Le monete dei Pontefici romani Leone VIII e Giovanni XIII

Tarquinio Gentili di Rovellone

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Le monete dei Pontefici romani Leone VIII e Giovanni XIII Intestazione 5 aprile 2023 100% Numismatica

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LE MONETE DEI PONTEFICI ROMANI


LEONE VIII (ritenuto antipapa) E GIOVANNI XIII


anni dell’êra cristiana 963-972




Tutti coloro, che, dal Vignoli (1709) al Promis (1858), hanno pubblicato illustrazioni, od anche semplici descrizioni, delle monete pontificie, che lo stesso Vignoli chiamò antiquiori1, attribuiscono a papa Leone VIII le tre che vengono riprodotte nella tav. I, fig. 1, 2 e 3. Non tutti concordano egualmente sulla spettanza di quelle che pur si riproducono nella stessa tavola fig. 4 e 5.

Frattanto però le une e le altre, specialmente nel dritto, presentano molte singolarità, capaci a distinguerle assolutamente da tutte le altre della serie. Quali le ragioni di quei tipi così straordinari?

[p. 52 modifica] Inutilmente si ricercano negli scritti degli illustratori, anche più accurati ed eruditi, fra i quali primeggia indubbiamente il Promis. Eppure le differenze sono tante, e così salienti, da non potersi ammettere che siano dipendenti dal caso o dal fatto dello zecchiero in un’epoca, nella quale la sorprendente uniformità dei tipi monetari, anche nella rozzezza, dimostra la mancanza di ogni iniziativa nello artefice, e la intera partecipazione di lui alla generale ignoranza di quei secoli.

E le ragioni possono solo ricercarsi nelle condizioni dei tempi, nei fatti che si compievano allora che le monete venivano battute. Ricerca ardua veramente, perchè poche sono le notizie fino a noi pervenute, e, peggio ancora, varie di esse presentano dubbiezze non lievi, altre appariscono erronee. Ma perciò appunto lo studio che se ne faccia riesce maggiormente utile, perchè il documento irrefragabile della moneta, messo a confronto de’ fatti storici conosciuti, giova a nuova conferma dei già accertati, a dilucidazione dei dubbî, a rettificazione degli errati, a diradare insomma le fitte tenebre di un’epoca, pure importantissima per noi, in quanto ha preceduto immediatamente la nostra, ed indica le cause e lo svolgersi di quella evoluzione, che ci ha poi condotto al risorgimento.

Le tre prime monete portano tutte il nome di un Papa Leone, ma apparterranno veramente all’ottavo, cui finora sono state attribuite, senza però dimostrazione veruna? prima necessarissima indagine, sola capace ad evitare fantastiche deduzioni, è quella di confrontare il documento monetario colle memorie storiche pervenuteci. Due di quelle monete [p. 53 modifica](fig. 1 e 2), oltre il nome del papa, portano pure quello di Ottone. La cronologia accertata dei Papi ne assicura, che, sotto lo impero degli Ottoni, nessuno ebbe il nome di Leone, all’infuori di quello assunto al Pontificato dal Concilio convocato da Ottone I, il grande, nel novembre dell’anno 963, che depose l’ancor vivente papa Giovanni XII. Questo appunto è l’VIII di tal nome nella serie de’ papi; nessun dubbio adunque sulla retta attribuzione a lui ed all’epoca sua delle due monete col nome di Ottone. Manca questo nome nella terza, la quale, inoltre, differisce nella leggenda del dritto, e nella maggiore ruvidezza dell’intero conio: occorre dunque una speciale dimostrazione, della quale potrà trattarsi più innanzi, se ed in quanto le ricerche da farsi per le altre potranno condurre a determinar l’epoca anche di questa.

Se Leone VIII fu spinto alla sede pontificia, vivente tuttora papa Giovanni XII, che la occupava da oltre sette anni, è evidente che le vicende di quello si collegano essenzialmente e quasi s’innestano ai fasti di questo; nè riesce possibile apprezzare debitamente le une, senza un richiamo, almeno sommario, degli altri più salienti e meglio accertati.



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I.

CENNI STORICI.

Per unanime attestazione di tutti gli storici, Giovanni XII è figlio di quel marchese Alberico, il quale, profittando della lunga vacanza dell’impero così detto dei Romani (riproduzione dell’impero di occidente fatta dai Papi) avvenuta fino dall’anno 924 con la morte del primo Berengario, si fece tiranno di Roma, usurpandone la Signoria, e giunse sino al punto da ottenere nelle monete pontificie, col titolo di principe, il posto che prima vi avevano gli imperatori: lo accertano indubbiamente le monete dei papi Marino II e Agapito II riportate dal Promis. Morì Alberico nel 954, ed il figlio di lui Ottaviano, o per volontà manifestata dal padre, o per suo proprio impulso, s’impossessò della Signoria di Roma, tuttochè ancor minorenne e già chierico. Mancò pur di vita l’anno appresso (955) papa Agapito II, e il chierico minorenne Ottaviano seppe così bene profittare della potenza a lui attribuita dalle tiranniche tradizioni paterne, e dalla assunta Signoria, che in dodici giorni (secondo afferma il Promis) si fece eleggere Papa; e volle come Pontefice essere chiamato Giovanni.

Fu il primo tra i papi a cambiar nome nello assumere il pontificato: quale la ragione? se ne [p. 55 modifica]adducono varie. Non parve a lui che il nome di Ottaviano rispondesse alla maestà della religione, secondo il Fioravanti2: perchè potesse dirsi di lui: fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joannes, come pensa il Palazzi3: egli, che era già signore di Roma prima di salire al pontificato, volle servirsi di due nomi, cioè di Ottaviano nelle cose temporali, e di Giovanni nelle spirituali, così afferma il Muratori4. La espressione aggiunta dal Palazzi5: sed fœdior factus in omnem Joannes erupit libidinem, accerta quasi, che nessun alto ideale di religione, o di maestà della Chiesa e del sommo pontificato, concorse nella determinazione del cambiamento di nome. Resta invece ammissibile l’affermazione del Muratori, anche perchè sostenuta da varie circostanze di fatto.

Il neo-papa conosceva bene, che i mezzi usati per salire allo alto posto, e l’età sua minorenne, rendevano illegittima e nulla la elezione6. Egli quindi prudentemente prevedendo la possibile evenienza nella quale lo imposto favore, che oggi lo aveva innalzato, potesse domani scemare o cambiarsi in opposizione, volle bene conservar distinte le due potestà, per diverse vie conseguite, onde non perderle entrambe, se dall’ultima dovesse pur decadere. [p. 56 modifica]

La quale interpretazione è sorretta dal fatto che Giovanni XII, solo fra tutti i papi, volle aggiunto nelle sue monete il titolo di Domnus7. Per gli altri è bastato segnar nelle monete Papa onde indicare la unione, che ritengono indissolubile, della potestà civile con la religiosa. A Giovanni XII non basta Papa; vuole aggiunto Domnus, al preciso scopo di tener disgiunte le due potestà. Scopo ben giustificato per un Ottaviano figlio e successore di quell’Alberico, che, fattosi tiranno di Roma, potè poi affermarne la Signoria o il principato nelle monete dei due papi Marino II ed Agapito II, come già si è accennato.

Somma fallacia della umana previdenza! La prima a pericolare per papa Giovanni fu proprio la potestà civile, in parte oppressa, in parte minacciata dai re d’Italia Berengario II e suo figlio Adalberto. Ed ecco che, non Ottaviano, Signore di Roma, ma Giovanni, papa, manda ambasciatori ad Ottone re di Germania, con promessa della corona imperiale, se, previo giuramento, fosse sceso in Italia a liberare la Chiesa dalla tirannide che la opprimeva, e a restituirle la pristina libertà8. Ed Ottone venne. Intraprese la guerra per la conquista del Regno d’Italia, e cinse con grande solennità la corona imperiale. E allora con formale stipulazione, affidata [p. 57 modifica]ad imp. diploma9 13 febbraio 962, promette e giura di difendere e conservare a favore della S. Chiesa e della Sede pontificia (non già di Ottaviano signore di Roma) tutto ciò che fino ad ora avea posseduto o ritenuto sotto la sua potestà e giurisdizione, a cominciare dalla Città di Roma, sito ducato, territorio, ecc. ecc.

