un sì lungo indugio, e seconda
colla tua eloquenza i nostri disegni. Se ti avviene (d’incontrare nel nostro stile cosa che ti
dispiaccia, ciò debb’essere un altro motivo ad
esaudire i desiderj della tua patria. Tu ne sei
la gloria; e perciò ci sei caro; e ci sarai ancora più caro, se ascolterai le nostre preghiere, ec. Una tal lettera dovea solleticar non poco
il Petrarca non troppo schivo di onori e di lodi;
e quella ch’egli scrisse a’ Fiorentini in risposta. e che è pubblicata tra le altre sue lettere
(Variar, ep. 5), ben ci dimostra quanto egli
fosse sensibile a questa dimostrazione di stima,
che da’ sui concittadini avea ricevuta. Ei sembra in essa disposto a secondare il desiderio
de’ Fiorentini. Ma nondimeno è certo che ei
cambiò poscia pensiero, e per una cotal sua
inconstanza, che non gli lasciava fissare dimora 122 unno
stabile in alcun luogo , tomossene quell1 anno
medesimo in Avignone e a Valchiusa, benchè
la sua Laura fosse già morta tre anni addietro,
di modo che questo grand’uomo, uno de’ più
rari ornamenti della sua patria, non fu mai in
Firenze che due volte sole, e di passaggio per
pochi giorni, cioè nell1 andare che fece a Roma,
e nel ritornare Fanno i35o.
"Véceudl’di XXVII. Ma questa università, che con auqueiu uni-spicii così felici sembrava innalzarsi, non andò
guari che si vide vicina a una totale rovina,
da cui però la vigilanza de’ magistrati seppe
difenderla. Udiamone il racconto dello stesso
Villani: Del mese di Agosto, die’egli (l. cit l. 7, c. 90), del detto anno (1357) i Rettori di Firenze s* avvidono, come certi Cittadini malevoli
per invidia, trovandosi alli Uffici, haveanofatta
gran vergogna al nostro Comune; però di al
tutto haveano levato e spento lo Studio generale in Firenze, mostrando, che la spesa di
due mila cinquecento Fiorini d’oro l’anno de’
Dottori dovesse essere incomportabile al Comune
di Firenze, che in una Ambasciata e in una
masnada di venticinque soldati sì gittavano
C armo parecchie volte senza frutto e senza borio re: e in questo si levava cotanto honore al
Comune; e però ordinarono la spesa, e chiamarono gli Uffizioli, di avessono a mantenere
lo Studio. E benchè fosse tardi, elessono i Dottori, e feciono al tempo ricominciare lo Studio
in tutte le facoltà di catuna Scienza. Così fu sta-’
bilita di nuovo questa università, la quale sette
anni appresso fu con imperiale autorità confermata da Carlo IV con onorevol diploma che primo ia3
leggesi presso FUghelli (Ital. sacra, t. 3, in Epi/7or.). Quindi l’anno 1358 fu conferita ivi
pubblicamente la prima volta la laurea teologica
a Frate Francesco di Biancozzo de’ Nerli dell’Ordine dei Frati Romitani, come narra il Villani (l. 9, c. 58) che descrive la pompa da
cui quest’atto fu accompagnato. E vuolsi avvertire che questa è una delle più antiche memorie che siami avvenuto di ritrovare di laurea
conferita in teologia, e che la stessa università
di Bologna solo quattro anni appresso ebbe un
tal privilegio, come poc’anzi si è detto. Ciò
non ostante, a me sembra che questa università pericolasse di nuovo, anzi per qualche
tempo cadesse totalmente in rovina, Io ne traggo
la congettura da una lettera di Coluccio Salutato scritta l’anno 1383 a’ Perugini, con cui a
nome della Comunità di Firenze li prega a volerle concedere il famoso Baldo per professore
di leggi, perciocchè in essa espressamente si
dice, che i Fiorentini aveano determinato di
ricondurre nella lor patria gli Studj, e che era
a vergognarsi che la Toscana fosse costretta a
cercare altrove la scienza: Decrevinuis Sacrarum Le gì mi atque liberalium Artium studium
in Civita te nostra re ducere, quod quidem putamus ad totius Tusciae magnificenti am redundare. Quid enim est vi dere T/iuscos... extra
Thusciam scientiam quaerere, et alienae nationis
juris (l. viris) hanc studiorum gloriam per ignaviam condonare (Colucii Epist. t. 2, p. 84) ? Le
quali parole a me sembra che non si possano
altrimenti spiegare che di un totale scioglimento
di quello Studio, il cui danno si volesse allor I 3.j LIBRO
ristorare. Ma di ciò che poscia avvenisse, io
non trovo memoria.
