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86 tarquinio gentili di rovellone

pur riconosciuto quale re d’Italia, quasi perchè negli affari della Italia stessa restasser distinte le attribuzioni: al padre lo impero, quale che fosse, dei Romani, al figlio il regno, che era già stato dei Longobardi1. Bisogna anco rammentare, che nella massima parte delle monete battute in Italia dai re franchi, si trova la croce patente, e precisamente nel campo di quella parte, nella quale la leggenda del giro porta impresso il nome del Re; si direbbe quasi che avessero assunto la Croce quale loro emblema od insegna2. Lo conferma il fatto, che la croce fu subito sostituita dal monogramma di Cristo nelle monete di quel Berengario, che primo raccolse la corona d’Italia, lasciata cadere dall’ultimo dei Carolingi, lo imbelle Carlo il Grosso.

È poi noto, e ciò molto importa, che Ottone re di Germania si ritenne e volle essere rivendicatore e continuatore in Italia del dominio dei Franchi, interrotto dallo infelice tentativo di Berengario duca del Friuli, e di Guido duca di Spoleto e Camerino, diretto a stabilire in Italia un regno non infeudato ad imperanti stranieri. Tentativo infelice sol per questo, che mosso da due ambizioni meramente personali, e

  1. Il concetto è abbastanza chiaramente espresso in fine della formula del giuramento prestato a Giovanni XII, da Ottone I, per ottenere la corona imperiale: Cuicumque autem, vi si aggiunge, regnum italicum committet iurare faciet illum ut adiutor sit Domno Papæ et successoribus ejus, ad defendendam terram S. Petri, etc. Vedasi la formula riportata dal Garampi nel suo libro: De nummo argenteo Benedicti III. Pont. Max, pag. 168.
  2. E l'usavano anche nel loro regno fuori d’Italia. — Carlo il Calvo, che volle portare una riforma nella moneta del suo regno, assegnò al monogramma del Re il campo del diritto, e volle che in altera vero parte nomen civitatis, et in medio Crux habeatur. Garampi, l. c. pag. 137.