La figlia di Iorio/Atto terzo
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SCENA PRIMA
Il cadavere di Lazaro sarà steso sul nudo suolo, dentro la casa, poggiato il capo a un fascio di sermenti, secondo il costume. E le Lamentatrici gli staranno d’intorno inginocchiate. Di loro una intonerà, l’altre in coro voceranno; e per fare il lamento si chineranno l’una verso l’altra tenendo fronte con fronte. Sotto il portico, fra l’aratro e il tino, staranno le donne del parentado, e Splendore e Favetta. Più oltre, Vienda di Giave sarà seduta su una pietra, con l’aspetto di una morente, confortata dalla sua madre e dalla sua madrina. Sola Ornella sarà sotto l’albero, con lo sguardo rivolto verso il sentiero. Tutte in gramaglia.
- Il coro delle lamentatrici
- esu Cristo, Iesu Cristo,
- l’hai possuto sofferire!
- D’esta morte scellerata
- dovìa Lazaro morire!
- S’è veduto a vetta a vetta
- tutto, ’l monte isbigottire.
- S’è veduto in ciel lo sole
- la sua faccia ricuoprire.
- Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!
- Ahi, che pianto si piange per te!
- Requiem aeternam dona ei, Domine.
- Ornella
- ra viene! Ora viene! Si vede
- lo stendardo nero, e la polvere.
- Sorelle, sorelle, pensate
- alla madre, che si prepari...
- che il cuor non le scoppi... Fra poco
- viene. Ecco, laggiù alla svolta,
- lo stendardo nero apparito!
- Splendore
- Maria della Pietà, pel tuo Figlio
- messo in croce, tu sola puoi dirlo
- alla madre, e tu parlale dentro!
Alcune donne esciranno del portico a guardare.
- Anna di Bova
- È il cipresso del campo a Fiumorbo.
- Felàvia Sèsara
- È l’ombra del nuvolo in terra.
- Ornella
- Non è né il cipresso né l’ombra
- del nuvolo, donne. Io lo vedo:
- né il cipresso né il nuvolo, ahimè.
- Lo stendardo è del Malificio,
- che l’accompagna. Ora viene,
- per il commiato di morte,
- per aver dalla madre la tazza
- del consólo e andarsene a Dio.
- Ah perché non moriamo noi tutte
- dietro a lui? Sorelle, sorelle!
Le sorelle si volgeranno alla porta e guateranno.
- Il coro delle lamentatrici
- esu Iesu, meglio era
- ch’esto tetto si sfacesse.
- Ahi che troppo è gran dolore,
- Candia della Leonessa,
- l’uomo tuo su nuda terra,
- e guancial non gli è permesso!
- Solo un fascio di sermenti
- sotto il capo gli fu messo!
- Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!
- Ahi, che pena si pena per te!
- Requiem aeternam dona ei, Domine.
- Splendore
- avetta, va tu; va e parla.
- Va tu; e le tocca una spalla,
- ch’ella senta e si volga. Seduta
- su la pietra del focolare
- sta, fisa; e ciglio non muove,
- e par che non veda e non oda,
- e pare sia tutta una pietra.
- Vergine di misericordia,
- non le togliere il senno, alla misera!
- Fa che ci guardi e negli occhi
- nostri si riconosca la misera!
- Ma io cuore non ho di toccarla.
- E chi le dirà la parola?
- Sorella, va e dille: Ecco viene.
- Favetta
- é io non ho cuore. Ho spavento.
- Non me la ricordo com’era,
- e né mi ricordo la voce
- com’era prima che fossimo
- in doglia. Incanutita s’è tutta,
- e ogni ora più bianco diventa
- il suo capo. Mi pare che nostra
- non sia più; mi pare distante
- e che stia seduta su quella
- pietra da cent’anni e per altri
- cent’anni, e più non si ricordi
- di noi... Vedete, vedete
- come tien chiusa la bocca!
- Più chiusa di quella ch’è fatta
- muta per sempre là in terra.
- Come dunque parlare potrà?
- Io non la tocco, io non le dico:
- Ecco viene. Se si scuote,
- cade, stramazza. Ho spavento.
- Splendore
- Ah perché siamo nate, sorelle?
- Perché ci partorì nostra madre?
- Ci prendesse tutte in un fascio
- la morte, ci portasse con sé!
- Il coro delle parenti
- - Ah che pietà, creature!
- — Che pietà di voi, creature!
- — Su, fate cuore, che Dio
- vi rialzerà, se v’ha stronche.
- — Dio vi dà la trista vendemmia
- ma forse l’oliva sarà
- meno scura. Abbiate fidanza.
- — E c’è una che forse è più misera
- di voi, c’è una che stava
- nella sua casa, in mezzo al suo pane,
- qui entrò, s’addormì, si svegliò
- a sorte perversa, e non ebbe
- più bene e si muore:Vienda.
- — È già nel mondo di là.
- — E quella non si lagna e non lacrima.
- — Ah che pietà della carne
- cristiana, della vita nostra,
- di tutta la gente che nasce
- dolora trapassa e non sa!
- Ornella
- cco viene Femo di Nerfa
- il bifolco, viene correndo.
