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OPRA TUTI GLI EXCOGITATI ET exquisiti cruciamenti d’amore non mediocremente obsesso vedendome, et alla praeoptata et salubre, et praesentanea medela, et mia architatrice propinquo essendo obstupefacto mirava che contra omni naturale ordine, quella me più morbidamente inficiava. Et qualunque suo praestante acto, ornato eloquio, morsicante risguardo da sì opportuna salute proximo ritrovantime me abdicavano, onde sempre più multiplicavasi una exhortabile suasione, di volere alla provocante commoditate (grato munusculo ad gli raptori) ingrato non me praestare et pusilanimo. Fremendo come furioso et ringibondo cane, gionta la insecuta fera negli alpestri salti. Cusì io né più né meno furibondo cupitore la propria desiderata praeda quivi gionta, al tuto satisfarmi. Assuefacto hogi mai ad una assidua et familiare morte d’amore, passione per questo non reputava la sua attrocitate, che d’indi ne fusse asseguita. Et peroe omni inconveniente quantunque damnosissimo licito mi suadeva. Diqué la mia eutrapela Polia solerte de l’improbe condictione dil coecuciente Amore, et accortasi per mortificare tanto importuno incendio, et alquanto sincoparlo, et come singulare sospitatrice mia succurrendo cusì benignamente me dice. Poliphile di tuti amantissimo mio già mai non son ignara, che le antiquarie opere ad te summamente piaceno di vedere. Adunche commodamente potes tu in questo intervallo, che nui il signore Cupidine aspetiamo ire licentemente, queste aede deserte, et dalla edace et exoleta vetustate collapse, o per incendio assumpte, o vero da annositate quassate, a tuo solacio mirare, et gli fragmenti nobili rimasti di venerato dignissimi speculare. Et io in questo loco sedendo contenta te aspeteroe, il signore nostro venturo vigile praestolante, che traiectare ne debi al sancto et concupito regno materno. Allhora io grandemente avidissimo, cum l’altre commendatissime opere vise, etiam queste accuratissimo et multivido di contemplare. Levatome dalla foelice sessione, di soto dille temprate umbre di lauro, et di myrto, et tra altiusculi cupressi, allhora circa il loco il periclimeno degli sui odorosi fiori dipingendo, ove, et uno volubile iosamino florente cum suave ombra opaculamente ne copriva disseminando sopra nui copiosamente gli sui bianchissimi fiori. In quel tempo suavissimo odoranti (sencia altro cogitare absorto) da chosta di Polia per quelli devii aggeri, di fastigiato et vasto cumulo et ruina, in la magiore parte occupate di chamaeciso, et di terrambula et di spini implicita solicito perveni. Ove pensiculatamente coniecturai questo essere stato magnifico, et meraveglioso templo di eximia, et soperba structura. Secundo che la proba et praeclara Nympha scitulamente ad me vaticinato havea. Quivi dunque apparia, che in gyro dil rotondo templo fusseron [p. 243 modifica]tribune disposite, perché ancora relicte erano alcune parte semiintegre, overo semirute et fragmenti magni di pyle, cum sinuate trabe, et corni di testudinato, et di procere columne di variata specie, alcune numidice et alcune hymettie et laconice tra le sopranominate et altre sorte venustissime pure et expedite di liniamento. Per la dispositione dille quale tribune cusì apertamente iudicai, che in quelle locati fusseron gli sepulchri.

In questo loco ananti tute cose, alla parte postica di esso archaeo tempio mirai uno obelisco magno et excelso di rubente petra. Et nel supposito quadrato vidi in una facia tali hieroglyphi insculpti.

Primo in una circulare figura, una trutina, tra la quale era una platina nelli triangulari, tra la trutina et il circinato dilla platina da uno lato era uno cane, et dal altro uno serpe. Di sotto la quale iaceva una antiquaria arcula, et da questa sublevata recta era una spatha detecta, cum l’acuminato sopra excedendo la trutinale lance, et quivi una corona regia intromissa era, gli quali cusì io li interpretai.

IUSTITIA RECTA AMICITIA
ET ODIO EVAGINATA ET NUDA.
ET PONDERATA LIBERALITAS
REGNUM FIRMITER SERVAT.

Daposcia soto questa in un’altra figura quadrangula vidi uno ochio, due spiche di frumento transversate ligate. Uno antiquario acinace. Poscia dui excussori di frumento transversati tra uno cyclo et cumlorati, uno mundo et uno temone. Poscia era uno veterrimo vaso, fora dil quale prosiliva una fronde di olea baccata di fructo. Seguiva una pansa platina. Due Ibide, sei [p. 244 modifica]numismati in circo. Uno sacello cum patefacta porta, cum una Ara in medio. Novissimamente erano dui perpendiculi. Le quale figure in latino cusì le interpretai.

DIVO IULIO CAESARI SEMP. AUG. TOTIUS ORB. GUBERNAT. OB ANIMI CLEMENT. ET LIBERALITATEM AEGYPTII COMMUNI AERE. S. EREXERE.

PACE, AC CONCORDIA PARVAE
RES CRESCUNT,DISCORDIA
MAXIMAE DECRESCUNT.

Similmente in qualunque fronte del recensito supposito quadrato, quale la prima circulata figura, tale un’altra se praestava a linea et ordine della prima a la dextra planitie dunque mirai ancora tali eleganti hieroglyphi, primo uno viperato caduceo. Alla ima parte dilla virga dil quale, et de qui, et de lì, vidi una formica che se cresceva in elephanto. Verso la supernate aequalmente dui elephanti decrescevano in formice. Tra questi nel mediastimo era uno vaso cum foco, et dal altro lato una conchula cum aqua. Cusì io li interpretai. Pace, ac concordia parvae res crescunt, discordia maximae decrescunt. [p. 245 modifica]

MILITARIS PRUDENTIA,SEU
DISCIPLINA IMPERII EST
TENACISSIMUM VINCULUM.

All’incontro di questo era l’altra circulatione. Intro la quale mirai tale designature di egregio expresso. Una ancora nel diametrale loco transverta. Sopra la quale assideva una aquila cum le ale passe, et nella hastula ancorale intricato uno vinculo. Soto questi liniamenti uno milite sedendo tra alcuni bellici instrumenti speculando temva uno serpe. Di questo tale interpreto feci.


DIVI IULII VICTORIARUM ET
SPOLIORUM COPIOSISSIMUM
TROPHAEUM, SEU INSIGNIA.

Cum extrema voluptate contemplabondo questi nobilissimi concepti in tale figurato expressi mirai et il quarto de contra al primo circulo. Vidi uno triumphale Tropheo in la parte ima dilla lancea, dil quale due intrasversate palme. Et item a quella connodulate due dapsile copie se extollevano. Nel mediano, da uno lato era uno oculo, et dal altro una stella comete. Questo diceva.
Per la magnificentia dil quale obelisco, pensai che tale non fue devecto ad Thebe, né in circo magno erecto. Daposcia nella parte antica ritornando, trovai tuto disrupto il propylaeo et ad l’ingresso dilla distructa porta iacente vidi uno frusto di trabe Zophoro, et parte dilla coronice in uno solido in esso Zophoro inscripto vidi di elegante scriptura di maiuscule tale dicto. [p. 246 modifica]

Questo nobile et spectatissimo fragmento in uno solido frusto ancora et una portiuncula dil suo fastigio, o vero frontispicio se retinea egregiamente liniato. Nella triangulare planitie dil quale dui figmenti io vidi inscalpti, et non integri. Uno volucre decapitato, arbitrai fusse di Bubone, et una vetusta lucerna, tuto di perfecto alabastryte. Cusì io le interpretai. VITAE LETHIFER NUNTIUS.

