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et quale Diana harebbe spreto sì benigni fochi? Da contaminare il casto Hippolyto, et far lascivire la pudicissima Orithia? Ma quali se doveano sentire quelli che totalmente erano apti, propinqui, et uniformemente dispositi? Me ritrovava come il pisciculo nella bulliente aqua nato. D’indi poscia extracto et nelle altre aque ad bullire postovi, mai non se coque. Oltra poi stupidamente quel spiritulo divino mirava, et in le sue obaurate pinne, alcune inquietule plumule tenelle et delicatule, quale sono alle immature ale dil alieto, ancora dal nidificio non volante, et ad gli roriferi venti tremule resultante. O quanto gratioso, et quam iucundissimo ad gli sensi le pinnule auree punicee se praestavano. Il quale colore aureo in alcune penne refulgeva et di coloramento phoeniceo. Tale di colore glauco, et di tinctura smaragdinea, et di coloratione molochina, et di cyaneo et più dilla icterica avicula gialle, in colore aureo spectatissimamente coeunti. Et cum harmonica dispensatione per le divine ale decorissime. Per la quale cosa tuti gli giogielli dilla foeconda natura costì participatamente a ffolgorare distributi, facilmente arbitrava, perché irradiavano quale mobile et tenuissime bractee di puratissimo oro, all’aura suspese, et al chiaro sole ventilabonde. Venustamente le aquae degli placidissimi colori dipingendo. Dilacerati poscia dalli instabili, et crispulanti flucticuli per uno grande gyro aemulante. Mirava ancora et la incomparabile bellecia dil divo composito di Polia. Di hora in hora sempre più deliciosa et formosa praestantisse. Dapoi mirava et il purgatissimo aire et sereno, il tempo moderato et placido, et le salinose aque cerulee, quale perspicuo crystallo lympidissime videntisi fina all’apertissimo vado. Et indi et quindi molti arborosi scopuli, et di virdura vernea ornate le sporade insulete, folte di fogliosi arbusculi verdigiante, et iucundissimamente umbricose, et molti vagi lochi dagli sensi luntano se perdevano. Et nelle complanate, unde come machule appariano. Similmente gli frondiferosi arbori, umbriculavano le littorale ripule, et il verdoso reflexo poscia nelle nitidissime et speculare aque, come il proprio cernivasi. Procedendo dunque il solatioso et triumphante navigare nostro. Ove praesideva lo imperio, et la divina monarchia dil potente Amore, ove resideva quel signore, che in extrema dolcecia se rende austero, et in austeritate se fingie tanto suavemente dolce, et in dolcitudine tanto amaro, et in amaritudine se praesta tanto piacevole. O foelice peroe, chi naviculando persentisse le sue pennose ale prospere et seconde. Ritrovantime dunche cusì tra dui sì grati signori. Lo uno me infiammava, l’altro consumantime. Ecco che gli dii marini Nereo cum la gratissima Chlori,