Hypnerotomachia Poliphili/XVIII
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Et io attentissimo riguardantila in tuti acti scrutariamente observava. Et nello aspecto hora la vidi tale, quale il lucidissimo Phoebo cum il novo dì la fresca aurora colorabondo dipinge. Et quivi cerimoniosamente cum le prompte, et intemerate mano, uno odorante liquore fora exhauriva, et il suo lacteo et invermigliato volto spirante purpurante rose, cum le delicate mane madefacte tuto accortamente ella irrigoe. Diqué cusì divotamente purificata cum più sinceritate, quale forsa non hebbe la virgine Aemilia. Dinanti al grado dilla sanctissima Ara, ove extava uno mirando candelabro aureo. Il quale era di exactissimo expresso spectatissimo, et di crasse gemme elegantemente circumornato et glandulato. Nella sua summitate promineva exigentemente una circulata apertione di concula, overo una platina, meno di uno amplexo ulnale. In questa dunque posito fue il suavissimo sperma degli ingenti ceti, mosco odorifico. La crystallina et fugitiva Camphora, olente Ladano, dilla magna Crete. Thimioma et Mastice, ambidui gli Stiraci lo amigdalato Beenzuì il ponderabile Zilaloè blactebisantis, overo ungule indice, et gli felici germini di Arabia. Le quale tute pretiose cose erano cum distributo pondo optimamente gradate. Alle quale la solicita Polia, et cum exquisita diligentia venerabonda, admonita lo ardente cereo pose. Poscia che questi aromatici hebbe accensi, sencia altro pensare il cereo extinxe, et da parte lo riponete. Nella quale fiammula fumicosa, et incomparabile fragrantia renidente, postovi uno ramulo di arrido myrto accense, et di subito sopra la sacrificale Ara, ove egli l’havea tolto ritornantilo acceso, tuti gli altri ramusculi sopra la dicta ara collocati infocoe, diqué intenta et affectuosamente edocta, in questo foco gitoe il paro dille candide turture. Prima diligentemente depiumate, et sopra la sacra mensa amclabri iugulate, exdorsate cum il secespito, et insieme colligate cum fili d’oro, et innodate, et di purpurante serico, havendo cum summa veneratione il caldo cruore nel prefericulo riservato. Proiecte dunque le immolate turture nella odorifera flamma et cremantise. La saga de gli rubricati riti precentora incomincioe di cantare, et psallere, et subsequendo tute alternante. Ma dinanti alla praesultrice Antistite, due di quelle cum Tibie Lydie praecedevano soavissimamente sonante, cum modo et tono Lydio, quale Amphione non puoté ritrovare, et daposcia Polia et le altre, una sectaria l’altra, ciascuna in mano tenente uno ramo di olente et florido Myrto. Chorigiante dunque cum tempo, passo, et continentie, cum aequa distantia uniforme, et saltante cum solenni et religiosi thyasi, cum intonate voce concorde alla sonoritate, fora producte de gli virginei pecti reflexe cum incredibile symphonia soto la obtusa cupula d’intorno la incensa Ara cusì rithmiticamente dicendo. O foco sancto di odore. Sgiela il giaccio de omni core, placa Venus cum amore, et ne praesti il suo ardore. Per questo mysterioso modo cantante, et tibisonante cum elegantissima chorea orbitamente gyravano, dummentre adoleva il sacrificio. Et extinguentise cusì la flammula fumiculava. Penso che quegli odoramenti furono per sufoccare il nidore dilla tosta carne, oltra il proposito. Dunque non cusì praesto fue extincta, che desubito al pavimento tute tacitamente (seclusa la Antistite) se prostrorno. Per la quale cosa non istete guario di tempo, che io apertamente fuora dil sancto fumo vidi uno pulcherrimo spiritulo thesphato, et di forma altro che humana, tanto bello quanto che cum solerte discurso, et investigato immaginare potrebese. Et alle divine scapule uno paro di arquate alule havea, cum una invisitata, et insueta luce. La quale non sencia alquanta lesione de gli mei ochii riguardantila avidissimo il core perduto veramente sentiva. Cum tanto vehemente impeto più che folguro creato d’aqua di foco, nube, et di vento fulminante. Diqué accortose di me la sacrificatrice, acto