- E lo stendardo s’è fermo
- al Tabernacolo bianco.
- Sorelle, volete ch’io stessa
- vada e la parola le porti?
- Ahimè, forse non si rammenta
- quel che bisogna. Ma, Dio
- liberi, se pronta non è
- ed ei sopraggiunge e la chiama
- e all’improvviso ella ode la voce,
- allora certo il cuore le scoppia.
- Anna di Bova
- Ah che certo il cuore le scoppia,
- Ornella, se tu vai e la tocchi.
- Hai la mala ventura con te;
- e tu fosti a chiuder la porta
- e tu fosti a sciogliere Aligi.
- Il coro delle lamentatrici
- chi lo lasci l’aratro,
- oh Lazaro, a chi lo lasci?
- Chi ti vanga il campo tuo,
- la tua mandra chi la pasce?
- Padre e figlio l’Inimico
- ha pigliato con un laccio.
- Morte infame, morte infame,
- corda e sacco e ferro d’asce!
- Ahi, ahi! Lazaro, Lazaro, Lazaro!
- Ahi, che scempio si pate per te!
- Requiem aeternam dona ei, Domine.
Apparirà il bifolco ansante.
- Femo di Nerfa
- ov’è Candia? Figliuole del Morto,
- il giudizio è fatto. Baciate
- la polvere, prendete la cenere.
- Il Giudice del Malificio
- ha dato sentenzia finale,
- e tutto il popolo è giustiziere
- del parricida e l’ha nelle mani.
- Ora il fratel vostro lo portano
- qui, a pigliar perdonanza
- dalla madre sua, che la madre
- la tazza gli dia del consólo,
- prima che la mano gli tàglino,
- prima che nel sacco lo sèrrino
- col can mastino e lo gèttino
- al fiume in dove fa gorgo.
- Figliuole del Morto, baciate
- la polvere, prendete la cenere.
- E Nostro Signore Gesù
- abbia pietà del sangue innocente!
Le tre sorelle correranno l’una verso l’altra e si stringeranno insieme, capo con capo, restando nell’atto. Si udrà a quando a quando il rullo sordo del tamburo funereo.
- Maria Cora
- O Femo, e perché l’hai tu detto?
- Femo di Nerfa
- Dov’è Candia che non apparisce?
- La Cinerella
- Su la pietra del focolare,
- è là:non fa segno né motto.
- Anna di Bova
- E nessuno si ardisce toccarla.
- La Cinerella
- Ne hanno spavento le figlie.
- Felàvia Sèsara
- E tu, Femo, hai testimoniato?
- La Catalana
- E Aligi l’avesti vicino?
- E, innanzi al giudice, che disse?
- Mònica della Cogna
- Che disse? che fece? Urla mise
- e diè nelle smanie il meschino?
- Femo di Nerfa
- empre ginocchione si stette
- e si guardava la mano.
- E diceva ogni tratto:“Mea culpa„.
- E innanzi a sé baciava la terra.
- E aveva un viso umile e pio
- così che pareva innocente.
- E l’Angelo intagliato nel ceppo
- era là con la macchia di sangue.
- E molti piangevano intorno.
- E taluno diceva:“È innocente„.
- Anna di Bova
- E la mala femmina Mila
- di Codra ritrovata non fu?
- La Catalana
- La figlia di Iorio dov’è?
- Non se n’ha novella? Che sai?
- Femo di Nerfa
- Cercata per gli stazzi fu molto
- ma nessuna traccia lasciò.
- I pastori non l’hanno veduta.
- Solo Cosma, il santo dei monti,
- dice averla veduta e che in qualche
- forra è andata a gittar l’ossa sue.
- La Catalana
- La tròvino i corvi ancor viva
- e gli occhi le bécchino, i lupi
- la tròvino viva e la stràccino!
- Felàvia Sèsara
- E sempre rinasca allo strazio
- la carne sua maledetta!
- Maria Cora
- Taci, taci, Felàvia. Silenzio!
- Silenzio! Candia s’è alzata,
- cammina, ora viene alla soglia,
- ora esce. Figliuole, figliuole,
- s’è alzata. Reggetela voi.
Le sorelle si scioglieranno e andranno verso la porta.
- Il coro delle lamentatrici
- andia della Leonessa,
- dove vai? Chi t’ha chiamata?
- Sigillata è la tua bocca,
- il tuo piede è catenato.
- Lasci dietro a te la morte
- e t’imbatti nel peccato!
- Unque vai, unque ti volti,
- il cammino è disperato.
- Ahi, ahi, cenere misera, ahi vedova,
- ahi madre! Iesu Iesu, pietà!
- De profundis clamavi ad te, Domine.
La madre apparirà su la soglia.
SCENA SECONDA
Le figlie faranno l’atto di sostenerla trepidando. Ella le guarderà attonita.
- Splendore
- Madre cara, ti sei levata. Forse
- ti bisogna qualcosa, un sorso almeno
- di vin moscato, un po’ di cordiale?
- Favetta
- E screpolato t’è il labbro tuo caro
- dalla secchezza. Vuoi che ti si bagni?
- Ornella
- Mamma, fa cuore. Siamo qui con te.
- Alla prova più trista Iddio ti chiama.