Pervenuto daposcia in la mediana parte dil tempio, alquanto immune et disoccupata di fressidine la trovai. Ove ancora il consumabile tempo, ad una opera praeclara di narrato, tuta di rubicundo porphyrite, solamente havea perdonato. La quale era sexangula, cum le base sopra una solida petra Ophites dilla medesima figura nel pavimento impacta, et sei columnelle distante una da l’altra pedi sei, cum lo Epistilio, Zophoro, et Coronice, sencia alcuno liniamento et signo, ma simplicemente terso et puro. Gli quali erano extrinseco la forma imitanti. Ma intersticii in figura circinata. Ove sopra la piana dilla corona nasceva una cupula di unico et solido saxo, mirabile artificio. La quale graciliva nel acumine, quale uno pervio infumibulo strisso et speculare copriva una subterranea vacuitate illuminata per una circulare apertione di egregia cancellatura impedita di metallina fusura. Il quale spectando ciborio di maxima pollitura cusì il trovai. [p. 247 modifica]

Per la quale cancellatura mirando m’aparve di sotto vedere una certa quadratura. Per la qual cosa accenso di curiosa cupidine di potere ad questa parte descendere rimabondo tra quelle fracture, et minutie et ruine perquirendo qualche meato. Ecco che in uno marmoreo pilone comminuto tuto meno circa dui passi, investito di una obstinata et flexipeda hedera dalla quale quasi tuta trovai occupata l’apertione di una porticula. In la quale da troppo scrutario disio seducto sencia altro pensiculare, et inconsideratamente intravi. Ove per uno caeco acclivo scalinato descendendo, al primo ingresso m’aparve horrende latebre et illumina caligine, ma poco stante assuefacti alquanto gli ochii cernere incominciai, et vidi uno grande et amplo loco subterraneo concamerato in rotondo, et per l’umido male risonante. In columne nane suffulto era et sustentato. Sene erano subacte al perpendiculo dille superastructe dilla cupula, cum gli archi tanto loco di apertura includendo, quanto il contento ambito delle sei superiore. Dalle quale nane testudinava poscia tuto questo loco candido di marmoro, di expolita quadratura decementato, et quasi non cernentise le compacture. Negli quali era desputato molto Afronito, overo Baurach. Quivi trovai il secticio silicato, bellissimamente expresso, complanato et piano, ma foedato di frequentia di noctue. Tra le nane era fundata solistimo una biquadrata Ara, tuta di auricalcho, piedi sei longa, et cum il soco et coronula alta il dimidio. La quale era vacua bustuariamente quale uno sepulchro. Ma nella apertione dalla superficie in giù sextante vidi una cancellatura, overamente una crate dilla propria materia inseme conflata. Da una facia vidi una fenestricula, pensai per questa gli sacrificuli ministrare il foco ad holocaustare la victima, et d’indi trahere il sancto cinere, et anchora cogitai, che sopra quella crate ponevano incensabondi, overo ad adolere l’animale. Etiam fumido apparendo il suffito dilla apertura. Quivi iuridicamente coniecturai, che il [p. 248 modifica]fumo degli sacrificii ascendendo se sublimasse per il meato dilla porphyritica cupula, et fora exalare. Et per adventura suspicai che il tholo, overamente culmo mediano dil tempio fusse aperto al rito aegyptico, et dil sancto fumo il nidore, overo ustrina sencia molestare il templo ussirsine. Dall’altra parte dilla praedicta Ara trovai di litere romane excavate exquisitamente questo titulo, pensai di l’ara trovata da Valesio a Tarento.

In circinatione di questo terreneo overo subterraneo loco, altra operatura non vidi si non appacti sedili dilla propria materia. Tute queste cose cum grande et smisurato piacere, et singular devotione diligentemente mirate di sopra ritornai. Ove mirabondo dilla integritate di questa insigne operatura di ciborio. Tra me confirmai il suspecto, che il cielo dil tempio aperto si fusse. Imperò che la ruina in circuito era aggerata, et questa parte trovai immune. Hora quivi inspectando mossi gli ochii, et vidi una tribuna alquanto integra. Disubito cum gli ochii comitanti gli pedi, ad quella festino andai. Nel cielo dilla quale una artificiosa pictura era ivi rimasta cum incredibile conato et efficientia dill’artifice di opera colorifica di museaco subtilmente expressa. Quivi cavernatamente picto era uno fornice di spissa caligine infuscato monstrante una ingente et trista, et terricula spelunca tuta cariosa quale uno multicavo overo fistuloso pumice. La quale dal lato sinistro verso la mediostima parte vicino ad una asperrima invia, et ferruginea et confragosa rupe terminava. Nella quale se videva uno hiato di concavatura dinanti, et nella facia verso il suo finire distante da uno tofineo saxeo monte scrupeo et chaimeno. Questo per il medesimo modo incavernato all’incontro et pervio. Nella mediata altecia tra l’uno et l’altro traiectava uno bipartito ponte di ferro candente fina al mediato et poscia apparea frigorissimo [p. 249 modifica]metallo. Oltra questi pendicei et putrei saxi, per quella divisione tra uno et l’altro, si dimonstrava intro essere tutto ardescente loco di foco pieno di ignite et volante scintille discurrente, et cane faville cadente (quali densissimi atomi negli radii solari) crepitanti per le fiamme fincto solertemente et uno ignito laco bulliente, et molti spiramenti extuarii per li saxi apparendo. Dalla parte antica uno scuro et cretamoso laco glaciale et rigidissimo dimonstrantise. Et dal lato dextro ancora uno crepidinoso et ruvido et muriceo monte era, et di colore sulphureo. Per il quale in diversi hiaticuli vomeva tetro et caliginoso fumo. Quale di materia repugnante al ingresso dill’activo foco, et immediate scaturiente una suppurata materia ignita. La quale vomitione dava vista di crepitare, o vero fare scloppo, quale vapore concreto diffusamente exalare coacto, et poscia negli fistulosi meati il ructo ritornare, et quella dimonstratione che uno loco non faceva l’altro loco ad indicare suppliva. In questo era una scabra ruptura cavamente inspeluncata cum crude grave et averne ombre. Nella quale fessura era impacto Tenaro cum una aenea porta ruvidamente exacta in questo arso et pumicoso saxo. Et quivi sotto questi cavernacei curvamini et crepidine trifauce Cerbero insomne sedente di pilatura nigerrimo et humecto, capitato di spaventosi serpi, di aspecto horrendo et terribile, cum grave afflato quelle metalline valve insopito explorabondo cum inconniva vigilia, in perpetua luce le pupule excubante. In questo horrendo et cuspidinoso littore et miserrimo sito dil algente et fetorifico laco, stava la saeviente Tesiphone efferata et crudele cum il viperino capillamento, in le meschine et miserrime anime, implacabilemente furibonda. Le quale cadevano catervamente nello aeternalmente rigidissimo laco giù dal ferreo ponte, et rotantise per le algente onde fugire properante il penoso et mortifero algore, pervenivano al frigidissimo littore. Et uscite infoelice et fugitive dala tartarea furia, per sopra una difficillima, laboriosa et salebricosa ripa, alla sinistra mano, fugivano citule cum le fauce aperte, et cum le ciglie depresse, et cum gli rubenti et lachrymosi ochii indicante clamori, stridore di fauce, et cum dolorosi pianti et guai. Le quale oppresse et di horrore una cum l’altra impulse, et inconculcantise giù nel frigidissimo averno et profundo, irruente praecipitavase. Et quelle che del praecipitio evadevano, nella scabra caverna se ricontravano in l’altra horribile furia di Megaera, et prohibiva che quelle in le volante fiamme non se praecipitasseron. Et coacte sopra lo incendioso ponte salivano. Tale penoso ordine iudicai essere da l’altra parte, perché la luctifica Alecto sorore dille due nominate di Acheronte filiole et dilla tetra Nocte, et essa era obstaculo et furialmente impediva, che l’alme deputate alle sempiterne flamme non obruesseron nel laco rigente. Ma ispaventate dalla horrenda furia salivano et esse, cum le altre obviantise, il biastemato ponte. Et cusì q [p. 250 modifica]appareva ad me, che l’anime che all’ardente incendio, damnate erano, nel giacio demigrare optavano, et quelle che adiudicate furono al torpentissimo laco, molto più che ’l Styge palude frigidissimo, excessivamente desideravano nelle maledicte et calorifice flamme recentabonde intrare. Ma sforciate di salire il fallace traiecto. Il candescente passo, per fatale dispositione se divideva per tale modo, che l’anime proscripte allo inextinguibile foco, iterum cadevano nel suo aeternalmente constituito loco. Per il simigliante quelle che lo inevitabile algore perfuge tentavano di evadere, erano dal ponte nel rigentissimo profundo resummerse. Per virtute daposcia dilla divina iustitia il transito al suo pristino essere ritornava.

Sencia intervallo altre dolorose alme questo proprio successivamente attentavano, cum vano et incompote voto, et per niuno modo consequire valevano il desiderato effecto. Quelle miserrime anime dunque che festinavano senza quiete fugire, da furioso horrore et rabie agitate, le incendiose flamme et per sollevamento venire et refrigerarse nel giacio non poteano. Et quelle similmente che davano assidua opera di fugire il durissimo fredo, et intrare nelle ardente flamme frustrate dil maximo disio non valevano. Et questa ad quelle gli era ineffugibile et poena indesinente, sempre più desiderose perdendo omni speranza. Le quale tanto più ardente aviditate accrescevano, quanto che sopra il ponte l’una et l’altra sentivano, quelle dil ardore il reflexo dil suo fredo, et quelle gelate, il calore, l’uno cum l’altro obviantise nel suo termine. Et questo nel affecto era maxima vegetatione di poena et di tormento. Per la quale cosa, cum tanta obstinata arte di coloramento et di simulati gesti et expressi conati, vidi tale pictura fabrefacta, et exquisitamente perfecta, quanto mai fare si potrebbe et dimonstrare. Et il titulo indicante era inscripto. Che nelle urente flamme erano condemnate le anime che per troppo foco d’amore, se medesime occidevano. Et nel horrido gelo, quelli erano demersi, che rigidi et fredolenti allo Amore et renuenti se havevano obstinatamente praestati. Finalmente cum tale dispositione mirai questo odioso, spaventevole et evitando Barathro, che dove gli lachi se ricontravano, cioè il frigorifico, cum l’ardentissimo, per la contrarietate fare dovevano cum aeterna controversia uno terribile tonare, perché poscia obvii se immergevano ambi dui in abrupto praecipitio effusi in scuro vasto et profundissimo meato et immenso abysso. Ove era la profunditate tanto artificiosamente dall’artifice ficta, che per la coloratione quelle dimonstratione essere vere mentivano, et di videre una absorbentissima voragine, cum mirifica aemulatione di gli coloramenti. Et di symmetria liniale di prospecto, et dille figure la elegantia, et copioso invento, et artifica designatione, et cum incredibile argutia, che Parrhasio Ephesio insigne pictore unque primo di simile excogitato non poté gloriarse. [p. 251 modifica]

