Dizionario moderno (Panzini)/A
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A
A: non è qui il luogo di ripetere diffusamente ciò che i lessicografi e i grammatici hanno scritto sull’uso di questa preposizione, oggi invadente e che distrugge molti altri costrutti. L’a (francese à) e l’in (francese en) sono diventati oramai i due perni su cui posano le parole nella più parte dei costrutti; inutile altresì l’insistere sulla deformazione che l’organismo delicatissimo della nostra lingua ne riceve. Così ad es. si dice: «Gelato alla crema, uova al burro, pasta al sugo, etc.» invece della preposizione con, la quale indica appunto «compagnia, unione, mistione,» e di cui i dialetti serbano l’uso tuttavia. Così un oste di campagna vi domanderà se la frittata vi piace coll’olio, o con lo strutto, e non all’olio. L’uso dell’a in simili costrutti si è venuto radicando per modo che l’espellerlo non mi pare più possibile. Gli stessi scrittori, posti nell’alternativa di scegliere tra l’uso comune e l’uso letterario, non sempre si accordano; nè d’altronde riesce sempre agevole il determinare in molte e sottili locuzioni con l’a quando trattasi di vero errore oppure quando l’uso col suo impero assoluto e le autorevoli eccezioni giustificano l’orrore. In via generale si può però affermare la tendenza ad usare questa preposizione a alla maniera de’ francesi; se non che il francese è sicuro nell’uso delle sue proposizioni, noi vaghiamo incerti e con tanta libertà da insinuare confusione e ingenerare indisciplinatezza alla perspicuità ed alla facilità dell’apprendere. Ecco qualche esempio in proposito: In una vetrina da orefice accanto alla scritta: Cache-portraits à secret, era scritto «monete brevettate a segreto per due ritratti». (Giacchè nell’uso degli avvisi commerciali, in città italiane, accanto all’avviso italiano si trova talora la scritta in francese. E si parla delle tabelle bilingui dell’Austria! E nè meno è raro il caso di leggere manifesti di vendita in francese. Anzi a Milano è cosa frequente). Così un dottore in filologia intitola un suo scritto: «Come si parla agli Stati Uniti» invece che dire «negli Stati Uniti» generando una vera confusione di senso. Ecco altre eleganze: «Forchettone a servizio, cucchiaione a zuppa, a riso, a salsa.» Trattasi di cataloghi e scritte volgari da vetrina, quindi senza pretese letterarie, altri obbietterà. È vero. Tuttavia si noti l’importanza che nella vita moderna hanno le scritte publiche. Esse fissano l’uso più che l’opera di molte scuole. Ma di ciò vedasi nella prefazione. — I puristi riprendono queste maniere avverbiali: poco a poco, due a due, mano a mano e anche man mano, corpo a corpo invece di a corpo a corpo, a poco a poco etc., a mano a mano che rispondono all’uso classico di nostra lingua: a capo in iscambio di da capo.
À per ha: V. Avere.
Abbacchio: voce romanesca passata nell’uso della lingua: indica l’agnello giovane, vissuto libero, in pasture aperte. I romani lo sanno cucinare squisitamente.
Abbaino: per questa parola si intende quella finestra o lucernario sopra il tetto che dà luce a stanze od a soffitte. A Milano chiamano Abbaíni quelle stanze miserabili che nello spazio dei grandi casamenti si adattano tra i due spioventi e il primo piano della casa: soffitta.
Abbiatico: voce usata in Lombardia per dire i nepoti, cioè i figli dei figli, e non dei fratelli.
Abbinare: mettere insieme due cose (dal numerale distributivo lat. bini-ae-a=a due a due). Voce dell’uso ma generalmente non registrata.
Abbordaggio: term. mar., l’accostarsi a bordo a bordo di due navi per combattersi. Arrembaggio invece è dar l’assalto alle rembate per combattere a corpo a corpo. Collisione è l’urto casuale, più o meno violento, ed ha significato pari ad investimento, se non che questo può essere volontario, o per offendere una nave nemica o per salvare da male maggiore il naviglio spingendolo nelle secche o nella spiaggia. Il Petrocchi spiega alquanto liberamente: abbordaggio = l’urto di due navi. Arrembaggio = dar l’assalto a un bastimento dopo averlo abbandonato.
Abbordare: è la versione del francese aborder. V. bordo. I dizionari registrano questa parola nel senso marinaresco: nel senso di avvicinare qualcuno, prendere di sorpresa, affrontare, fermare è entrata nella lingua soltanto negli ultimi anni, del secolo XVII. Ora è d’uso comune «ma specialmente nel senso di fermare uno con una certa risolutezza a fine di parlare con lui» (Carducci, Antologia). I puristi la riprendono come «metafora sproporzionatissima che presenta la vera impronta del gallicismo» (Rigutini). Questo verbo è pur usato nella locuzione abbordare un argomento. E seguendo la stessa metafora, dicesi anche persona di facile abbordo per persona di facile accesso.
Abbordo: V. Abbordare.
Abbottonato: per estensione facile e lepida del vocabolo così si dice familiarmente di persona chiusa, riservata, ed è modo neologico contrario di sbottonarsi = aprirsi, palesarsi.
À bien revoir: oppure à nous revoir si dice talora in Italia per assumere più fine garbatezza ovvero per celia; ma avvertasi che sono storpiature del modo francese á revoir, o meglio, au revoir, au plaisir de vous revoir. Sarà spiacevole e incomodo per noi, ma è il fatto che i Francesi ci tengono moltissimo alla proprietà della loro lingua.
Ab imis fundamentis: e compiutamente instauratio facienda ab imis fundamentis, Leggesi nell’introduzione dell’Opera Instaurano magna di F. Bacone da Verulamio (1561-1627) e più esattamente: fiat scientiarum et artium, atque omnis humanae doctrinae, in universum instauratio, a debitis excitata fundamentis. Questo motto si ripete a proposito ed a sproposito per dire che di alcun istituto, azione, condotta etc. conviene riformare rinnovando sin dalle fondamenta.
Ab iràto: motto latino: con animo irato. Es. «Prese questa risoluzione ab irato» cioè non lasciando che, con la calma, subentrasse miglior ragione.
Abortire: nel senso figurato di non riuscire, andare a vuoto, detto d’impresa, progetto o simile, è sconcio gallicismo (Rigutini). Lo registra tuttavia il Petrocchi in tale senso. Nel linguaggio medico dicesi abortito di alcun male quando ne apparvero i sintomi non il decorso.
Ab ovo: dicesi cominciare ab ovo per dire cominciar dal principio, dalle più remote origini. Tale locuzione è antichissima: nec gemino bellum Troianum orditur ab ovo (Orazio. Art. Poet. 147) cioè: non cominciare a raccontar la storia della guerra di Troia (cominciando) dal doppio uovo di Leda. La quale fu fecondata da Giove sotto forma di cigno, onde ella generò due uova da uno dei quali uscirono Castore e Polluce, dall’altro Elena e Clitemnestra. Arrivati ad Elena ognuno può andare avanti da sè essendo nota l’istoria. Come ognun vede, se il motto cherchez la femme è francese e recente, la cosa risale ai più remoti tempi.
Ab ovo usque ad mala: dalle uova alle mele, cioè dall’antipasto alle frutta, cioè dal principio alla fine. Sono due emistichi di Orazio (Satire, I, III, 6, 7) divenuti popolari. È cosa nota che i Romani del tempo di Orazio solevano dar principio ai loro banchetti dal non troppo leggero cibo delle uova sode.
Abracadabra: parola misteriosa della antica scienza occulta, formata da Abraxas o Abrasax, termine puramente fonetico cui i cabalisti attribuivano virtù medica: incidevasi sulle pietre, come amuleto. Oggi dicesi Abracadabra una specie di indovinello giuoco di parole.
Abrégé: sunto, compendio. Voce frequente, e così pure la locuzione en abregé per dire a sommi capi. Abrégé, dal verbo fr. abréger è nel suo valore etimologico uguale alla parola breviario (breviarium), che per noi ha specialmente senso chiesastico.
Absinthe: l’assenzio, il noto liquore verde opale, principe degli inebrianti stupefacenti, fatto coll’infuso dell’assenzio (ἀφίνθιον). Si suole chiamare alla francese forse in omaggio all’abuso che ne fa la Francia, ove in gergo è detto verte (verde). L’uso dell’assenzio in Francia ha creato le due voci absinthisme ed essencisme nel linguaggio medico per indicare l’intossicazione mercè l’assenzio.
Absit (invidia) injuria verbo: lungi sia l’offesa dalla parola (Livio, IX. 19). Motto che si ripete press’a poco nel medesimo senso con cui il Petrarca scrisse:
Io parlo per ver dire
non per odio d’altrui.
Àbstine, sùstine: astienti, sostienti! cioè sopporta; motto dell’antica filosofia stoica. V. Manuale di Epitteto.
Abulìa: malattia dello spirito, che consiste in una inerzia e impotenza della volontà. Questo neologismo scientifico è tolto dal greco abulia, formato cioè da a privativo e bulé = volontà, consiglio.
Abùlico: termine medico, da abulìa. V. questa parola. Dicesi di chi, per effetto di malattia, è privo della forza del volere.
Ab uno disce omnes: da uno conoscili tutti. Così Sinone dice in Vergilio (Eneide, lib. II, 65, 66) parlando del sacerdote greco Calcante. L’emistichio per estensione diventò proverbiale.
Abusus non tollit usus: l’abuso non toglie l’uso, cioè l’abusare di alcuna cosa non vuol dire che essa sia cattiva o dannosa: massima dell’antico diritto.
Abyssus abyssum invocat: Salmo XLI. 7. frase stupenda e biblica, conforme a verità e natura: «il male chiama il male, la colpa vuole altra colpa, l’abisso ama l’abisso».
Acagiù: o, come scrivesi in francese, acajou; grande albero dell’America centrale (dal Messico all’Honduras) e delle Antille. Il legno che se ne trae, duro, venato e di colore rosso mattone è pregiato nei lavori di ebanisteria. Il nome scientifico è Swietenia Mahagoni, onde il nome volgare di mògano dato al legno.
Acalefì: acalephae, termine zoologico. Costituiscono il gruppo delle grandi meduse ad ombrello, animali appartenenti al tipo dei celenterati, a simmetria raggiata. Hanno corpo gelatinoso e perchè forniti di organi urticanti, sono anche conosciuti col nome di ortiche di mare.
Accantonamento: V. Accantonare.
Accantonare: ter. militare, dal francese cantonner, detto degli eserciti i quali sono ricoverati, durante il tempo di guerra o di manovre nelle borgate o nelle città. Der. accantonamento. Accampamento invece è il dimorare in aperta campagna sotto la tenda. Cantonner fr. è da canton = cantone: divisione territoriale francese.
Accento: l’accento detto tonico tende a cadere sulla penultima sillaba equilibrando, per così dire, nelle sue parti la parola italiana. Ora questo accento nelle parole piane non si pone. Ponesi soltanto nelle parole tronche come virtù (da virtute) piè (da piede) può (da puote, latino potest) etc., e sulle parole intere dove l’accento cade sull’ultima sillaba come andò, salì, amò etc. Le parole sdrucciole, relativamente poche, cioè quelle che hanno l’accento sulla terz’ultima sillaba, sono pur esse scritte senza accento come rapido, celere, se non in quei casi ove può nascere confusione di senso, come princìpi e principi, la quale cosa non sempre si fa dagli scrittori. Ora vi è un numero non trascurabile di parole dall’accento errante, parole che alcuni pronunciano piane, altri sdrucciole. E codesta non è semplice questione di lingua ma di convenienza o di dignità. Lasciamo stare che l’accento è l’anima della parola; ma certo è cosa assai gravo che noi non sappiamo e non ci accordiamo sulla pronuncia di molte nostre parole. Questo fatto, con intenzione più o men benigna, ci è osservato anche dagli stranieri. «La lingua italiana? — ho inteso dire — ma se non sapete nè meno voi come si pronunciano le parole!» Certo la cosa è difficile per varie ragioni intrinseche, e perchè l’etimologia non sempre è un aiuto sicuro (es. in latino è dìvido, in italiano divìdo; in latino è dèstino, in italiano destìno, appunto per la tendenza nostra, popolare, all’accento parossitono) e perchè non v’è accordo nell’uso delle persone colte, il quale potrebbe essere il giudice più autorevole. Converrebbe che qualche accademia, dicastero, scuola, consesso (perchè no la Dante Alighieri?) di uomini autorevoli troncasse le questioni in modo assoluto e stabilissero essi l’accento di queste parole. Ma prima di tutto le accademie e i ministeri si occupano di altro, inoltre il popolo italiano come non accetta volentieri leggi ed autorità, nè relativa nè assoluta in politica, tanto meno le accetterebbe in fatto di lingua, dove ognuno è difensore della più ampia libertà sino a giungere all’assurdo logico di non più intendersi. Non sarà un bel carattere, ma è così. Ma v’è anche una ragione esteriore ed è questa: il poco amore che noi abbiamo per quel fenomeno massimo ed assoluto della nazionalità che è la lingua. Scarso o artificioso il sentimento nazionale, scarso il sentimento di rispetto e di conservazione della lingua patria. Ciò è logico. Logico pure è tuttavia il confermare che se questo amore per l’idioma natio fosse in noi, ognuno si studierebbe naturalmente, spontaneamente di essere quanto più egli può puro e concorde nella pronuncia delle parole, evitando almeno quell’errore che proviene da schietta e cara ignoranza. Venendo ad esempi ed a casi pratici, osserviamo come i nomi storici ed i nomi propri siano sine lege vagantes, essi che pur furono oggetto di tanti studi. Gli intendenti di lingue classiche sanno che si deve dire Eráto, Nèmesi, Prometèo, Prosèrpina, Afrodìte, Agamènnone, Àtropo, Diòscuri, Èlleni, Edìpo, etc. Ma molti non dotti dicono erroneamente Èrato, Nemèsi, Prometèo, Proserpìna. La libertà, inoltre, concessa ai poeti, di abbreviare od allungare le sillabe secondo le ragioni metriche, ha contribuito ad aumentare le incertezze anche pei nomi dove le lingue classiche ci fornirebbero norme sicure di pronuncia. Incertezza pure grande è nei nomi geografici, anche nostri o vicini. Es. Frìuli e Friùli, Andalùsia, e Andalusìa. Se poi entriamo nel campo dei neologismi scientifici (vocaboli non tutti registrati, anche nei migliori dizionari moderni) la confusione è al colmo. L’ostinazione degli scienziati presso di noi nell’amare certi suoni è pari solo all’incuria che essi hanno dell’arte della parola, nè pensano che dal rettamente, elegantemente, decorosamente esporre e scrivere, come si costuma in Francia, la scienza stessa trarrebbe incremento e vantaggio. Presso di noi solo il letterato, il poeta hanno dovere di bene scrivere. Cosí dunque noi abbiamo flogòsi per flògosi, cristàllino per cristallìno, circuìto per circùito, azòto ed àzoto, micròbo e mìcrobo, anòfele e anofèle, edèma ed èdema, coccìge e còccige, batràce e bàtrace, etc. Ricordo un dotto scienziato che in una sua lettura publica voleva assolutamente dire zàffiro e non zaffìro. Non valse l’autorità del Carducci:
E di zaffíro i fior paiono
Dolce color d’oriental zaffìro.
