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Excitato summopere da tanta venustate di monumenti indagabondo, ad me uno epigramma alquantulo perplexo candido in marmoro trovai, solamente la parte inscripta di una arula rimasta. Il residuo confracto in terra iaceva.

Cum maxima delectatione et piacere questi spectandi fragmenti mirando, avido più anchora indagante altro di novo trovare. D’indi dunque qual animale quaeritabondo il pabulo sempre più grato non altramente transferendome per gli aggeri di ruine di ingenti frusti di columne, et tale integre. Dille quale volendo sapere la sorte, una mensurai al solo extensa, et dal socco fina alla contractura, trovai dil suo scapo la proceritate septeno diametro dilla sua ima crassitudine. Quivi proximo mi se offerse uno veterrimo sepulchro, sencia alcuna scriptura, nella quale per una fractura rimando vidi solo le funerale vestimenti, et calciamenti petrificati. Coniecturai ragionevolmente dilla petra sarcophago (per tale effecto) di Troade di Asia, suspicando dil cadavero di Dario. Et ad vicino vidi uno nobile sepulchro di porphyrite, exquisitamente excalpto tra silvatichi arbuscoli, dil quale mi se offerse ad legere uno elegante epitaphio, et havea il coopertorio in templo egregio, et scandulato squameamente, una parte dil dicto sopra l’arca ristato, et l’altra iaceva deiecta solistima, et di tale praestante titulo inscripto.