Dunque chi accuratamente tale expressura considerava facilmente coniecturare cusì essere il poteva, perché il factore di solertia uberrimo, et di cogitato praestante, havea quivi exquisitamente fincto le anime ad expresso corporale. Le quale umbre non possino apparere se non concreto aere et condensato in quella effigie, per la quale lo effecto si comprenda. Et però molte anime l’orechie obturantise, altre non audevano (copertosi cum le palmule gli ochii) riguardare nel terrifico et gurgitale abysso, pieno di spaventevoli, terribili, et varii monstri, altre pallide ad exprimere il torpente fredo cum le brace al pecto stringentisse, alcune a dimonstrare l’ardore flavano fumido spirito, altre ad indicare la moerente tristitia, et dolorosa pena, gli digiti dille mane im pectine giuncti piangevano. Onde sopra il limitato ponte nella compactura diagonale catervamente occursantise l’una et l’altra dille prime arietava, et non valevano procedere, per la conculcatione dille sequente. Allhora il ponte per ordine fatale sempiterno separatose reiiciendo le proprie nel proprio loco ritornava, et incolato, et iterum coniugato altre indesinente attentavano, successivamente quello qii [p. 252 modifica]scandendo. Diqué l’anime dolorose disperate optando la horrifica morte, molto più che gli spaventosi lochi et horrende furie abhorrivano, che epsa odibile morte vanamente affectata. Il quale infoelice et foetulento Herebo era cusì conducto et depolito, che ancora ad gli inspectori non exile spavento induceva. In questo loco vidi una quadrata Ara, nella facia overo fronte dilla quale di maiuscule perfecte questo titulo trovai inscripto.

Molto laetificato di qui partitome, tra le ruine uno nobile saxo di marmoro quadrato trovai, in uno lato fracto, ma la magiore parte riservata in uno fronte tra le undulature nel medio, in modo di due quadrangulette cum l’arco era introscalpto, et de qui, et de lì, una figura altiuscula ovola, l’una havea .D. et uno capo di larva, et l’altra uno .M. et un altro capo il cimatio alquanto fastigiato, ma decacuminato, ove infixo uno veterrimo vaso aeneo promineva sencia operculo hiante, pensai in quello fusseron le cinere condite, cum tale inscriptione, il residuo di liniamenti immune. [p. 253 modifica]

Proximo a questo solistimo iacente, vidi et questo elegante epitaphio, in una tabula porphyrica, per la quale essere stato uno superbo sepulchro coniecturai. Perché ad gli ambi lateri, continua per fractura appareva, et non cusì tabula simplice. Ma questa parte pura di liniamenti constava immune, cum la literatura relicta. Circa il quale germinava la nasturcia hiberida.

q iii [p. 254 modifica]
Daposcia che io hebbi questi dui epitaphii accuratamente perlecti, et gratissimamente visi, solicito inquirente rivolvendo gli ochii, ecco ch’io vedo una sepultura historiata. Alla quale sencia pigritare andai. In la parte anteriore dilla quale appacta era una arula, inseme cum tali expressi. Sopra la piana di essa di miro artificio imposito era uno capo di silvano caprone, retento per uno degli corni da uno seniculo, cum la testa di capigli al modo vetusto tormentati confusi. Il quale era induto sopra il nudo di palio reiecto sopra la spalla dextra, sottovia venendo dalla sinistra ritornando sopra la dextra, et nel tergo dependulo proximo egli era di pelle caprina vestito, una antica, et l’altra postica al dorso, sopra gli humeri, gli pedi di ambedue le pelle innodati, et gli altri tra le coxe pendenti cum il ruvido pelo alla carne voltato, et cinctosi di una torque, overo strophio facto di Tano, overo vite nigra, cum le foglie sue. [p. 255 modifica]

Il quale cum le tumefacte bucce sonava due rurale Tibie, et appodiato ad uno toroso trunco di Dendrocysso, da vetustate tuto vacuo, cum pervie crepature et rami discoli rarii et folii, cum il capillamento incompto et infrondato. Tra questi dui saltava uno puello nudo. Da l’atro lato era uno, che sopra gli robusti humeri, uno Armillo futile baiulante lo orificio inverso sopra il cornigero capo il mero spargeva. Achosta egli era una matrona, cum il capillamento demisso decapillata, et questa et il vastaso dil armillo nudi, et lachrymabonda. Tenendo una facula cum la parte accensa in giù. Tra questi dui appareva uno Satyrulo puero, il quale nelle mano uno serpe molto involuto stringeva. Sequiva poscia una ruricola vetula canifera, sopra il nudo induta di panno volante, sopra gli fianchi cincta. Del capo inconcinno sopra il calvato, havea uno cesticillo, et di sopra portava una viminea cista piena di fructi et di fronde et ne l’altra mano uno vaso teniva dil orificio oblongo cretaceo. Queste figure optimamente erano inscalpte et asperamente. In l’arula cusì era inscripto. Excitato summopere da tanta venustate di monumenti quaeritabondo, ad me uno elegantissimo in uno saxo inscripto epitaphio Romano tale iucundissimo dialogo se offerite, et tali cum ornamenti.

* * *

q iiii [p. 256 modifica]

Relicto questo che cum summa laetitia vidi, intrai in una tribuna fracta et dirupta. Ove ancora parte di una egregia pictura di vivacissimo museo trovai. Nella quale io vidi una Matrona sopra uno accenso rogo prostrata et in se medesima saeviente se uccideva. Et quivi non altro che pedi muliebremente calciati appariano, alcuni parte cum le Sure, et poco cum drapi contecti. Tuto il residuo, fue dal insaturato, et vorace tempo absumpto, et dalla antiquitate, et da venti, et piogie et ardente Sole distructo, in questo medesimo loco la Arca era comminuta, et il maiore frusto, era questo riverso cum tale scriptura ridriciantilo io il trovai. Proximo a questo solistimo iacente di petra alabastrite, trovai uno antiquario vaso, alto più di uno et semipasso. Cum una dille anse friata, et parte fracto nella sua corpulentia fina alla apertura parte superassideva uno semi cubo, o vero Taxillo, alto pede uno, o vero [p. 257 modifica]palmi quatro. Nel quale in una facie, dal fronte dila fractura era inscripto, et similmente ove era rupto per indicio di alcune litere parte fragmentate, et integre, parte rimaste. Poscia nella subiecta corpulentia dalla circinante cinctura verso el fondo, nella quale erano appacte le anse, nel fronte dilla fractura era questa præstante scriptura.



Relicti questi rupti monumenti, ad una destructa tribuna deveni nella quale alquanto fragmento di museaco si comprendeva. Ove picto mirai uno homo affligente una damicella. Et uno naufragio. Et uno adolescentulo sopra il suo dorso equitante una fanciulla, natava ad uno littore deserto. Et parte vedevasi di uno leone. Et quegli dui in una navicula remiganti. Il seguente distructo. Et ancora questa parte era in molti lochi lacerata. Non valeva intendere totalmente la historia. Ma nel pariete crustato marmoreo, era intersepta una tabula ænea, cum maiuscule græcæ. Tale epigramma inscripto havea. Il quale nel proprio Idiomate in tanta pietate me provocava legendo si miserando caso, che di lachryme contenirme non potui, dannando la rea fortuna. Il quale sæpicule perlegendo, quanto io hopotuto cusi il fece latino.
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[p. 259 modifica]de qui partitome piu avidamente lustrando per le acervate ruine, trovai unaltra ara tetragona. La quale nella sua plana havea una basi sencia plintho, cioe una gula, da poscia una fasceola, & dapoi uno thoro. Oltra questo era æquato. Nella quale æquantura assideva uno plintho, overo latastro, che da angulo ad angulo faceva uno sinuato, quanto uno dilla sua figura quadrata incurvantisse paulatine. La proiectura degli quali anguli non excedeva la circumferentia dil totque, overo thoro subiecto. Sopra il quale abbacato plintho iaceva uno circulare sudo duno vaso. la circustantia dil quale non præteriva lo exito degli anguli dil subacto plintho. Il quale vaso se dilatava tanto nella apertione, quanto era lo extremo delinfino dilla supposita
gula dilla basi. Lo orolo o vero labro dil quale servando la sua crassitudine tendeva un inflexo i se medesimo invertiscente, nella ara vidi tale epigramma.