La fermezza di Ottone nel giuramento prestato, nelle promesse fatte intorno alla tutela dei beni, dei diritti e delle giurisdizioni della Chiesa, riuscì fatale al volubile papa Giovanni. Anch’egli alla sua volta giurò, insieme al popolo romano, di non mai accogliere, avere aderenze, prestare aiuto ai deposti re Berengario ed Adalberto10. Dopo pochi mesi, e mentre Ottone combatteva ancora per riacquistare le terre dalla Chiesa perdute, Giovanni XII entrò in trattative con Adalberto, congiurando per la cacciata dello straniero Ottone, e riconoscendo nuovamente Berengario, già marchese d’Ivrea, quale Re italiano. Per questa via il Sigonio11 vuole attenuare la brutta defezione, non pensando esser difficile persuadere che nell’animo del figlio di Alberico potessero nutrirsi alti sentimenti di patria e di nazionalità!

Frattanto i romani stessi divennero stanchi della dissoluta e scandalosa vita del giovane papa, e mentre avvertivano l’Imperatore della congiura con Adalberto, gli facevano pur considerare come a lui toccasse, per le fatte promesse, provvedere seria[p. 58 modifica]mente al decoro della Chiesa romana12. Pericolava ormai per Giovanni XII la male acquistata potestà religiosa, trascinando seco la riunitavi potestà civile, non ostante, e per fatto anzi della potenza straniera chiamata a sostener l’una e l’altra!

Il mite Ottone volle da principio molto concedere all’età giovanile. Puer est, egli disse, facile bonorum immutabitur exemplo virorum, e spedì suoi messi al papa per ammonirlo13. E i messi dovettero anche meglio accertare la gravità dei fatti, la miseranda condizione delle cose di Roma. Anche il Papa mandò ad Ottone i suoi nunzî con larghe promesse di correzione. Non andò però molto, e Giovanni XII invitava, e riceveva in Roma con gran pompa il già re Adalberto, e ciò decise Ottone a recarvisi con parte delle sue truppe, cedendo finalmente alle ripetute istanze di ogni ordine di cittadini.

Al giungere dello Imperatore il Papa fuggì con Adalberto. Ottone, benchè istigato da insistenti preghiere dei romani, nessun provvedimento volle prendere, ma consentì alla riunione di un concilio, nel quale invitato il Papa, si giudicasse sulla condotta di questo, sul modo di riparare. E il Concilio ebbe luogo nel novembre dell’anno 963; numerose e gravissime furon le accuse contro il Papa, che ricusò di presentarsi, e condannò la riunione: egli nondimeno fu deposto e nei primi giorni di dicembre fu eletto nuovo Papa ad una voce, Leonem S. R. ecclesiæ prothoscriniarium14. [p. 59 modifica]

Il nuovo eletto fu subito consacrato, e senza seguire l’esempio dato per primo da Giovanni XII, conservò il proprio nome di Leone, ottavo fra i Pontefici di tal nome15. Il Papa deposto tenne ferma la sua opposizione al Concilio e allo Imperatore che lo aveva riunito. Lontano da Roma egli preparava la rivendicazione a favor suo, la più feroce vendetta contro Leone ed Ottone.

Quest’ultimo volle passare il Natale in Roma, ma frattanto rimandò buona parte delle sue schiere a raggiunger le altre ancora occupate ad espugnar le fortezze tenute da Berengario e da Adalberto. Seco trattenne a propria guardia poca truppa, ma scelta. Al vigile Giovanni parve il momento opportuno per liberarsi con un colpo solo dello imperatore e del novello Papa. Fu ordita e assai ben preparata, entro le stesse mura di Roma, una ribellione armata. In tal modo, Giovanni XII attentò perfino alla vita di colui, che appena due anni innanzi aveva chiamato dalla Germania e incoronato Imperatore per ispontanea sua volontà. Sostennero la congiura, colla ribellione armata, tutti gli ordini di quel popolo, che [p. 60 modifica]due anni prima acclamò il novello imperatore; che un sol mese innanzi avea implorato l’aiuto di questo per liberarsi dal papa che accusava come tiranno e come indegno dell’alto suo posto a causa di depravata condotta; che aveva quasi imposto la sostituzione di Leone VIII, ed applaudito ad essa. Tremendo insegnamento storico, certo non unico, anzi non raro; ma pur singolare nel caso, e maggiormente istruttivo, per la doppia, rapidissima evoluzione dal favore all’odio, così del popolo, come del tiranno che l’opprimeva, e tanto nei rapporti fra loro, quanto con i terzi interposti.

Ottone I il grande affrontò la ribellione: i non molti, ma fedeli ed agguerriti militi della sua guardia la combatterono così da mettere in fuga i ribelli, da far di essi orribile strage, cessata solo ad interposizione del mite Leone VIII. L’Imperatore volle aver fiducia ancora una volta nelle promesse dei Romani: perdonò loro, restituendo anche i presi ostaggi, e raccomandato alla lor fede il suo papa Leone, lasciò Roma, per condursi a finirla una volta, come presto fece, colle ultime resistenze dei già re Berengario ed Adalberto16.

E Giovanni XII prosegue a congiurare per disfarsi di Leone VIII; e il figlio di Alberico, tiranno di Roma, sa bene scegliere il mezzo e cogliere il momento per rendere, all’uopo, il popolo romano nuovamente fedifrago verso di Ottone. Dopo oltre nove secoli riesce forse impossibile rintracciare i mezzi [p. 61 modifica]usati; è facile però riconoscere che il momento opportuno era quello, nel quale, Roma restava libera dalle milizie imperiali, perchè tutte impegnate, col loro duce supremo, in due fazioni decisive nel ducato di Spoleto e Camerino, e nel Montefeltro sotto la rocca di S. Leo. Trascorsi difatto non molti giorni dalla partenza di Ottone, i Romani stessi introdussero Giovanni XII nella città e subito potè egli esercitare barbare vendette su Cardinali, Vescovi e cittadini a lui contrarî17. In gravissimo pericolo si trovò Leone, che però ebbe la fortuna di poter fuggire in tempo da Roma, benchè spogliato di tutto e ricoverarsi al Campo dello Imperatore18. Rientrato Giovanni XII nel suo pieno potere, li 26 febbraio 964, radunò un Concilio nel quale si dichiarò Leone occupatore illegittimo della Sede pontificia e si annullarono tutti gli atti di lui19.

Tali nuovi fatti dispiacquero assai ad Ottone, il quale pensò subito a formare l’esercito per la spedizione contro Roma. Qui però non doveva più tro[p. 62 modifica]vare Giovanni XII, che nel suo ottavo anno di Pontificato, e tutto al più nel 26° di sua età, miseramente morì nei primi del mese di maggio 964. Quale la causa della morte di lui? forse misteriosa e perciò stesso molto contradetta! Non improbabile però la accennata da qualche antico scrittore germanico, la vita, cioè, troppo giovanilmente sfrenata.

La morte di papa Giovanni non ricondusse i Romani alla fede ripetutamente promessa a Leone VIII ed allo Imperatore: tutt’altro! Essi non ebbero che un sol pensiero; quello di scegliere un altro papa, che fu consacrato sul finire dello stesso mese di maggio, e che ottenne da tutto il popolo giuramento di fedeltà, e solenne promessa di aiuto e difesa contro il potente Imperatore. Lo innalzato al Pontificato si chiamò Benedetto V, perchè la elezione cadde su quel Benedetto cardinale arcidiacono che nel Concilio del novembre 963 figurò tra i principali accusatori di Giovanni XII, e prese parte al voto unanime che volle la deposizione di questo e la sostituzione di Leone. Apparisce ciò chiaramente dagli atti di quel Concilio riportati per intero dal Palazzi nella sua opera tante volte richiamata. Da così strana confusione di idee; da tale continua mutabilità e contraddizione di propositi, può ben dedursi a quale livello di degradazione avesse abbassato la vita sociale la quasi incredibile ignoranza di quei secoli!

Crebbero naturalmente le ire di Ottone, offeso dai Romani con tre atti di ribellione in sei mesi e non indugiò egli a condurre nuovamente il suo esercito sotto le mura di Roma. Non potè subito penetrarvi per altro, perchè questa volta il popolo tenne [p. 63 modifica]fede alle promesse fatte a Benedetto V: eran forse troppo recenti! Fu necessario un formale assedio con uso di petriere ed altre macchine da guerra e collo impedire la entrata di ogni sorta di viveri. In breve tempo i romani furono costretti ad arrendersi, ed il 23 giugno 964 Ottone I entrò in Roma e la occupò coll’esercito vincitore.