XXVIII. Abbiam veduto in questo capo me«pMUadiSie-Jesimo che l’anno 1320 erasi aperto in Siena
d* Ar«xò.ila un altro studio generale, il quale però non potè
gittarvi troppo salde radici, e in poco tempo
si sciolse. Or l’anno 1357 pensarono i Sanesi
di rinnovarlo , e a tal fine inviarono solenne
ambasciata alPimperador Carlo IV. Questi, secondo i lor desiderj, a’ 16 d’agosto dell’anno
stesso con suo diploma ordinò che si riaprisse
ivi lo Studio in cui si tenessero pubbliche
scuole di Diritto civile e canonico, di medicina,
di filosofia, di logica e di gramatica e d’ogni altra scienza, concedendo inoltre alla stessa università i privilegi, le esenzioni e gli onori che
agli altri studi pubblici si solean concedere. Il
diploma è stato dato alla luce dall’Ughelli (Ital.
sacra, t. 3, in Episc. senens.). Sol vi mancava
la cattedra teologica, di cui nel diploma di
Carlo non si ha menzione; e questa vi fu poscia aggiunta dal pontefice Gregorio XII nell’anno VIII del secolo susseguente; e se ne può
legger la bolla nelle note del sig. Uberto Benvoglienti alla Cronaca Sanese pubblicata dal
Muratori (Script. Rer. ital. vol. 15, p. 288).
Ed esso era ancora in fiore l’anno 1399, perciocchè ne’ capitoli stabiliti, quando Gian Galeazzo Visconti ebbe la signoria di Siena, troviamo che fra le spese da farsi si notano: per
le spese dello studio generale fiorini 3000 (ib.
vol. 19, p. 4*6) (a). Anche Arezzo dovette al
(’/) Altri doriimcni intorno alla università di Siena PRIMO 1 *j5
medesimo Carlo IV il rinnovamento delle sue
pubbliche scuole. Esse già vi erano in fiore nel
secolo precedente, come a suo luogo si è dimostrato; e un nuovo accrescimento di lustro
aveano avuto l’anno 1338 col passare che ad
esse fecero alcuni professori di Bologna, di che
si è parlato poc’anzi. Ma poscia per le guerre civili eran anch’esse venute meno; finchè Carlo IV
l’anno 1356 con suo diploma imperiale le rinnovò, concedendo il diritto di conferire la laurea, il quale fu poscia ancor confermato colla
autorità pontificia, come dimostra l’eruditissimo
cavaliere Guazzesi (Op. t. 2, p. 109). Questi
osserva però, che questa università dovette
circa l’anno 1384 soffrir di nuovo danno e rovina, ed egli il raccoglie dal diploma di Federigo III, con cui l’anno 1456 rimise di nuovo
in vigore e onorò di privilegi quell’antico ma
decaduto Studio. Così le sinistre vicende de’
tempi erano spesso di grave danno, e rendean
anche del tutto inutili le premure delle città e
de’ principi nel fomentare gli studi.
XXIX. Dallo stesso Carlo IV. per ultimo, xxix.
I- ’?. T Fondanone
veggiamo eretto uno studio generale in Lucca, di quella d*
L’eruditissimo monsig. Mansi ne ha pubblicato Lucfa*
il diploma segnato nella stessa città a’ 16 di
giugno del 1369 (Baluzii, Miscell t. 4? p> *84)?
ha prodotti il P. Guglielmo dalla Valle (Lettere sanesi, t. i, p. i3g, ec.), da’ quali raccogliesi eh’essa
era frequentata anche dagli OlU’amontani, c da1 Tedeschi singolarmente. Ed ei mi ha inoltre avvertito che
l’ambasciador da’ Sanesi a Carlo IV mandato a tal line
fu Antimo di Ugo di Ruggieri degli Lgiirgieri, eh* eia
già stato professore nell’università di Padova. I’ j6 LIBRO
ili cui si concede di aprirv i scuole di Diri Il o
civile e canonico, di logica, di filosofia, di medicina, di astrologia, dell’arte del notaio e di
tutte l1 arti liberali, aggiuntivi tutti i privilegi
alle altre università da lui conceduti. Alla qual
concessione si aggiunse poscia l’an 1387
quella del pontefice Urbano VI, il quale pure
accordò a quella università le grazie medesime
che da’ romani pontefici si soleano concedere.