Molte volte l’errore proviene da ostinazione accoppiata ad ignoranza e ad inveterata abitudine: Testìmone invece di testimóne (voce forense di Lombardia) àratro invece di aràtro. Molte volte da persistente influsso dialettale, specie nell’Alta Italia. Così a Milano dicono mòllica e non ne vogliono sapere di mollìca, come dicesi in ogni altra parte d’Italia, utènsile in luogo di utensìle (lat. utensìlia). Non so bene in altre parti d’Italia, ma nelle scuole di Milano dove ho alcuna esperienza, la incertezza della pronuncia raggiunge delle proporzioni comiche. Egli è però vero che talora l’incertezza si origina dal dissidio tra la norma data dalla etimologia e la forza buona dell’uso, dai criteri e dalle abitudini dei singoli eruditi e studiosi, dall’influsso regionale. Es. èsile ed esìle, règime e regìme, dirùto (nell’uso) e dìruto secondo etimologia (dìrutus). (Es. le mura dìrute di Lodi fuggono, Carducci, su l’Adda). Aggiungi le parole col gruppo fonetico br, che in prosa sono per lo più sdrucciole, in poesia possono essere fatte piane, come lùgubre e lugùbre, tènebre e tenèbre, pàlpebra e palpèbra etc. Quale il rimedio? Fare un vocabolario di queste parole? un vocabolario dentro un vocabolario? Ciò è un assurdo. E anche lo potessi e volessi, donde mi verrebbe l’autorità per fissare cotesti accenti? A me basta avere proposta, come viva ed evidente, la difficoltà della questione ed il male. Le questioni linguistiche possono interessare gli studiosi solo quando da prima esse interessano la nazione. Se no è lavoro vano ed accademico. Così io credo. Certo un congresso ed un voto di persone autorevoli, seguito ed obbedito da giornali, libri, tipografie, scuole, (per quel che valgono) scritte publiche, riviste etc., in cui volonteroso fosse l’accordo di insistere con l’accento su queste parole incerte, riuscirebbe molto efficace e forse contribuirebbe a fissar l’uso. Ma per ottenere cotesto bisognerebbe prima che i dotti si accordassero, e poi che i giornali (come quelli che hanno più presa nel publico) eseguissero ubbidienti. Due cose del pari difficili. Altro rimedio sarebbe quello di imitare la grafia spagnuola (oh, calunniata Spagna!) la quale pone l’accento sulle parole non piane. Tanto per concludere giova notare come il Petrocchi, con buon successo e buon criterio, nei suoi dizionari adottò l’accento per tutte le parole sdrucciole o bisdrucciole. Il Polacco presso l’Hoepli publicò un’edizione della Divina Commedia, accentando le parole dubbie: qualche libro con gli accenti, si va stampando. Ma anche in ciò occorre prudenza, giacchè si rischia di metter l’empiastro dove non c’è il male. Che bisogno, ad esempio, il signor Corrado Ricci avea di metter l’accento sul titolo d’un suo volume Rinàscita. Chi mai avrebbe letto Rinascìta? Capisco che sono questioni dove è facile essere colto in contraddizione, dove le proposte sono varie appunto perchè manca il mezzo vero e primo: l’amore all’idioma natio, che dev’essere sentito dall’intera nazione e non solo da quei pochi (infelici!) che fanno onesta professione di lettere. Un dizionario di pronuncia delle parole incerte è questo: Regola per la pronuncia della lingua italiana compilata sulle opere dei più recenti filologi da Alberto Buscaino Campo. Trapani, Tip. Modica-Romano, 1875. Esso può servire anche per conoscere come vadano d’accordo fra loro i vocabolaristi.
Accessit: 3a persona del passato del verbo latino accedere = avvicinarsi, appressarsi, dunque si avvicinò. Voce usata in Francia e talvolta anche da noi nel linguaggio scolastico ed accademico per indicare coloro fra i candidati che sono promossi, accostandosi ai primi, ai premiati. Press’a poco come promozione.
Acciaierìa: neol. per indicare i grandi stabilimenti metallurgici ove si lavora l’acciaio. Es.: L’acciaieria di Terni.
Accidentato: come agg. di terreno, ineguale, ondulato, è francesismo manifesto, assai in uso, ma anche assai brutto. Cfr. Dante. Purg. VII, 70: Fra erto e piano era un sentiero a sghembo e Inf. IX, 115: tutto il loco varo.
Acclimatare: per assuefare, abituare al clima è voce riprovata da’ puristi come gallicismo: acclimater e acclimatation. La Cruscaha acclimare, da clima italiano e non da climat fr. Va bene! Ma tanta è la forza dell’uso nelle parole che ben pochi, io penso, usano la voce buona. Il Petrocchi accoglie ambedue le voci. Acclimatazione e giardino di acclimatazione, dove piante esotiche ed animali d’altri paesi vivono e si propagano mercè aite e cure speciali. Per mio conto posso notare come in vece delle due voci buone si vadano introducendo lo parole acclimatizzare e acclimatizzazione. Se i puristi avessero sugli italiani tanto influsso quanto i due suffissi izzare, izzazione, la lingua nostra sarebbe la più pura del mondo.
Acclimatazione: V. Acclimatare.
Acclimatizzare: V. Acclimatare.
Accomandante: V. Accomándita.
Accomandatario: colui che riceve in accomàndita e sotto il cui nome va l’azienda commerciale in accomàndita. V. Accomàndita.
Accomàndita (Società in): si chiama quella compagnia o società commerciale nella quale ciascun socio non è obbligato verso i possibili creditori se non entro i limiti di una pattuita e determinata somma, nè ha ingerenza nell’azienda. Costoro sono detti accomandanti, laddove accomandatario è detto colui che traffica, amministra, dà il nome alla ditta e risponde con ogni suo avere. Anonima invece è la Società commerciale che va e fa traffico per azioni. Il direttore di tale Società può anche essere un semplice impiegato o gerente in nome degli azionisti. Vi corrisponde la voce inglese limited.
Accomodamento: nel senso faceto che talora si usa, specie al plurale, cioè di transizione, accordo, conciliazione, patto, ricorda la voce francese accommodement.
Accumulatore: qualunque apparecchio il quale serva ad accumulare energia, cioè lavoro, sotto forma o meccanica, o termica, elettrica. Il sole, ad esempio, sarebbe il maggiore degli accumulatori naturali.
Acetilène: nome di un gas illuminante, che dà una luce ottima, viva, fissa, prodotto dalla reazione chimica tra il carburo di calcio e l’acqua, le cui proprietà furono scoperte recentemente. Se ne fanno impianti isolati per illuminazione, di assai pratico uso. Il nome è stato formato secondo le regole della chimica organica. L’acetilene fu ottenuto la prima volta da Berthelot, il chimico francese tuttora vivente.
A che: invece di che è comune nel linguaggio degli uffici e ricorda l’à quoi de’ francesi. Es. Tutti hanno interesse a che sia fatta giustizia.
Acqua: nel linguaggio marinaresco è voce usata nelle seguenti locuzioni: fare acqua, quando l’acqua del mare penetra nella stiva attraverso le falle: gettare in acqua = gettare in mare: specchio d’acqua, la parte di mare di cui si ragiona: avere o non avere acqua, quando manca la profondità del mare necessaria al galleggiamento della nave.
Acquaforte: nome dato a certe stampe o incisioni ottenute mediante lastre preparate con l’acido azotico = acqua forte.
Acquafortista: incisore con l’acquaforte.
Acquaiòla: così in Napoli sono chiamate le donne che agli angoli delle vie vendono acqua e bibite di cui quivi è grande spaccio; e sanno con molta arte, rame, vasi, cristalli, limoni, adornare le loro baracche.
Acquàrium: lat. e neol. usato per indicare sì una méscita di bevande come quella vasca ove per diletto o scienza si conservano varie famiglie di pesci.
Acqua vegeto-minerale: o di Goulard, è l’estratto di saturno, ossia il sottacetato di piombo liquido, diluito nell’acqua. Usasi in medicina per contusioni, lussazioni leggiere etc.
Acquetta: o acqua Tòfana (reg. anche nei diz. francesi) o acquetta di Napoli, o di Perugia, o manna di S. Nicolò da Bari. Veleno a base di arsenico, inventato da una donna di nome Tòfana; usato nel secolo XVII. Anche oggi il popolo in molte regioni dice dar l’acquetta per significare dare il veleno, uccidere con veleno.
Acquasantino: voce usata nel dialetto lombardo invece del termine buono pila, piletta.
Acrobatismo: uno dei tanti astratti in ismo che son dell’uso e non trovo registrato. Acròbata è voce derivata dal greco (acrobatèo = cammino in punta di piedi) ed è uguale a funambolo. E come questi a fatica si regge sulla corda, così per traslato dicesi di chi con salti e sforzi di logica, manifesti e ridicoli, si studia di coprire e mascherare il proprio difetto od errore. Tale estensione di senso è anche in francese e di qui forse a noi provenne.
Acrotèrio: dal greco akrotèrion = sommità, cima, punta. Ta akotèria tes Nikes = Le ali della Vittoria. È termine architettonico ed indica il piedestallo in alto di un frontone, destinato a reggere ornamenti o statue.
Acta: lett. dal latino le cose fatte, gli atti. Cfr. Acta apostolorum, Acta diurna urbis, diario o giornale che si publicava in Roma antica, Acta sanctorum, le notizie sulle gesta dei santi, etc. Oggi a questa voce acta è connesso non so quale concetto di solennità per indicare le cose operate e registrate da qualche istituto, accademia, consiglio etc.
Actum agere: motto latino che significa far cosa già fatta, ripetere un’azione inutilmente.
Ad calendas graecas: e italianamente alle calende greche, cioè mai. La ragione del motto sta in ciò che nel calendario romano le calende indicano il 1° del mese: presso i greci invece non vi erano calende, dunque un giorno che mai non viene. Il motto da Svetonio è riferito ad Augusto per coloro che mai non mantengono le promesse fatte.
Addobbi: voce che nel dialetto bolognese acquista speciale significato, cioè di una solennità religiosa, edilizia ed igenica in pari tempo. Essa consiste nella costumanza antichissima di ripulire, intonacare, abbellire poi con addobbi, tutte le vie di una o più parecchie della città, ogni anno per modo che in dieci anni tutta la città si rinnovi. Ciò avviene sul far dell’estate al tempo che la Madonna di S. Luca è portata nel Tempio della città. Da questa ottima costumanza proviene l’aspetto decoroso e lindo che offre la fosca, turrita Bologna.
Addugliare o dugliare: term. mar. raccogliere un cavo su di se stesso a colli tondi, detti duglie.
Adelante, Pedro, con juicio: così nei Promessi Sposi (Cap. XIII) il Cancelliere Ferrer parla spagnuolo al suo cocchiere in quella folla e in quel trambusto: «Va innanzi. Pietro, con giudizio!» Il motto fece fortuna e gli si dà un po’ lo stesso significato del festìna lente dei latini; «Va innanzi con cautela; fa in fretta, ma senza sbagliare», non però senza intenzione di lepore. «Andate adagio perchè ho fretta» così i Gesuiti ai loro allievi nello scrivere lavorare etc.
Adenite: termine medico: tumore e infiammazione delle glandole linfatiche, volgarmente dotto bubbone.
Adepto: dicesi di persona devota ed iniziata ai culti di una setta filosofica o politica. In francese adepte, dal latino adeptus — acquistato.
Ad gloriam: più comunemente per la gloria; detto di chi lavora senza guadagnare. I letterati in Italia, per esempio. Dicesi anche francesemente lavorare pour le roi de Prusse e in dialetto lombardo: per la chiesa di Vaprio.
Ad hoc: lat., che letteralmente vuol dire a ciò. Dicesi di cosa fatta con intento e modo speciale, conveniente ad un fine.
Ad hominem: nella locuzione argomento ad hominem, cioè che riguarda esclusivamente la condizione della persona alla quale o della quale si parla.
Adhuc sub judice lis est: di questioni problemi di soluzione difficile o non risolvibili per loro natura si suole ripetere questo motto che Orazio (De arte poetica, 78) ripeteva a proposito dei primi inventori del metro elegiaco di cui disputavano allora i grammatici: «la lite è ancora sotto il giudice».
Adieu: V. Au revoir.
Adieu paniers, vendage est fait: locuzione proverbiale francese per indicare che qualcosa è finita nè ci si torna più sopra. In Romagna pur nello stesso senso dicono: addio fichi!
Ad impossibilia nemo tenetur: lett. nessuno è tenuto (a fare) le cose impossibili. Dicesi quando alcuno non può fare per forza maggiore alcuna cosa. Proverbio con cui talora si adonesta il malvolere.
A divinis (sospeso): cioè dal celebrare la messa e gli altri uffici divini: punizione che la Chiesa infligge ai sacerdoti che se ne sono resi indegni.
Ad latus: (lat. al fianco) qualifica di generali (in Austria), legati, diplomatici etc., aggiunti per aiuto, consiglio, onore ad una suprema autorità.
Ad multos annos!: per molti anni. Formula augurale latina, sovente ripetuta come clausola per anniversari, celebrazioni, etc.
Adorare: l’iperbole, cioè a dire l’esagerazione nell’aggettivo e nel verbo, che è cosa naturale e conformo alla lingua francese, è stata trasportata nell’italiano dai nostri eleganti. Comune cosa è sentir dire da rosee labbra: «Io adoro le fragole, io adoro i tartufi: vado folle per gli asparagi, etc.». Pare a costoro che la frase perderebbe di efficacia se si dicesse naturalmente: «A me piacciono le fragole, io sono ghiotta dei tartufi, etc.». Orribile (horrible) enorme (enorme) formidabile, spaventoso (épouventable, effroyable) deplorevole, atroce, dirai e udrai dire garbatamente per cose di poco conto. Così non dirai: «ho molta fame», ma dirai «ho un appetito formidabile», non dirai «è uno sbaglio», ma «è una follia». Così si snatura anche l’indole di un linguaggio.
Ad referendum: formula latina: Col riferire, col rapportare il giudizio dei singoli; ed è un nuovo istituto politico della Svizzera, per il quale, in alcune controverse e dubbie questioni, amministrative, economiche, edilizie etc., si interroga il popolo mediante voto. Ottima istituzione democratica purchè sinceramente applicata, fra popoli civili, maturi alla libertà e capaci di ragionare col proprio cervello.
Adresse: fr. per indirizzo, recapito: rara, ma si incontra.
Ad unguem: lat. perfettamente, compiutamente, modo avverbiale che gli antichi tolsero dagli scultori, i quali all’ultimo provavano con l’unghia la pulitura del loro lavoro.
Ad usum Delphini: attributo e motto di una serie di edizioni classiche francesi al tempo di Luigi XIV, affinchè essendo espurgate di ogni audacia od espressione naturalista, fossero acconce alla lettura del Delfino (Principe). Dicesi, talvolta per isprezzo, di libri castrati o potati o di cose accomodate all’uso e perciò privi del loro vigore e significato vero.
Aedi: dal gr. ᾄδω = canto, celebro: i cantori della età eroica presso i Greci.
Aérage: voce francese, tradotta in aeraggio invece di aerazione: indica l’atto e l’arte di dare l’aria ad un luogo chiuso, un naviglio, un cunicolo, una stanza, etc.
Aeraggio: V. Aérage.
Aereonave: nave aerea, neol. frequente di questi tempi, in cui e per diletto e per scienza, si studia con sì ostinata passione la navigazione aerea.
Aereoplàno: neol.: macchine per elevarsi nell’aria imitando il concetto del volo dell’uccello, cioè dell’ala, cioè senza aiuto del corpo leggero o pallone.
Aesthetic style: V. Floreale.
Afasìa: voce medica (gr. ἀφασία) che significa il difetto o la perdita della parola, generalmente per qualche lesione o malattia del cervello. Indica cioè l’impossibilità di tradurre il pensiero con parole, benchè integra rimanga la funzione della lingua e della laringe. Indica anche il difetto di adattare le parole all’idea.
Affaire: per diversi anni noi fummo tormentati dal processo o «questione» Dreyfus: un capitano ebreo dell’esercito francese che (salvo il delitto di avere involontariamente col suo nome ossessionato mezzo genere umano) era, o almeno tutto induce a credere, innocente del grave delitto incolpatogli di tradimento. Tale processo, che si trascinò eterno, sollevando nobili sensi e odiosa retorica di partito, fu in Francia per antonomasia denominato L’affaire. Tale voce noi accettammo e rimase, applicandosi anche a fatti italiani di natura consimile a quello che turbò la Francia. Es: «Il Roma di Napoli reca alcuni dispacci del suo corrispondente palermitano sull’intricato e misterioso affaire», etc.
Affarismo: V. Affarista.
Affarista: non bella nè la voce nè la cosa. Ma come condannarla se è sulle bocche di tutti? Corto essa toglie dall’uso vivo le due efficaci e pure parole nostre: faccendiere e procacciante, ma che farci? Non è certo il caso di asserire che mancasse la cosa e quindi il nome in italiano! Anzi il Fanfani vi aggiunge cavalocchio e mozzorecchi che saranno espressive, ma da lasciarsi a chi vuole toscaneggiare. «Affarismo e affarista sono parole formate da poco tempo in qua e pur troppo necessarie» (Rigutini).
Affiche: affisso, foglio, cartellone, manifesto che ponesi alle cantonate. Tanto affiche come affisso provengono dalla voce latina adfixus [fisso]. Ma la parola francese è specialmente adoperata per indicare quei cartelloni con speciale e nuova arte disegnati, a colori vivi e pochi, a linee audaci e bizzare così da fermare l’attenzione dei viandanti e costringerli a leggere il richiamo che vi si contiene. È l’arte applicata al commercio, Tiziano che aiuta il droghiere e serve allo spaccio. A molti questa nuova arte piace assai. All’estero trionfa. È questione di gusto e di buon gusto. V. Liberty.
Affittacamere: neol., chi appigiona camere per mestiere. Termine di solito spregiativo.
Affrescare: dipingere a fresco, cioè sull’intonaco fresco e preparato all’uopo: maniera in grande onore nell’arte nostra antica. Per essa le pitture murali poterono resistere alle devastazioni degli uomini e del tempo: arte però costosa e difficilissima giacchè richiede tecnica e sicurezza rare, non vedendosi l’effetto dei colori che dopo, cioè quando il muro è asciutto.
Affusto: supporto e carro del cannone: fr. affùt.
Agacé: irritato, provocato, stuzzicato. Part. del verbo fr. agacer.