Indi partentime io trovai uno nobile fragmento di optimo porphirite, cun dui capi equini scalpti. Dagli quali una implicata ligatura, dui rami di mytro intrasversati, & penduli retinente usciva.

Nel medio dil trasverso erano cum una stringiente cimosa di mira factura innodati. Tra uno & laltro osso sopra le myrtee fronde vidi di bellissime ionice maiuscule tale scriptura. il resto dilla scriptura com la petra distructo. [p. 260 modifica]

Excitato summopere da tanta venustate di monumenti indagabondo, ad me uno epigramma alquantulo perplexo candido in marmoro trovai, solamente la parte inscripta di una arula rimasta. Il residuo confracto in terra iaceva.

Cum maxima delectatione et piacere questi spectandi fragmenti mirando, avido più anchora indagante altro di novo trovare. D’indi dunque qual animale quaeritabondo il pabulo sempre più grato non altramente transferendome per gli aggeri di ruine di ingenti frusti di columne, et tale integre. Dille quale volendo sapere la sorte, una mensurai al solo extensa, et dal socco fina alla contractura, trovai dil suo scapo la proceritate septeno diametro dilla sua ima crassitudine. Quivi proximo mi se offerse uno veterrimo sepulchro, sencia alcuna scriptura, nella quale per una fractura rimando vidi solo le funerale vestimenti, et calciamenti petrificati. Coniecturai ragionevolmente dilla petra sarcophago (per tale effecto) di Troade di Asia, suspicando dil cadavero di Dario.

Et ad vicino vidi uno nobile sepulchro di porphyrite, exquisitamente excalpto tra silvatichi arbuscoli, dil quale mi se offerse ad legere uno elegante epitaphio, et havea il coopertorio in templo egregio, et scandulato squameamente, una parte dil dicto sopra l’arca ristato, et l’altra iaceva deiecta solistima, et di tale praestante titulo inscripto. [p. 261 modifica]
Sotto ancora (de qui partitomi) di una corymbifera et errante hedera da uno deroso alamento di muro propendula, molto di fronde densa, uno spectabile zygastrion assideva di una petra all’eboro simigliante, fin allhora nella maiore parte ancora tersa et luculea. Dentro la quale curiosamente riguardando per una fixura, o vero rima dil coopertorio plano dui cadaveri integri riservati vidi. Per la quale cosa dritamente arbitrai che di saxo chemites era questo sepulchro. Nel fronte dil quale vidi questi hieroglyphi aegyptici insculpti, et intro ancora molte ampulle di vitro et molte figulinate di terra, et alcune statuncule archaeo more aegyptitio et una antiquaria lucerna di metallo artificiosamente facta, et nel suffito dil tegumento pendice, quella una catenula illaqueata retinente suspensa ardeva, et proximo alla testa degli sepulti erano due coronule. Le quale cose auree iudicai, ma per il tempo, et per il lucernale fumo infuscate. Tale fue la interpretatione. [p. 262 modifica]

DIIS MANIBUS MORS VITAE CONTRARIA ET VELOCISSIMA CUNCTA CALCAT. SUPPEDITAT. RAPIT CONSUMIT. DISSOLVIT. MELLIFLUE DUOS MUTUO SE STRICTIM ET ARDENTER AMANTES, HIC EXTINCTOS CONIUNXIT.

Laetificato cum incredibile solacio, per tanta varietate di antiquarie, et magnifice opere, ancora sencia dubio mi accresceva l’animo insaciabilmente più lustrabondo altre novitate investigare. Diqué et si prima lachrymabondo me excitava lo epitaphio graeco degli dui miserabili amanti di inedia mortui, molto più etiam mi se apresentoe uno spectatissimo, ma miserando monumento, di du’altri infoelicissimi amanti, in uno magno saxo extante, cum tale liniamento expresso. Uno quadrato per il diagonio sublevato, continiva in sé dui pillastrelli cum una coronula et semihemicyclo di sopra. Tra gli quali, dagli anguli dill’arculo propendeva una tabella, nella quale legiendo vidi tale miseroso epigramma. [p. 263 modifica]

[p. 264 modifica]Lecto il compassionevole caso degli sfortunati amanti di questo praestantissimo epigramma. De qui ancora summe contento partitome, non molti passi facendo mi occorse una nobile tabula di marmoro tetragona, cum alquanto di fastigio, cum due columnelle una per lato. De disegno immune et expedite. Et per il capto di tutto il quadrangulo era quasi evulsa una foliata corona, o vero gioia, diligentemente conducta. Nella quale io legi tale inscriptione. La quale petra in terra deiecta iaceva. Ma cum la operatura supina. Le quale elegante varietate non poco piacere nel’animo mio iucundamente accumulavano.

IN REM TUAM MATURE PROPERA.
VALE.


Più ardentemente invaso me trovava ad la investigatione dille dignissime opere antiquarie, mi sa presentoe una disrupta tribuna, cum riservato pariete dextro, nel quale vidi cum excessiva voluptate, uno porphyritico sepulchro, di excogitato dignissimo, et di operatura excellentissimo, et de impensa mirabile, et di artificio di sculptura incredibile. Il quale constava, ne li extremi lateri excitato da due columnelle quadrangule, uno suo tertio exacte, cum regulate strie, sopra uno pedamento cum la basi collocate, et a perpendiculo subiecta era una arula, cum tre elegante Nymphe luctuose verso il mediano converse collachrymavano. Per il simile dal altro lato, semidivulse dal solido, non senza li correlarii et requisiti liniamenti. Sopra li ambi capitelli lo epistylio ornato se extendeva. Poi con voluti di venustissime fronde et fiori [p. 265 modifica]investito, il Zophoro sopra resideva locato, di condecente coronula coperto. Tra l’una et l’altra quadrangula alquanto, uno solio, o vero nichio, cum regulata excavatura de stria promineva, ad libella dil piano, tra esse quadrangule. La prominentia dil quale faceva, da uno et l’altro lato dilla sua apertione uno pilastrello, cum capitelli et base. Sopra gli quali saliva una trabe inflexa. Tanto divulsi dal aequato, overo piano, che restava nella interiore parte, cioè ad gli labri dil solio, uno lingello. Ad libella degli capitelli, cingeva el solio, uno undulato illigamento, et di sopra la hemicupula. Gli quali pilastrelli egregiamente erano di scalptura ornati. Sotto gli pilastrelli iaceva una proiecta arula altiuscula, cum gli ornati degli sopra stanti pilastrelli. Tra una et l’altra proiectura dille dicte arule, overo subcolumnio, io vidi una inscriptione graeca, per la quale conobi essere questo il monumento dilla pia Regina di Caria. Cusì diceva. ARTEMISIDOS BASILIDOS SPODON. Cum sochi, et coronette, et sime, et gulule, optimamente il tuto cincto et sotiale. Nel piano inferiore dil nichio era uno plintho dilla narrata materia in aspecto bellissime deornato di scalptura, sopra la plana dil quale affixe stavano quatro aequilocate gramfie di leone di metallo inaurato. Gli quali premeva una antiquaria arcula, cum liniamenti di expresso insigne. Sopra il tectorio era uno scanno, per il capto dilla copertura, fincto di panno sericeo contecto, cum ambiente fimbriatura. Sedeva sopra una matrona Regina, cum regio culto, et maiestale indumento, nel pecto fibulato sopra una assettata vestitura. La quale dal collario in giù per il pecto, et transversariamente nel cingiere circundava una fasceola, et sopra il ventre dilatata in forma di tetraphila, cioè in una figura di quatro hemicycli. Nella quale di maiuscule graece era cusì annotato. MAUSOLEION ATIMETON. Cum la dextera teniva uno calice alla bucca potabonda, et ne l’altra teniva una virgula, overo sceptro cum gli effusi capigli, sopra il capo circumplexi d’una corona alquanto fastigiata, ad un’altra corolla nella cervice acuminata. Dalla quale concinamente, et pectinata descendeva la capilatura. Sopra il cuneo dil trabe arcuato promineva una ovola figura complanata di altecia fina sotto alla proiectura dilla Sima dilla coronice. Nella quale mirai impressa una facie di regia maiestate coronata cum barba prolixa, et la caesarie intorta. Arbitrai fusse il vero simulachro dil marito. Retinuta de qui et de lì da dui nudi spiritelli alati, sopra lo extremo circinao dilla trabe arcuata sedenti. Gli quali cum l’altre mane solute, extento il brachiolo, una cordicella aenea r [p. 266 modifica]tenivano propendula incurvata. Per la quale demigrati erano alcuni ballusti. Et dalla retinente mano perpendicularmente tenivano pensile uno filo rameo syrmato et imbaccato, tuti optime inaurati. Sopra la plana dilla corona proclinato alquanto ascendeva uno plintho, cum multiplici ornati. Nella sua plana nel mediano anteriore resideva una rotundatione di metallo. La quale in concluso havea una nigerrima petra, ancora speculare. In la quale vidi tale scriptura di maiuscule graece EROTOS KATOPTRON. Il labro ambiente di metallo uno palmo di latitudine coaequata venustamente era bullato. Nel supremo circinato suo recta stava una perfecta imagine nuda dilla materia metallina inaurata, cum la dextera tenente una hastula, et ne l’altra uno antiquario clypeo, di egregio liniamento inscalpto, da uno et l’altro lato di questa rotundatione, uno de qui et l’altro de lì, cum il dorso appodiati sedenti sopra la piana dui alati puelli, verso le proiecture una facola accensa tenivano.