Questa bolla ancora è stata posta in luce dal
sopraddetto ch. editore (ib. p. 185), e in essa
veggiamo che egli ordina che vi si professin
tutte le scienze, trattene la teologia; perciocchè questa era riserbata soltanto ad alcune università più famose, come da molti esempj in
questo stesso capo recati è abbastanza palese,
xxx. XXX. Tutte le università, delle quali abbiam
,,ovinnfon" ragionato finora, dovettero la loro origine o
Ferino”1’* d’ principi, o a’ magistrati delle città in cui
furono aperte; e l’autorità de’ pontefici e degl’imperadori si aggiunse solo a confermarle, e
ad. onorarle di privilegi. Altre ve n’ebbe che
a’ romani pontefici interamente furono debitrici della lor fondazione; e la prima che in
questo secolo ci si offre, è quella di Fermo
fondata l’anno 1303 da Bonifazio VIII. Abbiamo
ancora la bolla di questo pontefice (Bullar.
rom. t. 1, ed.it. Cherub. p. 145), in cui la erige,
ordinando , ut in eadem Civitate de coetero sit
studium generale ad instar studii Bononiensis, illudque perpetuis temporibus inibi vigeat,
tam in Theologia , Jure Canonico ac Civili, et
Arti bus, quam alia qualibet licita facultate; e
concedendo inoltre alla università medesima PRIMO I27
amplissimi privilegi, e quello fra gli altri di conferire a que1 che ne saranno creduti degni, la
laurea in ciascheduna di dette scienze. Ma le arrecate parole a me sembrano involgere una non
leggera difficoltà. Fra le scienze ivi accennate,
di cui si comanda che aprasi scuola, e si permette di conferire la laurea , è la teologia, e
si reca 1’esempio dell1 università di Bologna,
a cui quella di Fermo deesi conformare. Or
egli è certo, e il confessano gli stessi storici
dell1 università di Bologna (De Profess. Archigymn. Bon. t 1, pars 2, p. 1), eli1 essa non
ottenne il privilegio di conferire la laurea teologica se non Fanno i3(Ì2; anzi noi abbiam
mostrato essere assai probabile che prima di
quest1 anno medesimo non fosse stabilita in
quella università la cattedra di tale scienza,
benchè pur non mancassero professori di teologia in Bologna. Come dunque in una bolla
del 1303 si accenna cosa avvenuta soli auto
nel 1362? A sciogliere in qualche modo questo
inviluppo , io penso che fosse bensì permesso a quei di Fermo di avere scuola teologica, ma non di conferirne la laurea, comunque pur sembri che questo privilegio ancora
lor si conceda. E a così pensare 1111 induce il
riflettere che nella stessa università romana,
di cui or parleremo, non poteasi conceder la
laurea che nell1 uno e nell1 altro Diritto; nè io
potrò persuadermi giammai che Bonifazio volesse negare a Roma ciò che a Fermo avea
conceduto. Benchè dunque la sopraccennata
bolla sembri concedere un tal onore a’ Fermani, deesi credere nondimeno che ciò 11011 128 LIBRO
accadesse di fatto; e che ad ottenerlo convenisse che se ne facesse dal pontefice distinta
menzione.
£X*Jìu XXXI. Pochi mesi appresso la stesso ponanrora di tcfice rivolse il pensiero a Roma. Innocenzo IV
Ro“,‘’ vi avea introdotti gli studj legali, come altrove
si è detto j e gli studj sacri ancora vi erano
stati sempre coltivati in addietro. Ciò non
ostante non eravi propriamente studio generale di tutte le scienze, e questo fu opera di
Bonifacio che con sua bolla de’ 6 di giugno
dello stesso anno 1303 ne ordinò l’erezione
(Bullar, rom. ib. p. 146). In essa non veggiam
nominate distintamente le scienze che vi si do
veano insegnare, ma con termine universale si
dice generale studium in qualibet facultate; e
quindi si aggiungono più privilgi speciali che
a questa nuova università accorda il pontefice,
intorno ai quali veggasi l’altre volte da noi
citato P. Caraffa (Hist. Gymn. rom. t 1, c. 6).