fecemi, che non me spaventasse, et cum indicio che io tacesse. Il quale pulchello puello nelle tuberule mano, una corolla myrtea gestava. Et nell’altra una sagittula di ardente foco scintillante. Et nella summitate dil divino capo, di filuli aurei lanuginato circundava una pretiosissima corona di splendidissimi adamanti. Circumvolitante tre fiate la incensa et Ara fumante. All’ultima incoacto se risolvete, et sì se deliquoe in maniera di nebulosi fumi nel aire, et da gli ochii infuscati da tanto renidente fulgore se tolse et sparve incontinente. Le quale mystice cose, et divine in quella specie mirabonde, et cusì facto ostento havendo io trepidante viso, alquanto spatio nel animo considerando, rimansi trapensoso completo di divoto horrore. Et doppo alquantulo la intrepida monitrice tute le virgine fece sublevare, et una virgula d’oro nelle purificate mano tollendo, ordinava che la mia pereximia Polia nel rituale libro aperto dinanti a llei, dalla sacerdotula tenuto, essa legendo, et secondo gli rubricarii ordini dille remaste cinere dal cremato sacrificio pigliasse. Le quale cum singulare veneratione sumpte, in uno cribro d’oro ad tale ministerio praeparato, sopra il venerando grado dilla dicata Ara incernicula aptissimamente crivilloe, cum tanta solerte promptitudine, quale si altro unque deditissima havesse operato. Ove la eruditissima monitrice, contracti gli altri digiti dilla mano sinistra, gli fece protendere il digito anulare, et nel sancto cinere expresse alcuni charactere cum exactissima diligentia, quale nel pontificio rituale volume exemplare mirando limatamente pingea. Facto che la diligentissima Polia hebe questo. La saga monitrice. Polia, et tute le altre fece ancora sopra il pretioso pavimento humilmente geniculare, et accuratissimamente sopra l’indice rituale mirando, similmente et lei cum l’aurea virgula superstitiosamente, in quel medesimo cinere signoe alcune mysteriose figure. Per la quale cosa io stupefacto et totalmente alienato, et timido tuto effecto, in tanto che in capo capillo non ristoe, che sublevato non fusse, cum l’animo molto suspeso, dubitando pensiculatamente in questo solemne et sacro piamento non fusse surrepta la mia ingenua Polia, quale Ephigenia, et intromisso qualche altro animale, o damigella, et di perdere in un puncto tuto il mio desiderato bene. Diqué il core percito, et in sé conclusi tuti gli spirituli sencia vitale vigore quasi me ritrovai. Anci cusì forte me quassava como gli mobili calami alle impetuose, et procace aure ventilabondi. Et più tremulo che li lignei ramenti, et cum la mente vibrante, più che le tenue carecte negli palustri da sforcevoli venti impulse vibrano. Ma pur che si fusse, gli ochii pervigili dalla mia sacrificante Polia mai dislocava, ma cum suspectosa admiratione pervicacemente observava notando quello aptissima faceva lei et inseme la summa Antistite. La quale arrepto il rituale cum molte signature, et cum innata sanctimonia exorcizoe tute quelle cose, che al pio amore fusseron impedimento et noxie. Et uno ramo di ruta sanctificato, per una di quelle ministre praesentatogli tincto nella Hiacynthina urnula, nel liquore che Polia la venusta facie fluida havea facto per tuto, et tute et me asperse. Peracto il sancto aspergine, collecti et poscia gli altri rami mirthei et questo di ruta, admonita una delle ministre, la clavicula d’oro dalla Antistite ricevuta, il puteale dilla cisterna divotamente aperse. Et intro gli praefati ramuli, et le pinnule dille immolate turture immerse, tenendo il puteale aperto et aspectando. Oltra di questo ella quelle sancte cinere, alquanto legendo sopra execratione sanctissime le sanctificoe iterum. Et cum obstinata cerimonia quelle caracterizate cinere, cum una scopetula di olente isopo, cum fili d’oro et muricea seta colligata in uno grumulo racolse. Et postole in una bustula palmaria, cum solemne religione ella praecedendo, et Polia cum l’altre venerabonde subsequente al labio dilla sacra cisterna aperto, ordinatamente perveneron.