Nel clivo dil plintho sopranarrato similmente cum il dorso sedendo erano dui nudi infantuli et alati, sopra la plana dilla corona, cum le mane in conspecto retinivano uno pomulo, et cum li brachioli intranei rapivano uno veterrimo candelabro aeneo lucentissimo inaurato, in forma di vaso per una delphinea ansa. Le quale anse erano dui repandi, et mordici delphini ad uno nodo, et cum la cauda derivavano adunce sopra la corpulentia dil vaso attenuantise fina alla conculata hiatura, cum dui altri nodi verso lo orificio. Il quale alquanto in circulare dilatatione, sopra il labro ordinatamente erano infixi quatro acuati pironi, et nel mediano uno, gli altri excedeva cum il pediculo tra le tibie degli pueruli. Tuta questa scalptura fundata assideva sopra uno quadrato ophyteo dal pavimento surgente, nudo di liniamento excepto che nel mediano excalpto, vidi uno maritimo overo navale trophaeo, pensai in monumento dilla victoria adepta, devicta la classe degli Rhodii era uno rostro, overo parte dila prora rostrata, d’uno veterrimo navigio, nel mediano dil quale promineva uno troncho, neli rami dil quale investita era una militare toraca, et per lo exito brachiale, gli rami se extendevano truncati di cime, ad uno degli dicti appenso era per el canono uno clypeo, dal altro uno instrumento navale, sotto la torace transversarii nel trunco dependevano una ancora, et uno temone, sopra la cima dil stirpe exeunte el collario, una cristata galea era bellissime apposita. Le quale tute cose non è da credere, che sencia symmetria, et maximo artificio fusseron exquisitamente cum tuti gli requisiti liniamenti expresso, et faberrimamente depolito, digno di spectatura et memorato aeterno. La commensuratione dil quale, chi sa la proportione dilla sesquialtera facilmente il conducerà perfecto. Suspicai che da uno gli scalptori dil Mausoleo et questo fusse absoluto.

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Facile non mi se praesta cum quanta hylaritudine io accuratissimame

nte mirava tanto di memorato venerande opere opportunamente narrare.

Cum l’animo più irritato sempre cose di novo ritrovare. Diqué alhora

gli ochii mei dal magnifico et superexcellente sepulchro apena di

moti, ancora per le strumose congerie di ruinamenti exqui

sitamente explorando, trovai etiam uno elegantissimo

saxo. Nel quale cum incredibile politura, ascalpti mi

rai dui nudi pueruli, una bipartita cortinula rise

ranti, uno de qui et l’altro de lì monstrando

due bellissime teste, di adolescente l’u

na, et di una ingenua virgine l’al

tra, cum uno miserando ca

so nel Epitaphio di

perfecte notule

suscripto

tale.

*

* *

*

r iii[p. 270 modifica]

Non molto distante da questo, alquanto commoto a suspiruli per il praecedente infoelice caso lecto, trovai uno altro spectando et dignissimo monumento, cum due striate columnelle una per lato, semicycle exacte dal solido saxo, marmoro candidissimo, cum basule et capitelli, trabecula, zophorulo, coronicule et fastigiolo, nella figura triquetra, dil quale due albicante turturule in uno vasculo combibevano. Nel contento tra le striate di curto inscalpto era uno inarcuato suffito, aequamente distributo in quadriculi lacunulati, ove per singulo occupava una pentaphila a norma optica, minuentisi le liniature cum il contento. Sotto il quale una artificiosa arca alquanto promineva, appacta cum due porticule. In una dille quale intravano

imagine nude. Nell’altra puelli nudi ussivano, cum gli tituli nel media

no contenti, coniecturai ragionevolmente indicare questo mondo

essere una arca, cum due porte, chi entra morendo, et chi ne esse

nascendo, et uno et l’altro plorabondi, la quale iaceva sopra

dui harpyiatici piedi in folliatura conversi, et nel me-

dio uno pede puro di liniamento. Soto la ligatu

ra dil curto voltato, tale epitaphio mirai

di impietoso et disperato caso.

Nel residuo tali insi

gni vidi.

*

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r iiii [p. 272 modifica]

De qui cum laetissimo solatio partitome, cum curioso desiderio nove cose spectare percupido, ad una tribuna semiintegra properando, io mirai alcune reliquie exquisite, di pictura museaca, vermiculatamente facta. In questo loco sepulchro alcuno non trovai, ma nella vitricularia pictura ancora Proserpina cum Cyane et cum le Sirene, fiori colligente apresso l’ardente monte di Etna perfecto si cerniva. Ove Plutone reserando il cratere pyrivrizo dil flammispiro monte, al suo amore volupticamente la rapiva, et Cyane per non la potere soccorrere pietosamente illachrymante. Quivi trovai ingenti saxi dil putrescente muro patorato, et herbescente per le rime di Asterico et di urcelarea. Il quale era etiam implicito et distruso, quale da infixo cuneo di uno radichone di annosa caprifico, che per tuto le radice oborte serpendo, distructe havea le tessellature, et lo coito dille compacture diserto, grandi laxamenti de le parieti ne rendevano.

Diqué io solamente mirava parte de uno fluviolo, pareva vestigio di humana forma in quello tramutata, di arte incredibile fincto, et mirabilmente expresso. Quale simigliante unque nel delubro di Minerva in Capitolio nella tabula se vide il rapto dilla dicta, da Nicomacho depicto. Ove cum la mente applicata a tale piacevole respecto essendo, ecco che a spalle sento la casura d’alcune tessellature, et a mi solitario, in deserto, et silentioso loco trovantime, repente me alquanto pavefacto, et retro volventime mirando, vidi uno ascalabote, overo murilego, che era stato causa di tale ruina.

Per tanto non poca displicentia me invase, per non potere l’opera tuta integramente mirare, per essere in la magiore parte demolita, et rupta, et dalla subdivale relictione laesa. Considerando dunque il violentario modo, che repente surrepta fue Proserpina, uno subitaneo et tristo pensiero nel amante core diciò feramente me percosse dicendo. Omè meschino impudente, et infoelice. O importuna indagine, et effrena curiositate dille cose praeterite, et di saxi fresi disquirente, ad che son divoluto? Si per la mia mala isciagura la mia bellissima Polia da me fusse rapta, et per incuria di tanta cosa praesente, oltra tuti gli thesori dil mondo gratissima, mi fusse abacta. Et in momento una più acerba percossura me transfixe il tristo core, cum uno inseme vehemente et crebro pulso, presentantise già nella mente confusa, il piatoso et lachrymabile caso, che il fugitivo dill’ardente patria incautamente perdete la sua dilecta Creusa, et molto più excessivamente me conturboe invadendo tale terriculamento memorando, che ad gli harenosi litori, et solitarii, distracta dalla mia praesentia la amantissima mia Polia sola sedeva. [p. 273 modifica]Et che cusì ad ella il tridentifero Neptuno violentemente non facesse, quale ad Medusa. Omè che a questo puncto io certamente experimentai, che cosa è la afflictione di spirito, et la qualitate de gli veri amanti. Extremamente più tremefacto, perterrito, et stupefacto, et in magiore angustia trovantime, et in più misera trepidatione deducto. Che quando me vidi quasi absorbiculo putrescibile tra le hiante et horrende fauce dil venefico dracone al finitimo interito. Cum tanto terrore, che io poteva arbitrare essere per il sacerdote et simulachro amoto dil templo peleneo, discussa della mente omni serenitate, recrudescentise omni hora, più il formidoloso dolore nel fluctuante core.

Per la quale cosa impulso dalle coquente cure, et urgente angustie, sencia mora alcuna ocyssimamente aeripede, lasciando tanto incoepto nobile, et praeclara inquisitione et laudabunda lustratione, et virtuoso solacio, repente dunque per quelli amfracti et infesti cespugli, et asperi virgulti, et per il loco salebroso di petre et di spini coarctato, et per quelle prolapsione di marmori, et informe strue di rudimenti et fracticii inconcinna scrupulosa et tra caustiche urtiche et avie ruine propero, cum infenso curso, per vie asprete, et innumeri offendiculi cum prompta velocitate, non istimando dilla mia pannosa toga la laceratione, di qui et de lì, da spinose fronde ritenuta, et tuta piena di lappe et di lanugine, et papi di cardui et di barbula hircina, et di sonco, in alcuna parte complicata dalle rapace semence di Cynoglossa, fermamente tenendo di essere pervenuto nelle novissime erumne, et formidolosi discrimini, et ultima et exitiale privatione di omni mio sperato bene alla mia dulcissima et oculissima Polia, non tuto vivo ma semimortuo, quale asmatico trahendo il fiato, non per altra via, che si ’l grave odore dil babylonico hiato hausto havesse, cum gli ochii di rore lachrymabile madenti, ad essa vicino provolutome ispasimato, cum non credibile cordolio et tranguscito apena io gionsi.