Il primo atto fu naturalmente, di rimettere al suo posto il papa Leone VIII. E poichè occorreva provvedere al nuovo papa Benedetto, che, seguendo la sorte toccata al popolo, aspettava gli eventi, fu convocato un nuovo Concilio, anche allo scopo di discutere i mezzi adatti ad assicurar l’ordine per lo avvenire e la stabilità della Sede pontificia.

Intervenne al Concilio anche papa Benedetto, il quale, redarguito perchè avesse usurpato il papato a danno di Leone, alla cui elezione aveva concorso col voto e colla opera sua, ed al quale avea pur giurato fedeltà, null’altro ebbe a ripetere che questo: se ho errato, abbiate misericordia di me. E bastò. Ebbe luogo per lui una vera pubblica degradazione, perchè fu spogliato degli abiti pontificali, coi quali era intervenuto al Concilio, e dovè consegnare il pastorale a Leone, che fattolo spezzare, ne mostrò al popolo i rottami20. Ed ecco il terzo Papa che veniva deposto nel breve tempo trascorso dal novembre 963 al giugno 964! Strani tempi davvero, e più che strani, incomprensibili! Si accordò a Benedetto di restare nell’ordine dei diaconi, ma collo esilio in Germania. [p. 64 modifica]

In quanto ai provvedimenti, per finirla una volta colle continue ribellioni dei romani, nulla di certo ci hanno trasmesso le cronache. Soltanto alcuni autori germanici riportano atti, che denoterebbero una vera abdicazione di potestà civile e religiosa a danno del papato e a favore dello impero21. Tali atti non hanno alcuna autenticità; anzi sono ritenuti apocrifi, come ben lo dimostra il Palazzi. Nè, indipendentemente da quelli, è ammissibile il fatto del quale non si fa mai più menzione in appresso, e non mai lo stesso Ottone I ha richiamato o fatto uso di poteri rinunziati dal Pontefice, neppure nella elezione del Papa, dopo la morte di Leone VIII.

Però fra una formale abdicazione del Papato a favor dell’Impero, ed una straordinaria, ed anche amplissima, delegazione di poteri, specialmente civili, di Leone VIII a favore di Ottone I corre un gran tratto. Incredibile e forse impossibile la prima; la seconda, all’opposto, apparisce reclamata necessariamente per sostenere la impotenza del Papa da un lato, il compromesso decoro dello Imperatore dall’altro di fronte al contegno riottoso del popolo romano, quanto persistente nella ribellione, altrettanto incerto, indeterminato, contradittorio nell’esplicarsi.

E che Ottone I assumesse veramente, e facesse largo uso di straordinarî, anzi di assoluti poteri sovrani in Roma, varî fatti lo dimostrano. Tutti gli storici affermano che Ottone non fu solo severo, ma quasi feroce coi romani. E si noti che entrato in Roma il 23 giugno, ne partiva poi subito dopo [p. 65 modifica]S. Pietro. Egli dunque dovette lasciar là un governo che a suo nome esercitasse con severità e fermezza la civile potestà. E lo prova il fatto, che i romani subirono tranquilli il Papa imposto loro con la forza, anche dopo partito Ottone da Roma: non ardirono muoversi, quando l’esercito imperiale fu colto in marcia da terribile pestilenza che lo decimò: videro impassibili il ritorno di Ottone in Germania collo esiliato Benedetto V, commesso, quasi prigioniero, alla custodia del Vescovo di Amburgo22.

Così potè Leone passare in perfetta quiete l’ultimo periodo del suo Pontificato, della breve durata però di soli nove mesi, chè lo colse la morte nei primi di aprile dell’anno 96523. E in tale incontro si sperimentarono anche meglio i buoni effetti del forte governo imperiale. Non solo nulla osarono i romani per provvedere alla Sede Pontificia, ma docili e sommessi spedirono due ambasciatori allo Augusto per conoscere la volontà di lui, azzardando appena una preghiera pel ritorno dello esiliato Benedetto. Par che in questo senso s’intavolassero trattative, che però approdarono a nulla, perchè nel frattempo anche Benedetto V moriva in Amburgo. L’imperatore rimandò gli ambasciatori romani ai quali associò, nella qualità di suoi messi, i vescovi Otgiero di Spira e Liuzo o Liutprando (lo storico) di Cremona.

Giunti a Roma questi personaggi, non si pensò che alla elezione del nuovo Papa, e nel settembre 965, di piena concordia fra Clero e popolo, fu innalzato al [p. 66 modifica]sommo Pontificato il vescovo di Narni Giovanni, che fu il XIII di tal nome. Senz’alcuna ingerenza dello Imperatore, il nuovo eletto fu pur consacrato. La piena concordia nella elezione a nulla giovò: poco appresso, e di certo prima che giungesse al suo termino l’anno 965, si ribellarono nuovamente i romani, si impossessarono di papa Giovanni e lo mandarono esiliato nella Campania.

I fatti storici fin qui riassunti dimostrano abbastanza con quanta facilità i romani del secolo decimo si volgessero ad abbatter coloro che ieri aveano innalzato, concordi e con plauso, al più alto grado della potestà religiosa e civile. Ciò però non basta a spiegare il passaggio, per verità troppo rapido, dalla docile e quasi umile e timorosa sommissione alla autorità imperiale nel maggio, e quindi a quella papale nel settembre, allo sciogliersi per via di fatti violenti nel novembre dello stesso anno, da ogni soggezione papale ed imperiale. Non par difficile trovare una ragione di tale anomalia, se si esaminino le speciali condizioni dell’epoca, per quanto assai poco chiarite dallo scarse notizie fino a noi pervenute.

Accennano gli storici che papa Giovanni XIII si mostrò fin dalle prime severo rivendicatore di tutte le giurisdizioni pontificie, forse anche a danno dello usurpate prerogative dei potenti baroni24. Questo fatto, congiunto all’altro della libera scelta del Papa lasciata da Ottone ai romani, valse senz’altro a dimostrare, che la pretesa abdicazione di ogni potestà pontificia fatta da Leone a favor dell’impero era stata [p. 67 modifica]divulgata perchè si credesse, ma non esisteva realmente25: che gli estesi poteri esercitati da Ottone in Roma provenivano da personale delegazione di Leone venuta meno con la morte di lui. Non fu tanto quindi l’odio destato dai rigori di Giovanni XIII, che scosse i romani, come crede il Muratori, quanto il cessato timore d’incontrar l’ira del potentissimo Imperatore, che se ne restava lontano, e parea indifferente, nel suo regno di Germania, dopo morto Leone VIII, il Papa ch’egli stesso avea fatto eleggere, e che perciò aveva dovuto sempre e ad ogni costo difendere. Nè bisogna negare, che la sperata indipendenza dalla autorità imperiale potesse ridestar più forte nei romani la tendenza che ovunque e potente cominciava a manifestarsi, verso l’autonomia e le libertà comunali.

Errarono grandemente i romani nel supporre la indifferenza dello Imperatore nelle cose di Roma. Ottone il grande non dimenticava, e molto meno mancava ai giuramenti fatti nello assumere la corona imperiale. Egli fu irritatissimo della nuova ribellione e dopo la metà di Agosto dell’anno 966, mosse per l’Italia al doppio scopo di riparare ai disordini di Roma, e di combattere in Lombardia le sedizioni di Adalberto figlio di Berengario. Il timore scosso da errata supposizione ritornò vigoroso nell’animo dei romani di fronte alla realtà dei fatti. Aveva appena Ottone I messo il piede in Italia, ch’essi richiamarono spontaneamente il Papa, che circa dieci mesi innanzi avevano, prima liberamente eletto, poscia [p. 68 modifica]imprigionato, ed infine esiliato. E Giovanni tornò alla sua Sede, e i romani, implorando perdono, lo accolsero con molte onoranze26. Tutto ciò non bastò ad abbonire lo Imperatore, che giunto in Roma e solennizzato il S. Natale del 966, sui primi del 967 fece severa giustizia contro i rebelli. Più che severa pare anzi che la giustizia imperiale fosse crudele, secondo che affermano i cronisti, e secondo il rimprovero che l’imperatore Niceforo Foca ne fece ai male accolti ambasciatori, mandati da Ottone a Costantinopoli per chiedere in isposa del figlio la principessa Teofania, figlia del già imperatore Romano II, e figliastra di esso Niceforo.