Quindi Giovanni XXII in una sua bolla del 1318
più minutamente prescrisse quai leggi doveansi
tenere nel conferire la laurea. Essa è riferita
dallo stesso P. Caraffa (ib.) , e parmi degno
di osservazione che ivi non si parla che della
laurea del Diritto canonico e del civile) della
teologica non si fa motto, anzi ella sembra
escludersi espressamente col dire in Jure Canonico et Civili, examinari possint ibidem, et
in eisdem facultatibus dumtaxat titulo Magisteri i decorari. Il che conferma ciò che ho or
ora accennato, che la laurea teologica non poteasi in qualunque università conferire senza
espresso privilegio) e che questo fin dopo la PRIMO 12()
metà del presente secolo non fu probabilmente
conceduto ad alcuno (a). Ma i privilegi dai
romani pontefici conceduti alla università di
Roma non eran bastevoli a conciliarli concorso
e fama, mentre essi frattanto, risedendo in
Avignone, lasciavano quell’infelice città abbandonata e deserta , e, ciò che è peggio, continuamente sconvolta da civili tumulti. Perciò
le scuole romane vennero decadendo per modo,
che quando Innocenzo VII l’an 1406 le rinnovò, nella bolla perciò pubblicata ebbe ad
affermare che già da lunghissimo tempo esse
erano state interrotte, come a suo luogo vedremo.
XXXII. Un’altra università fu da Clemente V xxm
eretta in Perugia (ove però abbiamo veduto a» queiu di
che eran già pubbliche scuole) quattro anni PeruB,aappresso, cioè l’anno 1307 , ed abbiamo ancora la bolla perciò pubblicata (Bullar.. rom.
l. cit. p. 149) in cui solo con termini generali
comanda, ut in Civi tate praedicta sit generale
studium, illudque ibidem perpetuis futuris temporibus vigeat in qualibet facultate. Quindi
(a) Dopo la mela del secolo tiv proccurò il senato
romano di ravvivare lo studio generale stabilito già in
lloma da Bonifacio Vili, e in certi suoi statuti latti a
quel tempo ordinò che si aprissero pubbliche scuole in
Trastevere, ove tre giureconsulti , un medico e un professore di gramatica e di logica ammaestrassero la gioventù (Marini degli Archiatri ponti fiati t t. \,p. 3o8, ec.).
Ma questo provvedimento ancora dovette essere di corta
durata, come ci mostra la bolla d’Innocenzo VII qui
ricordata.
Tiràboschi, Voi V,
0 13o libro
Giovanni XXII con due sue bolle del 1 d’agosto 1318 (ib. p. 160, 181) e de’ 20 di febbraio del 1321 più espressamente ordinò qual
metodo si dovesse tenere nel conferire la laurea , colle stesse parole a un dipresso di cui
egli usò lo stesso anno 1318 riguardo a quella
di Roma, come sopra si è detto, ristringendo
un tal privilegio solo al canonico e al civile
Diritto. Infatti nella scienza legale singolarmente
divenne questo Studio famoso in Italia, poichè
ebbe per più anni a professori di legge i due
celebri oracoli Bartolo e Baldo natio della stessa
città. Carlo IV l’anno 1355 gli accordò tutti i
consueti privilegi , come vedremo parlando di
Bartolo. E maggior nome ancora gli conciliò il
cardinale Niccolò Capocci morto l’anno 1369),
il quale, come abbiamo da molti scrittori, e
specialmente dall’antica Vita di Urbano V, pubblicata dopo altri dal Muratori (Script. Rer.
ital. t. 3, pars 2 , p-6/\), co’ suoi proprj beni
fondò e dotò in Perugia un collegio pel mantenimento di alcuni poveri scolari, a cui diede
il nome di Santa Sofia. Anche le altre scienze
però vi si professavano, e ne abbiamo in pruova
una lettera scritta da Giovanni Manzini circa
l’anno 1380 a Francesco da Siena medico del
papa, e prima reggente dello Studio di Perugia , clic è stata pubblicata dall’abate Lazari
(Misceli. Coll. Rom. t. 1 , p. 184) (a).