Et lei cum l’animo molliculo commota, cum serena fronte, et propiciata facie commulcente cusì lurido et afflicto cum assiduo pulso nel mio doloroso pecto cum exangue pallore trepidante miserata dolentisi, cum amorosa pietate, se ne maraveglioe, sublevantime lepidula nel gli sui dolci amplexi, cum una genuina dulcedine, et cum uno tenuissimo velamine crociculo, la mia facia sucida, et rorefacta in uberrimo sudore cum amoroso obsequio levemente perfricata, me et officiosissima et cum blandicie assucava. Diqué la causa et l’accidente di tanta amara et turbabonda angoscia cupida siscitante, et me benignissimamente blandiendo, [p. 274 modifica]te con quelle suapte et suadibile parolette et demulcente eloquio cum elocutila facundia, che opportunamente ad recrearme expedivano, et al vivificare de uno corpo in morte defformato, io alquanto et satule relevato ritornai et in me paulatinamente le prosternate virtute vegetantise, et sublata, nel venerando suo gremio iacendo, omni trista formidine, gli narrai sospirante, et gemiscente la suspicaria cagione, piacevolmente surrise, et amorosamente cum prompti savioli basiantime, cum egregia solertia, m’assicuroe dicendo. Che presto lei aspectava il sancto Dio d’amore Cupidine. Et peroe blandicula me suadendo exhortava, che io pacientemente dare opera dovesse ad piacere. Perché il sofrire più dille fiate, è causa di nobilissimi effecti.

Consolantime la mia bellaza Polia dunque a questo pacto pare a llei residendo la semifugata vita ricentomi. Convertitose il buxante pallore nella sua coloratione, et mutata la trepidante invasione, in generosa magnanimitate evasi. Ma quale cinereo cadavere overo pulvereo corpo putrefacto propinquo alla mia diva Polia, che integramente, et al numero non fusse reiterato vivifico. Per tanto gli ochii habituati ritornorono al suo assueto quaesto, et peculiare pabulato, tenacemente in lei confixi.

Ecco che epsa glenea Polia cum praestanti gesti, et modeste moventie, et cum coeleste sembiante, et festiva facie, et cum custumi patrii, cum exornata bellecia, digna et inclyta di sempiterno intuito, et veneranda spectatione, di ingegnio forma, pudore egregiamente praedita, compositamente sencia mora, et cunctatione alcuna se levoe dal grato sedere di sotto dil frondoso umbraculo, et cum riverente venie et inclinatione debitamente venerabonda, et sencia moto alcuno, cum singulare riverentia divota si stava ingeniculata, cum la facia di vermiglio perfusa, più che gli melli claudiani russulenti.

Per la quale cosa io di tale cagione et acto ignaro, et disaveduto, perché gli ochii indesinente ad contemplare le immense bellecie retinuti, et sedulamente occupati. Non sapeva rivocando dislocarli, né summoverli, et d’indi acconciamente declinarli. Et io il simigliante feci (di repente ad essa acostato) me geniculai in terra.