Agenda: voce francese, dal latino agenda n. p. = cose da farsi. Indica quel taccuino ove si notano giorno per giorno le cose da farsi. Anche questa voce è nell’uso del linguaggio commerciale. V. Notes. V. Carnet. Il sig. Darchini in un suo nuovo diz. francese e italiano (A. Vallardi, Milano 1903) traduce senz’altro agenda per agenda.
Age quod agis: motto della sapienza latina e significa fa quel che fai cioè, attendendo ad una cosa, non occuparti se non di quella.
Aggettivazione: neol. usato per indicare l’arte e la facoltà dell’aggettivare, cioè dell’apporre aggettivi. Aggettivi e nuove metafore sono le impronte di quella nuova scuola — prosa e poesia — che oggi è in molto onore. Gli antichi (Cfr. Dante, Era già l’ora che volge il desio) dai fenomeni naturali sentivano nascere specialmente idee e sentimenti, non colori, cioè non aggettivi come «i volgari descrittori moderni». (D’Ancona: Ricordi ed effetti, Treves, pag. 42). Il Carducci in un suo scritto (Mosche cocchiere) parlando di una rinnovata prosa italiana dice che «non si potrebbe ad ogni modo rifare con i musaici degli astratti e delle metafore», e, ragionando nella scuola, gli uscirono di bocca queste meravigliose iperboli e irruenti parole vive: «chi potendo dire una cosa in dieci parole la dice in venti, lo credo uomo capace di male azioni», e ancora: «noi stemperiamo tutta in biacca la porca anima nostra» (Vedi Omaggio della Rivista d’Italia a Giosue Carducci, Maggio MCMI, pag. 93 e 96). Molti altri valentuomini la pensano come questi due grandi; ma l’aggettivo, la biacca, la retorica e il musaico trionfano più che mai. Difetto, a nostro avviso, di sincerità nell’arte! Tra il nuovo stile delle arti decorative (V. Liberty) e la nuova prosa e poesia esiste alcun nesso manifesto. Ad ogni modo se anche, non una parte di ragione, ma tutta la ragione fosse in questo nostro giudizio, esso non approderebbe a nulla, giacchè a nulla vale il contrariare le inclinazioni di una età: esse sono tali perchè conviene che così siano.
Agibilità: questa parola di conio nuovo o, per dir meglio, una delle tante di formazione abusiva, la trovo in un documento che non dovrebbe essere errato: le lettere, cioè, con cui il ministro di Sua Maestà il Re sottoscrive alcune azioni in favore del teatro alla Scala. Questa parola agibilità infiora il seguente periodo, privo affatto di agibilità: «Roma li 27 aprile 1902. — Sua Maestà il Re, al quale ebbi l’onore di riferire l’oggetto della lettera a me diretta dal Comitato «Pro— Scala», ha degnamente apprezzato gli artistici intendimenti a cui si ispira l’iniziativa presa dalle più cospicue individualità di codesta città onde assicurare l’agibilità del detto teatro». Con tutto l’ossequio alle istituzioni presenti non posso obliare che i signori e le republiche nostre del ’400 e del ’500 italiano avevano dei ministri o segretari che sapevano scrivere assai più elegantemente. Eppure in quei secoli l’estetica non era un cànone della vita come è oggi!
Aggio da agio: parola italiana del linguaggio commerciale, usata anche all’estero (fr. agio): = speculazione sul corso dei valori publici, differenza nel cambio della moneta. Da agio i francesi devono aver dedotto le parole agiotage (traffico, speculazione, giuoco sulle differenze dei corsi di Borsa: arte di alterare artificialmente e con fine disonesto il valore delle carte publiche o delle merci di gran consumo) e agioteur: onde le nostre parole aggiotaggio, aggiotatore.
Àggio: è notevole l’abuso che si fa di questo suffisso che ricorda il suffisso age de’ francesi, onde molte parole come metraggio, arbitraggio, viraggio, drenaggio, bendaggio etc. Aggio, ismo, ale, izzazione sono i suffissi dominanti, sì per effetto del nuovo bisogno di astrarre, sì per effetto delle lingue straniere.
Aggio mangnato: (ho mangiato) risposta tipica dell’indolenza, imprevidenza e noncuranza del làzzaro napoletano che, richiesto di servizio, rifiuta non avendo bisogno di alcun altro guadagno in quel dì, avendo egli mangiato. La triste frase deve ritenersi come leggenda.
Aggiornare: voce usata bene nel senso di fissare il giorno (dicere diem). Nel senso di differire è riprovata dai puristi. Certo è dell’uso e la registra la Crusca, il Petrocchi, etc. fr. ajourner.
Aggiudicatario: termine giuridico: indica la persona la quale per effetto di aggiudicazione è dichiarata proprietaria di cosa alcuna venduta all’incanto, per aver offerto il maggior prezzo. L’aggiudicazione può avere per oggetto anche una concessione o un appalto e in questo caso è aggiudicatario colui che ha fatto l’offerta minore.
Aggiotaggio: V. Aggio.
Aggiotatore: V. Aggio.
A giorno (illuminare): questa locuzione italiana, anzi italianissima tanto che essa è una delle poche parole nostre penetrate all’estero (A giorno in francese = éclairer a giorno, comme au grand jour) dal Fanfani è riprovata o almeno accettata a denti stretti. Yi antepone locuzioni simili: sfarzosamente, splendidamente illuminato, oppure: al Pagliano ci si vedeva come se fosse giorno. Bell’esempio del come e dove possa arrivare la pedanteria! A giorno è locuzione usatissima invece di traforato. Es. un fazzoletto con l’orlo a giorno, il che ricorda il francese à jour, percé à jour = de part en part.
Agnosco veteris vestigia flammae:
conosco i segni dell’antica fiamma.
Agnosticismo: dal greco a = negativo e gignòsco = conosco, cioè quella dottrina filosofica che non sa, cioè che vuole attenersi soltanto allo scibile, a ciò che si sa senza oltrepassare con presupposti i limiti della scienza. Press’a poco come positivismo. (L’Agnostico appunto perchè ha rinunciato di pronunciarsi su ciò che oltrepassa i confini dell’esperienza, non può a rigor di logica negare la possibilità di un’anima eterna).
Agorafobia: una delle tante fobie del linguaggio medico, dal greco agorà = piazza, foro, mercato, assemblea e fobia = paura, avversione. Con questo nuovo vocabolo i medici alienisti chiamano quella specie di malattia nervosa, se malattia si può chiamare, per la quale si prova una specie di avversione, paura, turbamento, squilibrio nel traversare grandi spazi e nel trovarsi in mezzo a gran moltitudine.
Agrari: nome dato ai partigiani del partito Prussiano protezionista, a base di tariffe, dalla produzione del suolo. Partito presentemente conservatore con lieve tinta confessionale (protestanti), militarista, feudale. È formato dai grandi proprietari e si contrappone al partito degli industriali e dei socialisti. Dal tedesco Agrarien, lat. ager = campo.
Agremà e Agremani: dal francese agrément (radice gré lat. gratum, it. grato, grado) che indica tutto ciò che è gradevole, piacevole. Es. livre plein d’agrément. Quindi per estensione ornamento del vestire. In it. guarnizione, passamano.
Agrément: V. Agremà.
Ahimè, povero Yorick!: esclamazione di Amleto quando scopre nel cimitero il teschio del buffone Yorick (Amleto V, 1). Il motto ha valore di intercalare pur fra di noi.
À huit ressorts: nel linguaggio mondano e giornalistico invece di con o di otto molle, detto francesemente di certe vetture signorili, le quali oltre che alle quattro molle comuni d’acciaio, sono sospese ad altre quattro cinghie di cuoio.
Ài: per hai V. Avere.
Aigrette: voce francese, ed indica quel «ciuffetto» che alcuni uccelli, pavone, gufo, airone, portano sul capo. Per analogia è così chiamato quel pennacchio di sottili e gemmate piume, che s’eleva rigido sul cappello delle signore. L’uso di tal moda risale in Francia ai tempi di Enrico II e durò, salvo rare interruzioni, sino a’ dì nostri. È voce comune anche da noi. In italiano ho inteso da qualche crestaia o cuffiaia dire «fantasia» nè si potrebbe dir meglio giacche «fantasia» nella nostra lingua indica tutto ciò che è prodotto singolare e strano della natura dell’arte: «Porta denari assai per spenderli in queste fantasie della Cina, Le madreperle e le altre fantasie del mare» [Manuzzi, Diz.]. L’etimologia di aigrette è diminutivo di aigre lat. acer: = acuto.
Ainé: fem. ainée da ains e né = nato avanti, cioè maggiore, primogenito, ovvero antico, vecchio, contrapposto a novello come diceasi nel buon tempo della lingua nostra. Parlandosi di personaggi francesi noi si usa spesso la voce francese ainé. Es. Coquelin ainé.
Non son l’antico, ma da lui discesi
A’ miei portai l’amor che qui raffina.
Aise: nella frase essere, trovarsi à son aise è frequente. Ètre à son aise, in
francese, significa essere libero ne’ movimenti, sentirsi «a giuoco» come scrive Dante ( Inf. XVII, 103) poi nel senso morale trovarsi bene essere a posto, come dicono a Milano. Aise indica generalmente soddisfazione, diletto, per il possesso o la presenza di cosa desiderata.
Così Dante: Le donne e i cavalier, gli
affanni e gli agi (Purg. XIV, 109). Noi potremmo adoperare le nostre locuzioni italiane «stare ad agio, a buon agio, essere a bell’agio, a disagio» etc. ma in vece
di rinnovare questi modi nostrani, si usa talora il modo francese.
A la etc.: molte locuzioni che così incominciano, sono registrato sotto il nome che segue o si cerca.
À la belle étoile: dormire o albergare à la belle étoile è arguto modo francese per dire dormire all’aperto o sub Divo o sub Iove come dissero i latini [Manet sub Jove frigido venator. Hor. Odi]. Noi avremmo il verbo serenare che è assai bello, ma anzi tutto è riportato come proprio del linguaggio militare, poi è troppo letterario e disusato, quindi poco sarebbe inteso, nè contiene il senso arguto del motto francese.
À la cravache: nel linguaggio delle corse dicono francesemente mettere il cavallo à la cravache (frusta corta del cavallerizzo) per eccitarlo all’ultimo sforzo.
À la guerre comme à la guerre: bel modo francese che per quel loro largo senso di iperbole, essi sanno usare garbatamente per dire che in certe occasioni conviene adattarsi e sopportare qualche privazione. Tale locuzione è spesso da noi scimiottata. Essere in ballo è modo nostro che in parte vi corrisponde.
À la lanterne: V. Lanterne.
Alalì: V. Halalì.
À la mer (un homme): è propriamente grido di chi a bordo si accorge nel corso della nave che uno è caduto in mare, situazione terribile, specie di notte, con la nebbia e il mar grosso. Per traslato dicesi di persona in pericolo grande, abbandonata a sè e con scarsa speranza d’aiuto. Così uno dei più dotti e più fini giornalisti d’Italia esclama, parlando di non so quale uomo politico: Altro uomo à la mere, (sic!) Nota però, o savio lettore, che gli uomini politici di rado sono proprio perduti. La smemoratezza italica, d’accordo con la dea Indifferenza, li salva e li rimette a nuovo. V. Salvataggio.
Alare: in marina significa tirare un oggetto mercè un cavo. Così nell’arte militare alare un barcone tirarlo per forza d’uomini mercè una corda. Derivato Alaggio.
À la suite: lett. al seguito, locuzione francese molto in uso come attributo di chi è adetto a far seguito d’onore a qualche persona qualificata e di alto grado nella milizia e nella diplomazia. Locuzione comune anche in tedesco.
Albàna: vitigno e vino romagnolo, di aroma caratteristico, alquanto dolce: di uso locale. È vino per dolci e frutta. Dall'Albana ottienesi ora con migliori processi anche un tipo asciutto, assai pregiato.
Albanella: (Falco subbuteo) uccello rapace, detto anche falcone degli alberi. Altre specie affini portano pure il nome di albanelle.
Albero: delle navi, di legno o di acciaio, piantato verticalmente o quasi in mezzania de’ navigli, atto a sostenere lo sforzo del vento sulle vele ad esso inferite: le tre parti che di solito compongono l’albero della nave, sono: fuso maggiore, albero di gabbia ed alberetto. Trinchetto è l’albero che sta a prua, di maestra quello che sta al centro o quasi, di mezzana a poppa. Bompresso è l’albero che sporge fuori della prora. Alberi di fortuna sono quelli che si improvvisano in caso di disalberamento. Nei grandi piroscafi gli alberi servono per far segnali, per adattar ordigni da sollevar pesi, per ampia vedetta sul mare; e nelle navi da guerra per piccole batterie sulle coffe, onde il nome di «alberi militari».
Album: neutro di albus che in latino vuol dir bianco. (Cfr. Alba, Albume). Pei romani era una tavoletta spalmata di bianco ove i pretori scrivevano i loro atti. Album in francese e in italiano vuol dire un elegante quaderno per iscrivere, disegnare, raccogliere note e sentenze. La Crusca rigetta Album e accetta Albo come più italiano. Nell’uso è album, plurale albi. Ma non di rado, specie nelle scritte commerciali, si compone il plurale alla francese, albums.
Alca (minore): (Alca minor o Alca torda) uccello palmìpede vivente sugli scogli e sulle coste dirupate dei mari nordici. Eccellente nuotatore e buon volatore, compare talvolta durante l’inverno nel Mediterraneo. Una specie più grande delle medesime regioni, l’Alca maggiore (Alca impennis) sembra estinta da circa 60 o 70 anni, probabilmente perchè lo scarso sviluppo delle ali, rendendola inetta al volo, ne permise la totale distruzione.
Alcade: in Ispagna, primo magistrato (sindaco o giudice) di una città, voce di origine araba: al = il, e kadì = giudice.
Alcaloide: da àlcali e oide (V. questo suffisso). Alcali è parole araba antica che significò la potassa e la soda, passata poi in chimica per indicare quelle sostanze basiche che hanno somiglianze chimiche e fisiche con la potassa e con la soda. Ora alcuni estratti da essenze naturali come la chinina, l’atropina, la morfina e altre voci col suffisso in ina sono detti alcaloidi cioè simili agli alcali perchè hanno alcune somiglianze cogli alcali. Sono sostanze azotate, ossia quaternarie, cioè contenenti, oltre al C, all’H e all’O, anche l’azoto (Az o N). Hanno un sapore amaro ed esercitano un’azione potente sull’organismo. Si usano in medicina in piccolissime dosi, molti di essi essendo potenti veleni. Sono alcaloidi p. e., la morfina, la nicotina, la chinina, la sparteina, l’atropina, ecc.
Alcarazzas: voce araba che indica una specie di vasi di argilla porosa, i quali, esposti in luoghi ombrosi ma ventilati, conservano fresca l’acqua per effetto della continua evaporazione di quella parte di essa che trasuda dai pori.
NB. Alcuni scrivono piuttosto alcaraza.
Alcazar: palazzo costruito in istile moresco.
Alchermes: è il Coccus ibicis L. o Chermes vermilis Planch, insetto affine alla cocciniglia, vivente sopra una quercia sempreverde (Quercus coccifera L.). Le femmine disseccate forniscono una materia colorante scarlatta, detta appunto chermes o alchermes, da taluni it. in alchermisi. Term. zool. e industr. da cui il il nome del noto rosolio, così colorito.
NB. La cocciniglia è il Coccus cacti, che vive sopra un cacto simile al fico d’India (Opuntia coccinellifera) e fornisce il colore carmino.
Alckekengi: pianta della famiglia delle solanacee, che dà un frutto autunnale aurato, lievemente acidulo, polposo come il pomidoro, piccino e tondo come una ciliegia, chiuso entro una leggiadra capsula setosa e gialla. Il nome deve essere orientale: da poco esso frutto fu introdotto in Italia: comune specialmente in Lombardia ove il dialetto del Porta trasmutò lievemente la voce primitiva in chichinger.
Alcool: dall’arabo al— qoçhl = cosa sottile, polvere lieve e volatile in uso già da antico presso quel popolo per render nere e grandi le pupille. La grande tenuità di detta polvere sembra abbia indotto i chimici a dare questo nome allo spirito del vino. Si trova questa parola talvolta it. in alcole e mi par bene.
Alcoolicità: proporzione dell’alcole nei liquori. Perchè sì in questa parola come in cooperativa persiste nell’uso quel doppio e sgarbato o?
Alcoolismo: neol. stato patologico prodotto dall’abuso delle bevande alcooliche. fr. alcoolisme. La parola ubbriachezza suggerita dal Fanfani risponde ad altro concetto, cioè esprime lo stato transitorio di chi è in istato di ebbrezza.
Un alcoolizzato può non essere ubbriaco viceversa.
Alcoolizzare: mettere una data proporzione di alcole in un liquido: produrre uno stato patologico pel continuo abuso degli alcoli (fr. alcooliser).
