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te concupiva ho hogimai victoriosamente adepto, et apertamente io il vedo, et quella salutare ope, tanto longamente exoptata, amplexata io la tengo, cum non minore oblectamento et voluptico solatio, che la splendente Cynthia solacevola, cum il suo dilecto Endimione, dille vadose aque scrutatore, relicti gli suprani regni, nella vacilla, leve et piscatoria cymbula, apresso gli lamii scopuli. Né tanto etiam Paride gloriare si poté dil litigioso iudicio. Né dilla trafugata Ledea navante cum li tumidi carbasi di sufflante austro. Né Iasone dilla malefica et decepta Medea. Né Theseo dilla minoida praeda. Né ’l Capitaneo Romano dilla ambitiosa Aegyptia. Né tanto se potreberon gloriarse parimente le nepte dil proceroso Atlante dill’avo suo, cum gli robustissimi humeri il stellato cielo sustinente. Né il pictore Apelle dill’amoroso dono, che gli fece il Magno Alexandro, né tanto acceptissimo è il Spicilegio alla flava Cerere, quanto io di havere allato me la mia diva Polia, il venustamine dilla quale harebbe velocitato il tardo Saturno, et firmato il velocissimo Phoebo, et stabilito il caducifero Cyllenio, et d’infocare la frigida Diana, et di havere ancora gli dii officiosi.
Naviganti dunque cum leve et suave appulso dille praestitissime aure, io cum scrutatorio et perspicace et inconstante risguardo, intentamente non potendo affirmare, hora l’uno, hora l’altro speculante. Ma diciò discernere non valeva né limitare d’ambi dui la disparentia, se non dilla divinitade. Et quivi fortemente da una inexcogitata dolcecia compulso ad ambidui l’alma mia liberamente repudiava, alla potentia di uno commendantila, che acconciamente gli poteva le sue amorose soterie condonare. Et al volere dilla insigne Polia, che essa ancora benignamente praestasse il suo consenso. Ma pur indubitatamente existimai confiso et freto, che ad tale maiestale praesentia, et venerando conspecto, altro effecto et exito spirare non poteva, che ardente amore, et che lei hogimai dilla sua triumphale navicula fugire più non valeva né repedare, et molto più sperava la sequentia dil mio extremo optato, per il dicto, de gli amorosi hieroglyphi dil ventilabondo vexillo, di questa gloriosa navicula dil divo et potentissimo Cupidine, ove exultabondo di essere conducto in tale dignificatione beatissimo, et gloriabondo di essere ornato di cusì excellente comite, et amorosa reciprocatione, che cusì gloriarse Apollo non se pole dil ornamento dilla sua pharetra, et cithara dille peneide fronde. Né Policrate dil reperto dil annulo suo. Né ’l Magno Alexandro dille adepte victorie et elevati trophaei, quanto io glorioso me iudicava in tanto triumpho ritrovantime. Niente dimeno ultra il credere mirabondo, per quale modo, over instincto, in quel divino corpusculo tanto activo, et sforcevole foco foetosamente fusse collocato. Il quale l’universo infiamma
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