(a) Pelle scuole di Perugia, e di molti professori
che v’iùsegnarouo, belle esatte notizie ha sparse il
eh. abate Annibaie Maiiolli nella sua opera degli Uditori di Rota perugini. PRIMO 1 3 I
XXXHI. Anche all’Isola di Corsica stese Giovanni XXII a sua sollecitudine in ciò che ap- upartiene agli studj; e se in essa egli non potè viro*-.4
fondare una intera università , in un breve però
da lui indirizzato l’anno 1331 a’ conti, a’ marchesi, a’ baroni e altri nobili di quell’isola,
raccomandò lor caldamente che si adoperassero a ritrovare maestri ed altri uomini istruiti
nella gramatica e nelle altre scienze, per mezzo
de’ quali facessero dirozzare i loro figli ed ammaestrarli insieme ne’ buoni costumi. Esso è
stato dato alla luce dal Rinaldi (Ann. Eccl. ad
h. an. n. 38), e poscia inserito nella recente sua
Storia di quell’isola dall’abate Cambiagi (Stor.
di Cors. t. 1, p. 256). Non sappiamo però quali
fossero gli effetti di questo breve; ed è verisimile che le fazioni interne, da cui fin d’allora era quell’isola travagliata, non le permettessero di cambiar l’armi co’ libri. Finalmente
Benedetto XII l’an 1339() eresse una università in Verona, concedendole i consueti privilegi di conferire la laurea nell1 uno e nell altro
Diritto e nell’arti (Bullar. rom. t. 3, pars
p. 286, ed. Rom.). Ma o non segui veramente
una tal fondazione, o in poco tempo venne
meno; perciocchè di questa università io non
trovo altro monumento di sorta alcuna,
XXXIV. L’ultima delle università in questo xxxiv.
secolo erette , ma non T ultima per onore e per
fama, fu quella di Ferrara. Essa fu debitrice si,i di Fer’
ii * ,. rara.
della sua erezione singolarmente al marchese
Alberto d’Este signore di quella città, il quale
l’anno i3c)i, andato a Roma e ricevutovi con
sommo onore dal pontefice Bonifacio IX, fra l3 2 LiBRO
più altre grazie, ottenne lo stabilimento in Ferrara di uno studio generale. Il Borsetti ci ha
data la bolla perciò promulgata (Hist Gymn
ferr. t. 1, p. 18), che è conforme alle altre di
cui abbiamo in più occasioni parlato; se non
che essendosi omai steso per tutta Italia il costume di conferire la laurea teologica, questo
diritto ancora fu alla nuova università accordato. Ma è da udirsi il passo in cui di ciò si
ragiona nell1 antica Cronaca Estense pubblicata
dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 15, p. 524),
ove si nominano alcuni de1 più celebri professori che ad essa furon chiamati, il tempo in
cui precisamente quello Studio fu aperto, e il
concorso che da ogni parte vi ebbe. Eodem
millesimo (1391) Illustris et Excelsus Dominus Marchio Estensis volens urbem Ferrariae
insigni et nunquam hactenus habito honore
magnificare, cum a sanctissimo Domino nostro Papa Bonifacio IX de Studio generali constillando in ci vitate ipsa gratiam et privilegium
apportasset, Studium ipsum in omni facultate
Scientiarum in Dei nomine inchoari atque perfici decrevit, cujus idcirco iussu Sapientes et
tota Communitas Ferrariae ejusmodi rei avidissimi Doctores famosos Dominum Bartholomaeum de Saliceto tunc Ferrariae habitantem,
et Dominum Ziliolum de Cremona in Jure Civili; aliosque in reliquis facultatibus valentissimos ad salarium dictae Communitatis contraxerunt. Itaque in festo Sancti Lucae anni ipsius
fuit dictum Studium inchoatiun 7 ad quod multitudo auditorum atque studentium advenarum
convenit, optimusque numerus Ferrariensium. PRIMO i33
et subditorum vacavit ad illud. E aggiugne poscia che nello stesso anno fu solennemente in
virtù del privilegio ottenutone conferita la teologica laurea nella cattedral di Ferrara a quattro
religiosi dell1 Ordine de1 Predicatori. Io non farommi qui a ritoccar la quistione della fondazione dell1 università di Ferrara fatta da Federigo II, di cui già si è abbastanza parlato nel
quarto tomo di questa Storia; fondazione troppo
chiaramente combattuta dal passo da me ora
recato, e da cui cerca di svilupparsi il Borsetti
(Adversus Suppl. Guarini Defensio, p. 30),
ma in modo clic, s1 io non erro, colle sue stesse
risposte scuopre la debolezza della sua causa.