Alderman: parola di origine germanica che significa letteralmente, come la nostra voce: anziano.
Ecco un degli anzian di Santa Zita.
Ale: notevole è l’uso di questo nuovo suffisso usato, non solo dagli imperiti della lingua, ma da scrittori i quali sembrano annettervi uno speciale senso di riposta eleganza, come in lacuale, medicale, mattinale, passionale, etc. invece di lacustre, medico, mattiniero o mattutino, appassionato o di passione. Dove questa desinenza in ale esserci provenuta dall’inglese al, piuttosto che dal francese. V. Medicale.
Ale (é-l’): parola inglese, registrata anche nel vocabolario francese, ed indica una specie di birra gagliarda, ma non a tal grado e così scura come il Porter.
À l’eau de rose: l’acqua di rosa, eau de rose, è un profumo delicato e soave ottenuto mediante la distillazione delle rose. Per traslato dicesi piacevolmente all’acqua di rosa o di rose per indicare un’attenuazione, un’adattabilità, specie di persone o cose che non si direbbero o non vorrebbero essere tali. Es. Republicani all’acqua di rosa. Annacquato vi corrisponde assai bene. Es. Cristianelli annacquati. Usata è pure la scrittura francese, come qui sopra.
Alesare: termine tecnico de’ meccanici, dal francese aléser e vuol dire tornire la superficie interna d’un cilindro forato. Aléser deriva dall’antico francese alis = dolce al tatto, provenzale lis, spagnuolo liso e italiano liscio. Noi dunque potremmo dire: levigare, brunire.
Alguacil: voce spagnuola registrata nei diz. francesi: deriva dall’arabo, ed indica guardia, agente di polizia.
Alias: avv. latino in altro tempo, ma nell’uso odierno vi si annette talora un lieve senso ironico per significare persona che mutò pensiero, condizione, posizione sociale o politica.
Alibi: con l’accento non sull’a e sull’i, essendo avverbio di luogo latino, e non francese, benchè pur in Francia usato, e vuol dire: altrove. In termine giudiziario, provar l’alibi significa poter dimostrare con prove di essere stati altrove mentre si compiva un dato misfatto, il che è argomento semplice e assoluto di innocenza.
Alicante: vino di lusso, prodotto nella provincia di Alicante in Ispagna.
Alìnea: (dal latino ad e lineam) termine legale, usato in vece di capoverso, paragrafo. Il Fanfani lo taccia di provenienza francese; cosa più che probabile essendo in fr. alinéa: a ciò aggiungi che non è voce necessaria. Se un difetto si può imputare alla lingua nostra è l’abbondanza dei sinonimi.
Alius et idem: diverso e pur lo stesso. Locuzione latina. Veramente in Orazio (Carmen saeculare) è aliusque et idem, detto del sole che rinasce nuovo pur rimanendo lo stesso.
Alla banda!: comando marinaresco di far mettere il timone e la ciurma tutta da un lato della nave.
Allarme, allarmare, allarmante: sono gallicismi di cui non potremmo far senza nella lingua corrente e nell’uso: sconosciuti quasi al popolo. Alarmista (fr. alarmiste) chi suole spargere notizie che turbano e danno apprensione agli animi, è voce meno comune delle precedenti e però pare meno buona. Nel fatto pecca come quelle del difetto d’origine e della solita esagerazione metaforica propria de’ francesi. Del resto il grido militare di alarme da cui partono le dette metafore, risponde esattamente al nostro all’armi!
Allèa: per viale arborato è voce piemontese, penetrata nell’uso. Proviene dal fr. allée: letteralmente andata da aller = andare, cioè viale, passeggio.
Alleggiare: term. mar. V. Libare.
Allemande: ballo antico, originario della Germania, di moda in Francia nel secolo XVIII. Ballavasi su di un motivo allegro a due tempi.
Allenamento: nel linguaggio delle corse e degli esercizi fisici significa il graduale e lento abituarsi allo sforzo muscolare, onde i verbi allenare, allenarsi.
Allenare: neol., addestrare con l’esercizio razionale a compiere il massimo sforzo fisico ne’ giuochi e nelle corse (Sport).
Allibare: term. mar. V. libare.
Allo!: voce del linguaggio familiare francese, usata al telefono per avvertire che si ascolta; in it. Pronti! Dall’antico grido di caccia Hallali? Allo non è reg. che nei dizionari d’Argot.
Allons, enfants de la patrie: primo verso dell’inno rivoluzionario di Francia detto La Marsigliese e che il Carducci, nel Ça Ira traduce parafrasando: «Marciate della Patria incliti figli». La Marsigliese è dovuta all’improvvisazione geniale di Rouget de Lisle. V. Lamartine (Storia de’ Girondini, lib. XVI).Fu eseguita dalla musica della guardia nazionale di Strasburgo il 29 aprile 1792. Fu portata in Parigi dai marsigliesi guidati da Barbaroux.
Allopatìa: termine medico (dal greco allos = altro e pathos = sofferenze, male) che significa la cura della infermità co’ rimedi contrari al male. Naturale concetto empirico. Es. il ghiaccio nelle infiammazioni. Derivato allopatico. È l’opposto di omeopatico.
Allo scoperto: nell’industria vendere allo scoperto significa speculare sui prezzi delle mercanzie, assumendo commissioni senza coprirsi, cioè senza acquistare subito le materie prime, per attendere che ribassino. In Borsa operare allo scoperto: = speculare sui prezzi dei titoli che non si possiedono, impegnandosi a pagare le differenze di prezzo o ad acquistare i titoli per consegnarli alla scadenza dei contratti.
All right: voce inglese, pronuncia o rait e letteralmente significa tutto diritto, tutto bene; oh, bene, ed è usata con forza di intercalare. Un po’ per celia, un po’ per vezzo si dice talora anche da noi come esempio dimostra: «Stamani, prima di balzar fuori dalla mia cuccetta, mentre mi palpavo accuratamente facendo una specie d’inventario generale del mio corpo, dopo di avere con mia grande soddisfazione constatato che era all right, mi sono rammentato, con non minore soddisfazione, che nella notte non ero caduto che due sole volte dal letto».
Almanacco di Gotha: o anche in francese almanach de Gotha, celebre e aristocratico calendario genealogico, diplomatico e statistico edito a Gotha, da Perthes, e vanta la sua fondazione dal 1763.
Alopecìa: caduta de’ capelli e de’ peli per effetto di alcun vizio fisico o malattia. Voce medica; dal latino alopecia, derivata alla sua volta dal greco ἀλωπεκία da ἀλώπηξ = volpe, giacchè credevasi che di questo male soffrisse l’astuta bestia. Cfr. per la etimol. del vocabolo il motto: La, volpe perde il pelo e il vizio mai.
Àlpaca: lega di rame, zinco, nichelio, analoga al packfong, di colore e lucentezza simile a quella dell’argento.
Alpaca e Alpaga: piccolo camello senza gobba, simile al lama, al guanaco e alla vigogna, e vivente com’essi sulle Cordigliere delle Ande. Fornisce, come la vigogna, una lana di straordinaria finezza. Auchenia paco, term. zool. Dal nome dell’animale quello della stoffa. Il nome della stoffa è pronunciato alla francese: alpagà o alpacà.
Alpe: in Toscana si dice per montagna alta, pur trattandosi dell’Appennino, e per l’appunto i monti che segnano la linea di displuvio. Uso antichissimo:
Noi stiamo in alpe presso ad un boschetto.
F. Sacchetti, Le pastorelle montanine.
Alpeggio: chiamasi così nell’Alta Italia il pascolo estivo del bestiame sulle Alpi.
Alpenstock: parola tedesca (cfr. stocco ted. stock) che indica il bastone ferrato, alto, ricurvo in cima o ornato di un cornetto di camoscio, usato nello escursioni alpine. La traduzione che alcuno tentò in alpistocco non è riconosciuta dall’uso. Tale voce è pure nei diz. francesi.
Alpino: il soldato in difesa delle Alpi: nota milizia di recente istituzione.
Alt: comando militare di fermata, dal tedesco halt = sosta, fermata. (Il Petrocchi registra in tal senso la parola alto, e dicesi in fatto fare un alto, ma anche qui la parola alto non proviene dal nostro aggettivo omonimo, bensì dal tedesco halt machen = fare alt).
Alta: invece di grande come attributo di novità è comunissima voce, specie nel linguaggio delle mode: è la versione esatta dal francese haute nouveauté.
Alter ego: (lat. un altro me stesso) dicesi, talora con senso faceto, di persona che può e suole in un dato ufficio sostituire l’opera altrui.
Alternatore: motore elettrico a corrente alternata, in cui il lavoro meccanico si trasforma nell’energia di una corrente alternata, ossia tale che la sua intensità vari periodicamente da un massimo positivo ad un massimo negativo; e questo allo scopo di trasmettere l’energia elettrica alle maggiori distanze, cosa che non è conveniente con una corrente continua.
Alto forno: dei grandi stabilimenti metallurgici; così detti e dal gran camino e dalle alte temperature a cui possono giungere allo scopo di fondere i più duri metalli.
Alto mare: tutta l’estensione del mare che è fuori della vista della terra.
Amantes amentes: motto latino di antica sapienza che trae valore dalla somiglianza dei due suoni e dalla ommissione del verbo, cosa comune nel sentenziare dei latini: gli amanti sono privi di giudizio, senza mente. La qual cosa fu da molti poeti e filosofi significata e per l’appunto dall’Ariosto, anima grande e serena, là dove dice chè non è in somma Amor se non insania (Orlando Furioso, XXIV), l’insania che contiene la vita!
Amateur: a questa parola usatissima corrisponde la nostra dilettante, e dicesi di chi ha gusto, inclinazione, amore per qualche arte senza farne professione. V. En amateur.
Amaurosi: gr. amauròo = oscuro. Cecità o turbamento profondo delle facoltà visive, che non può attribuirsi a determinata lesione. Voce del linguaggio medico: il vocabolo volgare è gotta serena.
Amba: nome dato a certi monti dell’Abissinia di special forma, cioè di piramide tronca, quivi frequenti. Servono in quel governo barbaro feudale per luogo di relegazione. La parola è entrata nell’uso della lingua italiana dal tempo delle tristi guerre con l’Abissinia. Voce di quell’idioma.
Ambiente: per stanza o vano o recipiente non mi pare voce lodevole. Nel senso di condizioni ed influsso di tempo, luogo, persone è così invalsa che, anche condannandola, sarebbe condanna inutile. Certo che è preferibile, per chi onora l’arte del dire e dello scrivere, determinare queste condizioni con le loro precise parole.
Amen: voce ebraica che significa così sia. Nel linguaggio familiare dicesi amen per indicare acconsentimento, includendovi però l’idea di noncuranza o di rassegnazione.
A mente: Es.: a mente dell’art, etc. modo invalso nelle scritture d’ufficio in luogo di in conformità, seconda, giusta. Lo riprende il Fanfanie non a torto.
Ambulatòrio: voce riprovata dai puristi, invece di un proposto consultatorio. Chiamano i medici ambulatorio quel locale ove si possono fare cure mediche o chirurgiche ambulatoriamente cioè stando in piedi e venendo ogni tanto, senza bisogno della cura del letto.
Americanata: neologismo di formazione popolare, per indicare fatto o impresa esagerata, sorprendente, audace, sfacciata, di cui l’America del Nord sembra avere il privilegio. In questo conviene tener conto del naturale crescere delle proporzioni attraverso l’oceano e della differenza che intercede tra un popolo giovane in terra ampia e vergine, e un popolo vecchio in terra angusta ed augusta por vetustà.
Amfìbolo: termino miner.; minerale formato di silicato di magnesio e calcio incoloro o a colori varii, fra cui più frequente il verde.
Amico: nel linguaggio diplomatico e parlando di Stati e sovrani significa alleato.
Amicus Plato, sed magis amica veritas: sentenza dedotta dal massimo dialogo di Platone (Fedone, XL, 91) dove Socrate consiglia i discepoli a darsi più cura del vero che delle sue parole. Ammonio nella Vita di Aristotile primo ne trasse la sentenza: φίλος μὲν Σωκράτης ἀλλὰ φιλτέρα ἡ ἀλήθεια. In seguito avvenne la sostituzione, popolarmente errata, di Platone a Socrate.
Ammezzato: significa fatto a mezzo: nel senso di mezzanino, cioè tutto quella ordine di stanze che sono immediatamente sopra al pian terreno o fra due piani principali, è un errore in cui incorrono a Milano quando vogliono italianizzare la buona parola dialettale mezzanino.
Ammortamento: è parola più che buona perchè deriva da a e morte. Cfr. il nostro verbo classico anzi trecentistico ammortare. Certo che nel senso legale e commerciale di estinzione di un reddito, di un debito etc. entra nel novero delle parole di origine francese amortissement, da amortir. Notevole è la misera ricchezza che noi possediamo di tali parole: ammortizzazione, ammortizzamento, ammortamento. Derivato il verbo ammortizzare e l’aggettivo ammortizzabile (fr. amortissable).
Ammortizzabile: V. Ammortamento.
Ammortizzare: V. Ammortamento.
Amnesìa: termine medico derivato dal greco, che significa letteralmente senza memoria, a = senza e mnesis = memoria. Perdita parziale o totale della memoria per effetto di malattia.
Amolo: voce del dialetto veneziano che vuol dire susina.
Ampelografia: voce della scienza agraria e significa descrizione delle specie e varietà della vite: dal greco àmpelos = vite, vigna.
Ampère: nome di eminente fisico francese (1775— 1836). In omaggio a’ suoi studi sui fenomeni elettromagnetici, venne dato il nome di ampère, nel sistema di misure elettromagnetiche, all’unità pratica di misura della intensità della corrente elettrica. Una corrente dell’intensità di un Ampère passando attraverso ad una soluzione di nitrato d’argento nell’acqua preparata secondo speciali istruzioni, deposita argento nella ragione di grammi 0,00118 per minuto secondo.
Amperometro: istrumento che misura la intensità di una corrente elettrica esprimendola su di un quadrato in Ampères. V. Ampère.
Amovibile: voce del linguaggio degli uffici per significare quel magistrato od ufficiale che può essere rimosso dal suo posto. Il contrario di inamovibile. Der. amovibilità.
Ampolla: termine medico, per indicare le vesciche della pelle, le quali quasi sempre provengono dalle pieghe, dai buchi, dai rammendi delle calze. L’ampolla è l’incidente di strada del camminatore, come la perforazione della gomma lo è del ciclista. Solamente è più facile riparare una gomma che guarire un’ampolla.
Anamnèsi: voce del linguaggio medico, derivata dal greco e vuol dire memoria. Consiste nel raccogliere i sintomi della malattia per cui il paziente chiede l’aiuto della scienza: a prossima cioè dalle malattie precedenti, sistema di vita, di vitto etc, a remota, cioè dall’indagine sui precedenti ereditari e personali.
Anànke: parola greca ed antica che ricorre talora negli scritti moderni come ad es. nei Miserabili di V. Hugo; significa: «violenza, necessità, fatalità, tortura, destino fisico e morale» e il complesso di tutto codesto.
Anarcoide: neologismo di fresca data formatosi a simiglianza di certe voci scientifiche col suffisso oide (dal greco eidos = ferma, specie). Vuol indicare cioè tale individuo che se pur non professa le rigide e assolute teorie anarchiche, è per sua natura insofferente di qualunque forma di legge, ordine, autorità, disciplina. Vedi il suffisso oide.
Ancia: fr. anche: indica quella linguetta elastica, le cui vibrazioni servono eccitare i suoni in alcuni istrumenti a fiato. La parola anche = canna linguetta, sembra provenire da un’unica voce di origine tedesca da cui hanche = anca, osso della gamba. La parola anche avrebbe per tal modo subito lo stesso processo evolutivo per cui la voce latina tibia = osso della gamba, passò a designare il flauto.
Ancien regime: letteralmente antico regime. Così chiamano in Francia le forme di governo aristocratico-feudale, anteriori alla rivoluzione del 1789; e così noi ripentiamo.
Andare: all’imperativo fa va e non vai, come dicono alcuni leziosi che vogliono imitare la maniera toscana. Al congiuntivo vada e vadano non vadi e vadino come dicono ad es. alcuni maestri quando mandano fuori di classe gli alunni: vadi fuori! Al futuro andrò, forma sincopata, è preferibile ad anderò. Al cong. imperfetto andassi e non andessi, idiotismo che taluno dice forse per reminiscenza di dessi e stessi.
Andare a Canossa: tornare all’ovile, ritrattarsi, ricredersi, fare atto di sottomissione, specie di opinioni ribelli, audaci ed ereticali. Locuzione popolare e viva che trae origine dall’andata di Arrigo IV, tedesco, al Castello di Canossa sottomettendosi a Papa Gregorio VII (1077). Locuzione simile deve essere anche in tedesco se Bismarck, il 14 maggio 1872, al Parlamento tedesco ebbe ad esclamare questa frase rimasta celebre: Nach Canossa gehen wir nicht = noi non andiamo a Canossa, cioè non facciamo atto di umiliazione.