Ottone in seguito si dimostrò sempre per papa Giovanni fautore e sostenitore non meno fermo e solerte di quel ch’era stato per Leone VIII. E papa Giovanni lo ricambiava di affetto e di intera comunanza di vedute, tanto che egli stesso propose ed ottenne di chiamare in Roma il giovane figlio dell’imperatore per dare anche a lui la corona imperiale. La incoronazione ebbe luogo, pomposamente solenne, nella basilica Vaticana il dì di Natale 967, con piena soddisfazione, così degl’imperiali, come dei romani27.

Ottone I si trattenne continuamente in Italia fino all’anno 972, occupato dal 968 in appresso, anche a vendicar nelle Puglie i rifiuti ed i tradimenti dello Imperator d’Oriente. E riuscì vincitore, e raggiunse il suo scopo. Niceforo, per istigazione della moglie sua Teofanona, fu assassinato da Zimisce, che si [p. 69 modifica]impadronì dell’impero. Il nuovo Augusto offrì la pace ad Ottone, accettandone per condizione il matrimonio di Teofania con Ottone II.

La continua presenza in Italia dell’Imperatore contribuì senza meno a tenere in freno i romani, tanto che in perfetta pace e tranquillità potè passare Giovanni XIII i rimanenti anni del suo pontificato. Nulla anzi di notevole avvenne in Roma in questo tempo, se se ne tolga il solenne e festeggiatissimo matrimonio, ivi celebrato nel 14 aprile 972, del giovane imperatore Ottone II colla bellissima principessa Teofania. Pochi mesi dopo il fausto avvenimento Ottone I volle lasciare l’Italia per accompagnare in Germania il figlio e la nuora. Partito Ottone, poco ancora sopravvisse papa Giovanni, che morì il 6 sett. dello stesso anno 972; e soli otto mesi dopo (7 maggio 973) cessò pur di vivere il vecchio Imperatore.

Sono questi i fatti storici più salienti e meglio accertati, che avvennero intorno alla epoca nella quale furono battute le monete da esaminarsi. Resta a vedere se e come queste illustrino la storia da noi conosciuta, e reciprocamente vengano illustrate da essa. Esame importante, anche perchè le monete, delle quali si tratta, presentano forme e caratteri, affatto singolari e senza confronti in tutte le altre pontificie antiquiori. Agli accennati eventi di certo non ordinarî, corrisponde la straordinarietà delle monete: primo argomento per ritenere che queste appartengano ai Papi ai quali si attribuiscono, ed all’epoca trascorsa dal 963 al 972.



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II.

Le monete di Leone VIII.

Le due prime (Tav. I, fig. 1 e 2) hanno eguale la leggenda nel dritto LEONI PAP. OTTO segnata nel campo in tre righe divise da due sbarre orizzontali: nel rovescio hanno ugualmente la mezza figura di S. Pietro, ma con diversa corona nella testa, e la prima ha le sole lettere P. S. (Petrus Sanctus) che accostano la mezza figura, l’altra ha P · SCS.

Prima singolarità da notarsi è la mancanza della crocetta, specialmente nel dritto. Era costume allora di premetter il segno di croce ad ogni scrittura e al proprio nome scritto28. Dopo Costantino Magno poi tutti i principi cristiani del medio evo lo scolpirono nelle monete. Non mai manca nelle pontificie antiquiori,29 almeno in una delle due leggende, e proseguì pure il costume presso che in tutta la coniazione delle antiche. Non è possibile rintracciare [p. 71 modifica]una ragione che l’abbia fatta pensatamente sopprimere: forse la cosa avvenne casualmente, e di ciò sì tornerà a parlare nella illustrazione della terza moneta di Leone. Il fatto della mancanza, comunque avvenuto, può bene dar sospetto che le due monete non siano state coniate per ordine del Papa. Se tutti i principi cristiani ammettevano nelle loro monete quel segno: se questo non era mai mancato nella monetazione pontificia antecedente, non è certo presumibile, che ne consentisse la soppressione, in due coni diversi, Leone VIII, riconosciuto come buono e pio da quelli stessi che lo annoverano fra gli antipapi.

Le due monete presentano tutto intero il dritto occupato dalla leggenda in tre righe orizzontali, esempio unico nelle antiquiori dopo la regolare monetazione incominciata da papa Adriano I (a. 772-795) a seguito della donazione rinnovata, o confermata da Carlo Magno nell’anno 774. E questa nuova, eccezionalissima variante, innalza a grave indizio lo accennato sospetto, che la coniazione non sia stata fatta per ordine del Papa. Non si saprebbe davvero trovare ragione per la quale questi volesse cambiare così radicalmente la forma adottata da tutti i suoi antecessori.

E il grave indizio trova nuova conferma in altra omissione, certo non comune in quei tempi. Nelle due monete non si trova segnato il nome di Roma. Eppure Leone VIII, cacciato di là, quasi appena eletto, e dichiarato anzi intruso nel pontificato, aveva tutto l’interesse di affermar solennemente al ritorno la sua potestà sovrana colla coniazione della moneta, e per via di questa, la sua presenza in Roma, il suo insediamento nella Cattedra di S. Pietro. [p. 72 modifica]

Unico assolutamente in tutta la serie delle antiquiori è il tenore della leggenda nel dritto. Il nome del Papa è espresso in dativo: LEONI PAP. Vi è l’esempio del genitivo, specialmente usato da Gregorio IV, e si comprende. Quando eravi impresso il nome dell’Imperatore al nominativo, quello del Papa al genitivo significava ed affermava che la moneta spettava od era battuta non già dal primo, ma dal secondo: — moneta di Gregorio papa; — ma affatto incomprensibile è il dativo, se voglia ritener la coniazione eseguita a nome e per ordine del Papa, E molto più perchè al nome del Papa segue, al primo caso, quello dello Imperatore LEONI PAP. — OTTO — È inammissibile qualunque altra interpretazione allo infuori di questa: le monete sono state battute non per ordine del Papa, ma dello Imperatore. Ed ecco il caso nel quale la moneta viene in aiuto della storia e la chiarisce.

Alcuni cronisti affermano l’abdicazione di Leone a favore di Ottone, che lo ricondusse in Roma e lo rimise nella sua sede di Pontefice: altri assolutamente la negano, come è stato accennato. Non vi è dubbio nondimeno che esercitasse Ottone grandissima parte della potestà sovrana, sia pure semplicemente delegata, ed ecco le monete a provarci che si estendeva fino alla loro coniazione. Su di quelle però è anche impresso, e nel posto di onore, il nome di Leone, unito alla qualifica di Papa: e la qualifica e il nome sono così posti da far comprendere, che chi esercita quel potere non lo esercita per sè, ma quasi a nome e per conto dell’altro, cui offre o dedica la moneta coniata.

Nè basta, che il nome e la mezza figura di [p. 73 modifica]S. Pietro nel rovescio dimostrano, anche più chiaramente, che le monete spettano alla Chiesa romana, al successor di S. Pietro. La prova è piena, e per tali documenti il fatto storico resta interamente chiarito. È affatto esclusa la supposta abdicazione di Leone a favore di Ottone, ma non può dubitarsi della più estesa e forse totale delegazione per lo esercizio della sovrana potestà civile.

Resta sempre incerta la ragione per la quale l’Imperatore, sostituendosi al Papa nella coniazione delle monete, abbia voluto cambiare così radicalmente il dritto di queste, da allontanarsi del tutto dal tipo oltre secolare della monetazione pontificia. Forse fu a caso, forse avvenne per fatto dello zecchiere; ma prima di pronunciarsi sarà bene completare l’esame delle monete di Leone.

La terza moneta (Tav. I, fig. 8) ha nel dritto la leggenda: D — N — LEONI PAPE — in tre righe orizzontali divise da sbarre: nel rovescio poi ha una mezza figura accostata dalle lettere SCS — PETRS (Sanctus Petrus). Il tipo e la forma di questa è perfettamente simile alle altre due, mentre quella forma e quel tipo non si trova imitato nelle antiquiori, nè prima nè dopo l’epoca della quale si tratta. Primo non lieve argomento per attribuire anche questo denaro a Leone VIII, benchè non porti il nome di Ottone. Anche qui manca la crocetta ed il nome di Roma. Però a queste particolarità, comuni alle precedenti, se ne aggiungono altre affatto proprie.

Nella prima riga del dritto sono impresse le lettere D N. Il Promis legge Domino nostro, il Fioravanti semplicemente Domno. La mancanza del punto intermedio, e la lineetta sovrapposta, che indica, non [p. 74 modifica]disgiunzione, ma unione delle due lettere, secondo l’uso dell’epoca, danno certo ragione al Fioravanti. Anche perchè solo a Dio era allora riservato il titolo di Dominus e Imperatori e Papi non eran che Domni, come dimostrano gli atti autentici pervenutici senza errore di copisti30. Giovanni XII è stato l’unico Papa che abbia segnato il domnus nelle monete, lo stesso titolo nella moneta in esame, fa attribuir questa a quel Leone che immediatamente, anzi contemporaneamente gli successe nel pontificato.

