Pagina:D'Annunzio - La figlia di Iorio.djvu/165


Atto III. Scena III 159


Aligi, quando venni allo stazzo,
quando tu mi trovasti seduta
su quella pietra, in silenzio
la tua perdizione compiei.
E tu lavorasti nel ceppo,
ah misero te, co’ tuoi ferri
l’effigie dell’Angelo malo.
È quello, coperto col panno:
lo sento. E io mane e sera
opravo con l’arte mia falsa.
Non ti sovviene di me? di tanto
amore ch’io t’ebbi, di tanta
umiltà che m’era negli atti,
nella voce, dinanzi al tuo viso?
Non ti sovviene che mai
ci contaminammo, che monda
presso il tuo giaciglio rimasi?
E come, come tu non pensasti,
tanta purità, tanta temenza
nella straniera malvagia
che i mietitori di Norca
avean svergonata al conspetto
della madre tua? Bene opravo,
bene opravo con l’arte mia falsa.
Non mi vedevi tu raccattare
intorno al tuo ceppo le schegge
e bruciarle dicendo parole?
Preparai l’ora di sangue,
che contra Lazaro antica