La quale bustula, cantante le Nymphe mensurati hymni cum decente litatione et turificatione intro immerse, et dapoi obrute rachiuse la bucca cisternale. Havendo ella questa immersione sinceramente facta, cum quello processo et ordine ritornorono nel mirabil sacello. Ove la divina Ara tre fiate cum la virgula molucra percosse, cum molte archane parole et coniuratione. Facendo dimonstratione, che al pavimento iterum tute se prostrasseron, lei im piedi stante, et cum il pontificale aperto, la sacerdotula dinanti geniculata divotissima, cum summissa voce, pausatamente cusì orante in lingua nostra disse.O sanctissima et Enthea Erothea matre pia, et praeclaro indesinente et valido patrocinio de gli ardenti et sancti amori, et de gli amorosi fochi, et de gli suavissimi coniugamenti infaticabile adiutrice. Si al divino nume tuo da costei le gratie invocate sono pervenute, per le quale grati et accepti siano gli sui excessivi ardori et il suo già votato core. Rendite pietosa et arendevola alle sue fuse oratione piene de affectuose et religiose sponsione et instante prece. Et ricordati de gli exhortatorii et divini suasi di Neptuno al furibondo Vulcano, per te sedulamente facti, et da gli mulciberi laquei invinculata cum l’amoroso Marte, soluta illesamente fosti. Et alla tua superna clementia piaque cusì udirme, et praestate propitia di adimpire il determinato voto, et focoso disio di questi dui. Il perché dal tuo cieco et aligero figliolo essendo in questa sua tenera et florida aetate apta al tuo sancto et laudabile famulato, et ad gli tui sacri ministerii disposita. Da gli fredi di Diana separata. Ad gli tui amorosi et divini fochi (conservanti la natura) cum summa et integra divotione tuta si praepara. Et già da quello vulnerabondo figliolo l’alma sua perfossa, et fora dil casto pecto il mollicolo suo core eruncato sententisse egli non renuente, ma patiente, et mansuetamente inclinatose, quello cum singulare religione et approvata divotione nel divino foco dilla tua sacratissima Ara proiecto, et cum praecipua sinceritate dicato sencia remisione infiammabonda lo offerisse. Et hora sentendo l’amorosa gravitudine che protrude et preme nel suo perusto core per amore atroce di questo suo giovene, agevola et pervicace et cum immutato animo se dispone dignamente aptantise negli tui delectevoli et honorabili ardori. Et tanto più fervida, quanto più la tua divinitate exorata, gli prestarà favore. Dunque desideratissimi cupitori ambidui essendo di consequire gli tui meriti, et di persentire le sancte gratie, et di vedere il nume tuo sanctissimo, o Amathuntea genitrice per tuti dui io nel praesente preco, oro, et supplico et adorando obsecro. In questa sua bona et sincera hagistia, che essi navigare possino et transfretarsi (mediante il tuo potentissimo figliolo) al tuo delitioso triumphale et glorioso regno. Et per me mediatrice, et observantissima religiosa de gli mysterii sui adimpli gli urgenti et stimolosi desiderii et extingui le subuliente incitatione, et pervenire concedi al fine ordinato dil tuo venerando sacramento. Commovite hora pientissima Autophies Dea, et degli mortali indefessa Matre. Sospitatrice benigna et exaudi le divotissime precature como exaudite furono le intente oratione di Eaco, di Pigmaleone, et di Hippomanes dinanti a queste divine tue Are humilmente oblate, et porgite et prestate favorevola et gratificabonda in sovenirli. Cum quella innata pietate, che affectuosamente dimonstrasti tu al fantulo pastore dal geloso Marte battuto. Et per quel sangue divino che allhora in roseo fiore spargesti. Diqué si gli nostri meriti et obsecratione nel tuo conspecto di l’alta maiestate meno digne fuseron. Presta et fae, che la tua amorosa clementia cum le sancte fiamme al nostro debile effecto misericordiosamente supplisca. Conciosiacosa che essi inseparabilmente cum firmecia di animo cum singulare promptitudine di core et cum indiluendi proponimenti votati caldamente se hano, et strictamente religati cum praecipua obedientia di succumbere et cum sedulo famulato alle tue venerande et sacratissime legie, et a quelle mai unquantulo discrepare. Nelle quale già più giorni sono, che il giovene corroboratose continuando, è stato impavido et strenuo Athleta et in questo medesimo lei scrupulosamente professa, cum mira sperancia dil tuo divino et efficace patrocinio et tuto refugio impetrando. Intercedendo dunque exoro supplicante la tua alta sanctitudine et sublime potentia, che tu munifica gli optati effecti rependi. O Cyprogenia per quelli amorosi urori, che ad te piaqueron d’infiammarte cum il dilecto Marte, et per il tuo furibondo marito et per il tuo luctante fiolo. Gli quali aeternalmente viveno teco negli superni dilecti et gloriosi triumphi. A questo fine tutte le sacratice virgine ad alta voce resposeron. Cusì fia. Dalle sancte oratione et pio intervento gli sancti labri non più praesto occlusi furono, che la orante Antistite degli sacri peritissima, prendette delle rose odorose praeparate, et assai cortici di conchule, o vero ostree marine, et cum le mundissime mano implete, quelle cerimoniosamente sopra dill’ara, in circuito dillo ignitabulo sparse, et posto in uno cortice di ostrea, di l’aqua marina dilla Irnella asperse tota la divina Ara.