Anche più singolare in questa moneta è la rozzezza del conio, e il disegno quasi barbaro della mezza figura del rovescio. Ciò non solo la distingue dalle due precedenti, ma ben anco dalle altre che in quel tempo uscivano dalla zecca pontificia, ed autorizza a ritenerla non battuta in Roma. Se così è, nè pare possa dubitarsene, deve pur ritenersi fattane la coniazione quando il Papa stette assente da Roma, costretto a fuggire per togliersi alla vendetta di Giovanni XII. Ma, fuori di Roma, la moneta non fu certo coniata per fatto e per ordine di Leone: ce ne assicura la leggenda del dritto al terzo caso lo attribuitogli titolo di Domnus, usato dal solo suo predecessore, e per ragione affatto speciale, alla quale Leone, semplice primo archivista innanzi di esser Papa, era ben lontano dal poter partecipare.

Sospetta il Promis che la moneta provenga da qualche città del patrimonio della Chiesa, indipendente dallo Imperatore, nella quale il Papa si fosse [p. 75 modifica]rifugiato fuggendo da Roma. Non pare ammissibile; principalmente perchè si ricercherebbe invano la ragione per la quale il nome del Papa, piuttosto che al nominativo vi apparisca impresso al dativo. Resta poi accertato, che Leone corse dritto a rifugiarsi nel campo di Ottone. E vi giunse, come è stato già notato, privo e spoglio di tutto, di modo ch’egli dovette naturalmente implorare ogni sorta di assistenza e di aiuto dalla benevolenza imperiale. E a seguito di questi fatti par davvero lecito il sospettare che la moneta si battesse per ordine di Ottone e dov’egli esercitava pieno e proprio dominio.

In questo caso può ben spiegarsi il tipo nuovo della moneta, notando poi, fin da ora, che questa, coniata nell’assenza di Leone da Roma, avrebbe preceduto le due antecedentemente illustrate del Papa stesso. Volle Ottone solennemente affermare, e far noto a tutti, che Leone era ancora il Papa riconosciuto, il successor di S. Pietro, benchè il già deposto Giovanni si fosse nuovamente assiso sulla sedia pontificale: non poter Leone batter moneta, perchè fuori de’ suoi stati; ma non esser così tapino, come lo si era da quelli scacciato, perchè altri la batteva per lui, ed a lui la offeriva. Così pare possa bene spiegarsi la novità del tipo; la leggenda del dritto al terzo caso; il domnus aggiuntovi, perchè adottato da Giovanni XII, e quindi imitato da chi non ne conosceva il valore originariamente attribuitogli. Non vi appose Ottone il suo nome, perchè avrebbe con ciò menomata l’autorità del Papa, in opposizione allo scopo propostosi; perchè non battea la moneta per proprio conto e pel suo regno, ma per altro sovrano e per altro regno. D’onde anche il tipo affatto [p. 76 modifica]diverso da quello che Ottone aveva prescritto pei suoi stati.

È facile comprendere la mancanza nella moneta della parola Roma una volta che la coniazione avveniva fuori di quella città, e del suo ducato, come allora si diceva. Era il rovescio, d’altronde, che spiegava senza ombra di dubbio, trattarsi del papa di Roma. E può pure spiegarsi il difetto della crocetta se, come è possibile, non debba attribuirsi a dimenticanza dello zecchiere. Si osservi che la moneta riproduce, può dirsi, la firma del sovrano che la fa battere, e il costume era appunto, che alla firma precedesse sempre la crocetta: non è più il caso, quando il nome è scritto da altri, e per di più in dativo.

A confermare che la moneta sia stata battuta per ordine di Ottone, sta pur questo, che pare possa accertarsi essere uscita dalla zecca di Pavia. Ferma sempre la diversità del tipo dalle pavesi del tempo di Ottone I, esistono non di meno varii segni e caratteri di ravvicinamento e di confronto. Vi è prima di tutto la rozzezza del conio, e il suo forte rilievo, tutto adattato però alle monete più antiche di Lotario I. Corrisponde a queste il diametro e forse anche il peso, l’uno e l’altro analogo alla legge monetaria detta di Carlomagno, già adottata, benchè in fatto non sempre osservata, nella zecca dei papi. Ottone però aveva cambiato pei suoi stati la legge monetaria di Carlomagno31, e per ciò, forse, il nuovo tipo da battersi col nome di Leone, affatto difforme [p. 77 modifica]dalla moneta corrente di Pavia, si modellò in qualche modo su quella di Lotario. Fatto è che oltre il diametro ed il peso corrisponde la forma delle lettere, strette ed allungate, benchè colle aste meno grosse, e proprio simili sono specialmente l'A, la R, la S32.

A seguito delle premesse considerazioni sembra possa abbastanza ragionevolmente ritenersi, che la moneta, segnata dal Promis come terza, sia invece la prima coniata col nome di Leone VIII. Questo fatto dà la ragione della somiglianza del tipo colle altre battute in Roma, senza attribuirla ad arbitraria imitazione dello zecchiere. Una strana condizione di cose indusse Ottone ad ordinar ne’ suoi stati una moneta pel Papa, che necessariamente riuscì di tipo affatto straordinario. Eventi poscia non meno strani lo portarono in Roma a batter moneta colla potestà sovrana delegata dal Papa, e per conto di questo: le due posizioni non si copiavano, ma si rassomigliavano perfettamente, e benissimo venivano rappresentate dallo stesso tipo di monete, colla sola variante di sostituire al D N non mai usato dai papi, come tali, il nome di OTTO autorità imperante delegata. E tal qualifica viene ben designata dal nome dello Imperatore messo al secondo posto e quasi nello esergo. Ma vi è impresso in nominativo, e [p. 78 modifica]ciò ha portato che non s’indicasse Roma, perchè non si estendeva a questa città e ducato il regno di Ottone. Finalmente la ragione stessa che fece mancar la crocetta nella moneta battuta in Pavia, la escluse pure in quelle di Roma, benchè sia verosimile che il modello preso ad imitare l’abbia fatta dimenticare allo incisore. Fatto è che le monete riportate al loro posto cronologico completano perfettamente la rispettiva illustrazione.

Per l’epoca della coniazione può affermarsi, che la moneta di Pavia rimonta al marzo o aprile 964 e le due di Roma sono posteriori al giugno dello stesso anno, seppure l’una delle due non sia stata battuta nei primi mesi del 96533.




[p. 79 modifica]

III.

Le monete di Giovanni XIII.

Quattro monete vengono attribuite dal Promis al pontificato di Giovanni XIII. Una di esse, non molta conservata (Tav. I n. 5), porta nel campo del dritto una croce alla estremità delle cui braccia sono le quattro lettere OTTO, disposte però in modo affatto diverso da quello che si rinviene in tutte le altre monete col nome degli Ottoni. Indubbiamente è quella stessa che il Cinagli, seguendo il Selvaggi34, assegna allo antipapa Giovanni Filigato (an. 997), unico occupatore della Sede pontificia col nome di Giovanni, durante il breve impero di Ottone III (996-1002). Sorge quindi la difficoltà a quale dei papi od antipapi di nome Giovanni possa veramente appartenere tale moneta.

Lo impero dei tre Ottoni ebbe luogo dall’anno 962 al 1002. Vi fu però un periodo d’impero vacante, dalla morte di Ottone II (983) alla incoronazione di Ottone III (996).

Una moneta adunque che porti il nome di Ottone non può certo spettare ai papi Giovanni XIV35, XV [p. 80 modifica]e XVI, vissuti nel periodo trascorso dal 984 al 995. La difficoltà quindi si restringe perchè restan solo i papi Giovanni XII e XIII, e l’antipapa Giovanni Filigato. Potrà la moneta spettare a quest’ultimo, come vorrebbero il Selvaggi ed il Cinagli? Parrebbe che no.