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- Candia della Leonessa
- E d’una tela viense tanta trama
- e d’una fonte viense tanto fiume
- e d’una quercia viense tante rame
- e d’una madre tante creature!
- Ornella
- Mamma, la fronte ti coce. Oggi è un tempo
- che fa afa; e t’è grave questo panno.
- Tutto in sudore t’è il tuo caro viso.
- Maria Cora
- Gesù Gesù, che non esca di senno!
- La Cinerella
- Vergine, che il farnetico le passi!
- Candia
- È tanto tempo che non ho cantato,
- non so se la ritrovo l’aria mia.
- Ma oggi è venardì e non si canta;
- il Signore s’è messo in penitenza.
- Splendore
- O madre mia, dove sei con la mente?
- Guardi e non ci conosci! Qual pensiero
- ti trae? Misere noi, che è mai questo?
- Candia
- Questo è il pianeta, e questo è il Sacramento,
- e questo è il campanile di San Biagio,
- e questo è il fiume e questa è la mia casa.
- Ma chi è questa che sta su la porta?
Un terrore sùbito assalirà le giovanette. Si discosteranno alquanto a riguardare la madre, e gemeranno sommesse.
- Ornella
- Ah, sorelle, sorelle mie, perduta
- l’abbiamo! Anche la madre nostra abbiamo
- perduta! Escita è di senno, vedete.
- Splendore
- Sventura nostra! Maledette siamo
- da Dio. Siamo rimaste sole in terra!
- Favetta
- O donne, buone parenti, scavateci
- la fossa accanto a quell’altra, e metteteci
- tutte e tre giù, così come siam vive.
- Felàvia SÈSARA
- No, non isbigottite, creature;
- ché la percossa le ha riversa l’anima,
- l’ha risospinta nel tempo di già.
- Lasciatela che svaghi; e poi ritorna.
Candia farà qualche passo.
- Ornella
- Madre, mi senti? Dove vuoi andare?
- Candia
- Il core ho perso d’un dolce figliuolo,
- or è trentatre giorni, e non lo trovo!
- L’hai tu veduto, l’hai tu riscontrato?
- — Io sul Monte Calvario l’ho lasciato,
- i’ l’ho lasciato sul Monte distante,
- l’ho lasciato con lacrime e con sangue.
- Maria Cora
- Ah, dice l’ore della Passione.
- Felàvia Sèsara
- Lasciatela, lasciatela che dica.
- La Cinerella
- Lasciatela, che il cuore le si scarichi.
- Mònica della Cogna
- O Madonna del Santo Venardì,
- miserere di lei. Ora pro nobis.
Le donne del parentado s’inginocchieranno pregando.
- Candia
- Ecco e la Madre si mette in cammino,
- viene alla vista del suo dolce figlio.
- — O madre, madre, perché sei venuta?
- Tra la gente giudea non v’è salute.
- — Portato un braccio t’ho di pannolino
- per ricuoprirti il tuo corpo ferito.
- — Deh portato m’avessi un sorso d’acqua!
- — Figlio, non so né strada né fontana;
- ma, se la testa un poco puoi chinare,
- una goccia di latte io ti vo’ dare;
- e, se latte non esce, tanto spremo
- che tutta la mia vita esce del seno.
- — O madre, madre, parla piano piano...
Ella s’arresterà per qualche attimo nella cadenza; poi griderà d’improvviso, con una voce disperata.
- Madre, madre, dormii settecent’anni,
- settecent’anni; e vengo di lontano.
- Non mi ricordo più della mia culla.
Colpita dal suo stesso grido, ella si guarderà intorno sgomenta, come risvegliandosi di soprassalto. Le figlie correranno a sostenerla. Le donne si leveranno. Si udrà più presso il rullo del tamburo allentato.
- Ornella
- Ah come trema, come trema tutta!
- Ora vien meno. Più non regge l’anima.
- Da due giorni è digiuna, e si svanisce.
- Splendore
- Mamma, chi parla in te? Chi senti tu
- dentro parlarti, dentro le tue viscere?
- Favetta
- Dacci udienza, poni mente a noi,
- guardaci in viso. Siamo qui con te.
- Femo di Nerfa
- dal fondo Donne, donne, è qui presso con la turba.
- Lo stendardo ora passa la cisterna.
- Portano anche l’Angelo coperto.
Le donne si aduneranno sotto la quercia a guatare verso il sentiero.
- Ornella
- a gran voce Madre, ora viene Aligi, viene Aligi
- a pigliar perdonanza dal tuo cuore,
- a bevere la tazza del consólo
- dalle tue mani. Svégliati e sta forte.
- Maledetto non è. Col pentimento
- il sacro sangue sparso ei lo riscatta.
- Candia
- È vero, è vero. Con le foglie trite
- fu ristagnato il sangue che colava.
- “Figlio Aligi„ gli disse “figlio Aligi,
- lascia la falce e prenditi la mazza;
- fatti pastore e va su la montagna„.
- E fu guardato il suo comandamento.
- Splendore
- Hai bene inteso? Il figlio Aligi arriva.
- Candia
- E alla montagna deve ritornare.
- Come farò? Le sue camicie nuove
- non ho finito di cucirgli, Ornella!
