Pagina:D'Annunzio - La figlia di Iorio.djvu/165
- Aligi, quando venni allo stazzo,
- quando tu mi trovasti seduta
- su quella pietra, in silenzio
- la tua perdizione compiei.
- E tu lavorasti nel ceppo,
- ah misero te, co’ tuoi ferri
- l’effigie dell’Angelo malo.
- È quello, coperto col panno:
- lo sento. E io mane e sera
- opravo con l’arte mia falsa.
- Non ti sovviene di me? di tanto
- amore ch’io t’ebbi, di tanta
- umiltà che m’era negli atti,
- nella voce, dinanzi al tuo viso?
- Non ti sovviene che mai
- ci contaminammo, che monda
- presso il tuo giaciglio rimasi?
- E come, come tu non pensasti,
- tanta purità, tanta temenza
- nella straniera malvagia
- che i mietitori di Norca
- avean svergonata al conspetto
- della madre tua? Bene opravo,
- bene opravo con l’arte mia falsa.
- Non mi vedevi tu raccattare
- intorno al tuo ceppo le schegge
- e bruciarle dicendo parole?
- Preparai l’ora di sangue,
- che contra Lazaro antica