Giovanni Filigato, vescovo di Piacenza, era certo in ottime relazioni con Ottone III, avendo appartenuto alla cancelleria imperiale, ed essendo stato mandato dallo stesso Ottone ambasciatore a Costantinopoli per trattare il matrimonio di lui con una principessa di quella corte. Fatto è però che Giovanni usurpò il pontificato per accordi presi col famoso patrizio Crescenzio, che avea già obbligato papa Gregorio V a fuggir da Roma per salvare la vita. E Gregorio avea, proprio l’anno innanzi, coronato imperatore Ottone III! Non par quindi possibile che in tali condizioni l’antipapa pensasse a batter moneta col nome di Ottone. Ed anche meno è possibile che ciò tollerasse Crescenzio, il quale a scuotere la soggezione dallo Imperatore germanico, affidavasi alla protezione degli imperatori greci36.

Ebbe d’altronde la breve durata di pochi mesi il pontificato di Giovanni, che al primo sentore dello avvicinarsi a Roma di Ottone con papa Gregorio V fuggì e si nascose. Di lui fecer giustizia i romani. Lo rintracciarono e gli fecero subire barbare mutilazioni, e quindi morte ignominiosa: Ottone espugnò il Castel S. Angelo, ultimo rifugio di Crescenzio, [p. 81 modifica]e questo, e 12 fra i principali fautori suoi mandò allo estremo supplizio.

Vi è poi una circostanza anche più decisiva, per quanto tocca la moneta in questione. Il Filigato ed il Crescenzio venner fra loro a patti preventivi sulla divisione dei poteri: a Crescenzio il poter temporale, al pontefice il solo potere spirituale. Non potea dunque, non dovea in alcun conto quest’ultimo batter moneta col proprio nome soltanto, e molto meno accompagnato a quello di Ottone.

Par quindi dimostrato alla evidenza lo error di coloro che hanno creduto attribuire la moneta allo antipapa Giovanni Filigato. Non si può neppur supporre d’altronde, che fosse battuta dal papa Giovanni XII. Questi soltanto nel febbraio 962 incoronò imperatore Ottone I: nel susseguente anno 963 trattò con Adalberto, ribellandosi ad Ottone, il quale sul finir dell’anno stesso lo fece deporre. Si conoscono quattro differenti monete, col nome di Ottone, battute da Giovanni in sì breve periodo di tempo: e sono tutte indubbiamente di Giovanni XII, perchè tutte portano la qualifica affatto speciale del Domnus. Mancherebbe pertanto ogni ragionevole fondamento per attribuire a lui un quinto tipo totalmente diverso dagli altri, anche per forma e disegno, e mancante del caratteristico Domnus. Non resta dunque che assegnar la moneta, come vuole il Promis, a Giovanni XIII, per la quale assegnazione non sorgono difficoltà, come meglio potrà dedursi dopo l’esame delle altre tre dello stesso Pontefice.

Le quali presentano, a fronte di tutte le pontificie antiquiori, delle singolarità molto affini alle già notate nelle monete di Leone VIII. Nè è a meravi[p. 82 modifica]gliarne: le condizioni storiche non si ripetono, ma si rassomigliano, perchè determinate da fatti nuovi che essenzialmente dipendono o almeno si collegano ai precedenti. E così spesso si rassomigliano fra loro i documenti destinati a rappresentare quei fatti. E per ciò appunto, l’affinità che si riscontra fra le monete di Leone VIII e quelle in esame fornisce valido, anzi potente argomento per ritener che queste ultime spettino a Giovanni XIII, immediato successor di Leone.

La prima moneta ha nel diritto: IOHS PAPA e sotto OTTO, il tutto in tre righe in campo pieno, con una sbarra fra il nome del papa e quello dello imperatore; nel rovescio ha: SCS PETRVS nel giro, e ROA nel campo (Tav. I, n. 4); par proprio la copia, benchè non esatta e fedele, delle due prime di Leone VIII. Perchè ripetere tale tipo singolare, specialmente nel diritto? La ragione si rintraccia facilmente sol che si richiamino le condizioni storiche speciali ai due pontefici.

Papa Giovanni fu cacciato da Roma, quasi appena eletto, ma fu richiamato alla sua sede subito che si conobbe la venuta di Ottone diretta a rintuzzare la ribellione romana. Giovanni accettò il richiamo prima ancora dell’arrivo dello imperatore, ma a lui importava far conoscere ed affermare con ogni mezzo, che nulla era cambiato nelle relazioni fra il papato e l’impero, ed adottò subito nella moneta quella forma e quella leggenda nel dritto, che pure eran concorse a tenere in soggezione i romani nel pontificato del suo antecessore. Però, severo rivendicatore, quale egli era, dei diritti e delle giurisdizioni della sede apostolica, segnò il proprio nome al primo, non già [p. 83 modifica]al terzo caso, senza che ciò menomasse lo effetto che volea conseguirsi, legato più alla forma della moneta che alla declinazione di un nome, facile questa a sfuggire in quei tempi di generale ignoranza.

Maggior singolarità presenta il tipo delle altre due monete di questo Papa, (Tav. I, n. 6). Si riterrebbero uguali, se il Promis, che certo le ha avute sott’occhio, non vi avesse scorto una lievissima differenza di conio nella croce impressa nel rovescio, e quindi l’esame di una vale per ambedue37.

Nel diritto abbiamo: SCS PETRVS RO nel giro, e [p. 84 modifica]IOH. P. P. nel campo. Come si vede, nel solo dritto è segnato tutto quanto occorre per una moneta papale: SANCTVS PETRVS ROMA — IOHANNES PAPA; e questo solo è affatto nuovo nelle antiquiori. Nel rovescio la leggenda del giro è: OTTONI IMPER, e nel campo è impressa una croce patente senz’altra indicazione. Cosi anche questa moneta presenta quasi una derivazione da quelle di Leone. Soltanto, in queste ultime era lo imperatore che offriva, o dedicava alla potestà delegante la moneta da lui battuta col poter delegato, e tutto ciò giustamente si esprimeva nel diritto. Giovanni all’opposto afferma nel dritto tutta e sola la potestà sua sovrana e dedica il rovescio ad un imperatore Ottone. Curiosa differenza che deve aver pure una speciale ragione di essere. E l’ha veramente, e assai importante, perchè conferma un fatto storico d’altronde accertato.

Papa Giovanni cercava con ogni mezzo di ingraziarsi Ottone I, unico sostegno del suo pontificato verso i ribelli romani. È stato già accennato che, allo scopo, volle concedere la corona imperiale al giovanetto Ottone II, tuttochè vivente il padre, [p. 85 modifica]che vi prestò il suo consenso. La incoronazione ebbe luogo in Roma solennemente nel dì di Natale 967, e la memoria della solennità volle il Papa perpetuare nella moneta. Ottone II era allora dodicenne appena, e il titolo e la dignità imperiale a lui conferita non poteva, nè doveva menomare in nessuna guisa le prerogative già acquisite allo imperatore padre di lui; che così fosse e così apparisse, era pure nello interesse dello stesso Pontefice.

A maggior conferma di tutto ciò sta il fatto della mancanza di ROMA nel campo, dove certo sarebbe stata segnata, secondo il costume, qualora il nome impresso nel giro fosse stato quello dello imperatore in attuale esercizio dell’autorità, giurisdizione, o che altro s’intendesse — nè qui importa indagare, — sulla stessa Roma.

Ma perchè al posto di Roma si è sostituita la croce patente? È ardito, e può talora condurre a grossi errori, lo indagare nelle monete le ragioni anche degli accessorî: possono dipendere dal genio, o dal capriccio dello incisore! Qui però trattasi di un emblema impresso nel campo, cioè in una delle parti più importanti, o in uno dei posti di onore: non può quindi supporsi che manchi di un significato, voluto, od almeno approvato, da chi facea batter la moneta. Si volea dimostrare che il rovescio di questa era sol destinato ad onorare Ottone II, commemorando il semplice titolo imperiale a lui conferito: a ciò dovea concorrere lo emblema aggiunto, e par veramente che così possa questo interpretarsi, se si pon mente a tutte le circostanze risultanti dalla storia.

Ottone I, divenuto imperatore, volle che il figlio suo, a lui associato nel regno di Germania, venisse [p. 86 modifica]pur riconosciuto quale re d’Italia, quasi perchè negli affari della Italia stessa restasser distinte le attribuzioni: al padre lo impero, quale che fosse, dei Romani, al figlio il regno, che era già stato dei Longobardi38. Bisogna anco rammentare, che nella massima parte delle monete battute in Italia dai re franchi, si trova la croce patente, e precisamente nel campo di quella parte, nella quale la leggenda del giro porta impresso il nome del Re; si direbbe quasi che avessero assunto la Croce quale loro emblema od insegna39. Lo conferma il fatto, che la croce fu subito sostituita dal monogramma di Cristo nelle monete di quel Berengario, che primo raccolse la corona d’Italia, lasciata cadere dall’ultimo dei Carolingi, lo imbelle Carlo il Grosso.