- Ornella
- Madre, andiamo. Fa questo passo. Vòlgiti.
- Aspettarlo bisogna innanzi casa.
- Donàmogli commiato, a lui che parte.
- E poi ci colcheremo tutte in pace,
- a fianco a fianco, nel letto di giù.
Le figlie ricondurranno la madre sotto il portico.
- Candia, tra sé mormorando
- Io mi colcai e Cristo mi sognai.
- Cristo mi disse:“Non aver paura„.
- San Giovanni mi disse:“Sta sicuro„.
- Il coro delle parenti
- - Oh che turba di gente viene dietro
- lo stendardo! Vien tutta la contrada.
- — Iona di Midia porta lo stendardo.
- — E che silenzio, come a processione!
- — Ah che pietà! Sul capo il velo nero.
- — Le ritorte di legno alle sue mani,
- come pesanti, grosse come un giogo!
- — E col càmice bigio e i piedi scalzi.
- — Ah chi ci regge? Io metto faccia in terra
- e chiudo gli occhi, e non voglio vedere.
- — Lonardo della Roscia porta il sacco
- di cuoio; Biagio Gudo, il can mastino.
- — Mettetegli nel vino un po’ di ràdica
- di solatro, che perda il sentimento.
- — Cocetegli nel vino erba morella,
- ch’esca della memoria e non s’accorga.
- — Va, Maria Cora, che sai medicina,
- aiuta Ornella a fare il beveraggio.
- — Grande il misfatto ma grande il patire.
- — Ah che pietà! Guarda la gente, come
- è muta! Viene tutta la contrada.
- — Han lasciato le vigne in abbandono.
- — Oggi uva non si coglie. Anco la terra
- è a lutto. Chi non piange? Chi non piange?
- — Guarda Vienda. Pare in agonia.
- — Meglio per lei, che ha perso conoscenza.
- — Meglio per lei, se non ode e non vede.
- — Ahi, che destino amaro! Or è tre mesi
- che venimmo portando le canestre.
- — E il male che verrà, chi lo misura?
- — Non vi saranno lacrime per piangere.
- Femo di Nerfa
- Silenzio, donne! Silenzio! Ecco Iona.
Le donne si ritrarranno verso il portico. Si farà gran silenzio.
- La voce di Iona
- O vedova di Lazaro di Roio
- o gente della casa sciagurata,
- all’erta, all’erta! Viene il penitente.
SCENA TERZA
Apparirà l’alta statura di Iona con lo stendardo funereo. Dietro di lui verrà il parricida vestito d’un càmice, col capo coperto d’un velo nero, con ambe le mani strette da pesati ritorte di legno. Un uomo gli starà da presso tenendo la mazza pastorale istoriata; un altro avrà la scure; altri porteranno l’Angelo avvolto in un drappo e lo poseranno a terra. La turba si accalcherà nello spazio, tra l’albero e il pagliaio. Le lamentatrici, trascinatesi carponi alla soglia della casa, leveranno il grido verso il morituro.
- Il coro delle lamentatrici
- iglio Aligi, figlio Aligi,
- che hai fatto? che hai fatto?
- Chi è questo insanguinato?
- chi l’ha corco sopra il sasso?
- È venuta l’ora tua.
- Nero il vino del trapasso!
- Mano mozza, morte infame,
- mano mozza, corda e sacco!
- Ahi, ahi! Figlio di Lazaro, Lazaro
- è morto, ahi ahi, ucciso da te!
- Libera, Domine, animam servi tui.
- Iona di Midia
- rist’a te, Candia della Leonessa.
- O Vienda di Giave, trist’a te.
- Trist’a voi, figlie del Morto, parenti.
- Il Signore abbia pietà di voi, donne.
- Nelle mani del popolo rimesso
- è Aligi di Lazaro dal Giudice
- del Malificio, perché vendicata
- sia per le nostre mani questa infamia
- caduta sopra a noi, che d’una eguale
- i vecchi nostri non hanno memoria
- e così la memoria se ne perda,
- per la Dio grazia, ne’ figli de’ figli.
- Or t’abbiamo condotto il penitente
- perché da te la tazza del consólo
- riceva, Candia della Leonessa.
- Escito egli è dalle viscere tue.
- T’è conceduto alzargli il velo nero,
- accostargli alla bocca il beveraggio,
- ché molto amara sarà la sua morte.
- Salvum fac populum tuum, Domine.
- Kyrie eleison.
- La turba
- Christe eleison. Kyrie eleison.
Iona porrà una mano su la spalla di Aligi per sospingerlo. Il penitente velato farà un passo verso la madre; poi cadrà su i ginocchi, di schianto.
- Aligi
- audato Gesù e Maria!
- Ma voi madre chiamare non più
- m’è dato, non più benedire
- m’è dato, ché la bocca è d’inferno,
- quella che da voi succhiò il latte,
- che da voi le sante orazioni
- imparò nel timore di Dio,
- e i comandamenti e la legge.
- Perché tanto male v’ho reso?
- Volontà di dire m’è dentro;
- ma ratterrò la mia bocca.