Et ecco che l’era (me non advertente) di ricontro ad nui il divino Cupidine cum nudo et intecto corpusculo venusto et pulchello puello in una natante et celere navicula repraesentatose, cum gli ochi sui svelati navigante ad gli susuranti litori, ove sedevamo praestolanti. Et ad lo anticho (dalla aetade aemula friato) mole cum la pupe giungendo, per niuno modo [p. 275 modifica]gli ochii mei per la disproportione non pativano nella caeleste formula fermamente (se non presse le palpebre) collimare tanto splendore rutilante quel puerile, et divino aspecto spirava, che per questo più di non essere tra gli mortali ragionevolmente suadevami. Ma sencia niuno fallimento veramente di essere tra gli divi heroi, mirando uno coelico spirituale corporeo informatose, et ad gli materiali ochii insuetamente et raro sensibile monstrantise, et obiectare. Diqué in extremo stupore deiecto l’animo speculava el suo capo obaurato di crispuli, et tenuissimi crinuli, cum dui grandi et illuminanti ochii di praecipua maiestate spaventevoli. Il lume degli quali oltra il vacillamento el mio debile intuito mortificavano. Daposcia le rotunde et tumidule gene di purpurante rose suffuse, cum tute le altre parte tanto belle, che io meritamente maxima foelicitate reputarei quello che solamente il percogitasse, non che exprimendo. Et come volatile idio alle sue sancte scapule due ale prominevano impacte, di plumule d’oro, di colore rosaceo pavonio, et cyaneo, et di colore molochino, et micante adglutinate. Perseverante la mia patrona et dioclea Polia, et io geniculato stetemo cusì dummentre il volabile Dio incommincioe a parlare. Il quale conobi per coniectura mirabondo, et esso di tanto opificio di Polia la raritate admiranda, et la magnitudine di tante virtute et bellece stupenda, pensando io verisimelmente, che alla sua bellissima Psyche nel animo non sencia concupiscentia più venusta, più praestante, et di più eminente excellentia l’antiponeva. Et quivi cum loquela di coelico afflamine voce formata. Da ricompaginare omne dissoluta cosa, da risvegliare illaesamente gli sopiti cadaveri ne l’humida terra, et fori de gli aeterni sepulchri, et ancora dalla initiale materia. Et da infrenare la edacitate del insaturabile Vulcano, et di fare deponere il turbido tumore degli horridi flucti, et mitigare la inquieta alluvie dillo intemperato mare, da taciturnare gli gemebondi litori, et da quetare gli spumanti et derosi scopuli, da incitare qualunche casso alla sancta Venere, et al piacevole suo famulitio, cusì fece le sue suadele parolette. Polia Nympha, et tu Poliphilo negli amorosi obsequii, et sincero culto dilla veneranda nostra genitrice intenti cultori, et negli mei fiammanti fochi intrepidi religiosi effecti. Nel divino suo conspecto sono gli vostri puramente votati sacrificii seduli interventi pervenuti, et le vostre devotissime prece, et dedicato servimento, et casti obligamini. Diciò gli ardenti vostri desiderii merita, et efficacemente se diffinirano, secundo che oranti impetrato haveti. Ponite dunque cum il tuo [p. 276 modifica]individuo comite cum sicuro tutamine nella mia navicula. Il perché demeare al materno regno, et destinata insula, non vale alcuno, si io come suo proprio navarcho et portorio non gli traiecto, et cum divini ragionamenti facetamente la invita intrare. Polia allhora non morante, et impigra festevola la mano mia alacremente ripresa se levoe silendo, ma tuta prompta, et cum elegante acrimonia cum profunde veneratione, et veniali flexi, et ella et io salita sopra la fatale navicula, et nella puppe postase ad commoda sessione, et io par a lei sencia inducia, quelle dive Nymphe compositamente dal exeso litore, quanto uno tirare di mano remigorono. La navicula era una exeres, cioè una navicella non futile, ma confixa cum remigatorio di sei remi, cum mirabile illito exteriore, non di palimpissa, né di zopissa denigrata, ma di uno pretioso liquamine composito di amigdalato benzuì, ladano, mosco, ambra, zilibeth et cum gemina styrace, et cum ordinata distributione di quantitate, com mixtura nobilissima per tuto deuncta, et di excellente artificio compaginata, et contexta di legno sandalo biancho, et citrino odorifico, et di grave, et non carioso ziloe mananti mirabile et nunque tale sentita fragrantia sopralinita, confixa di claviculi d’oro, gli quali nelle sue bulle, overo suo capo papillato lucevano di miro artificio inclaustrate gemme pretiosissime, gli constrati et gli transtri erano di sanguinaceo sandalo. Rendevano oltra modo exhilarante il core. La quale miranda et insolente navicula, remigavano sei aptissime, et summamente disposite, et herile puelle. Gli remi cum le palmule erano di illustre et niveo eburo, non cum raphano, ma genuino praenitente et gli scalmi d’oro, et gli strophii di commixta et intortila seta. Vestivano esse puelle ditissimamente di lympidissimo panno, alle celere et modeste aure inconstante, et volabonde, impedito dal reflato presulamente cum voluptica ostentatione degli membri dilla subadhaerente forma il fiore dilla aetatula dimonstrava cum la testa invilupata concinamente di abondante trece biondissime, alcune cum ubero capillamento lucido più nigro di hebeno indico. Et quanto grato si praestava di videre dui oppositi accostatisi. La carne ultra modo nivea, dil volto spalle et pecto intorniate uberrimamente da come nigerrime, disposite in spiri, et texture, lascivamente colligate di cordicelle d’argento, cum innodatura et laquei tanto piacevoli, et gratissimi ad gli sensi, quanto unque cosa voluptica apparere potesse da rivocarli ad sé da omni altro spectabile intuito et mancipato scemoti, sopra la cervice coartati di orientale perle. Alle quale ceda quella, che [p. 277 modifica]Iulio comparò per la cara Servilia. Et alcune haveano di rose et d’altri conspicui sertuli di flori implicati gli crispulabondi capegli, capreolatamente la lucida fronte inumbranti. Cum sumptuose collambie di turbinate petre di vario et consotiale coloramento pretiosissime, ambiente la lactea et drita gula. Daposcia strictamente erano nel transverso cincte sotto convicino alle dure mamillule, ad succumbere al tenuo indumento pectorale obstinato obstaculo. Le quale quantunque violentate, niente di manco al suo incolato, alquanto quassabonde, proterve ritornavano. Il quale pectorale nel circuito dil collare havea uno exornato, di soprafilo d’oro, contexto in maxima politura di expresso, di fili coartati, cum gli oroli di ordinate et pillulate margarite, et per il lungo di questo septo compositamente dispanse lucevano pretiosissime gemme. Replicare aptamente io non saperei, quello che ad me licentemente fue conceduto, et facto participe di speculare, omni cosa discussamente nell’animo versando, cum amoroso excogitato amplexabondo, nella memoria repetendo, nella mente uno dolce fruire repraesentando, et dulciculamente di tanta bellecia uno suave piacere verisimilmente usurpava. Due dunque di queste Aselgia, et Neolea erano di lascivo exornato pretiosamente indute attalicamente di panno chamochayno intramato di trama aurea, et di ordimento di seta cyanea. Quale il Re Attalo in Asia non valse trovare. Du’ altre similmente Chlidonia, et Olvolia, haveano il voluptico vestire Babylonico di pretioso Thalassio, cum variata textura. Le ultime Adea et Cypria, investite erano di nobilissimo Melledaro, cum vermiculata et aerea sutura, cum minutissime et pervie fracte plurifaria laciniate, nel fondo supposite bracthee d’oro nelle extreme phimbrie. Et al coniuncto degli brachii era latamente uno exito dil proprio vestito, donde ussivano li eburnei brachii nudati, per obstentatione di altra albencia, che il lacteo coagulamento, cum tutti gli ornati requisiti, et Nymphali additamenti. La fresca et lasciviente aura poscia secondo il moto suo, tale hora la forma dil rotondo, intacto et duro alvo reflando propalava, et il spectabile pube, talhora le polpose choxendice, alcuna fiata le tremule Nate. Poscia negli longiusculi petioli il calciamine a forcia (cum corniculario conducto) riportato, tali erano di Cyaneo sericii, et di verdigiante et punicea coloratione exquisitamente cerdati. Nel vertice dil pede cum sinuata apertura lunati, expolitissimamente conseptati, cum oroli et fibule d’oro politulamente corrigiati, et cum crepidule et cum socciculi obaurati. Et alcune cum cordiculi sericei di oro acuminati, et alternatamente per alcuni suppressi [p. 278 modifica]orbiculi aurei traiectati strinxeron. Et cum altri plurifaria exornati, di lasciva et virginale solertia, ad gratificare gli sensi cum operosa voluptate inventi. Queste tute cose di praecipua dignitate tanto gratiose, et spectatissime se offerivano al nostro amoroso mysterio, quanto all’ardente fiamme la pinguitudine, et ad Vulcano la materia sulphurabile, et dil Tartareo baratro la vigile custodia ad Cerbaro trifauce, et ad Megera, et alle sorore il spavento mortale. Et la florida iuventa all’amoroso Cupidine. Et alla matre le commode latebre. Separati dunque dal saburaceo litore. Queste dive Nymphe navicularie gli eburnei remi nel piano constrato per gli gyroni bellamente infrenorono, et ciascuna cum gli formosissimi vulti verso il nudo signore, sopra la prora stante, cum maiestale reverentie laetamente se rivoltorono et le candidante spalle ad nui. Il mio genio, et Polia cum luculentissimo confabulamento me disse. Poliphile mio (postposita, et recusata qualunque altra cosa) amantissimo. Voglio io che tu intendi et conosci, che queste sei praesente virgoncule sono praestissime di quel signore pediseque, et opportunamente ministrante al suo placevole famulitio. Sedendo dunque, queste solatiose, decore, et praestante Nymphelle sopra gli sandalicei transtri binate, verso il divino signore voltate, et ad nui il delicato dorso. Il divino gubernatore le levigabile ale distente explicando, chiamato cum odorifero spirito ad sé il suave zephiro, ventilabonde rendeva le sancte penne, più che ardente carbonculo alle praelucente facole corruscante fulgetra, et implete di florifera aura le plumatile ale, incomminciassimo di abandonare gli garulosi litori, et di navicare sopra il profundo et spatioso pelago, cum grata malacia tranquillo, et essendo di grande, et timorose veneratione, et di singulare dolcecia, et alacritate il mio amoroso, et contumace core constipato et tuto conquassibile enucleatamente cum il mio genio cogitava, quale si potrebbe tanto inhumano core unque ritrovare. Overamente uno tale di tanta duritudine tanto vivido et tanto vigoroso, quantunche più scabro dil cortice dilla palma chimerare, che ad cusì facte belle, et concupiscibile praesentie, et divi obiecti, ad omni mansuetudine tenerrimo et mollissimo, et mortificato invalido, et lenissimo repente praestato non se havesse? Et quale incarcerata et extincta concupiscentia, et glaciale, et depravato appetito che gli tenaci claustri, et mordenti laquei quivi vigorosamente non havesse disfracto, et ristaurato aptissimamente alli venusti, bellissimi et amorosi spectaculi, et non se harebbe vertito in flammigena Etna, [p. 279 modifica]et quale Diana harebbe spreto sì benigni fochi? Da contaminare il casto Hippolyto, et far lascivire la pudicissima Orithia? Ma quali se doveano sentire quelli che totalmente erano apti, propinqui, et uniformemente dispositi? Me ritrovava come il pisciculo nella bulliente aqua nato. D’indi poscia extracto et nelle altre aque ad bullire postovi, mai non se coque. Oltra poi stupidamente quel spiritulo divino mirava, et in le sue obaurate pinne, alcune inquietule plumule tenelle et delicatule, quale sono alle immature ale dil alieto, ancora dal nidificio non volante, et ad gli roriferi venti tremule resultante. O quanto gratioso, et quam iucundissimo ad gli sensi le pinnule auree punicee se praestavano. Il quale colore aureo in alcune penne refulgeva et di coloramento phoeniceo. Tale di colore glauco, et di tinctura smaragdinea, et di coloratione molochina, et di cyaneo et più dilla icterica avicula gialle, in colore aureo spectatissimamente coeunti. Et cum harmonica dispensatione per le divine ale decorissime. Per la quale cosa tuti gli giogielli dilla foeconda natura costì participatamente a ffolgorare distributi, facilmente arbitrava, perché irradiavano quale mobile et tenuissime bractee di puratissimo oro, all’aura suspese, et al chiaro sole ventilabonde. Venustamente le aquae degli placidissimi colori dipingendo. Dilacerati poscia dalli instabili, et crispulanti flucticuli per uno grande gyro aemulante. Mirava ancora et la incomparabile bellecia dil divo composito di Polia. Di hora in hora sempre più deliciosa et formosa praestantisse. Dapoi mirava et il purgatissimo aire et sereno, il tempo moderato et placido, et le salinose aque cerulee, quale perspicuo crystallo lympidissime videntisi fina all’apertissimo vado. Et indi et quindi molti arborosi scopuli, et di virdura vernea ornate le sporade insulete, folte di fogliosi arbusculi verdigiante, et iucundissimamente umbricose, et molti vagi lochi dagli sensi luntano se perdevano. Et nelle complanate, unde come machule appariano. Similmente gli frondiferosi arbori, umbriculavano le littorale ripule, et il verdoso reflexo poscia nelle nitidissime et speculare aque, come il proprio cernivasi. Procedendo dunque il solatioso et triumphante navigare nostro. Ove praesideva lo imperio, et la divina monarchia dil potente Amore, ove resideva quel signore, che in extrema dolcecia se rende austero, et in austeritate se fingie tanto suavemente dolce, et in dolcitudine tanto amaro, et in amaritudine se praesta tanto piacevole. O foelice peroe, chi naviculando persentisse le sue pennose ale prospere et seconde. Ritrovantime dunche cusì tra dui sì grati signori. Lo uno me infiammava, l’altro consumantime. Ecco che gli dii marini Nereo cum la gratissima Chlori, [p. 280 modifica]cum le filiole, Ino, et Melicerta, sopra le non spumose unde festigianti venivano, sopra le bige sue advenerando il divino puello. Et quivi il fluctigena Melantho, overo Posidonio cum la cerulea barba hispido cum la pungiente, et tricuspida fuscina dalle grande phoce remulcato, et gli cerulei et tibicinarii tritoni cum le sonace conche buccinanti, che per l’ethera mugiente risonava il clangore persultanti, cum una turbula di Nymphe dirce et le Nereide, sedente sopra gli velocissimi et pandi delphini, al flato aquilonare perpeti, vehectori di Arione amici dil nome simo, et pistrice, et il monstruoso Cephiso.