Andare a vapore: andar in gran fretta, compiere alcuna cosa con grande sollecitudine e simili: locuzione tolta manifestamente dal rapido moto delle macchine a vapore.
Andare in Èmmaus: locuzione familiare lombarda che significa essere distratto, non aver posto mente ad una data cosa. Emmaus è un borgo della Palestina, presso Gerusalemme, ove, secondo che è scritto nello Sacre Carte, Cristo apparve per la prima volta dopo la sua morto agli Apostoli, i quali furono ratti in lui. Da ciò forse il motto?
Andare In oca: scordarsi, 'dimenticarsi una cosa una cosa, ma di poca importanza e senza intenzione. Il motto è veneto e lombardo ed è in queste regioni usato talora nel parlar familiare. Vi corrisponderebbero press’a poco i modi toscani comuni di andare, lasciare, mettere nel dimenicatoio.
Andare a fagiuolo: modo familiare di Toscana, Romagna ed altrove: significa piacere, preferire, andare a genio, soddisfare.
Io vo con chi mi garba per la via
e pianto chi mi va poco a fagiuolo
Pananti, Poeta di Teatro, XXIV.
Andare a picco: V. Picco.
Andar di bolina: nel linguaggio marinaresco V. Bolina.
Andar per la maggiore: modo comune che significa essere fra i primi, più autorevoli e noti. «Modo traslato dai Magistrati delle Arti della città di Firenze, alcune delle quali dicevansi maggiori,» cosí spiega G. Bianchini, Motti popolari, ma non troppo mi persuade. Perchè non sottintendere via?
Andrienne: nome di veste muliebre in uso nel secolo XVIII, così detta perchè secondo il modello imaginato dalla attrice Dancourt nella parte di Glicera nell’Andrienne di Michele Baron.
Andesitica: chiamasi dai geologi lava andesitica una roccia eruttiva costituita di andesite amfibolica, che è un’associazione di feldspato, amfibolo, mica nera e molti altri minerali silicati e non silicati. Il nome di andesite è derivato dalla catena delle Ande, dove, come in tanti altri luoghi anche d’Europa, sono diffuse le andesiti amfiboliche.
Andrògino: non altro che ermafrodito, cioè uomo (gr. anèr) e donna (gr. ghinè) insieme. Nota è tale parola come attributo di piante ed animali che posseggono i duo organi riproduttivi. Meno nota nel senso del mito greco, secondo cui l’Andrògino rappresenta il tipo perfetto che poi si sdoppiò nel maschio e nella femmina. La scuola estetica di questi ultimi tempi rinnovò questa concezione antica. «Ab antico, di fatti, la natura umana non era quella medesima d’ora, bensí diversa. Chè da prima, erano tre i sessi umani non due, come ora, maschio e femmina, ma se ne aggiungeva un terzo, partecipante di tutt’e due questi, del quale resta oggi il nome, ma esso stesso è scomparso». Platone, Convito, discorso di Aristofane. Cfr. Anime gemelle.
Anemìa: gr. a = senza, e alma = sangue. Impoverimento del sangue cagionato dalla diminuzione di uno o più o di tutti fra i suoi componenti. Dicendo semplicemente anemìa si intende l’anemia parziale determinata dalla diminuzione dei globuli rossi.
Anesone: liquore con l’essenza dell’anice (V. Anisette), speciale di Brescia. Voce dialettale.
Anestesìa: voce comune del linguaggio medico, foggiata dal greco an = senza e aistanomai = sento, dunque insensibilità; per effetto di malattia o di agenti anestetici, come l’etere, il cloroformio etc. (fr. anesthésie).
Anestetico: V. Anestesìa.
Angeli custodi: nota locuzione popolare e faceta per indicare i carabinieri.
Angina pectoris: come dice il nome latino stringimento, soffocamento del petto, non della gola come s’intende per la parola angina. L’angina pectoris pare provenga da vizio cardiaco ed è malattia dal pronostico grave e mortale. Manifestasi ad insulti con senso di oppressione allo stomaco verso la colonna vertebrale. Il malato soccombe di solito negli accessi del male. I francesi similmente dicono angine de poitrine.
Anglaise: e più comunemente al plurale, anglaises, erano chiamati quei cannelloni che secondo un’antica pettinatura le dame arricciavano e lasciavano pendere dalle tempie; in milanese tirabuscion, quasi a forma di vite da cavatappi.
Anguria: termine dialettale usato in Lombardia, Veneto, Emilia invece di cocomero, il rosso e bel frutto della estate nostra, cucurbita citrullus. In Lombardia poi chiamano cocomero quello che altrove si chiama cetriolo e si prepara sotto aceto.
Animadversione: lat. animadversio = attenzione, castigo, è non di rado voce usata per malanimo, odio (V. un bell’esempio in N. Antologia, 1 gen, 1903, pag. 36). Errore proveniente «da un inganno dell’orecchio» come ben nota il Rigutini.
Anima: voce usata neologicamente per indicare il complesso dei sentimenti e delle aspirazioni da cui è mosso talora un popolo, una moltitudine. Es. l’anima della folla, l’anima inglese, l’anima, americana.
Anime gemelle: anime affini, conformi che amorosamente si cercano, e ritrovatesi sono beate. Codesta locuzione, usata spesso in amore, risale alla favola antica dell’umana natura divisa in due parti per volere di Giove, sì che l’una metà ricerca l’altra, come leggesi in Platone, Convito, discorso di Aristofane: «la stirpe nostra diventerebbe felice se dessimo perfeziono all’amore e ciascuno s’incontrasse nel proprio suo amato, tornando all’antica natura. E se l’ottimo è questo, è necessario che per quanto oggi è in poter nostro, ottimo sia quello che più vi si avvicina. E ciò è il ritrovare un amato, fatto secondo il proprio cuore.»
Anisette: rosolio forte preparato con anici (gr. ἄνισον, pimpinella anisum): a Bordeaux e ad Amsterdam se ne produco di squisito; così a Brescia, detto Anesone di Brescia. V. Mistrà.
Année terrible: anno terribile. Titolo di un’opera poetica di Vittore Hugo, in cui sono narrati i principali avvenimenti che vanno dall’agosto 1870 al maggio 1871. e comprendono i più luttuosi fatti che colpirono la Francia nella guerra contro la Prussia: la disfatta di Sedan, l’assedio di Parigi, la disperata difesa, la Comune, etc. Année terrible è detto per antonomasia quel lasso di tempo.
Ànno: per hanno V. Avere.
Annunziata (ordine dell’): instituito nel 1362 da Amedeo VI di Savoia col nome di Ordine del collare per commemorare l’ardimento dimostrato da Amedeo V all’assedio di Rodi contro i Turchi nel 1310. Carlo III rinnovò detto ordine nel 1618 sotto il nome dell’Annunziata e lo consacrò a Maria Vergine. Vittorio Emanuele rinnovò gli statuti del detto ordine riservandolo ai sovrani ed ai più ragguardevoli personaggi. I membri di questo ordine formano una sola classe di cavalieri che portano l’insegna sospesa al collo ad una catena. Sono ritenuti cugini del He.
Anodino: gr. a o an = senza e odìne doloro. Modicamonto dato per calmare il dolore. Dicesi anche in senso traslato per lenitivo, inoffensivo.
Anòfele (meglio Anofèle): (Anophele claviger) volgarmente zanzarone. È un insetto vivente nelle regioni malariche (che non sono sempre i luoghi palustri!) molto affine alla comune zanzara (Culex pipiens) e che trasmette, con la puntura, nell’uomo il germe dello febbri intermittenti (cioè malariche), assorbito a sua volta col sangue di persone affette dalla stessa malattia. Affinchè tale germe possa però produrre il suo effetto, è necessario che subisca, tanto nel corpo dell’uomo che in quello dell’anofèle, una certa evoluzione.
Anònima: dal greco an = privativo e onoma = nome. Quale attributo di Società commerciale, V. Accòmandita in fine. V. anche Lettera anonima.
Anòrchlde: dal greco an = privato e orkis= testicolo: termine medico detto di chi è privo per difetto congenito di una o di ambedue o di parte delle glandolo spermatiche le quali sono espressione fisiologica della virilità, come l’ovaia della feminilità.
Anta e diminutivo antina: voce lombarda (antin) spesso fatta italiana dalla gente mal colta e nel parlar familiare di quella regione: vale imposta, sportello, invetriata, impannata.
Anti: prefisso che serve a formare molte voci per far che esprimano cosa contraria ed opposta, e specialmente a denotare certa virtù specifica contro diversi mali. Dal greco ἀντί, latino ante = avanti, che ad ἄντα, ἀντὶ, ἄντην si connette, e di cui anti è forma arcaica.
Antiflogìstico: gr. antì: = contro e flox, flogos = fiamma. Dicesi di ogni medicazione che combatta le infiammazioni.
Antifona: parola derivata dal greco antì, contro e fonè, suono, voce, significa un canto alternato; più propriamente ora significa un versetto che si canta prima o dopo i Salmi. Fig. predicozzo. La solita antifona!
Antifonario: raccolta, dei canti della Chiesa cristiana, dovuta, secondo si assevera, a Gregorio I, detto il Magno — papa dal 590 al 604: — che aggiunse pure composizioni sue: monumenta Patrum renovavit et auxit.
Antipirìna: medicina per sedare l’eccesso febbrile, le cefalee, dal greco antì = contro e pir = fuoco. Ha forma di polvere bianca cristallina, e si ottiene con un processo chimico lungo e complesso: fu inventata recentemente dal tedesco Knorr. Il suo nome in farmaceutica è fenildimetilisopirazolone.
Antisemìta: neologismo che vuol dire nemico dei semiti od ebrei. Antisemitismo, il partito che in Francia, Russia, Austria, in ispecie, combatte la preponderanza morale ed economica della tenace schiatta ebraica che per secoli fu reietta e vilipesa, ed ora per la libertà e nella libertà spiega le speciali sue attitudini, buone e cattive nel trionfo della vita.
Antisèpsi: due parole greche e antiche cho formano una voce nuova: contro la putrefazione, da antì e sepo. Così è chiamato quel recente processo medico— farmaceutico, repressivo, per cui si arresta un’infezione dell’organismo. V. Asepsi.
Antitètico: da antitesi (gr. antì = contro e thesis = proposizione, tesi) si è formato questo aggettivo nuovo, riferito a cose che sono in opposizione fra di loro, piene di antitesi. Nei dizionari italiani non trovo questo aggettivo. In francese v’è appunto antithètique.
Antitossina: più comunemente al pl. V. Tossine. Un rimedio adatto a combattere l’opera delle tossine è un’antitossina. Il siero antidifterico ad es., è un’antitossina, cioè un antidoto contro il tossico prodotto dal bacillo specifico della difterite.
Antitriplìstico: voce effimera e di arbitraria formazione, usata talora nel linguaggio giornalistico per significare avverso alla triplice alleanza (Italia, Germania, Austria).
Antropologia criminale: studio giuridico, medico e sociologico insieme dell’uomo in quanto esso è per natura proclive al delitto, lat. crimen— inis. Tale scuola è gloria specialmente italiana forse perchè (come scrisse un acuto spirito paradossale) l’Italia con la sua impulsività sanguinaria offriva largo materiale alla osservazione degli scienziati. La geniale intuizione del tipo criminale devesi al Lombroso. Il quale, con paziente indagine, delineò, fissò, identificò questa specie di sordi, ciechi, muti del senso morale. Giova tuttavia notare come questa scuola non sempre si mantenga nel puro campo scientifico, ma sovente — specie ne’ minori suoi assertori e cultori — tenda ad uno spiccato carattere filosofico e politico: determinismo e socialismo.
Antropometría: dal greco àntropos = uomo e metron = misura: indica la misura e la descrizione delle diverse parti del corpo umano, a scopi scientifici ed anche polizieschi. Cosa recente. Derivato l’agg. antropometrico. L’ufficio antropometrico, tenuto in molto onore in Francia, permette alla polizia di stabilire la identità di una persona in modo assoluto.
Antropomorfismo: dal greco àntropos = uomo e morfè = forma, dunque che ha forma umana. Deriv. antropomorfico. Antropomorfismo nel linguaggio degli storici e dei filosofi significa il sistema di coloro che agli dei o a Dio danno degli attributi umani: forma ed affetti. Ad es.: le divinità di Omero.
A occhio e croce (fare e giudicare): dicesi in Toscana, Romagna e altrove per significare un giudizio approssimativo, senza misurare, come per l’appunto da una occhiata e da un segno non preciso.
Io dico lui: perchè ce n’è una mano
che infilza le ricette a occhio e croce.
Lippi, Malmantile, iii 12.
Apax legòmenon: locuzione greca usata dai grammatici per significare che una parola, un modo, una forma non fu usata che una sol volta.
Apérítif: in termine medico si chiamano generalmente così le bevande che servono a dilatare i pori e rendere fluidi gli umori. Viceversa poi oggi son detti apéritifs certi eccitanti spiritosi, abilmente combinati fra di loro nelle liquorerie o mescite (bars, buvettes) allo scopo di aprire le valvole dello stomaco per mangiare con più appetito. Avverti che uno stomaco sano non richiede né tonici nè cordiali: se è ingombro, acqua, moto e dieta sono la ricetta migliore, a cui aggiungi: lieto cuore. L’aperitivo (giacchè si traduce anche così ed è una brutta voce) parigino più energico e per eccellenza è l’assenzio. È detto in gergo francese verte, dal color verde opale che assume con l’acqua.
À peu près: press’a poco. Eppure per leziosaggine o per altra cagione, non di rado si ode questa locuzione avverbiale francese.
Apirètico: termine medico, dal greco a = senza e pir = fuoco. Indica lo stato del malato, afebbrile, cioè senza febbre.
Apis: per lapis (latino lapis-idis = lapide, pietra) matita, è aferesi scorretta.
À plates coutures: letteralmente a cuciture spianate, locuzione francese iperbolica che preceduta dal verbo bastonare non è infrequente fra noi. Vi risponde il modo italiano consimile: spianar le costole. Nel Riminese v’è il motto dialettale consimile al francese: spianar le cuciture, spianè al cusiduri.
À poigne: ecco un’altra delle non poche locuzioni, non letterarie ma del gergo francese e che invano cercheremmo nei lessici di quella lingua, trionfalmente entrata nell’italiano. À poigne vale energico, forte, duro, severo. Es. un governo á poigne; un uomo á poigne. Il giornalismo italiano e il linguaggio politico nostro si compiacciono di tali locuzioni straniere, non necessarie. Vero è che questo scimmiottare servile desta un senso di profonda pietà.
À pois: detto di stoffe stampate a bollicine V. Pois.
A posteriori: termine filosofico latino che vuol dire da ciò che viene dopo, e si intende una dimostrazione che si basa sopra principi somministrati dalla esperienza, oppure che è tratta da ciò che sussegue alla cosa che si vuol dimostrare.
Appannàggio: (fr. apanage) dal latino barbaro apanagium, da ad e panis = lett. per il pane. Reddito assegno ai principi del sangue, poi dote, prerogativa, proprietà.
Appellare: V. Appello.
Appello: per chiama, rassegna risponderà per l’appunto al francese appel (lat. appellare = chiamare) ma è così dell’uso, vi si annette un tal senso di forza che altrimenti la frase perderebbe il suo valore. La usa anche il Carducci nel Ça Ira:
ivi scendo de l’ultimo Templare
su l’ultimo Capeto oggi l’appello.
Appendicìte: termine medico che significa la malattia del lungo e stretto fondo chiuso appendicolare unito alla porzione declive dell’intestino tenue.
Appoggiare: nel senso di aiutare, favorire, proteggere è riprovato da alcuni puristi perchè ricorda l’uso francese di appuyer fíg. = protèger. Il Rigutini lo difende. Meno buone invece gli sembrano le locuzioni appoggiare una proposta, un ordine del giorno. Appoggiare una domanda è serio serio l’appuyer une domande de’ francesi. Così il Rigutini difende appoggio per favore, protezione; riprova la locuzione in appoggio per in prova, a sostegno, in conferma. Certo sono modi che hanno sapore burocratico un miglio lontano.
Appoggio: nel senso figurato di favore, protezione. V. Appoggiare.
Apprentissage: voce francese usatissima fra noi, specie per indicare l’apprendere un mestiere o un’arte tecnica o commerciale: in italiano, tirocinio.
Appretto: (fr. apprèt) la colla o apparecchio che si da ai tessuti perchè abbiano bellezza e consistenza. Voce usata nel linguaggio dei tessitori.
Appropriazione indebita: così nel linguaggio dei legali è chiamato l’atto di chi appropria a sè indebitamente cosa altrui che gli è stata affidata por determinato uso. Forma eufemistica per dire furto, con l’attenuante dell’occasione la quale, come si sa, fa l’uomo ladro.