- O la più sventurata di tutte
- le donne che hanno nutrito
- il suo figlio, che gli hanno cantato
- il sonno nella culla e nel grembo,
- oh no, non alzate il mio velo,
- che non vi comparisca dinanzi
- la faccia del peccato tremendo.
- Non alzate il velo mio nero.
- Io non abbia da voi beveraggio;
- perché poco è quello che soffro,
- poco è quello che debbo patire.
- Ma scacciatemi ora, con legni
- e con pietre, scacciatemi via;
- scacciatemi come il mastino
- che all’agonia sarà mio compagno,
- che mi morderà la mia gola
- quando l’anima mia disperata
- vi chiamerà mamma mamma
- nel sangue del mio moncherino
- maledetto entro il sacco d’infamia.
- La turba, sommessamente.
- — Oh povera, povera! Guarda
- guarda:tutta bianca in due notti!
- — Non piange. Pianger non può.
- — Escita sembra di senno.
- — Non si move. E come la statua
- dell’Addolorata. Oh pietà!
- — Abbine pietà, buono Iddio!
- Santa Vergine, misericordia!
- — Miserere di lei, Iesu Cristo!
- Aligi
- voi, creature, non più
- m’è dato chiamare sorelle,
- né più nominare m’è dato
- i nomi che il battesmo v’impose,
- che m’eran le mie foglie di menta
- in bocca, le mie foglie odorose,
- che mi davan freschezza e piacenza
- fino al cuore nel mio pasturare;
- e me li sento qui a sommo
- e poterli dire vorrei,
- e non vorrei sorso d’altro
- consólo pel mio trapassare.
- Ma non più nominarvi m’è dato.
- E s’appassiranno i bei nomi;
- e non li canterà l’amor vostro
- sotto la finestra al sereno;
- ché nessuno vorrà le sorelle
- di Aligi. E ora il miele è veleno!
- Scacciatemi via come cane,
- anche voi scacciatemi via,
- battetemi, scagliatemi sassi.
- Ma, prima di scacciarmi, soffrite
- ch’io vi lasci a voi sconsolate
- le due cose ch’io sole posseggo,
- che questa gente cristiana
- vi porta:la mazza di sànguine
- dov’io feci le tre verginelle
- a simiglianza di voi
- per avervi compagne su l’erba;
- la mazza, e l’Angelo muto
- ch’io lavorai col mio cuore,
- ahimè, dov’è la macchia tremenda.
- E la macchia scomparirà
- un giorno, e l’Angelo muto
- parlerà un giorno. E vedrete
- e udrete. Io patire patire
- voglio per questo, e il patire
- m’è poco al mio pentimento.
- La turba
- - Oh povere, povere! Guarda,
- guarda come sono disfatte!
- Anch’elle non piangono più.
- Non hanno più lacrime. Secche
- sono, bruciate fin dentro.
- — La morte le falcia e le lascia
- per terra, che càmpino ancóra!
- — Le taglia ma non se le porta.
- — Abbine pietà, buono Iddio!
- — Sono creature innocenti.
- — Miserere, Gesù, miserere!
- Aligi
- tu, che sei vergine e vedova,
- tu che nell’arche tue del corredo
- portasti vestimenta di lutto,
- pettine di rovi, collana
- di spine, lenzuola tessute
- di triboli, tu che piangesti
- la prima notte e poi sempre,
- tu hai nel Paradiso le nozze
- tue nuove. Gesù ti fa sposa,
- Maria ti consola per sempre.
- La turba
- - Oh povera! Quella non giunge
- a sera; è al suo ultimo fiato.
- È tutta capelli:non ha
- più carne:è tutta in quell’oro.
- — Ma s’è scolorito il suo oro.
- — È come una ròcca di canapa.
- — Come l’erba del Giovedì Santo.
- — O Vienda, vergine e vedova,
- il Paradiso hai per certo.
- — E s’ella non l’ha, chi l’avrà?
- — Nostra Donna, portala in cielo!
- — Mettila tra gli Angeli bianchi!
- — Mettila tra le Màrtiri d’oro!
- Iona di Midia
- ligi, hai detto il tuo dire.
- Su, lèvati e andiamo ch’è tardi.
- Fra poco il sole si colca.
- E l’avemaria tu non devi
- udire, né vedere la stella.
- O Candia della Leonessa,
- se pietà vuoi avere, se dargli
- vuoi la tazza, non t’indugiare.
- La madre tu sei. T’è concesso.
- La turba
- - Candia, Candia, alzagli il velo!
- — Candia, dàgli la tazza, ch’ei beva!
- — Dàgli il beveraggio, ch’egli abbia
- cuore al supplizio. Su, Candia!
- — Abbi pietà pel tuo figlio!
- — Tu sola puoi. T’è concesso.
- — Miserere di lui! Miserere!
Ornella presenterà alla madre la ciotola del vino misturato. Favetta e Splendore inciteranno la misera sospingendola. Aligi si trascinerà su i ginocchi verso la porta della casa, e alzerà la voce invocando il defunto.
- Aligi
- adre, padre, padre mio Lazaro
- odimi. Tu il fiume passasti
- con la bara, ed era pesante
- più d’un carro di buoi la tua bara,
- e fu gettata la pietra
- nella corrente, e passasti.