È poi noto, e ciò molto importa, che Ottone re di Germania si ritenne e volle essere rivendicatore e continuatore in Italia del dominio dei Franchi, interrotto dallo infelice tentativo di Berengario duca del Friuli, e di Guido duca di Spoleto e Camerino, diretto a stabilire in Italia un regno non infeudato ad imperanti stranieri. Tentativo infelice sol per questo, che mosso da due ambizioni meramente personali, e [p. 87 modifica]di origine non italiana, e cominciato ad attuare con guerre fratricide, riuscì solo a destar nuove gare, egualmente ambiziose, fra i più prepotenti feudatarii nostrani e stranieri. Ambizioni e gare, che, in luogo di un regno autonomo ed indipendente, procurarono alla Italia uno dei più tristi periodi, quale sol potea venirle da dieci tiranni, che nel breve corso di 74 anni (888-962) si disputarono la corona, ferocemente combattendo per conseguirla, o per riacquistarla perduta40.

La mancanza del nome Roma, e la sostituzione della croce patente, concorrono a determinare con sicurezza il significato dello straordinario rovescio fatto imprimere dal Papa in questa moneta. Esso dice chiaro, che si riferisce a colui che di recente aveva assunto la corona d’Italia, e che sarebbe stato il continuatore delle tradizioni dei Franchi, non già dei Re intermedî, egualmente nefasti alla Italia ed ai Papi. Era pure la espressione della speranza su di un migliore avvenire!

Sembra in fine possa ragionevolmente concludersi, che al solo Ottone II debba riferirsi il rovescio [p. 88 modifica]di questa moneta, e che il nome di lui vi sia stato posto senz’altra indicazione, ed in dativo, per dimostrar chiaramente che nessuna potestà egli esercitava allora su Roma41.

L’esame fatto delle due monete (fig. 4 e 6) porta a riferirle a due fatti speciali, e quindi a due epoche determinate, e non molto distanti fra loro. L’una ricorda il ritorno in Roma di Giovanni XIII, richiamato dallo esilio, e fu di certo coniata circa il mese di ottobre dell’anno 966: l’altra data con sicurezza dal Natale 967.

Papa Giovanni peraltro resse in piena tranquillità la Sede apostolica fino al 6 settembre del 972. È ragionevole presumere che durante il periodo non breve dal 967 al 972, abbia fatto battere altre monete, o almeno quella della quale per prima si è ragionato (fig. 5). E poichè questa non riferiva, nè richiamava alcun fatto speciale, il suo conio ritornò alla forma ordinaria, segnando nel dritto i due nomi del Papa e dello Imperatore. Non riesce possibile assegnarle una data precisa: indubbiamente però la maggiore rozzezza del conio e la somma irregolarità del disegno,42 come assicurano non essere uscita [p. Tav. I modifica]

[p. 89 modifica]dalla Zecca nel tempo trascorso fra le due del 966 e del 967, così autorizzano a credere che sia stata battuta negli ultimi anni di papa Giovanni e da un nuovo zecchiero.

Ecco gli appunti storici, e le analoghe osservazioni e deduzioni, che un semplice amatore di numismatica è riuscito ad accozzare e ad esporre alla meglio. Quale il valore di questa memoria? Così com’è non può averne nessuno. Potrà solo ottenerlo, se varrà a richiamare l’attenzione dei dotti, ed indurli a correggerla ed a completarla. A questo unico scopo essa viene pubblicata.

Sanseverino-Marche. — Giugno 1889.