Et cum questo medesimo ordine vene il patre antico cum la coniuge Tethy et cum Erate, Ephyre, et Phillyra, Hippo, et Prino filiole festivi sa presentorono, et daposcia la figliola di Nereo, cum il dolente Esaco, cum la voce luctifica, vestitosi di anthracino colore overo di fusca veste pullato per la sua cara Epiriphe morsicata dal venenoso serpe. Et Halcyone querula dil suo dilecto et expectato Ceyce, volanti festigiavano. Et Protheo tracto dagli hippocampe, et Glauco piscatore, cum l’amata Scylla et gli altri pissatili monstri, molti hippopsarii et Anthropopsarii, cum inopinabile plauso cum fluxo et refluxo, et fragore dille obvie et canescente aque sumergentise, et d’indi poscia burrivano, et cum honoraria veneratione, cum solemne honorificentie, cum ingenti stridori, lectissimi fluctivagi, cum monstrifica, et pissacea effigie. Et ancora una moltitudine di litoracole avicole, et albissimi cygni, alcuni natanti, et alcuni per l’aire volanti, et cum la extrema voce cantanti concenti suavi adsonavano. Laude et gloria unanimi derono, come ad gli omnipotenti dii subditi, gratulatione celeberrimamente exsolvendo, facendo et iocosamente grandi fragori cum gli movimenti di l’aque, agilmente, cum le spirabile brance, et alicule et remigante pinne saltanti, et salienti, et cum grato strepito obsibilavano. Per la quale cosa io incredibilmente oblectato tanta varietate di aquatici dii, et Nymphe, et monstri per avanti da me numquam visi cum tanto venerato tripudio, et honorificentia exhibita al divino puero, et mirabondo stava stupefacto. Imperò non meno unquamcho triumphatore me arbitrava, che qualunche in Roma ovante, et allhora per essermi dagli dii benignamente tanto bene communicato, più foelice me existimava dil fortunato Policrate.

Acadete hora, che essendose il core mio già domesticato, in uno solacevole foco cum plenitate di dilectoso piacere, et contiguo alla mia delitiosa et diva Polia. Ultra tuti gli memorandi spectamini gustava uno reficiabile odore, dalla summa munditia et delitiosa lauticie spirante, dilapso in maximo stupore cum il mio genio tra me diceva. Ecco quello che io ardente [p. 281 modifica]te concupiva ho hogimai victoriosamente adepto, et apertamente io il vedo, et quella salutare ope, tanto longamente exoptata, amplexata io la tengo, cum non minore oblectamento et voluptico solatio, che la splendente Cynthia solacevola, cum il suo dilecto Endimione, dille vadose aque scrutatore, relicti gli suprani regni, nella vacilla, leve et piscatoria cymbula, apresso gli lamii scopuli. Né tanto etiam Paride gloriare si poté dil litigioso iudicio. Né dilla trafugata Ledea navante cum li tumidi carbasi di sufflante austro. Né Iasone dilla malefica et decepta Medea. Né Theseo dilla minoida praeda. Né ’l Capitaneo Romano dilla ambitiosa Aegyptia. Né tanto se potreberon gloriarse parimente le nepte dil proceroso Atlante dill’avo suo, cum gli robustissimi humeri il stellato cielo sustinente. Né il pictore Apelle dill’amoroso dono, che gli fece il Magno Alexandro, né tanto acceptissimo è il Spicilegio alla flava Cerere, quanto io di havere allato me la mia diva Polia, il venustamine dilla quale harebbe velocitato il tardo Saturno, et firmato il velocissimo Phoebo, et stabilito il caducifero Cyllenio, et d’infocare la frigida Diana, et di havere ancora gli dii officiosi.

Naviganti dunque cum leve et suave appulso dille praestitissime aure, io cum scrutatorio et perspicace et inconstante risguardo, intentamente non potendo affirmare, hora l’uno, hora l’altro speculante. Ma diciò discernere non valeva né limitare d’ambi dui la disparentia, se non dilla divinitade. Et quivi fortemente da una inexcogitata dolcecia compulso ad ambidui l’alma mia liberamente repudiava, alla potentia di uno commendantila, che acconciamente gli poteva le sue amorose soterie condonare. Et al volere dilla insigne Polia, che essa ancora benignamente praestasse il suo consenso. Ma pur indubitatamente existimai confiso et freto, che ad tale maiestale praesentia, et venerando conspecto, altro effecto et exito spirare non poteva, che ardente amore, et che lei hogimai dilla sua triumphale navicula fugire più non valeva né repedare, et molto più sperava la sequentia dil mio extremo optato, per il dicto, de gli amorosi hieroglyphi dil ventilabondo vexillo, di questa gloriosa navicula dil divo et potentissimo Cupidine, ove exultabondo di essere conducto in tale dignificatione beatissimo, et gloriabondo di essere ornato di cusì excellente comite, et amorosa reciprocatione, che cusì gloriarse Apollo non se pole dil ornamento dilla sua pharetra, et cithara dille peneide fronde. Né Policrate dil reperto dil annulo suo. Né ’l Magno Alexandro dille adepte victorie et elevati trophaei, quanto io glorioso me iudicava in tanto triumpho ritrovantime. Niente dimeno ultra il credere mirabondo, per quale modo, over instincto, in quel divino corpusculo tanto activo, et sforcevole foco foetosamente fusse collocato. Il quale l’universo infiamma

s

[p. 282 modifica]et adure. Transcende penetrando gli solidissimi cieli, et d’indi sencia diminutione alcuna la profunditate dill’abysso, foco di mirabile natura. Al quale la liquante Thetys, né l’antico patre Oceano. Né il tridentigero Neptuno poté unquancho resistere. Quale foco è? Che gli mortali in quello summa cum dolcecia morendo se nutriscono, et viveno. Ancora magiore miracolo mirava deiecto in stupore. Come in quella fiocata neve dil delitioso pecto di Polia sencia contrasto ardesse? et rose purpurante germinasse? Cogitava affectuosamente come lui ancora ardesse, in quelli lilii candidissimi repleti et superafluenti di suchioso et lacteo humore? Non me sentiva etiam habile di discutere, come se infiammava sì acremente in quelle micante rose pullulante tra hiberne pruine dil rigente capricorno? Ritrovavame similmente ignaro, in che modo il spirabile Eulo negli festevoli ochii dilla callima Polia, cum tanto impulso di solicitare provocando quel foco tanto infiammabile? che tanto cum incendio gli radii leonini dilla classe gaditana, ad cremare quella dil Re Theron non procedevano, quanto dagli ochii sui uribili nel mio core irradiavano, inscio più et amente per quale maniera Pyragmon et gli compagni haveano fabricato in quelli la sua sì fulta et domestica officina a fulgurare? Ma supra tute cose questo excedeva, che io per alcuna solerte via non poteva investigare. Cum quale virtute tabescente colliso, mortificato, et dil tuto prosternato ad tanti improbi insulti, et crebre pugne dimicante repugnava? Cum il fulguricio core captivo et strictamente revincto. Intorniato da hostile piacere et circunvallato di accense et gratiose fiamme. Le quale (contra il suo proprio ome) di non potere, quel pungiente senticeto, et quel asperrimo, et imbricato cardeto conflagrare, nel core mio angulatamente impliciti, et da quelli placidissimi ochii dil sancto thesoro dil magno Cupidine fidi dispensatori diffusamente disseminati. O dulcissimo volucre (voltato ad esso idio poscia diceva) come niduli suavemente ne l’alma mia? O perameni (poscia ad gli ochii stelliferi di Polia diceva) O dulcissimi carnifici, come dil mio tristo core haveti saputo, una tanto constipata et confertissima pharetra, ad gli divini fianchi di Amore componere et cingiere? Niente dimeno sempre mai più gratiosi vi opto, et caldamente desidero, molto più et sencia comparatione, che non desiderava in tante noxie erumne, et supreme, et mortale fatiche lo auriculato Lutio le vermiglie rose, et più grati et opportuni che alla infoelice Psyche il socorso dilla granigera formicha, et il monito arundineo, et lo adiuvamento aquilare, et il punctulo innoxio dilla sagitta di Cupidine. Per le quale tute cose, non poteva però rivocare l’ardente alma fora dille delicati brachii et voluptuosi amplexi dilla mia calliplocama Polia, perché gli mei insaciabili concepti, ivi egli havevano ferma et aeternalmente incarcerata, et proscripta,