Approssimativamente: avverbio di otto sillabe, di uso recente tratto da approssimativo. Lo registra la Crusca. Notevole cosa è l’osservare come certe voci, ancorchè buone per la loro origine siano poco usate dai nostri scrittori per non so quale intuito del bello. In circa, A un bel circa, A un dipresso.
Après nous le dèluge: dopo di noi il diluvio. Famoso motto di Luigi XV di Francia, che preludia e presente il marasma sociale e politico che originò la rivoluzione del 1789. Si usa anche da noi ripetere questo motto in francese. Da altri il motto è riferito alla marchesa di Pompadour per conforto a quel re dopo la battaglia di Rossbach.
A priori: termine filosofico latino che vuol dire da ciò che vien prima, e si dice comunemente di verità, idee, giudizi etc., i quali provengono da principi generali, e sono attinti più dalla ragione pura od astratta o da un prestabilito idealo che dalle verità, realtà, esperienza.
Apriorismo: chiaman così l’abitudine filosofica di giudicare a priori, cioè senza la conoscenza dei fatti, senza esperienza. V. A priori.
Aprioristico: agg. da A priori. V. questa parola.
Aprire: verbo usato nelle locuzioni come aprire la campagna elettorale, bacologica etc.: aprire la seduta: è neologismo.
À quelque chose maliieur est bon: modo di dire tutt’altro che infrequente, e ci fu una signora fornita di quella mondana coltura che oggi è comune, la quale mi domandò trionfante: «E in italiano come direbbe?» Semplicemente «Non tutto il male vien per nuocere». E allora ella pure ne convenne, come convenne nel fatto che l’abbandono costituisce la ruggine e la morte per le parole anche più belle ed acconce.
A quoi bon?: detto talora invece di molte locuzioni italiane: a che vale? e poi? da farne? come dicono i bolognesi. In latino cui bonum?
Arak o arrak: liquore forte, fatto col riso oppure col succo di cocco o di dattero.
À ramage: a fogliami, detto francesemente delle stoffe, dipinte a rame e a fiori, come oggi è gran moda.
Aràre: term. mar., lo strisciare dell’ancora sul fondo del mare quando non vi faccia buona presa o non regga allo sforzo della catena.
Arbitraggio: (Ir. arbitrage) operazione di borsa per cui il giudizio pende in favore di un titolo più tosto che di un altro: operazione di banca per cui si lucra acquistando valori ove sono deprezzati per venderli ove hanno più pregio, etc. In fine = giudizio di arbitri, cioè arbitrato, come dice la nostra buona, ma poco usata parola. Arbitraggio nel primo senso è voce accolta dalla Crusca e non disapprovata dal Rigutini. V. Lodo.
Arbor’s day: «coll’avanzarsi della primavera, si è ripresa, per parte della scolaresca la piantagione degli alberi, celebrandosi l’arbor’s day.» (Così un giornale del 18 Ap. ’900). Io direi la festa degli alberi, e si dice, di fatto, ma dal citato esempio si capisce che questo, inglese, è modo più elegante. S. E. il Ministro della P. I. ha nell’anno 1900 messo in onore quest’uso, porgendo sfogo al rinnovarsi della materia retorica che si riproduce, nelle nostre scuole: onde discorsi, allocuzioni, passeggiate, riviste e simili. L’intento di S. E. non fu, a vero dire, cotesto, bensì di ricondurre al senso della terra i nostri connazionali e ripopolare i monti di piante nuove dopo che furiosamente furono diboscati in questi ultimi quarant’anni. Già fare e disfare è tutto un lavorare! Quest’estate nel selvaggio Appennino un montanaro dava colpi di bipenne su di una meravigliosa quercia che pareva ombrare tutta una china. Gli chiesi se conosceva gli intendimenti boschivi di S. E. il Ministro. Mi rispose che conosceva solo l’agente delle imposte. O Giovan Maria Crescimbeni, tu sei ben vendicato! Ritornando all’Arbor’s day e fuor di scherzo, notiamo che questa locuzione ha durato poco e come qualche altra straniera tende a sparire: non è però senza significato la facilità con cui queste voci, se appena possono, mettono radice nel bel paese che Appennin parte con quel che segue.
Arcades ambo: (Arcadi ambedue) così Vergilio Egloga VII, 4) chiama Tirsi e Coridon, pastori. Il motto è usato tuttora, specie con intenzione malevola, come a dire: intinti entrambi della pece istessa.
Arce: (lat. arx, arcis) latinismo invece di rocca, spesso aggiunto di Capitolina. Ai ricercatori di finezze ròcca deve sapere di tempi di mezzo, arce invece è puro stilo romano.
Ardesia: pietra lamellata, tenera, di color grigio-turchino che serve a coprire i tetti delle case nelle regioni alpine. (fr. ardoise). V. 'Lavagna'.
Areca: genere di palme che crescono nei paesi caldi (Indie orientali e isole della Sonda) dell’antico continente. È molto nota l’Areca Catechu, detta palma di Betel, i cui frutti (le così dette noci di areca o di Pinang) ravvolti in una foglia di pepe di Betel, vengono masticati nell’India orientale por rinforzare i denti e correggere l’alito cattivo.
Areonautica: in vece di aereonantica: cosí è chiamata la scienza antica del tempo di Icaro, ma — per impulso di energia, audacia di prove, novità di studi — pur modernissima che studia la navigazione nel mare atmosferico.
Argent: è la parola magica, la leva più solida delle umane azioni, l’immutabile nel mutabile storico, lo stabile nel divenire dei fatti. La parola francese talora è usata o per enfasi o per dar più efficacia alla frase. I milanesi usano nello stesso senso la voce dialettale danée (denari), nervus rerum gerendarum!
Argentana o Argentano: V. Christofle.
Argent de poche: non infrequente è l’uso di questa frase, cui risponde più brevemente la voce nostra spiccioli.
Argonio o Argon: uno dei corpi semplici, o, meglio, indecomposti che sono in natura. Entra nella composizione dell’atmosfera.
Argot: indica il linguaggio convenzionale usato in ispecie fra certe classi sociali come borsaiuoli, ladri, vagabondi, contrabbandieri, cavalieri d’industria, meretrici etc. Vi risponde la voce nostra gergo, o parlar furbesco o furfantesco. (Viva il gergo d’allora e chi l’intese. Giusti, Brindisi di Girella). Ogni paese ha il suo gergo, appunto come ogni paese ha i suoi furfanti, ma fra i più ricchi, vivaci, mutabili e fecondi è il gergo parigino, noto anche per essere, per ragioni di evidenza realistica, ponotrato anche nello opero letterario (V. V. Hugo, E. Zola) e nell’uso. Esistono dizionari e studi molto accurati sul gergo parigino (Argot) che qui è superfluo citare. La struttura del gergo consiste nel dar senso speciale a parole comuni, nel cogliere analogie, spesso acuto, tra nomi e cose, nello storpiare vocaboli, etc. Oltre che argot, i francesi dicono langue verte, ma questa seconda locuzione non è passata a noi. In senso più esteso intendesi per argot il linguaggio speciale dello persone che esercitano una stessa professione, arte etc., e in questo caso, meglio che gergo che ha senso furbesco, noi diremmo linguaggio.
Aria: nel linguaggio musicale indica un pezzo comunemente vocale accompagnato da uno o più strumenti. Essa vuole un certo numero di frasi legato regolarmente e simmetricamente, unità di concetto e di tonalità. L’aria cominciò a mostrarsi timidamente nella Euridice del Peri (1600), prese sviluppo con Cavalli e forma classica con Alessandro Scarlatti, cui devesi l’aria col da capo, e nella quale, esposto il pensiero principale, questo è ripreso dopo un periodo episodico, (A. Galli, op. cit.).
Arioso: una sorta di recitativo che di mano in mano va prendendo struttura metrica e si trasforma in aria.
Ariostesco: da L. Ariosto, creatore di meraviglioso fantasie nel suo Orlando, si è foggiato questo aggettivo che suona secondo i casi inverosimile, fantastico, mirabile.
Arista: voce fiorentina, registrata dal Petrocchi fra le voci italiane: indica la schiena, il lombo del maiale (lat. arìsta = resta).
Aristo: voce del gorgo francese per aristocrate.
Àriston: piccolo istrumento musicale il manovella di nuova invenzione: specie di organetto. La parola è dal greco ariston che significa cosa ottima.
Arlìa: voce dialettale dell’Alta Italia che significa ubbia, superstizione e anche disdetta, jettatura. Ingegnosa è la etimologia che ne dà il Cherubini, cioè da ariolo lat. Hariolus = indovino.
Arm: nei composti spall’arm, pied’arm! La ragione della brevità del comando militare spiega e giustifica il troncamento della parola.
Armàre: ter. mar. che vuol diro fornire lo scafo della nave, dell’alberatura, attrezzi, sartie, vele, macchine etc.; e, se trattasi di nave da guerra, artiglierie e ogni altra specie di macchine belliche. Il contrario è disarmare, e ciò avviene o per grandi lavori di raddobbo o perchè il bastimento cessa dal navigare.
Armata: tutte le forzo militari di un paese; così il Petrocchi, così l’uso. Certo, senza voler esser pedanti, tale parola ricorda da vicino l’uso del fr. armée, come è certo che nella buona lingua, armata indica più specialmente il naviglio da guerra. Ma chi ad es. traducesse la grande armée di Napoleone per il grande esercito non perderebbe forse di efficacia? A certi suoni si accompagnano certe idee. A ciò aggiungo che nel senso di esercito ha esempi antichi, dell’Ariosto, del Pulci, del Magalotti, del Forteguerri, ed uno — ancorchè dubbio — di Dino Compagni. Lo registra perciò la Crusca.
Armoire: parola scritta anche secondo la pronuncia armoar: è frequento sì a Milano che altrove, specie se si vuole indicare l’armadio a luce: dal latino armarium = ripostiglio, in origine, dello armi.
Armonia: (gr. armonia = commettitura, concordia, proporziono, indi in senso musicale anche in greco) così è spiegata nel citato Lessico del Galli: «associazione di accordi governata da speciali leggi tecniche in ordine ad un fine estetico. È il risultato di ogni buona aggregazione simultanea di suoni, così nei componimenti vocali come in quelli strumentali. L’armonia è studio teoretico, eruditivo, mentre il contrappunto è un esercizio inventivo: la prima studia la formazione e concatenazione degli accordi, il secondo la sovrapposizione di cantilene diverse: ma lo singole parti della contestura dell’armonia possono produrre altrettante cantilene, e le sovrapposizioni delle cantilene produce necessariamente gli accordi, e cioè, l’armonia. — «È mercè lo studio dell’armonia elio l’allievo devo pervenire a manoggiare istintivamente il contrappunto.» — Così il Riemann.
Armonium: o Harmonium alla fr. o Armonio: strumento musicale a tasti o a pedali che ha voce simile a quella dell’organo. Questo melodioso istrumento che, come pare, è di origine chinese, giunse per varie fasi all’attuale perfezione, le quali tolgo descrivendo dal citato Lessico di A. Galli: Kratzenstein impiegò pel primo l’ancia vibrante nei tubi d’organo nel 1770 circa. Poi l’abate Vogler fece fabbricare dal Rackwitz l’Orchestrion, organo portatile, nel quale seguì lo stesso sistema (1789). Perfezionato questo strumento dall’Eschenbach, prese il nome di eolodicon. Primo a fabbricare un organo congenere, e atto a produrre il crescendo e il decrescendo del suono, fu il Greniè nel 1810. Hoekel di Vienna inventò poscia la Fisarmonica, perfezionata da Dietz col suo aerofono. Sebastiano Erard perfezionò l’organo espressivo od armonium (1827). Finalmente Debain dotò l’armonium dei vari registri imitanti i diversi istrumenti (1842).
Armstrong: nota specie di cannone rigato a retrocarica adottato da prima dall’Inghilterra, intorno al 1858, poi da tutte le artiglierie del mondo. Il nome proviene dall’inventore ingegnere e meccanico inglese celeberrimo, Guglielmo A., nato a Newcastle sul Tyne, 1810, morto a Londra nel dicembre del 1900.
Arpeggio: consiste nell’eseguire successivamente le note di un accordo anzichè simultaneamente, e. di solito, dal grave all’acuto.
Arpicordo: così denominavasi il clavicembalo sulla fine del secolo XV. Più tardi l’arpicordo venne chiamato spinetta.
Arrangiare e Arrangiarsi e anche Rangiarsi: termino volgare nel senso di accomodare, acconciare, con varie e note sfumature di significato; è registrato dal Petrocchi. Voce non bella, proveniente dal francese se ranger o s’arranger. Verbo speciale del gergo di caserma.
Arrembaggio: V. Abbordaggio
Arresto: per fermata, ristagno, sosta: Es. l’arresto dei lavori, ricorda la parola francese arrêt.
Arrière-pensée: (pensiero occulto mentre se ne manifesta un altro) questa voce francese che sovente lessi ed udii pronunciare con squisita compiacenza come se essa avesse un recondito e intraducibile significato, a me pare rispondere al nostro vocabolo sottinteso o anche secondo fine. Che la lingua francese abbia felicissime espressioni di cose precise, è vero: ma esagerarne la intraducibilità nella nostra favella è un ben curioso fenomeno di debolezza, per usare una parola garbata.
Arriva: term. mar. significa in alto, sull’alberatura; onde montare o andare arrìva, scendere d’arriva = salire o scendere da una parte qualsiasi dell’alberatura della nave.
Arrivismo: neol. non infrequente: indica la malattia morale della agitata età in cui viviamo, cioè il bisogno di far presto, arrivare ad ogni costo alla meta prefissa: però che alla vita breve l’arte lunga mal si conviene. È una, cioè, di quelle parole che rispecchiano il nuovo abito morale della società.
Arsella: i diz. comuni spiegano così press’a poco «mollusco di mare di gradito sapore». Nei varii dialetti d’Italia specialmente non adriatici, il nome di arsella serve ad indicare uno tra i migliori molluschi bivalvi mangerecci, ma spesso differente a seconda dei luoghi. Più frequentemente è chiamato arsella il mítilo (Mytilus edulis), talora la fòlade (Pholas dactylus), in qualche luogo la tellina, detti rispettivamente dagli adriaci: peòcio, dàtolo de mar, capa, calcinello.
Arsi: (gr. ἄρσις) nella metrica greca o latina significò la posa forte del piede ritmico nei versi: l’opposto di tesi = abbassamento. In senso più largo tesi ed arsi usansi talora per indicare l’onda del discorso, il passaggio armonico della voce che si inflette alta e vibrante o si abbassa nell’orbita del periodare grande, come bene appare da questo passo ove il Carducci ragiona del Boccaccio: «che gioia quando (il Boccaccio) sentì il volgar fiorentino dei Lapi e dei Bindi sollevarsi così magnifico nelle arsi, così pieno e sonante discendere nelle tesi!» Discorso sui parentali del Boccaccio. Nel linguaggio musicale oggi per thesis s’intende il battere e per arsis il levare della battuta.
Arsenalotto: operaio dell’arsenale.
Articolista: «accettata la parola articolo nel senso di breve trattato o scritto inserito nel giornale, non si vede perchè devasi rifiutare la voce Articolista.» così il Rigutini e non ha torto. Certo è voce che suona non bella.