Da poscia sopra la mensa Anclabri gli dui cygni cum il secespito iugulati immolante il sangue cum quello dille incense turture nel aureo Praefericulo cum divote cerimonie et affectuose deprecatione, cantante mensurate Ode le virgine, et lei submissamente legendo, commisse che gli exangui et mactati cygni fusseron cremati in holocausto nel sacrario in loco ad tale facto disposito, et che il cinere collecto in uno bussolo, in una apertura sotto dill’Ara fusse proiecto. Tollendo dunque essa d’indi il sacro Praefericolo, cum ambi dui gli cruori dinanti la consecrata Ara sopra dil terso et luculentissimo pavimento, la sacrifica Piatrice intincto cum grande riverentie l’indice suo nel purpurante sangue molti archani charactere diligentemente signoe, et vocata Polia il simigliante gli fece fare, continuando le virgine nel suavissimo canto dille gratissime Ode. Facto et peracto questo la insigne simpulatrice le mane sue cum acre diligentia lavò, et Polia parimente dal sacrato sangue. Perché non liceva altro contacto. La sacerdotula l’aqua purissimamente expiata infundendo, cum il gutturnio aureo, et ricevendo la sacrata lotura nel simpulo d’oro. Polia daposcia ammonita dalla peritissima Antistite, cum una spongia virgine, quelli sanguinei charactere tersissimamente assuctoe. Et nella lotura dille purificate mane comprimentila la lavò diligentissima. Poscia la Monitora, tutte cum la facia al pavimento rivoltate, quella lavatura tremebonda, et cum venerando ministerio divotamente sopra lo ignitabulo fundete. Diqué desubito uno fumo prosilite al convexo coelo dilla cupula paulatinamente ascendente, incontinente che cusì essa hebbe facto, et ad terra prona provolutasi. Ecco pauculo instante repentinamente io sentiti movere, et la grave terra diquassare sotto ad gli rotondi genui, cum inopinabile strepito nel aere, et nel Templo cum uno horrendo stridore tonante, non altramente, che si dal alto coelo nel remenso pelago cadere subitaneamente una grande mole se sentisse, et gli stridenti cardini dille auree valve derono fremito nel fornicato Templo. Quale in una sinuosa spelunca il tonitro infracto inclusamente tonasse.
Onde pieno et circumacto di miraveglioso terrore, et paurosamente agitato, invocava silentioso, qualunque divino subsidio et pietate. Et apena alquanto aperti gli spaventati ochii riguardai alla fumante Ara. Fora dilla quale, purissimo fumo vidi miraculosamente uscire germinando, et successivamente multiplicantise in uno verdigiante rosario. Il quale cum multiplicati ramusculi grande parte del sacro sacello copiosamente occupava, all’altitudine sublata dilla cumula cum numerositate di vermiglie et rubricante rose inseme, et cum assai rotondi fructi, cum mirifico odore fragranti, di coloratione candidi invermigliati, se offerivano più grati al gusto, che per adventura tali non sono quelli, che alla famelica bucca di Tantalo se arrepresentano. Più belli non furono gli desiderati da Euristeo.Sopra esso roseo fruteto, poscia appariteno tre candide columbine, cum alcune avicule gregariamente negli rami involitante, et festevole sussultavano colludente, et dulcissimamente cantilavano. Et per tale ostento il nume praesentato, in quella specie occultato dilla sanctissima matre drictamente suspicai.
Per la quale cosa levatosi la sacrificante Antistite cum decore matro
nale, et Polia ancora cum praecipua bellecia, più che unque
ad gli ochii mei gratiosa apparisse, et nel dolce aspecto ridibonda, ambidue assi
curanti me invitorono nel sacrosancto sacello ad intrare, et intro
vocatome dinanti venerabondo dilla divina Ara. Intra la Antisti
te et Polia geniculatome. La Antista cum veterana ceri
monia, tre degli miraculosi fructi extirpoe. L’u
no per sé riservato, degli dui ad
me uno, et ad Polia l’altro offerendo. Quelli cum rivo
cata religione, et summa integri
tate di core, inseme tuti
tre degustasse-
mo.
*
Hora non più praesto che io degustai il miraculoso et suavissimo pomulo, che sencia mora in me sentivi ricentare et rinovare il rude et crasso intellecto, et lo affannoso et moerente core tuto ricrearse in amoroso gaudio delibuto, né più né meno, quale chi nel profundo mare obruto, et fin al fondo immerso cum obstrusi labri, sencia hausto di spirito, di sopra ritorna, le fresche et iucundissime aure avidissimo sumendo se vivifica. Per la quale cosa incontinente in me di ardere più amorose fiamme incomminciorono, et cum più suave cruciato di novelle qualitate d’amore transmutarme mi apparve. Et perciò principiai evidentemente di cognoscere, et effectuosamente di persentire, quale gratie sono le veneree, et di quanta efficacia ad gli terrigeni se praesta et quanto praemio loetamente conseguino, chi per gli delitiosi regni intrepidamente militando, et nelle amorose pugne pervicaci, ad quelli pervengono. Ultimamente dapoi la divota et sacra refectione degli fatali fructi sumpta sencia cunctatione, quel divino germe da gli ochii evanescente disparve. La libante Antistite dil sancto sacello fora ussitene, et Polia pare a llei, et io, et tute.
