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orbiculi aurei traiectati strinxeron. Et cum altri plurifaria exornati, di lasciva et virginale solertia, ad gratificare gli sensi cum operosa voluptate inventi. Queste tute cose di praecipua dignitate tanto gratiose, et spectatissime se offerivano al nostro amoroso mysterio, quanto all’ardente fiamme la pinguitudine, et ad Vulcano la materia sulphurabile, et dil Tartareo baratro la vigile custodia ad Cerbaro trifauce, et ad Megera, et alle sorore il spavento mortale. Et la florida iuventa all’amoroso Cupidine. Et alla matre le commode latebre. Separati dunque dal saburaceo litore. Queste dive Nymphe navicularie gli eburnei remi nel piano constrato per gli gyroni bellamente infrenorono, et ciascuna cum gli formosissimi vulti verso il nudo signore, sopra la prora stante, cum maiestale reverentie laetamente se rivoltorono et le candidante spalle ad nui. Il mio genio, et Polia cum luculentissimo confabulamento me disse. Poliphile mio (postposita, et recusata qualunque altra cosa) amantissimo. Voglio io che tu intendi et conosci, che queste sei praesente virgoncule sono praestissime di quel signore pediseque, et opportunamente ministrante al suo placevole famulitio. Sedendo dunque, queste solatiose, decore, et praestante Nymphelle sopra gli sandalicei transtri binate, verso il divino signore voltate, et ad nui il delicato dorso. Il divino gubernatore le levigabile ale distente explicando, chiamato cum odorifero spirito ad sé il suave zephiro, ventilabonde rendeva le sancte penne, più che ardente carbonculo alle praelucente facole corruscante fulgetra, et implete di florifera aura le plumatile ale, incomminciassimo di abandonare gli garulosi litori, et di navicare sopra il profundo et spatioso pelago, cum grata malacia tranquillo, et essendo di grande, et timorose veneratione, et di singulare dolcecia, et alacritate il mio amoroso, et contumace core constipato et tuto conquassibile enucleatamente cum il mio genio cogitava, quale si potrebbe tanto inhumano core unque ritrovare. Overamente uno tale di tanta duritudine tanto vivido et tanto vigoroso, quantunche più scabro dil cortice dilla palma chimerare, che ad cusì facte belle, et concupiscibile praesentie, et divi obiecti, ad omni mansuetudine tenerrimo et mollissimo, et mortificato invalido, et lenissimo repente praestato non se havesse? Et quale incarcerata et extincta concupiscentia, et glaciale, et depravato appetito che gli tenaci claustri, et mordenti laquei quivi vigorosamente non havesse disfracto, et ristaurato aptissimamente alli venusti, bellissimi et amorosi spectaculi, et non se harebbe vertito in flammigena Etna,