Articolo: non è qui il caso di esporre le spiegazioni che su l’uso dell’articolo dà ogni grammatica. Noterò soltanto che l’uso dell’articolo, già di per sè difficile è in questi tempi reso anche più. difficile per l’anarchia che regna nel parlare e nello scrivere comune. L’anarchia in fatto di lingua, cioè poter dire e scrivere come si vuole, è segno indubbiamente grave. Parti importantissime del discorso, come articoli e preposizioni, le quali sono, per così dire, i perni su cui girano le parole, devono, quanto più si può, essere fisse da regole determinate e costanti. Detto ciò, accenniamo ad alcuni errori od incertezze comuni. Regola generale: l’articolo ha valore determinante: ecco perchè il cognome che esprime la gente, dovendo significare un individuo di essa gente, riceve l’articolo: il Petrarca, il Tasso etc. Tale norma oggi è osservata a casaccio, e, se non erro, l’articolo tende a scomparire. Così lessi nei giornali: il Novelli inaugurò a Roma la casa di Goldoni e non del Goldoni, e l’errore — se errore — passò inavvertito. Taluno ha osservato: noi mettiamo l’articolo davanti ai nomi illustri e ommettiamo davanti ai nomi comuni. Ma anche cotale regola, che sarebbe del resto assai arbitraria e bizzarra, non è mantenuta. Si intende però che «ci sono eccezioni, pe’ cognomi divenuti per una specie di antonomasia popolari quasi nomi propri di persona, come (Garibaldi, Giusti, Leopardi, Cavour, Mazzini; e così a volte per ragioni di stile, come quando nel capitolo XXX dei Promessi sposi sono indicati con una metonimia i reggimonti che passano di mano in mano il ponte di Lecco; ovvero infine per segno di amicizia e familiarità. Ma in tutto il romanzo, e specialmente ne’ capitoli XXVII e XXXII, dove son noverati tanti dotti, il Manzoni a’ casati premette sempre l’articolo. Sia come si sia, quest’errore s’incomincia a sentire soltanto lungi dal Tevere e dall’Arno: e mentovare illustri viventi e persone di conto e d’autorità senz’articolo, come si farebbe per indicare un compagno di scuola, pare a me un metterci tutti in un mazzo, a tu a tu, non bella creanza, anzi talora una sgarbatezza.» Romanelli, op. cit. | I nomi propri d’uomo non ricevono articolo. Il Carlo, il Luigi etc., sono locuzioni lombarde non però con tutti i nomi. | Co’ nomi di donna si può premettere e tralasciare l’articolo. Certo è che nella nobile prosa e trattando di donne di gran rinomanza e rispetto i buoni scrittori non ponevano articolo. | A proposito di nomi propri e di anarchia di linguaggio notiamo che oggi non solo negli uffici ma anche nelle scuole, prevale l’uso brutto di mettere prima il cognome e poi il nome. Così dicesi e scrivesi Brambilla Cesare e non Cesare Brambilla. Ma se si tratta di persone note e di qualche levatura allora compare prima il nome e poi il cognome: Silvio Pellico e non Pellico Silvio, Gabriele d’Annunzio e non d’Annunzio Gabriele; o che in tempi di gloriosa e fiera democrazia è lecito tale dispari trattamento? I nomi registrati nel libro d’oro della gloria hanno prima il nome e poi il cognome: Giuseppe Mazzini, Camillo Cavour e non il contrario. La ragione degli elenchi non giustifica a pieno tale deplorevole incertezza, nè l’uso di altre lingue viene in sussidio a spiegar la cosa come una imitazione. Se poi uno ha titoli gentilizi, accademici, cavallereschi, li distribuisce a spizzico un po’ prima, un po’ in mezzo, un po’ in fine, dove capita o pare. Tanto per rafforzare le nostre ragioni, non già nella speranza di rimediare al mal uso, riporto queste assennate osservazioni del Petrocchi: «Inconvenienti dello scrivere il casato dopo il nome. 1.o Come s’è visto, si va contro alla storia e all’uso del mondo civile del nostro e degli altri paesi. E questo è il meno peggio. 2.o Si porta un monte di confusioni, perchè son troppi i nomi di persona uguali ai casati. Marcello, Ernesto, Giovanni, Ercole, Nino, Onofrio, ecc., ecc. sono tanto casati che nomi. Sti tu ricevi una lettera lettera firmata Giovanni Ercole, come farai a sapere quale è il casato e quale il nome? E posporre indebitamente il nome, non è in quel caso e confusione e falsificazione? Se io mi chiamo Giovanni Onofrio e un altro si chiama Onofrio Giovanni è permesso a me farmi passare per uno della famiglia Onofrio, e a lui per uno della famiglia Giovanni? Si riflettano queste cose, perchè i danni son molti, e la leggerezza con la quale noi li trascuriamo è troppa. Confina con qualche cosa che non vogliamo dire» (Pic. diz. enciclopedico). | Ritienesi per gallicismo brutto il ripetere l’articolo il superlativo relativo. Es. l’uomo il più forte. | Notiamo ancora che oggi è maniera comunemente invalsa, specie in commercio, di togliere il segnacaso del genitivo, così leggerai: Esposizione gara di Lavoro, Baule con righe legno, maniglie cuoio, Portacampioni in tela vela caffè. | Infine articolo in senso di capo, oggetto, è da ritenersi per gallicismo. Nell’uso però trionfa la parola articolo. Es. Articoli di novità, Articoli di vestiario etc. Articolo per breve scritto di giornale è così penetrato nell’uso che, se anche è di provenienza straniera, parmi superfluo parlarne come fa il Fanfani.
Articolo: nel senso di oggetto, di scritto giornale, V. in fine del precedente paragrafo.
Articolo: ommesso ne’ genitivi quando il nome reggente ha l’articolo, è caso frequentissimo. Ad es. le speranze di giovinezza. Si osserva che per un senso di armonia e di euritmia nello scrivere quando si pone l’articolo che determina davanti al nome, anche la preposizione o segnacaso che regge il nome dipendente, accoglie bene l’articolo. Onde dicasi: speranze di giovanezza ovvero: le speranze della giovanezza.
Arti grafiche: con questa locuzione sono oggi chiamati i bozzetti, le stampe de’ cartelli, i cartelloni, gli ex libris, le tessere, i fregi, le iniziali, le testate, i francobolli, le cartoline, le carte da giuoco, i biglietti di banca, etc.
Artropodi o Articolati: tipo di animali col corpo diviso in segmenti e le zampe articolate, comprendente varie classi, fra cui le più importanti sono quelle degli insetti, miriapodi, (millepiedi) degli aracnidi (ragni) e dei crostacei.
Asbestos ghelos: gr. riso interminato, inestinguibile, leggesi in Omero. È il gran riso degli Eroi, lieti di vita e di sensi onde, verosimilmente, la locuzione riso o risata omerica.
Ascendente: part. del verbo ascendere, mutato in sostantivo ed usato in senso di autorità morale, influsso, potere, è voce frequentissima, radicata nell’uso. Come origine è voce pura: ma certo non è creata da noi tanto è vero che i dizionari non la notano in tale senso e il Fanfani la condanna. Noi la subimmo dal francese: ascendant = salita degli astri sull’orizzonte, e nel senso figurato, autorità, influsso etc.
Ascenseur: piccola ed elegante cabina che sale o scendo lungo regoli nel vano delle scale de’ grandi edifici moderni, per innalzare facilmente pesi o persone. Questa parola nei dizionari recenti è fatta italiana in ascensore; ma nell’uso prevale la parola francese.
Ascidia: animale marino per lo più fisso, solitario o aggregato, ravvolto in un involucro, detto tunica, avente un’apertura anteriore boccale e una laterale anale. Alcune specie di ascidie (i piròsomi) sono fosforescenti. Appartengono al tipo dei Tunicati.
À sensation: modo oggi più che comune, tanto nella sua forma francese come tradotto in a sensazione. Es.: dramma a sensazione; dove noi diremo d’effetto, che impressiona, etc.
Asepsi: dal greco a e sepo = non putrefaccio. Indica un recente processo medico per cui si impedisce mediante ogni cautela, con l’uso di materiale sterilizzato, etc., l’ingresso nell’organismo dei germi patogeni. L’asepsi è specialmente usata, anzi è imposta negli atti operativi, ad evitare complicanze, a impedire infezioni secondarie.
Asino di Buridano: V. Buridano.
Askaro: nome dato alle milizie indigene mercenarie della colonia Eritrea. Al tempo di quelle avventure e di quelle guerre che ebbero triste e tragico epilogo con la giornata di Adua (1° marzo 1896) il nome era comune tra noi.
A solo: voce musicale che indica un motivo scoperto di qualunque stromento. Scrivesi anche assòlo.
Aspic: è così dotto un pasticcetto di carne o di pesce in gelatina. La voce è francese, ma incerta la etimologia. Il Littré raccorda questa voce ad aspic, serpente, latino aspis-idis, quasi «freddo come un aspide» (?)
Asprinio: nomo di vino bianco speciale prodotto con viti inalberate nel circondario di Caserta (Aversa). Ha color paglierino, tendente al verdognolo, ricco di acidi liberi e di anidride carbonica, poverissimo di àlcole: diuretico, piacevole, frigido, eccellente l’estate, ma di consumo locale non essendo atto all’esportazione.
Assassina: (fr. assassine) nomo dato al più celobre fra i nei artificiali del secolo XVIII. Petite mouche noire que les femmes se mettaient autrefois au-dessous de l’oeil, pour donner du piquant á la physionomie. Ma oltre a questa mosca assassina all’angolo dell’occhio, v’era la galante su la guancia, la sfrontata sul naso, la civetta vicino alle labbra, la complice per nascondere un taglio o un graffio, e via via, perchè se ne disposero fin sul seno o su le spalle.
Assegnato: fr. assignat, lat. assignatus: nome storico di biglietti di banca che l’Assemblea nazionale francese emise dal 1o aprile 1790 al 1796 a vario riprese e per la somma di circa 45 miliardi. Gli assegnati rappresentavano il valore dei beni immensi che la Rivoluziono confiscò. Imposti a corso forzoso per quelle fortunoso guerre e vicende e non rappresentando più che una parte del valore reale, vennero deprezzati con gravi danni.
Assegno: specie di vaglia bancario. V. Chéque.
Assenteismo: vocabolo non registrato e pure oggi comunissimo per indicare fatto costante dell’essere assente, specie con significato politico. Es. l’assenteismo dei proprietari di terre.
Assenza: figuratamente per mancanza, come assenza di coraggio, assenza di lealtà, invece di mancanza è reputato gallicismo. In fr. absence fig. = manque. Es. absence de goût.
Assieme: per insieme (dal lat. ad e simul) è riprovato a torto da taluni. Solo difetto è, forse, di costituire un doppione.
Assimilare: indica nel linguaggio de’ naturalisti e de’ fisiologi il processo chimico per cui gli alimenti diventano simili e si incorporano all’organismo. Usasi figuratamento degli alimenti morali, come cognizioni, discipline, idee, opinioni, etc. I puristi riprovano tale uso come tolto da’ francesi in cambio dell’italiano far suo. Tengasi conto della tendenza odierna ad usare figuratamente vocaboli propri del linguaggio scientifico. V. quello che è detto a proposito del verbo elettrizzare.
Assòlo: termine musicale. V. A solo.
Assommoir: nel senso classico istrumento, bastone piombato che uccide, da assommer. (Cfr. la voce nostra, morta, assommare). Come neologismo, fu già voce del gergo per indicare una bettola d’infima specie in Belleville, estesa poi a tutti i luoghi consimili ove si bevono liquori che uccidono. E. Zola ne fece il titolo d’uno de’ suoi più noti romanzi veristi, tradotto in Scannatoio (?).
Assorbire, assorbirsi: in senso figurato di essere intento, immerso, sprofondato, occupato, ricorda ai puristi l’uso del verbo francese absorber, s’absorber (lat. ab-sòrbere) = se plonger, s’abìmer. Es. s’absorber dans la meditation. Così pure assorbire è usato nel senso di consumare interamente. Es. l’uscita assorbe l’entrata. Il Rigutini chiama sconcio tale modo. Infatti il fr. dice lo stesso. Es. le luxe absorbe les richesses. Certo che il popolo dice: «il guadagno va tutto nelle spese,... o le spese gli mangiano le entrate...» altri modi consimili.
Assunzionisti: nome di un recente ordine religioso cattolico, diffusosi in questi ultimi tempi, con larga e assidua propaganda politico-religiosa, specialmente in Francia. Suo organo il giornale La Croix. Il nome deriva da Assunzione, festa di M. V. assunta in cielo, che ricorre a mezzo agosto.
Astensionismo: neol. derivato da astensione: l’atto dell’astenersi, specialmente dal partecipare per deliberato proposito alle manifestazioni della vita politica.
Astrakan: e meno comunemente astracan, è la pelliccia ricciuta e nera fornita dagli agnelli di una varietà nera della pecora a coda adiposa, allevata tanto nella Russia meridionale quanto nelle steppe de’ Turcomanni. I berrettoni dei Tartari sono pure fatti colla pelliccia di astracan nero. Facile e comune la imitazione. Il nome deve provenire dalla città russa omonima ove detta pelliccia si prepara.
Atassìa: termine medico, derivato dal greco e significa letteralmente sconcerto, discordanza: indica quel disordine e quella irregolarità nel camminare che proviene da un’affezione del sistema cerebro spinale, di solito grave. Dicesi anche atassia locomotrice. Atàssico chi è affetto da atassia.
Atàssico: V. Atassia.
Atavismo: lat. átavus = avo: il complesso delle forze ereditarie della razza. L’atavismo conserva i caratteri fondamentali d’una razza attraverso le generazioni e a dispetto degli incroci. Indica altresì il comparire in un discendente di qualcuno dei caratteri degli ascendenti, rimasto per una o più generazioni latente.
Atelier: voce francese, spesso usata invece delle nostrane studio o laboratorio. Es. la tal sarta ha uno splendido atelier.
Atellane (favole): commedie satiriche e popolari antichissime, così denominate da Atella, città della Campania. Si crede dessero origine alle maschere della commedia italiana (Atellanae fabulae, ludi Atellani, ludi Osci).
Ateròma arterioso: term. med., alterazione, spesso generale, del sistema arterioso caratterizzata da un indurimento della parete dei vasi e spesso da una trasformazione calcarea.
Atonìa: gr. a = senza e tonos = tuono. Nel linguaggio medico indica il rilassamento di un organo contrattile.
Atoll: voce di origine maldiva, data alle isolo coralline dell’Oceano indiano e Pacifico, di forma anulare.
Atout: cioè à tout, bon à tout, bon contre tout. Questo nome si dà nel giuoco delle carte ad un convenzionale seme, o assi, o bastoni etc. che batte le altre carte come noi facciamo e diciamo della briscola. E a quel modo che l’atout è una buona carta, così dicesi per colpo di fortuna. Talvolta, però, la voce atout ha il significato sgradevole di rimprovero, strapazzata, mortificazione. È locuzione del gergo francese: avoir de l’atout = avoir du courage, e così pure nel senso di capacités, talents, chanches de réussite.
A tout prix: ad ogni costo, locuzione francese non infrequente.
Atriense: latinismo che si legge nei libri che trattano argomenti di storia romana: atriensis è il guardiano dell’atrio, il mastro di casa.
Atrofìa: gr. a = senza e trofè = nutrimento. Nel linguaggio medico indica la mancanza di nutrizione degli organi e dei tessuti, caratterizzata da una notevole diminuzione del loro volume e peso.
Attaccamento: fr. attachement; altra parola non registrata dai nostri lessici nè meno nel senso materiale, chè dicesi attaccatura. Solo il Tramater reca tre es. di attaccamento nel senso francese, oggi comune di affezione, affetto: l’uno di Zanobi da Sfrata, volgarizzatore della Morale di S. Gregorio Magno, contemporaneo del Petrarca, l’altro del Magalotti, il terzo del Salvini: questo ultimo a me pare assai dubbio. Non appare la necessità di questa parola e perciò è difettosa. Invece al Rigutini questa volta la voce pare buona «quando si voglia esprimere non il semplice affetto, ma veramente lo stare appiccicato con l’animo a checchessia». Oh, va un po’ a indovinare! Senza oppormi al ragionamento dell’illustre filologo, bisogna convenire che il popolo non usa tale vocabolo.
Attaccar la voglia al chiodo: locuzione nostra e scherzosa, di schietta formazione popolare, per dire rinunciare per forza a qualche diletto, soddisfazione, onore.
Attachè: part. pass. del verbo attacher, attaccare: usato quasi esclusivamente per indicare quell’ufficiale che fa parte stabile di qualche amministrazione politica o diplomatica; cho segue qualche alto personaggio con più mono apparenza di dignità. Vi risponde pienamente la parola addetto, ma l’uso quasi costante del francese finirà col render inusitata la voce italiana.
Attaches: la nuova moda di Francia alla elegante giarettiera ha sostituito provvisoriamente due legacci che dal busto partendosi, fermano le calze dello donne, e così francesemente sono denominati.
Attelage: è quello che noi diciamo attacco tiro e deriva dal verbo atteler. Anche nell’italiano classico v’è il verbo attelare e il part. attelati, ma solo nel senso di stendere in ordinanza militare l’esercito. Dev’essere voce di origine celtica, ma notevole è come i maggiori lessicografi (Tommaseo, Tramater, etc.) la facciano derivare e parmi erroneamente da tela, quasi stendere a mo’ di tela.
Attendente: il soldato che fa i servigi personali all’uffiziale: termine alquanto più eufemistico d’ordinanza.
Attìnia: o anemone di mare. Animale marino sedentario o a lenta locomozione, appartenente al tipo dei celenterati. È molle, cilindrico, cavo, aderente al substrato per la parte inferiore e avente nella superiore la bocca, circondata da tentacoli retrattili. Alcune specie posseggono organi urti canti.
Attìntco: termine fisico, detto dei raggi dello spettro solare, ultravioletti, con azione chimica (su le lastre fotografiche).
Attivare per attuare: V. Attivazione.
Attivazione: questa parola molto usata e che pochi dizionari registrano, è un neologismo che ricorda l’activation dei francesi. Attivazione differirebbe da attuazione in ciò che questa parola indicherebbe il ridurre in atto, quella il principio e la sollecitudine di un dato lavoro. Ma sono sottigliezze che non giustificano l’abbandono della buona parola. Ciò vale anche pel verbo attivare (fr. activer).