Cum tale et sì facto ordine terminati et diffiniti gli mystici sacrificii, et libamini et imolatione, et il divino culto, ambedue deposite le sacre veste, et exute, cum eximia veneratione, tuti quegli mysteriosi et pontificali instrumenti, cum domestici et templarii obsequii, nel sacrario riverentemente ripositorno. Et quivi trutinatamente la summa Antistite cum praecipua maiestate, cusì familiarmente ne disse. Figlioli mei hora da me expiati, et benedicti al vostro amoroso incepto et viagio andate. Priego ancora la divina matre fausta et affabile se praesti, et ad gli vostri amorosi concepti, intenti, et casi, miserabile, favorevola, et propitia sia. Et nel praesente inclaustrate gli profundi, et crebri sospiri, gli lamentamenti postponete et lassate. Fugate omni moerore. Imperò che già cum la mia instantia questa praesente hora vi sarà salutare et secunda. Dunque a questi mei salubri moniti et proficui imperii l’animo vostro intenda, aciò che essa cum il suo pio et dolce affecto vi concedi foelice successo. Poscia che la sacraria monitrice cum blando affamine hebe dicto. Nui gratie immortale dicendo da tute licentia riverentemente impetrassemo, cum dulcissimi et mutui saluti, indicando il madido volto, che quasi gli molestava il nostro discesso. Tamen valedicendo, fora dil magnifico et superbo tempio uscissimo, et amonita la mia chrysocari Polia dilla via et itinere nostro, finalmente se partissemo. O desiderato cusì diutinamente gratissimo comitato, et foelice, et prospero exito dille transacte tristitie. Hora il mio core afflato d’interna dolcecia, et perfuso di caeleste rore il noxio foco, unquancho non me tituba, ma ferma et evidentemente questa è la mia tanto optatissima Polia. La mia tutelaria dea. Il genio dil mio core. Alla quale benemerente debita gratulatione, io debo di tanto suo famulato alla divina matre, et di tanta ostensione di amore in questo iucundissimo comitato. Queste et simigliante parole summissamente io dicendo, Polia in quel puncto avidutasi dil mio depresso parlare, me riguardoe cum dui festevoli ochii accesi d’amore. Più chiari che lucidissime stelle, sencia la cornuta Cynthia, nel sereno cielo corruscante, non altramente che lo ignito Calybe sopra l’incude malleato scintilla, cusì nel mio percito pecto quelli crebri scintillavano. Et nel parlare venusta cum angelici accenti, cum la purpurante bucca latibulo di omni fragrantia, apotheca di orientale perle, seminario uberrimo di enucleate et dulcicule parolete, tempestivamente mulcendo deliniva omni mia mentale inquietudine. Parlare, sencia dubio, da impiacevolire il terrifico aspecto di Medusa, et di mitigare la atrocitate horrenda dillo infiammato Marte, et dille sue cruentose armature spoliare. Di furare il bellissimo Ganymede dille adoncate granfie dilla suprema alite. Et da teneritudine di scopiare, et minutatamente scindere in parvissime fresule gli durissimi marmori, et cote, et caute, et saxi asperrimi, et abrupti di Persia, et dil invio et nubifero monte Athlante, nella parte di Oceano et acquietando mansuefare, overo cicurire le saevissime fere di Libya, et da vivificare omni pulvereo et cineroso morto, cusì disse. Poliphile dilectissime (aprensa la mano mia) hora andiamo al rugiente p ii littore, che io spero, anci cusì rato et firmatissimo tengo, che nui laetabondi perveniremo, ove il core nostro ardente desidera. Et per questa cagione dalle legie di Diana obnoxia arendevola la facula ho extincto. Facti gli solemni sacrificii, et supplicamenti, immolatione, et adoleatione, et praecabonda ho effusse le humile prece, et degustati gli miracolosi fructi. Acioché expiati, mundi et purificati, et digni possiamo vedere le divine presentie. Le quale all’immundo intuito degli mortali homini concedute non sono. Diqué la insigne Polia parimente et io, di immensa dulcedine suffulti, et in sincero amore corroborati, meco questi arcani concepti mellifluamente conferendo, et par et adhaerente a llei caminando, ad uno veterrimo aedificio pervenissemo alecremente iucundi, festivi, et gaudibondi. Circa al quale era uno religioso luco. Il quale era sopra aedificato al marisono et lavato litore dal refluo mare. Et quivi ancora restato era una vastitate magna di muri, o vero parieti, et di structure di marmoro albario, et uno fragmentato, et illiso mole di porto apresso. Nelle fracture dil quale et lassate compacture il salsiphilo et littoreo Critani germinava, et in alcuni lochi vidi il litorale Cachile, et molto Kali et lo odoroso Abscynthio marino, et per il Aggere sabulaceo Irringi, et Portulaca, et Eruca marina, et assai altri celebri simplici, il Caratia, et Mirsinytes et simigliante litoracole herbe dal quale porto per molti scalini dispari al suggesto dil propylaeo dil tempio si saliva. Il quale aedificio per vorace tempo et per putre antiquitate, et per negligentia all’humida terra collapso, de qui et de llì demolito sencia capitelli rimasti il scapo, o vero trunco decapitato di alquante ingente columne di saxo persico di granelatura rossa. Alcune cum mutua alternatione di marmoro Migdonio, alcune havevano fracta la contractura, non si vedeva la Hypothesi, né