- Padre, padre, padre mio Lazaro,
- odimi. Ora io me ne vado
- al fiume e non passo. Io vado
- a cercar quella pietra nel fondo
- e dopo io ti vengo a trovare;
- e tu mi vieni sopra con l’erpice,
- per l’eternità mi dirompi,
- per l’eternità mi dilàceri.
- Padre mio, fra poco son teco.
La madre camminerà verso di lui, nell’orrore. Si chinerà, solleverà il velo, con la sinistra mano premerà al seno la guancia del figlio, con la destra prenderà la tazza recatale da Ornella, l’accosterà alle labbra del morituro. Si udrà un vocìo confuso della gente più discosta, giù pel sentiere.
- Iona di Midia
- Suscipe, Domine, servum tuum.
- Kyrie eleison.
- La turba
- Christe eleison. Kyrie eleison.
- Miserere, Deus, miserere.
- — Vedete, vedete che viso!
- — Questo in terra si vede, Gesù!
- — O Passione di Cristo!
- — E chi è che grida? perché?
- — Silenzio! Silenzio! Chi chiama?
- — La figlia di Iorio! La figlia
- di Iorio! Mila di Codra!
- — Buono Iddio, miracolo fai!
- — È la figlia di Iorio, che viene.
- — Risuscitata l’hai, buono Iddio?
- — Largo! Largo! Lasciate passare!
- — Maledetta cagna, sei viva?
- — Ah strega d’inferno, sei tu?
- — Magalda! Bagascia! Carogna!
- — Fate luogo! Lasciatela! Passa,
- passa, femmina. Su, fate luogo!
- — Lasciatela, al nome di Dio!
SCENA QUARTA
Aligi sorgerà in piedi, con la faccia scoperta, guatando verso il clamore; e la madre e le sorelle saranno presso a lui. Fendendo la turba apparirà Mila di Codra impetuosamente.
- Mila di Codra
- adre d’Aligi, sorelle
- d’Aligi, sposa, parenti,
- stendardiero del Malificio,
- popolo giusto, giustizia
- di Dio, sono Mila di Codra.
- Mi confesso. Datemi ascolto.
- Il santo dei monti m’invia.
- Son discesa dai monti, venuta
- sono a confessarmi in conspetto
- di tutti. Datemi ascolto.
- Iona di Midia
- ilenzio, silenzio! Lasciate
- che parli, al nome di Dio.
- Confèssati, Mila di Codra.
- Il popolo giusto ti giudica.
- Mila
- Aligi figliuolo di Lazaro
- è innocente. Commesso non ha
- parricidio. Ma sì, il suo padre
- ucciso da me fu con l’asce.
- Aligi
- Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
- Iona
- Egli è confesso. Hai mentito.
- Egli è reo ma rea tu con lui.
- La turba
- - Alle fiamme! Alle fiamme! Su, Iona,
- dàccela, che noi la bruciamo.
- — Alla catasta la maga!
- — Alla stessa ora periscano!
- — No, no! Io lo dissi:È innocente.
- — È confesso! È confesso! La femmina
- l’istigò ma egli diè il colpo.
- — Tutt’e due sono rei. Alle fiamme!
- Mila
- Gente di Dio, datemi ascolto;
- e poi fate scempio di me.
- Sono pronta, venuta per questo.
- Iona
- Silenzio! Lasciate che parli.
- Mila
- Aligi figliuolo di Lazaro
- è innocente. Ma egli non sa.
- Aligi
- Mila, innanzi a Dio tu ne menti.
- Ornella perdóno, se fui oso
- nominarti, tu sei testimone
- ch’ella inganna il popolo giusto.
- Mila
- gli non sa. Di quell’ora
- non gli sovviene. È magato.
- Io gli voltai la ragione.
- Io gli voltai la memoria.
- Son figlia di mago. Non v’è
- sortilegio ch’io non conosca,
- ch’io non operi. Se tra le donne
- del parentado è quell’una
- che mi fece accusa qui proprio,
- la vigilia di Santo Giovanni,
- quando entrai per la porta che è là,
- venga innanzi e l’accusa ripeta.
- La Catalana
- Sono io quell’una. Son qui.
- Mila
- Fa testimonianza di me
- per quelli che feci infermare,
- per quelli che feci morire,
- per quelli che tolsi di senno.
- La Catalana
- Giovanna Camètra. Lo so.
- E il povero delle Marane,
- e Afuso, e Tillùra. Lo so.
- So che fai nocimento a chiunque.
- Mila
- vete udito, popolo giusto,
- questa serva di Dio? Bene, è vero.
- Mi confesso. Il santo dei monti
- m’ha toccata quest’anima trista.
- Mi confesso e mi pento. Non voglio
- che l’innocente perisca.
- Voglio il castigo, e sia grande!
- Per fare ruina, per rompere
- vincoli distruggere gioie
- prendere vite, in giorno di nozze
- varcai quella soglia che è là,
- del focolare mi feci
- padrona e lo sconsacrai.
- Il vino ospitale falsai,
- non bevvi, adoprai per fattura.
- Le sorti del padre e del figlio
- torsi a odio, e posi a pressura
- la gola della sposa novizia.
