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De qui cum laetissimo solatio partitome, cum curioso desiderio nove cose spectare percupido, ad una tribuna semiintegra properando, io mirai alcune reliquie exquisite, di pictura museaca, vermiculatamente facta. In questo loco sepulchro alcuno non trovai, ma nella vitricularia pictura ancora Proserpina cum Cyane et cum le Sirene, fiori colligente apresso l’ardente monte di Etna perfecto si cerniva. Ove Plutone reserando il cratere pyrivrizo dil flammispiro monte, al suo amore volupticamente la rapiva, et Cyane per non la potere soccorrere pietosamente illachrymante. Quivi trovai ingenti saxi dil putrescente muro patorato, et herbescente per le rime di Asterico et di urcelarea. Il quale era etiam implicito et distruso, quale da infixo cuneo di uno radichone di annosa caprifico, che per tuto le radice oborte serpendo, distructe havea le tessellature, et lo coito dille compacture diserto, grandi laxamenti de le parieti ne rendevano.
Diqué io solamente mirava parte de uno fluviolo, pareva vestigio di humana forma in quello tramutata, di arte incredibile fincto, et mirabilmente expresso. Quale simigliante unque nel delubro di Minerva in Capitolio nella tabula se vide il rapto dilla dicta, da Nicomacho depicto. Ove cum la mente applicata a tale piacevole respecto essendo, ecco che a spalle sento la casura d’alcune tessellature, et a mi solitario, in deserto, et silentioso loco trovantime, repente me alquanto pavefacto, et retro volventime mirando, vidi uno ascalabote, overo murilego, che era stato causa di tale ruina.
Per tanto non poca displicentia me invase, per non potere l’opera tuta integramente mirare, per essere in la magiore parte demolita, et rupta, et dalla subdivale relictione laesa. Considerando dunque il violentario modo, che repente surrepta fue Proserpina, uno subitaneo et tristo pensiero nel amante core diciò feramente me percosse dicendo. Omè meschino impudente, et infoelice. O importuna indagine, et effrena curiositate dille cose praeterite, et di saxi fresi disquirente, ad che son divoluto? Si per la mia mala isciagura la mia bellissima Polia da me fusse rapta, et per incuria di tanta cosa praesente, oltra tuti gli thesori dil mondo gratissima, mi fusse abacta. Et in momento una più acerba percossura me transfixe il tristo core, cum uno inseme vehemente et crebro pulso, presentantise già nella mente confusa, il piatoso et lachrymabile caso, che il fugitivo dill’ardente patria incautamente perdete la sua dilecta Creusa, et molto più excessivamente me conturboe invadendo tale terriculamento memorando, che ad gli harenosi litori, et solitarii, distracta dalla mia praesentia la amantissima mia Polia sola sedeva.