Note

  1. A più chiara intelligenza si avverta che per divisione fattane da Vignoli, Fioravanti e Scilla, le monete pontificie si distinguono in tre serie: antiquiori, antiche e nuove. Le prime comprendono tutte le anteriori al secolo XIV: le seconde quelle spettanti ai papi da Benedetto XI (1303) a Clemente VII (1534): le ultime da Paolo III (1534) fino ai nostri giorni, che però lo Scilla suddivide ancora in vecchie da Paolo III ad Urbano VIII, ed in nuove da Innocenzo X in appresso.
  2. Fioravanti, Parte I, pag. 74.
  3. Palatii, Gesta Pontificum, Vol. II, col. 120.
  4. Muratori, Annali, anno 956, pag. 209.
  5. Palatii, l. c.
  6. E nulla era veramente, benchè poi tollerata come legittima, eo voto, quo sæculum exigebat nefarium, tyrannos etiam præterire, ne unitas scinderetur ecclesiæ. Palatii, l. c.
  7. Domnus (non Dominus, vedasi la nota 1 a pag. 74) titolo or di onore or di potestà, nello stesso doppio significato, benchò meno esteso, dell’odierno Signore. Il Cinagli, seguendo l’Argelati ed il Fioravanti, attribuisce a ciascuno de’ papi Giovanni XI e Giovanni XIII una moneta col Domnus; il Promis giustamente le rivendica a Giovanni XII.
  8. Palatii, l. c. col 121.
  9. Lo stesso Palazzi lo riporta per intero alla col. 122.
  10. Palatii, l. c. col. 122. — Muratori all’anno 962, pag. 231 ed altri.
  11. Palatii, l. c. col. 125.
  12. Muratori, l. c. pag. 289.
  13. Muratori, ivi, Palazzi l. c.
  14. Palatii, l. c. col. 127 e segg., ove è riportato lo intero atto.
  15. Nessuno degli otto papi ed antipapi, immediatamente succeduti a Giovanni XII, cambiò nome nell'assumere il Pontificato, e ciò prova che l'esempio non poteva, o non doveva imitarsi in ragione dello scopo che lo aveva determinato. Nel 984 fa eletto papa Pietro vescovo di Pavia, che volle chiamarsi Giovanni e fu il XIV di tal nome. In questo caso si comprende facilmente la ragione del cambiamento, che certo fu il rispetto dovuto al primo papa S. Pietro. Questa volta l'esempio fu seguito volontariamente da tutti fino a Sergio IV, (anno 1009) nel qual tempo una costituzione prescrisse il cambiamento di nome, basandosi su quelli ideali religiosi che sicuramente non erano nella mente di Giovanni XII.
    La costituzione è rammentata dal Palazzi l. c. col. 205.
  16. Muratori, l. c. pag. 244. — Palatii, l. c. col. 134, e tutti gli storici e cronisti concordano sui fatti or narrati.
  17. In tutto come alla nota precendente.
  18. Muratori, l. c. pag. 245. Palatii, l. c. col. 134.
  19. Quale de' due Papi era veramente legittimo? Certo, che Giovanni non può ritenersi eletto legittimamente, ma soltanto legittimato. (V. la nota 5 a pag. 55). Ed a leggittimarlo contribuì il Concilio del novembre 963, quando dichiarò Giovanni deposto dal papato, non già illegalmente eletto. D’altronde era nello interesse dello Imperatore non mettere neppure in dubbio la legittimità del Pontefice che gli aveva dato la corona, e con essa il potere di difensore della Chiesa. Questo potere dava la forza al Concilio per liberar la Chiesa da un papa indegno, ma lo metteva in una aperta contradizione. Conseguenza di che fu che il Concilio del novembre 963 si ritenesse non ingiustamente un conciliabolo, e Leone VIII intruso, od Antipapa.
  20. Palatii, l. c. col 139. — Muratori, l. c. pag. 247.
  21. Palatii, l. c. col. 131 e 132.
  22. Muratori, l. c. pag. 249.
  23. Fioravanti, parte I, pag. 77.
  24. Muratori, l. c. pag. 251.
  25. È ben possibile, che i cronisti germanici si facessero promulgatori di ciò che si volle far credere ai romani per viemmeglio tenerli in soggezione.
  26. Muratori, l. c. pag. 256. — Palatii, l. c., col. 146.
  27. Muratori, l. c. pag. 264. — Fioravanti, parte I, pag. 18.
  28. Fioravanti, pag. 5. — Lo conservano tuttora i Vescovi nelle loro soscrizioni.
  29. Solo in una moneta di Gregorio IV (anni 828-844) riportata dal Promis nella tav. II, n. 10, manca affatto la crocetta, sostituita tanto nel dritto che nel rovescio da una stella di otto raggi. Ma ha la sua speciale ragione che potrà apparire nella illustrazione che forse si farà di quella moneta.
  30. La regola era così espressa: «Coelestem — Dominum — terrestrem dicito — Domnum
  31. Brambilla, Monete di Pavia, pag. 179 e nota.
  32. Da pochi mesi ha preso posto nella mia collezione delle pontificie la rara moneta di Leone VIII, che poi ha dato occasione a questo studio. Possedevo già un esemplare della moneta di Lotario I, e precisamente quella riportata dal Brambilla nella Tav. II, n. 12, e qnindi ho potato fare i confronti che ho notati. Resta soltanto il dubbio nel peso. Il mio Leone è un vero fior di conio, ma è mancante di due non piccoli pezzi nel contorno. Così, com’è, pesa oltre un grammo: parrebbe che intero potesse raggiungere il grammo 1 e 1|2, come il mio Lotario.
  33. Le due monete, molto simili fra loro, provengono certo da due conii distinti. Io ritengo che non sempre la diversità dei conii indichi una monetazione di epoca diversa. Quando si era ben lontani dai facili e produttivi meccanismi delle nostre zecche, una monetazione numerosa richiedeva lungo tempo, ad abbreviare il quale forse si moltiplicavano i conii, non sempre riprodotti esattamente dagli incisori nelle parti secondarie del disegno. È una idea che espongo, ma che non affermo, mancandomi bastanti prove.
  34. Cinagli, Le monete dei Papi, ecc., pag. 12.
  35. È incerta la data della elezione di Giovanni XIV. Alcuni la ritengono anteriore alla morte di Ottone II, benchè di poco. Ho creduto attenermi alla maggioranza degli storici, molto più perchè non ho trovato ragione da attribuire a questo Papa alcuna delle monete delle quali mi occupo. Vedasi appresso nota 1, pag. 83.
  36. Muratori, Annali, pag. 380.
  37. Era scritta questa memoria allora che, per somma cortesia del Cav. Ortensio Vitalini notissimo nummofilo, ho avuto copia della lettera a stampa che il signor Giancarlo Rossi dirigeva, nel 1878, al compianto Enrico Hirsch, su di una moneta simile a quella della quale qui si tratta. Il Rossi intende dimostrare, che a torto il Promis ha quella attribuita a Giovanni XIII, togliendola a Giovanni XIV, cui il Selvaggi ed il Cinagli l’aveano assegnata. Noto prima di ogni altro, che la moneta posseduta e descritta dal Rossi è simile, ma non uguale alle due riprodotte dal Promis, e all’altra che è nella mia collezione. In queste si legge imper e non imperat e ro (Roma) e non ap (Apostolus). Stando tali varianti, e specialmente la seconda, non si possono confondere i due tipi, e dovrebbe studiarsi se possano spettare a due diversi Papi.
    Del resto la critica del sig. Rossi basa tutta sul fatto: se Benedetto VII morisse, ed il successore di lui Giovanni XIV fosse eletto prima o dopo la morte dello Imperatore Ottone II (7 dicembre 983). Egli stesso ammette la incertezza di tali date (pag. 4), ed io aggiungo che se il Muratori ed il Pizzamiglio indicano per la morte di Benedetto l’ottobre 983, e per la elezione di Giovanni il dicembre dello stesso anno, il Platina, il Panvinio, il Baronie, il Pagi, il Palazzi, il Fioravanti, il Cinagli, rimandano la prima al 10 luglio 964 e la seconda alla fine del mese stesso. Nè par davvero che il Promis abbia implicitamente affermato la elezione di Giovanni avvenuta sotto Ottone II, come vuole il Rossi (pagina 5-6). Il Promis invece dice chiaro (pag. 96) che Benedetto VII morì nel gennaio 984, un mese dopo l’Imperatore, e che Bonifacio tornò in Roma nel 984. Tenuto conto del lungo tempo che allora occorreva per la trasmissione delle notizie, e pel viaggio delle persone, può bene ammettersi, che fra la morte di Ottone e l’arrivo in Roma di Bonifacio da Costantinopoli, ne trascorresse tanto, quanto bastava, e allora potea essere di pochi giorni, a compiere gli avvenimenti della morte di un Papa e della elezione di un altro.
    Infine poi, se fosse anche indubitata la elezione di Giovanni prima della morte di Ottone II, nulla gioverebbe allo scopo del sig. Rossi. Quando più papi dello stesso nome hanno vissuto nel tempo di uno o più imperatori, pur di ugual nome, quest’ultimo non è più bastante ad indicare a quale di quei papi spetti la moneta. Bisogna allora ricorrere ad altri indizii, ad altri argomenti, in difetto dei quali viene di necessità abbandonare la moneta stessa fra le incerte. E così pare, che per ora almeno, debba farsi di quella del sig. Rossi, se veramente presenti un tipo differente dai simili riprodotti dal Promis. Per questi mi pare di avere raccolto circostanze bastanti a farli ragionevolmente attribuire a Giovanni XIII.
  38. Il concetto è abbastanza chiaramente espresso in fine della formula del giuramento prestato a Giovanni XII, da Ottone I, per ottenere la corona imperiale: Cuicumque autem, vi si aggiunge, regnum italicum committet iurare faciet illum ut adiutor sit Domno Papæ et successoribus ejus, ad defendendam terram S. Petri, etc. Vedasi la formula riportata dal Garampi nel suo libro: De nummo argenteo Benedicti III. Pont. Max, pag. 168.
  39. E l'usavano anche nel loro regno fuori d’Italia. — Carlo il Calvo, che volle portare una riforma nella moneta del suo regno, assegnò al monogramma del Re il campo del diritto, e volle che in altera vero parte nomen civitatis, et in medio Crux habeatur. Garampi, l. c. pag. 137.
  40. Non sarà inutile ricordare i nomi di coloro che a raggiungere le proprie mire ambiziose non rifuggirono dal profittare del vario parteggiar de’ potenti Baroni e dallo invocare alleanze ed aiuti stranieri, riducendo per tal via alla estrema rovina quel Regno, che pur diceano di volere autonomo ed italiano, e trascinandolo ancora una volta, e sventuratamente non fu l’ultima, sotto la dominazione di regnanti di oltre Alpi. Essi sono: Berengario duca del Friuli, re ed anche imperatore (888-924). — Guido duca di Spoleto e Camerino, re ed imperatore (888-894). — Lamberto, figlio di Guido, re ed imperatore (894-898). — Arnolfo di Germania, re ed imperatore (884-899). — Lodovico di Provenza, re ed imperatore (900-905). — Rodolfo di Borgogna, re (922-925). — Ugo di Provenza, re (926-945). — Lotario figlio di Ugo, re (945-950). — Boregario II, marchese d’Ivrea, ed il figlio Adalberto, associati (950-962).
  41. Resta un dubbio. Se questa moneta fu destinata a commemorare un fatto storico che non si poteva ripetere, come e perchè viene rappresentata con due conii differenti? Par che non possa esservi se non una risposta: le minime differenze di conio non bastano a dimostrare la differenza di tempo nella coniazione, secondo la idea accennata nella precedente nota 1, pag. 78.
  42. Ho nella mia collezione un esemplare di questa moneta ed uno dell’altra col ottoni imper, ho quindi potuto far con esattezza il confronto per rilevare la differenza del conio e del disegno. Il mio esemplare della fig. 5, tav. I, è incompleto nelle leggende dei due giri come quello riportato dal Promis. È però meglio conservato nelle leggende dei due centri. In quella del diritto appariscon chiarissime, una specialmente, le lettere T in cima alle aste della croce, onde svanisce il dubbio manifestato dal Cinagli, pag. 12 e nota 2. Nel rovescio poi roma non è affatto scritta colle lettere inverse, come afferma lo stesso Cinagli. Trattasi senza meno di un equivoco; questo Antere attribuisce al roma del rovescio, ciò che si verifica nell'otto del diritto. L’esemplare che io possiedo e quello riprodotto dal Promis nella sua Tav. IX, n. 3, sono fra loro eguali, anche nelle parti, o meno impresse, o mono conservate. Or bene, in ambedue non è già nel campo del rovescio, ma in quello del diritto, che si trovano invertite, o certo mal disposte le lettere, che formano il nome dello Imperatore. Le due T sono sulla sinistra, le due O sulla destra. Leggendo quindi con le norme ordinarie devesi dire toto in luogo di otto. Il Cinagli non ha avuto certo sott’occhio la moneta: lo dimostra chiaramente la figura incompleta ed informe che riporta nella sua Tav. I, n. 8 che dice riprodotta dal manoscritto Selvaggi.