- E per arte le lacrime care
- di quelle giovanette sorelle
- a mia difensione io le trassi.
- Dite, donne del parentado,
- dite, se sapete d’Iddio
- quanta fu, quanta fu la nequizia!
- Il coro delle parenti
- - È vero, è vero. Sì, questo fece.
- — Sguisciò dentro la cagna randagia
- quando la Cinerella spargeva
- su Vienda il suo pugno di grano.
- — Di sùbito fece la sorte.
- — E la mala febbre appiccò
- di sùbito al giovine soro.
- — E tutte noi contro gridammo
- e fu vano gridare. Avea l’arte.
- — È vero. Ora sì, dice il vero.
- — Laudato Gesù che fa luce!
Aligi starà a capo chino, col mento in sul petto, sotto l’ombra del velo, intento all’orribile conturbazione dell’anima sua, già scorrendogli per le vene la virtù del beveraggio.
- Aligi, scotendosi, con violenza
- o, no, non è vero. T’inganna,
- non la udire, popolo giusto;
- questa creatura t’inganna.
- Tutti e tutte le stavano contro,
- e così le facean vitupèro.
- E io vidi l’Angelo muto
- dietro a lei. Con questi occhi mortali
- che non debbon vedere la stella
- di questo vespro, io lo vidi
- che mi guardava e piangeva.
- O Iona, miracolo fu
- per mostrare ch’ell’era di Dio.
- Mila
- Oh povero Aligi pastore!
- Oh giovine credulo e ignaro!
- L’Angelo apostàtico era.
Tutti si segneranno, tranne Aligi constretto dalle ritorte e Ornella che discostata dal portico terrà gli occhi fissi alla vittima volontaria.
- L’Angelo apostàtico apparve
- perdonata da Dio non sarò
- né da te perdonata giammai
- apparve agli occhi tuoi per inganno.
- Era l’Angelo iniquo, il fallace.
- Maria Cora
- Io lo dissi, lo dissi nel punto.
- Al sacrilegio gridai.
- La Cinerella
- Anch’io lo dissi, gridai.
- Quand’ella fu osa il Custode
- nominare per sorte, gridai:
- Ha biastemato, ha biastemato!
- Mila
- ligi, perdonata da te
- non sarò, se pure da Dio!
- Ma debbo scoprir la mia frode.
- Ornella, né tu mi guardare
- così come fai. Ch’io sia sola!
- Aligi, quando venni allo stazzo,
- quando tu mi trovasti seduta
- su quella pietra, in silenzio
- la tua perdizione compiei.
- E tu lavorasti nel ceppo,
- ah misero te, co’ tuoi ferri
- l’effigie dell’Angelo malo.
- È quello, coperto col panno:
- lo sento. E io mane e sera
- opravo con l’arte mia falsa.
- Non ti sovviene di me? di tanto
- amore ch’io t’ebbi, di tanta
- umiltà che m’era negli atti,
- nella voce, dinanzi al tuo viso?
- Non ti sovviene che mai
- ci contaminammo, che monda
- presso il tuo giaciglio rimasi?
- E come, come tu non pensasti,
- tanta purità, tanta temenza
- nella straniera malvagia
- che i mietitori di Norca
- avean svergonata al conspetto
- della madre tua? Bene opravo,
- bene opravo con l’arte mia falsa.
- Non mi vedevi tu raccattare
- intorno al tuo ceppo le schegge
- e bruciarle dicendo parole?
- Preparai l’ora di sangue,
- che contra Lazaro antica
- rancura, odio antico nudrivo.
- Tu lasciasti l’asce nel ceppo.
- Ora uditemi, gente di Dio.
- Una grande potenza venuta
- era in me sopra lui vincolato.
- Quasi notte faceva nel luogo
- maligno. Imbestiato il suo padre
- presa m’avea pe’ capegli
- e mi trascinava furente.
- Ei sopraggiunse e su noi
- si gettò per difendere me.
- Rapidamente brandii
- l’asce, nell’ombra; colpii,
- forte colpii, sino a morte.
- Sul colpo gridai:“L’hai ucciso!„
- Al figlio gridai:“L’hai ucciso,
- ucciso!„ Potenza era in me grande.
- Parricida lo fece il mio grido
- nell’anima sua ch’era schiava.
- “L’ho ucciso!„ rispose; nel sangue
- tramortì, più altro non seppe.
Candia con ambe le braccia, scossa da un fremito quasi di belva, afferrerà il figlio ridivenuto suo. Da lui si distaccherà, con violenza selvaggia si avanzerà verso la nemica. Ma le figlie la tratterranno.
- Il coro delle parenti
- - Lasciatela! Lasciala, Ornella!
- Che il cuore le strappi, che il cuore
- le mangi! Cuore per cuore!
- — Lasciatela, che se la metta
- sotto i piedi, che la calpesti,
- che col calcagno le schiacci
- tempia e tempia, i denti le sgrani!
- — Lasciatela! Lasciala, Ornella;
- ché, se questo non fa, non le torna
- l’anima in petto sanata.
- — Iona, Iona, Aligi è innocente.
- — Toglilo dalle ritorte!
- Levagli il velo! Ridaccelo!
- — Oggi il popolo è giustiziere.