lo Hypotrachelio, né Astragalo. Alcune ancora mirai eree di mirabile arte, quale non erano nel gaditano tempio, ma omni cosa sub divo, di carie et vetustate offensa. La mia frugi et benemorata Polia quivi me disse. Poliphile dolcissimo mio mira quale digno monumento dille cose magne alla posteritate cusì in tale supinata ruina, et in tanto grumo di rupture di pietre aspero et camelloso relicte. Già nel primaevo fue uno egregio et mirando tempio, circa il quale già solemnissimamente si nundinava, et ingente de mortali multitudine eo omni anno convenivano spectaculi facendo, et per elegante structura, et per gli observati sacrificii diffusamente famoso, molto religiosamente dagli terrigeni celebrato. Ma perché al praesente abolita è, et ignorata la sua dignitate, cusì come il iace disrupto et ruinato il vedi expressamente destituto. Denominato Polyandrion tempio. Nel quale Poliphile, corculo mio, sono multi puticuli, ove erano sepulti li pulverabili corpi di quelli, che malamente per improbo, infausto, et lugubre amore alla obscura morte miserabili cedevano. Allo interno Plutone dedicato. Et per anni riverticuli ad gli idi di Maio, cum prisce et solemne cerimonie. Tuti quelli che ad amore affabile indulgendo davano opera, cusì homini, quale foemine. In questo loco ad gli celebri ferali et solemni panegyri da diverse regione et provincie contermine et remoti loci parentabondi convenivano, obsecrando et litando il nume di Plutone tricorpo. Che essi a tanta impietate non cespitasseno di essere conscii dilla propria et intempestiva morte. Diciò immolavano le furve hostie, overo nigricante pecore, non ancora cognita dal maschio supra una flagrante Ara aenea, gli masculi al deo, et le foemine alla dea, et gli lectisternii facendo trinoctio. Quella fiamma et foco daposcia cum spargiere di multitudine di rose, et cum arferia extingueano, como in questo loco grande roseto di qualunche maniera ancora relicto apertamente vedi. Le quale allhora racoglierle era cosa nepharia. Ma gli sacerdoti le commutavano. Finito lo incenso sacrificio.Il pontifice infulato nel pecto ornato di una mirabile et mysteriosa fibulatura aurea cum decoramento d’una pretiosa petra Synochitide alquanto dil sancto cinere ad ciascuno cum uno simpuleto d’oro. Daposcia cum multa divotione dava. Accepto il cinere catervatamente ussivano dil tempio cum observata veneratione ad gli iuncosi litori dil proximo mare come vedi. Et in uno calamo posito il sacrato cinere, fora nel pelago il flavano cum religiosa superstitione, cum altisone voce, et inconcinne exclamando, et cum foeminei ululati confusamente intermixti et dicendo. Cusì perisca chi dil suo amatore causa sarae dilla morte et conscio. Daposcia che in tale modo facto haveano sparso nel mare il cinere proiecto il calamo, sputato tre fiate nel dicto mare, tre fiate dicendo fu, fu, fu. Ritornavano festigianti cum altre rose, quelle per tuto il tempio disseminantile, et praecipuamente sopra gli sepulchri, cum funereo pianto, gli quali ordinatamente nel tempio erano situati, cantanti carmini lugubri sepulchrali et flebili, sonanti cum tibie sacrifice et milvine. Novissimamente ponevano ciascuno cum gli sui conterranei in uno circulati sopra il pavimento le mense et le epule et qualunque edulio da quelli comportate in uno communicando exponevano cum le saliare epularii. Et quivi cum sancto rito facevano il silicernio, il superfluo poscia chiamati gli mani alle are sepulchrale lasciavano, et oltra questo anniversario, se facevano li ludi seculari. Convivati dunque, iterum fora dil tempio uscendo una pancarpia ciascuno certatamente comparava, et postala nel capo, cum fronde di funesto cupresso in mano, sequaci ad gli Salii sacerdoti, et sacrificuli vati, et praesultori geruli gli sanctificali gestamini, saltanti siciniste cum foemine immixti, cum tumultuoso plauso, et iubili, cum varii et multiplici instrumenti, da fiato, et nervici d’intorno il templo tre fiati in chorea gyranti, per placare le tre fatale parce. Nona, Decima, Morta, librarie dil altitonante Iove, alacremente semibacchati circuivano. Ritornavano etiam nel sacro tempio, ove il ramale cupresso gestato ciascuno in p iii diversi loci appendeva. Gli quali rami et in qua et in là affixi, cum superstitione servata fina al futuro anniversario stavano. Et ritornato lo anno tute quelle arefacte fronde racogliendole gli sacrarii simpulatori, il sacrificio incendevano. Finalmente dappò tuto questo festivissimamente peracto et summa cum observantia celebrato gli ferali officii cum prece supplice cum religione et cerimonie degli dii. Qualunque malo genio fugato. Il summo sacerdote Curione primo et poscia dicendo le extreme parole, illicet. Ognuno licentemente et festivo ritornare poteva al proprio incolato et laeti remeare ad la domuitione. Cum questo tale ordine la mia magniloqua Polia facondamente havendo, et cum blandicelle parole tanta observantia digna di laudatissima commendatione integramente exponendo narrato, et me compendiosamente instituto al spatioso et harenulato litore di piacevoli plemmyruli irruenti relixo, ove era il destructo et deserto tempio pervenissimo.