Ciò che mi sembra più strano , si è che niuno,
eh1 io sappia, degli storici dell1 università di Ferrara ha riflettuto a un altro passo degli antichi
Annali Estensi di Jacopo Delaito, scrittore contemporaneo , pubblicato dal Muratori (Script.
Rer. ital. vol. 18, p. 909), da cui si raccoglie
che questa università tennesi allora in piedi solo
per tre anni; perciocchè ad istanza de’ Ferraresi medesimi, troppo aggravati da altre spese,
il Consiglio del marchese Niccolò III, allor. gio’ vinetto, fanno 1394 determinò che si rivocasse
il decreto per la fondazion di essa già fatto.
De mense Octobris: quia maximi sumptus pecuniarum instabant, atque emersuri videbantur
ad negotia Status et Civitatis, petitum fuit per
Cives ad diminuendas expensas, quod Studium
revocaretur propter gravamen salariorum dictorum auferendum, et ita annuente Consilio prae*■
fati Domini Marchionis factum est. Noi vedremo
in fatti che l’an 1402 fu quella università 134 LIBRO
rinnovata, benché, come sembra, con successo
anche allora non troppo felice, finchè l’an 1442, mentre era marchese di Ferrara Leonello d’Este, essa risorse di nuovo e prese più
fermo stabilimento.
xx\*v XXXV. Di un altro Studio generale, che in
u!rcfìli bÌ-c- questo secolo stesso fioriva in Brescia, abbiamo
un semplice cenno nella Cronaca di quella città
scritta da Jacopo Malvezzi. Questi, che scriveva
al principio del secolo xv, parlando del convento dell’Ordine de’ Predicatori fabbricato in
Brescia l’an 1255, così aggiugne: Ibi et muU
torum honorabiliutn Fratnim tam Magistrorum
quam Scholarium Theologiae et Philosophiae
studentium conventus reverentia dignissimus diebus patris mei habebatur. Nam ipsius genitoris mei assertione hoc loco diebus suis generale
Studium in Sacra Pagina et Philosophia statutum erat (Script. rer. ital. vol. 16, p. 921, ec.).
L’età del padre di Jacopo cadde appunto negli ultimi anni del secolo xiv, e perciò a que’
tempi dobbiamo credere che fosse in Brescia
cotale Studio. E benchè qui sembri farsi menzione solo del Predicatori, come se esso fosse
lor proprio, troppo è probabile nondimeno che
a tutta la città permettessero essi di valersi
di sì favorevole occasione a coltivamento degl’ingegni.
xxxvi. XXXVI. Rimane a dire per ultimo delle pubiruolc di log- bliche scuole di Modena e di Reggio, delle
dlciaalnSol quali già abbiam veduto qual fosse il nome e
deoa. ]a fania lle[ secolo precedente. E per ciò che
è di quelle di Modena, ne abbiamo in questo secolo ancora più monumenti dal Muratori PRIMO i35
raccolti e dati alla luce (Antìq. Ital. t.3, p. 907,
908). e prima un decreto da questa comunità
fatto l’an 1306, in cui si ordina che un ambasciador si spedisca alla comunità e all’università di Padova per ottenere che Niccolò Mattarelli celebre legista in Padova e modenese di
patria resti in Modena, e vi si trattenga tutto
l’aprile per compier l’impiego addossatogli di
difensore del popolo. Non è questo, a dir vero,
indicio di pubblica scuola che allor fiorisse,
ma pruova soltanto T attenzione de’ Modenesi
nello scegliere a’ lor magistrati uomini dotti e
ben versati nella scienza legale. Di scuole abbiam menzione in uno Statuto dell’anno 1327,
in cui si comanda che niuno tra gli scolari cittadini sia tenuto a dare a’ professori di legge,
o di canoni dono alcuno, benchè loro promesso, e che gli scolari forestieri che per cagione di studiar soggiornano in città , godano
de’ privilegi medesimi de’ cittadini; e in un altro del 1328, in cui i Modenesi determinano