- — Tu giudica, popolo giusto.
- — Comanda che sia liberato!
Mila si ritrarrà presso l’Angelo coperto, e guarderà Aligi già invaso dall’ebbrezza del vino misturato.
- La turba
- - Lode a Dio! Gloria a Dio! Gloria Patri!
- — L’infamia è tolta da noi.
- — La macchia non è sopra noi.
- — Di nostra gente non viene.
- il parricida. A Dio gloria!
- — Lazaro l’uccise la femmina
- straniera, di Codra alle Farne.
- — L’ho detto, l’ho detto:È innocente,
- Aligi è innocente. Sia sciolto!
- — Sia liberato ora in punto!
- — Alla madre sua sia renduto!
- — Iona, Iona, scioglilo! Il Giudice
- del Malificio ci diede
- oggi potestà sopra un capo.
- — Piglia il capo della sortiera!
- — Alle fiamme, alle fiamme la maga!
- — Alla catasta la strega!
- — O Iona di Midia, odi il popolo!
- Sciogli l’innocente! Su, Iona!
- — Alla catasta la figlia
- di Iorio, la figlia di Iorio!
- Mila
- ì, sì, popolo giusto, sì, popolo
- di Dio, piglia vendetta su me.
- E l’Angelo apostàtico mettilo
- nella catasta con me,
- che faccia la fiamma per ardermi,
- che si consumi con me.
- Aligi
- h voce di promessa e di frode!
- Toglietemela di dentro
- così come bella mi parve,
- come cara mi fu, soffocatela
- nell’anima mia, fate che mai
- udita io l’abbia, che mai
- n’abbia gioito! Rempietemi dentro
- tutti questi solchi d’amore
- che mi scavò, quando io era
- alle sue parole d’inganno
- come la mia montagna rigata
- dalle acque di neve! Rempietemi
- il solco di quella speranza,
- per ove mi corse la grazia
- di tutti i miei giorni ingannati!
- Cancellate da me ogni traccia!
- Fate che udito e creduto
- io non abbia giammai! Ma, se questo
- da voi non si può, s’io son quello
- che udii credetti sperai,
- quello che adorai l’Angelo iniquo,
- mozzatemi entrambe le mani,
- nel sacco di cuoio cucitemi
- Lonardo, non lo porre da banda
- e gittatemi nella fiumana
- ch’io vi dorma settecent’anni
- ch’io dorma sott’acqua, nel gorgo
- profondo, ancóra settecent’anni
- e più non mi ricordi che il giorno
- di Dio ha illuminato quegli occhi!
- Ornella
- Mila, Mila, è l’ebbrezza del vino
- misturato, del beveraggio
- ch’ebbe dalla madre a consólo.
- La turba
- - Scioglilo, Iona. Ha il delirio.
- — Ha preso il solatro nel vino.
- — Che la madre lo stenda sul letto.
- — Che il sonno gli venga, che dorma.
- — Che Gesù Cristo l’acqueti.
Iona darà a taluno di sua gente lo stendardo e s’avanzerà verso Aligi per togliergli le ritorte.
- Aligi
- ì, per un poco scioglimi, Iona,
- solo ch’io possa levar le mani
- contra costei no, non l’ardete:
- la fiamma è bella!, chiamare i morti,
- tutti i miei morti nella mia terra,
- quelli degli anni dimenticati,
- i più lontani, i più lontani,
- settanta braccia sotto la zolla,
- a maledirla, a maledirla!
- Mila
- con un grido lacerante Aligi, Aligi, tu no,
- tu non puoi, tu non devi!
Libero delle ritorte i polsi, libero del velo nero il capo, Aligi cadrà fra le braccia della madre, preso dalla vertigine; e le maggiori sorelle e le donne del parentado gli saranno intorno.
- Il coro delle parenti
- - Non isbigottire. È quel vino.
- — È la vertigine calda.
- — Ora lo stupore lo prende.
- — Ora un gran sonno gli viene.
- — Ch’ei dorma! Che Dio lo pacifichi!
- — Stendetelo! Lasciate che dorma!
- — Vienda! Vienda! Ti torna.
- — L’uno e l’altra dal mondo di là.
- — Laus Deo! Laus Deo! Gloria Patri!
Iona metterà le ritorte a Mila di Codra che gli tenderà i polsi. La testa le coprirà col velo nero. Poi, ripreso lo stendardo del Malificio, sospingerà la vittima verso la turba.
- Iona
- opolo giusto, ti do
- nelle mani Mila di Codra,
- la figlia di Iorio, colei
- che fa nocimento a chiunque,
- perché tu giustizia ne faccia
- e tu ne disperda la cenere.
- Salvum fac populum tuum, Domine.
- Kyrie eleison.
- La turba
- hriste eleison. Kyrie eleison.
- — Alle fiamme alle fiamme la figlia
- di Iorio! La figlia di Iorio
- e l’Angelo apostàtico al fuoco!
- — Alla catasta! All’inferno!
- Ornella
- a gran voce Mila, Mila, sorella in Gesù,
- io ti bacio i tuoi piedi che vanno!
- Il Paradiso è per te!
- Mila di mezzo alla turba
- La fiamma è bella! La fiamma è bella!