In questo loco dunque sopra le fresche et florigere herbule se exponessemo laetamente a sedere. Cusì stante insaciabile cum gli ochii vultispici contemplava sutilmente in uno solo perfecto, et intemerato corpusculo tanta convenientia, et accumulatione di bellitudine obiecto sencia dubio renuente di non vedere cosa gratiosa, più oltra gli ochii mei, né di tanto contento, dove di novelli et repululanti concepti il mio ardente core cum tacito gaudio refocilando et alquanto le vulgare et commune isciochezze deposite, intelligibile più effecto considerai, et inseme il serenissimo celo, il salutare et mitissimo aire, il delectevole sito, la deliciosa patria, le ornate virdure, gli piacevoli, et temprati colli ornati di opaci nemoruli, il clemente tempo et aure pure, et il venusto et amoeno loco, dignificato dagli fiumi defluenti per la nemorosa convalle irrigui, apresso gli curvi colli, alla dextra et leva parte mollemente discurrenti al proximo mare praecipitabondi, agro saluberrimo et di gramine periucundo, referto di multiplici arbori canoro di concento di avicule. Ceda qui qui dunque il thessalico fiume et agro. Et quivi inseme cusì sedendo tra gli vernanti, et redolenti fiori et rose, in questa coeleste effigie cum tanto dilecto gli ochii hianti occupati fixamente teniva, et ad sì bella et rara factura, et diva imagine cum tuti gli sensi despico deditissimo, et applicato, et in me più piacevole resultando gli calorati impeti vexarii negli quali l’alma da dolcecia liquefacta, insano io stava, et tuto anxio, proiecto tuto et curioso ad considerare mirabondo, per quale modo et ragione quel liquore purpurante, al tacto delle pretiose carne dilla tuberula rasseta dilla mano rimanendo purissimo lacte, per alquanto tracto, al suo loco non ritornasse. Non meno cum quale artificio in questo venustissimo corpo la maestra natura particularmente dispensato havesse et suffarcinatamente disseminato tuta la fragrantia arabica. Et come ancora industriosamente nel suo stellante fronte di fili d’oro concinamente pampinulato havesse infixo la parte più bella dil cielo, overo Heraclea splendicante. Daposcia ad gli decori et exili pedi lo intuito convertendo, mirai ad quelli, gli vermigli calciamenti violentemente tirati, et sopra il pectine eburneo lunatamente buccati et sinuati di Phytontea apertione, cum amsulete d’oro, et cum cordicelle di cyanea seta invinculati, et strictamente revincti aptissimi instrumenti de intercalare la vita, et excessivamente di cruciare più l’infiamato core. Poscia illico ritornava il lascivo risguardo alla drita gula di orientale perle in circinao baccata, non intendendo di l’una et di l’altra albentia la vera dinstinctione, disubito descendeva al micante pecto, et delitioso sino, ove pululavano dui rotondi pomuli al vestito resistenti et obstinatamente oppugnaci né tali sencia fallo nel pomario dille Hesperide, Hercule furtivamente racolse, né Pomona tali vedi unque nel suo pomerio, quali questi più bianchissimi nel rosaceo pecto stavano immoti affixi, che la flocata neve, et lucida, p iiii nella stagione di Orione in occaso, soto il pissatile corpo dil placido monstro di Pana. Tra gli quali volupticamente mirava una deliciosa vallecula, ove era la delicata sepultura di l’alma mia. Quale non hebbe Mausolo, cum tuto il suo havere collocata. Essendo dunque io per questo contento et il laniato core conscio, che gli ochii distrahentilo in qualunche di quelle elegantissime parte il dispensasseron moribondo. Nientedimeno non poteva io diciò tanto infrenare gli amorosi et infiammati sospiri, et tanto celatamente castigare, che io non gli concedesse il suo simulato sono exprimirse. Per questo cusì facto accidente, immediate et lei lacessita dal contagioso amore et percita gli petulci risguardi placidissimamente (praecipua invidia al Sole), et in me gli convertiva, et per tuto mi sentiva uno irritoso incendio prurientemente diffundentise, nelle ime et intersticie parte, et fin per tute le capillare venule seminariamente spargerse. Onde in le sue praeclare et insigne facticie continuamente per contemplare, una melliflua suavitate, et solacio dolcemente acervava. Et quivi alchuna fiata colliso da disordinato et inexplebile appetito, et da focoso et importuno stimulo gravemente oppresso, cum piatose parole, piene di suasive et vehemente prece, secretamente impetrando appetiva fra