d’invitare un valente professor di leggi forestiero , che in Modena ne tenga scuola coll’annuale stipendio di 150 lire modenesi, e un altro
- terrazzano che abbia ricevuto T onor della laurea nelle arti, a leggere medicina collo stipendio di 100 lire, e finalmente un altro forestiero
a leggere la Somma di Rolandino per l’arte de’ notai, e le Istituzioni collo stipendio di 50 lire. Abbiamo qui dunque menzione di tre diverse cattedre in Modena, e io non dubito punto che un più diligente esame delle carte antiche di questo pubblico archivio non fosse per darci altri più chiari lumi intorno ad altre XXXVII. E io Reggio. 136 LIBRO cattedre ancora e alla fama di cui questo Stu~ dio godeva (a). XXXVII. Copia ancor maggiore di documenti abbiamo intorno alle scuole di Reggio. E per ciò che appartiene alla legge, abbiamo una supplica degli scolari al capitano e al Comune di quella città dell’anno 1313, in cui dopo avere rappresentato ch’essi rimanevano senza alcun professore, fanno istanza che un se ne chiami e gli si assegni stipendio, perchè tenendo scuola di legge non lasci venir meno la gloria che quella città col suo studio avea finallora ottenuta. E un’altra supplica parimente abbiamo degli scolari della stessa città de’ 2 di maggio del 1315, in cui pregano il capitano e il Comune, che dovendo di colà partire per recarsi a leggere in Padova Francesco dalla Fontana, che in quell’anno leggeva il Codice, s’inviti Tommaso Cartari, che dalla stessa università era allor congedato, perchè venga a Reggio, e per un anno vi spieghi il Digesto antico collo stipendio medesimo che a Francesco era stato accordato. I quali due monumenti sono stati dati alla luce dal co. Niccola Taccoli (Mem. di Reggio, t. 3, p. 125). Nell’anno stesso i Reggiani studenti di astrologia, di filosofia naturale e di medicina fecero istanza al Comune, perchè Francesco da Frassinoro, il quale per un anno aveali già in quelle scienze istruiti, continuasse per un altro anno ancora le sue fatiche (ib. (a) Alcune più distinte notizie delle scuole modenesi di questo secolo si son poi date nella Biblioteca modenese (t. 1 , p. 53 , ec.). PRIMO 13^ p, 718). Dovremo inoltre nel decorso di questo tomo mentovare più altri che furono professori nelle scuole di Reggio. Ma io non debbo qui ommettere ciò che ho osservato nell’esaminare cotai monumenti, cioè che nè delle scuole di Reggio nè di quelle di Modena non trovasi più alcuna memoria dopo la metà di questo secolo. E io credo che le nuove università che sorsero a questi tempi, e quelle singolarmente di Pisa, di Firenze e di Pavia, s’innalzassero, come suole avvenire, sulle altrui rovine: sicchè al crescer delle une, le altre venisser meno e poscia cessassero interamente. Non era in fatti possibile che tante pubbliche scuole, quante allor ne avea l’Italia, potessero esser fornite di egregi professori, il cui numero suol esser sempre minor del bisogno. Quindi avveniva il sì frequente cambiar di stanza clic essi facevano, e di una passare ad altra città, e appena datisi a conoscere in un luogo, partirne e recarsi altrove. Così duraron le cose per qualche tempo; ma finalmente quelle università, a cui o la munificenza dei principi, o l’opportunità del sito, o altre favorevoli circostanze conciliavano maggior grido, prevalsero sopra le altre, e gli scolari non meno che i professori concorser colà ove poteano sperare vantaggio e frutto maggiore; e le altre perciò cominciarono a illanguidire e a sciogliersi, finchè rimaser diserte. XXXVm. « Anche nel Friuli si tentò di aprire xxxvw.