me gli desiderati basii sochiosi et fluidi, et dolcissimi, cum vibrante (quale vipera) et succulente lingula, imaginantime di persentire la extrema suavitate dilla saporosa et piciola bucca, spiraculo di odorante aura, et moscoso spirito, et freschissimo anhelito, et intrare fingendo nel thesoro latitante di Venere, et ivi mercuriato furare gli preciosissimi giogielli dilla parente natura. Diqué, omè sospirante, da essa divina matre intorniato me trovai. Et dal flammigero filiolo circumvallato. Et da sì bellissima figura invaso, tuto hogimai morboso et infecto da cusì insigne circunstantie ornata et decora, et dal capo isochryso illecto, che qualunque capillo mi se offeriva constringente laqueo loro, et cathena, et obsesso da questi torquenti nodi, et dalla plenitate de ssì amoeni pabuli, et d’amorosa dolcecia viscosamente inescato, non valeva cum qualunque solerte conato ad gli accessorii, et invadenti ardori, et irritanti pensieri resistere, et in me il sagittifero amore inforciatosi al tuto me disponeva tanto insupportabile incendio (expugnata la patientia) extinguere, et spreta omni repugnante ragione et maturo consilio, negli solitarii lochi cum Herculea audacia fare insulto, et la diva, et intacta Nympha effrenato praetemptare. Ma prima cum sospirose et precarie voce di pietate impetrabile, et cusì dire. Omè divigena Polia, nel praesente per te morire aeterna laude io existimo, et la morte più tolerabile et soave, et più gloriosa cum queste tue delicate mane et tumidule, mi fia et l’ultimo fine et interito. Il perché circunfusa l’alma da tanti cruciosi ardori, ognhora più saevamente vegetantise, quella languente ustulando, sencia intermissione et pietate l’ardeno, che nunque mi si lascia prendere una quieta hora né pace. Per la quale cosa, per questa via volendo ad questo incentivo, et crebro stimolo ponere finitione. Ecco che d’altri più saevissimi fochi il cicatricato core mio tuto da capo ad ardere candentemente sentiva. Heumè come farai quivi Poliphile? Alquanto cogita dilla violentia facta a Deianira, et alla pudica Romana, mala et infoelicemente reusita, et di molti altri. Considera che gli omnipotenti dii de gli terreni amori hano resistentia ricevuto, non che homo lacero, et abiectissimo. Revoca nella memoria, che omni longo tempo, a chi pole aspectare accede, et che gli feri leoni ancora per continuati giorni si se cicuriscono, et ciascuno altro silvatico et scaevo animale, et la granifera formica, ancora per assiduo viagio quantunque parvissima in duro silice imprime il suo trito, nonché una diva forma in humanissimo corpusculo latitante, prendere debi in sé vestigio di fervente amore, et cusì observato reprobando confutava tanta noxia, et vexaria passione domante, sperando di conseguire gli amorosi fructi et concupiti effecti et triumphante agonisma. Nella memoria scisitante le sancte oratione, et sacrificii, et libamini, et la extinctione dilla facola. Negli quali divini officii sé, et il suo Poliphilo havea intenta et praecipuamente commemorato cum precature commendaticie, per tanto pensai sofrendo più efficace mercede, et repenso, et lo impetrato conseguire, che cum periculosa improbitate giovare ad gli mei asperrimi languori, et perdere d’indi omni sperancia. La Nympha Polia avidutasi dil versicolore dil mio volto et variare, più che la inclyta Tripolion, overo Teucrion, che tre fiate el dì muta il colore dil suo fiore. Et videntime alterato, et solicitare certamente da lo intimo amore tanti caldi et sepiculi sospiri, pietosamente cum sui adulanti risguardi, et tempestivamente temperava, et deliniva gli impetuosi movimenti et irruente agitatione. Et cusì né altramente l’alma mia ardendo, in queste continue fiamme, et uribile asperitate amore me stimolava pacientemente sperare, che come la phenice araba negli aromatici surculi nell’aspecto dil ardente Sole accensa, dille aride cinere rinovarse spera.
POLIA A POLIPHILO SUADE, CHE NEL DESTRUCTO TEMPIO GLI ANTIQUARII EPITAPHII EGLI VADI A SPECULARE, OVE POLIPHILO VIDE MIRABILE COSE, ET LEGIENDO ULTIMAMENTE IL RAPTO DI PROSERPINA DUBITOE INCAUTAMENTE LA SUA POLIA HAVERE DICIÒ PERDUTA, ET SPAVENTATO A LLEI RITORNOE. DAPOSCIA IL DIO D’AMORE VENENDO POLIA INTRARE CUM POLIPHILO IN LA NAVICULA INVITA. IL QUALE CHIAMANDO ZEPHIRO NAVIGORONO FOELICI. ET NAVIGANDO DA GLI MARINI DEI AD CUPIDINE GRANDE VENERATIONE GLI FUE FACTA