- 1 • * 1 I Pulililii III!
una nuova università, a cui la vicinanza ael-l(.u0|t. „P| l’Allemagna avrebbe probabilmente conciliatoFr,uU* 138 unno grande concorso. L’eruditissimo monsig. Francesco Florio proposto della chiesa di Udine nella Vita del B. Bertrando patriarca d’Aquileia, da lui pubblicata in Venezia nel 1759, racconta e pruova con autentici documenti (p. 102), che quel patriarca desideroso, uomo dotto com’egli era, di veder fiorire felicemente gli studj nella sua chiesa, indusse i cittadini di Cividal del Friuli a procurare un sì ragguardevol vantaggio alla lor patria, e ne fece fare un decreto nel sinodo provinciale da lui tenuto nel 1339, benchè il vescovo di Padova cercasse, ma invano, d’impedirlo. Perciò nel 1343 fu deputato Jacopo da Trivigi canonico di Cividale a presentarsi al pontefice Clemente VI in Avignone, e ad ottenerne la facoltà che allor credevasi necessaria, e destinossi insieme d’impiegare la somma di 50 fiorini d’oro negli stipendj! de’ professori. Acconsentì il pontefice a sì giuste istanze, e dieci anni appresso, cioè nel 1353, Niccolò successor di Bertrando ottenne dall’imperador Carlo IV, suo fratello, un diploma in favore della stessa università De Rubeis Monum. Eccl. A quii. c. <)3, n. 11). Se essa veramente si aprisse, e per qualche tempo si mantenesse, non può accertarsi, nè si son trovati finor monumenti che lo comprovino. Ma se non ebbe felice effetto il disegno formato di questa nuova università, non mancaron però giammai nè a quella città nè ad altre del Friuli opportuni maestri ad istruire la gioventù. Copiosi documenti mi ha su ciò trasmessi l’altre volte lodato sig. ab. Domenico Ongaroj PRIMO 139 e con dispiacere mi veggo dall’idea del mio lavoro costretto a sceglierne sol qualche parte per non allungarmi oltre il dovere. Fin dal 1297 troviam maestro in Cividale un Giovanni di Modena, di cui sull1 autorità di questi documenti medesimi ho favellato più a lungo nella Biblioteca modenese (t. 3, p. 219); e di lui si trova menzione fino all’anno 1327. E il tempo medesimo troviamo in un atto de’ 23 di gennaio del 1324 uno che dicesi Magister Jacobus de Civitate regens Scholas in dicta Civitate. Ed altri maestri ancora trovansi indicati non solo in gramatica, ma in logica ancora e nelle Istituzioni e nell’arte del notaio, sotto gli anni 1298, 1301 1339 e in altri anni seguenti; de’ quali, poichè non son uomini di cui sia rimasta chiara memoria, non giova il dire distintamente. Più copiose memorie ancora si hanno riguardo alle scuole chV*rano in Udine, dove non solo troviamo copia assai maggior di maestri, ma vedesi ancora quanto grande fosse l’impegno di quel pubblico perchè le scuole medesime fossero ben regolate, e perchè idonei fossero i maestri ad esse trascelti. Fra i molti, de’ quali ne’ citati documenti si fa menzione, uno ne ha assai celebre, cioè Giovanni da Ravenna, di cui ci riserbiamo a dire in luogo più opportuno. Nè solo in quelle due principali città, ma in più terre ancora del Friuli veggiamo indicati ne’ documenti medesimi alcuni maestri, come in Gemona, ove otto se ne offrono dal 1324 al 1386; in San Daniello, in Portogruaro, in Pordenone e anche nella Pieve di Cadore.
- ↑ Il sig. Siro Comi avverte qui un errore in cui egli mi crede caduto, affermando che a Galeazzo Visconti deesi la lode di aver fondata l’università di Pavia; e osserva che non fu già Galeazzo, il quale non aveva in Pavia altra autorità che quella di vicario imperiale, ma furono i Pavesi stessi che chiesero ed ottennero da Carlo IV l’imperial diploma per l’erezione delle loro università (Philelphus Archigymn. ticin. vindicatus, p. 173). Io prego l’erudito scrittore a riflettere che se in ciò è qualche errore, non debbo esserne io incolpato; ma sì Pietro Azzario scrittor di que’ tempi, il quale dice che D. Galeaz curavit habere universa studia in Civitate Papiae; anzi lo stesso Galeazzo che nel suo decreto riportato dal medesimo Azzario dice: in ipsa Cìvitate Papiae acquisivimus privilegia solemnia Studiii Generalis, ec. (Script. Rer. ital. vol. 16, p. 406); che la dimanda potè farsi in nome de’ cittadini, ma per insinuazione di Galeazzo; e che questi col titolo di vicario imperiale avea in Pavia quell’autorità medesima che avea collo stesso titolo in Milano.