Attività: nelle locuzioni essere, mettere in attività ricorda, il francese en activité. Certo noi possiamo dire più brevemente impiegato (?) in servizio e fuori servizio, legge in vigore etc. o si dice, non però tanto che il modo francese non prevalga specie nel linguaggio degli uffici. (Giustamente il Rigutini ripudia tale locuzione.
Attivo: nella tecnologia e contabilità commerciale è l’opposto di passivo e significa l’ammontare dei valori posseduti di cui si è creditori. E siccome ogni operazione commerciale si risolve in un bilancio di dare ed avere, così la contabilità riposa tutta sopra un continuo rapporto tra l’attivo e il passivo. Commercialmente un’impresa, un’azienda, si dicono attive quando i redditi, i proventi, i profitti sono tali da soddisfare alle spese e rimunerare il capitale e l’opera dell’imprenditore. Un bilancio attivo, un patrimonio attivo, una situazione attiva sono tutte espressioni indicanti l’eccedenza dell’attività su la passività. Da questo senso derivano alcune locuzioni e significati estesi a senso morale come mettere all’attivo per dire notare fra le qualità buone, positive, utili, etc.
Attorney: parola inglese che significa press’a poco come procuratore presso di noi. L’attorney général è un ufficiale publico di nomina sovrana rispondente al nostro procuratore del Re.
Attore: in termine giudiziario significa colui che esercita un’azione in giudizio, notificando una citazione.
Attrito: (dal lat. ad e tero = consumo) voce del linguaggio fisico passata nel senso morale per indicare non tanto la discordia quanto l’incontrarsi urtando ed offendendosi di volontà, di forze, di sentimenti etc.
Attualità: non nel senso filosofico di virtù attiva, ma di cosa del momento è versione del francese actualitè. Tuttavia questa voce è così entrata nell’uso che si può condannarla sin che si vuole ma non si potrà impedire che tutti l’usino: una questione di attualità, un libro di attualità etc. Il valore vero delle parole in genere sta nella loro immediatezza e comprensibilità. Logica vuole adunque che si faccia posto anche all’iperbole francese palpitante di attualità. La quale è difforme però al carattere della lingua italiana. Di simili fenomeni ve ne ha a iosa. Rispondono i più: «ma le lingue si evolvono!» «Certamente, ma evolversi secondo l’indole propria vuol dire vivere, evolversi seguendo tutte le impronte e gli impulsi esterni, significa corrompersi, che è preparazione al finire.»
Au bout des ressources: fr. a corto di spedienti. In mancanza di meglio.
Audiatur et altera pars: si oda anche l’altra parte: sentenza giuridica divenuta anche popolare; leggesi in Seneca, Medea, atto II, scena 2, v. 199. Vi corrisponde il motto nostro volgare: bisogna sentire anche l’altra campana, cioè per pronunciare un giudizio equo conviene ascoltare ambedue le parti contendenti.
Audiendum verbum (ad): lat. ad ascoltar la parola, e intendesi, spesso in senso faceto, per ascoltare parola di avvertimento, di esortazione, di correzione da parte di superiori e preposti.
Audizione: nel linguaggio musicale e teatrale così è chiamato l’atto dell’udire un’opera od un cantante: dal lat. audire.
Au grand complet: modo di dire francese non infrequente, come ad es. «ieri sera ebbe luogo la prova generale dell’inaugurazione, con esito soddisfacentissimo. Il teatro presentava un magnifico colpo d’occhio. Tutta l’eletta schiera di dame e di cavalieri era au grand complet. La baronessa... offerse uno splendido servizio di rinfreschi agli invitati.» E poteva essere non splendido?
Auna: antica misura francese (aune) di poco superiore al metro. Dal lat. ulna, parte del braccio.
Au revoir: arrivederci, arrivederla. La gente mondana così dice spesso, come dice adieu, non addio.
Era già l’ora che volge il desio
ai naviganti e ’ntenerisce ’l core
lo dì ch’han detto a’ dolci amici addio.
Aurica: vela di forma trapezoide, come randa e contro randa.
Auri sacra fames: emistichio del famoso verso di Vergilio (Eneide III, 57) ove racconta di Polidoro, giovanetto figlio di Priamo, trucidato dal genero Polinestore per averne gli affidati tesori. Quid non mortalia pectoru cogis auri sacra fames! (a che tu non costringi i mortali, orribile cupidigia dell’oro!) Ma il sacra fames è intraducibile.
Auscultare: latinismo usato dai medici, e significa diagnosticare le malattie dai rumori interni delle viscere. Lo stetoscopio è il nome dello istrumento, specie di piccola tromba acustica che usasi a tale uopo.
Ausilio: lat. auxilium = aiuto, è dal Petrocchi notato fra le voci antiche e fuor dell’uso, laddove questa voce oggi è spesso usata, o parendo aiuto termine di troppo volgare o volendo con ausilio significare non solo l’aiuto, ma il conforto, l’approvazione, il sussidio materiale e morale.
Aut aut: lat. o, o cioè «delle due l’una» e dicesi quando si voglia indurre altrui a concludere, con forza di dilemma.
Aut Caesar, aut nihii: o Cesare (Imperatore) o niente. Motto di Cesare Borgia. «Nominis sui omen secutus, superbum vexillis titulum, Aut Caesar aut nihil inscribi iussit; quod Sanazarius versiculis haud tamen satis salsis redarguit»:
Aut nihil aut Caesar vult dici Borgia: quidni?
Quum simul et Caesar possit et esse nihil.
Borgia Caesar erat, iactis et nomine Caesar,
Aut nihil aut Caesar, dixit: utrumque fuit.
Auto: è prefisso che si trova in grandissimo numero di parole, specie neologiche; e si presta egregiamente a formare tutte quelle voci che vogliono indicare cose la cui azione si sviluppa da forze interne e congenite o apparentemente tali. Cotesto auto e il pronome greco αὐτός che significa egli stesso, il medesimo, già nell’antica e mirabile lingua greca usato per formare moltissime parole che significano l’operazione del soggetto sul soggetto stesso.
Auto: felice abbreviazione che in Francia si fece della parola automobile. V. questa voce.
Auto da fe: termine spagnuolo che letteralmente vuol dire atto di fede e storicamente significa il giudizio del Tribunale dell’Inquisizione contro un eretico. Il fuoco purificatore era di solito l’istrumento della giustizia. Auto da fe si disse poi e si dice tuttora in speciali significati per indicare distruggere, ardere. Es. la rivoluzione del ’89 fece un auto da fe dei titoli di nobiltà, feci un auto da fe delle mie lettere d’amore. Auto da fè dicesi anche in francese.
Autodidatta e Autodidattico: la seconda voce usata come sostantivo in cambio della prima. Non sono nei dizionari, nè anche in quello del Melzi, eppure sono parole usate per indicare persona che s’istruì da sè senza maestri (dal gr. autòs = stesso e didasco = insegno). Neologismo che, anche per ragione del suono, parmi non bello. Come si potrebbe dire ad es.: il Leopardi fu un autodidatta? Non saprei perchè, ma è modo che stuona. Il francese ha appunto la parola autodidacte. Il Carducci, non mi ricordo bene in qual passo, usa questo neologismo pur avvertendo che gli spiace.
Autolàtra: adoratore di sè stesso. V. Autolatrìa. In fr. è autolâtre.
Autolatrìa: neologismo derivato dal greco e significa adorazione di sè stesso. In fr. è autolâtrie.
Automatismo: gr. autòmatos = spontaneo. Nel linguaggio medico indica tutti quei movimenti che sono compiuti senza che la volontà vi abbia parte.
Automobile: dal greco autòs = se stesso e mobile: in origine aggettivo poi sostantivo per indicare quella vettura da diporto, spavento dei viandanti, elegante, signorile, docile e rapidissima in gran voga in Francia e dovunque, la quale si muove da sè con meccanismi ingegnosi e diversi, ma che però attendono ancora il loro perfezionamento. Di qual genere è il sost. automobile? Se ne è disputato in Francia e quindi anche in Italia. Il genere maschile tende a prevalere.
Automobilismo: dicesi di tuttociò che riguarda questa nuova specie di mezzo di trasporto e di signorile divertimento nel tempo stesso.
Automobilistico: aggettivo derivato da automobile. Es. gara automobilistica.
Automotrice: neologismo detto di quella vettura elettrica la quale ha in se l’apparecchio motore e rimorchia le altre. Automotore si dice di quel qualsiasi apparecchio che agisce da sè, indipendentemente dalla volontà e dall’opera dell’uomo. L’applicare questo vocabolo a dette vetture non è esatto o per lo meno è una estensione impropria del vocabolo, dovuta forse all’apparenza del moto autonomo.
Autore: nel linguaggio giuridico, colui dal quale deriva una condizione di fatto e di diritto.
Autorizzazione: francese autorisation. Noi abbiamo le seguenti molte parole: «permesso, concessione, assentimento, licenza, nullaosta», prevale tuttavia la parola autorizzazione, registrata dal Tramater senza esempi e dal Rigutini a denti stretti. Il Viani accetta il verbo autorizzare nel senso di dar facoltà ma non di confermare, render valido. Di autorizzazione non parla. La condanna il Fanfani, la registra il Petrocchi.
Autosuggestione: neol. del linguaggio medico che indica la suggestione che uno esercita su di se stesso. Derivati: autosuggestionato, autosuggestionabile, autosuggestionare. Nel linguaggio familiare spesso si usa in questo senso il verbo f montarsi o montarsi da sè.
Aux anges: la frase étre aux anges non è rara nel fine linguaggio mondano, e dicesi di chi assorto, rapito, estatico in contemplazione e desiderio, non di verità speculative, ma più sovente di raro bellezze e di amore «va in estasi, al settimo cielo», chè tali sono i modi italiani corrispondenti. Intesi dire da un popolano in Romagna era inebriato con la sua sposa. A Venezia: andar via coi anzoli.
Avallare: apporre la firma di sicurtà ad una cambiale, dal fr. avaler.
Avallo: cioè la firma di favore (V. questa parola) che, un terzo appone ad una cambiale quale sicurtà o malleveria, non è voce di Oga Magoga come dice il Lessico del Fanfani ed Arlia, ma di un paese più vicino: la Francia. Aval da à e val = vale, abreviation de valoir, à valoir pour. Donner, fournir un aval. Etimologia preferibile è però aval da à e val, letteralmente a valle e, per estensione, a piè della cambiale ove si appone la firma.
Avana: sigaro fino e profumato dal nome della città di Avana nell’isola di Cuba, celebre pe’ suoi tabacchi. Dicesi anche di colore nocciuola chiaro come è quello appunto del tabacco di tale nome: similmente in francese vale nel gergo la parola havane.
Avances: (letteralmente anticipo). La frase fare des avances è più che comune e si dice delle prime incerte proposte di chi desidera stringere un patto, amicarsi, sperimentare l’intenzione di qualcuno. L’italiano ha diverse locuzioni corrispondenti: far delle proposte, tastar terreno, rompere il ghiaccio ed altre consimili. Del resto il volere che un motto di una lingua risponda a capello a quello di un’altra è cosa assurda come il pretendere ad es. che un naso sia simile al proprio; e condannarlo come brutto perchè non è tale.
Avanera (abanera): canzone dell’Avana nella misura dupla di semiminime, a movimento moderato, con accompagnamento tipico di una semiminima, in battere, col punto, seguita da una semicroma e da due crome. A. Galli, op. cit.
Avanscoperta: termine militare; indica quella fazione di guerra eseguita in ispecie dalla cavalleria o da milizie agili e sciolte, per iscoprire il movimento e le posizioni dell’esercito nemico.
Avant-goût: il primo sapore di qualche cosa, in italiano saggio, assaggio. Tuttavia nel linguaggio mondano la voce straniera vince la nostra che pure è di ugual senso.
Avantieri: (francese avant-hier) in italiano l’altrieri, o ier l’altro. Però avantieri mi pare ormai voce quasi fuori dell’uso. La nota il Rigutini.
Avatar: nome dato nell’India all’incarnazione d’un Dio, specie del Dio Visnù.
Ave, imperator, morituri te salutant: salute, o imperatore, quelli che stanno per morire ti salutano; (Svetonio in Claudio) questo era il motto dei gladiatori passando nel circo sotto il palco imperiale prima di principiare i mortali duelli. Il motto oggi è ripetuto in senso vario ed esteso.
A vento largo: andatura del veliero, il quale naviga col vento che fa angolo tra i 90 e i 180 gradi con la prua.
Avenue: dal verbo avenir: dicesi in francese di ogni via che conduce ad un dato luogo: via, sbocco, viale (arborato).
Avere: il signor P. Petrocchi nel suo dizionario con l’autorità che gli proviene dal molto studio e dal molto amore, ha contribuito moltissimo a sancire l’uso di scrivere ò, ài, à, ànno invece di ho, hai, ha, hanno. Senza entrare in discussioni che non sono qui opportune, giova notare che se anche il Petrocchi avesse secondo logica alcuna ragione, vi è l’uso e l’esempio comune che valgono più di un’astratta ragione. E allora perchè non scrivere ke in vece di che? Ma proprio da vero era necessario complicare di questioni futili la questione grave della ortografia italiana? Non pare. Ed entrando nel merito, è cosa esatta che quell’h abbia un semplice valore grafico e non sia un segno, sia pur lievissimo, di aspirazione? E nelle stampe cotesto impercettibile accento non è egli facile trascurare, per errore del compositore, imperfeziono del carattere, generando così confusione grande? Sostituire nuove leggi alle antiche e tradizionali senza giusta ragione, ma per amore di far cosa nuova, è volersi assumere responsabilità di non lieve conto. Sta il fatto che l’uso del ò, ài, à, non attecchisce, e le grammatiche anche recenti avvertono essere in questo cosa migliore seguire l’uso dei più (V. Gram. del Morandi e Cappuccini, § 21), che nessuno fra i più reputati e noti scrittori viventi, il Carducci, il Villari, il D’Annunzio, il Pascoli, il Fogazzaro etc, ha accolto tale grazia ortografica. Il sig. Petrocchi nella sua introduzione dice che non ne fa una questione di vita o di morte: oh, e allora non poteva lasciar stare? A proposito di questa nuova maniera di scrivere mi piace qui riportare alcune osservazioni dettate da un caro amico mio, il quale essondo commissario in un concorso di maestri e maestre elomentari per uno de’ più grandi comuni del Regno, ebbe occasione di scorrere parecchie centinaia di componimenti, ne’ quali la scrittura dell’ò, ái, á si alternava con quella dell’ho, hai, ha. Egli, adunque, scriveva in una sua relazione: «Un certo numero di candidate segue quella grafia che alcuni grammatici e lessicografi — il Petrocchi innanzi tutti — hanno messo in onore; cioè di scrivere ò, ài, ànno per ho, hai, hanno, etc., di abolire i dittonghi chiamati mobili, uo, ie, seguendo il suono della pronuncia toscana, onde bono, scola, celo, etc. Senza entrare in una questione grammaticale, è nostra opinione che il bisogno di creare delle nuove difficoltà e disparità ortografiche di carattere artificioso mentre ne esistono tante altre di carattere reale, non sia sentito dai più. Aggiungasi che tanto i migliori e più lodati prosatori o poeti quanto gli scriventi nella lingua corrente (confronta i giornali) preferiscono la vecchia grafia. Che se anche si dissentisse dalla opinione qui espressa, una via conviene scogliere per la scuola, cioè o imporre a tutti l’uso della nuova grafia o acconciarsi alla antica. Ma che un duplice metodo debba o possa essere seguito nelle scuole, le elementari in ispecie, ove è bene che le norme siano poche ma salde, non ci sarà persona di buon senso e senno pratico che voglia ammettere».
Avere ed Essere: il primo aiuta ogni verbo attivo e molti verbi neutri nella formazione dei tempi composti, il secondo il passivo in tutti i suoi tempi, e la maggior parte dei neutri nei tempi composti. «Rimettendomi alle grammatiche e segnatamente a quella del prof. Fornaciari per le regole più particolari, qui avvertirò il lettore che voglia guardarsi di dare al verbo vivere per ausiliario il verbo avere, e che non dica, io ho vissuto, ma io sono vissuto. S’intende che quando questo verbo acquista natura di attivo, allora, prende per ausiliario avere: ho vissuto una vita infelicissima. Un’altra osservazione che sarà utile specialmente ai non toscani: i tempi composti dei verbi cosiddetti servili, dovere, potere, e volere, quando sono in costrutto coll’infinito di un altro verbo, ricevono per regola, senza eccezione, l’ausiliare stesso che riceverebbe quell’infinito, se fosse coniugato ne’ suoi tempi composti. Così ho dovuto, ho potuto, ho voluto scrivere questa lettera, fare questa faccenda, regalare questo libro etc. e son dovuto, son potuto, son voluto andare, finire, morire, etc. Coi verbi riflessivi, reciproci, o pronominali, l’ausiliare è sempre essere: mi son ferito, ci siamo battuti, mi sono comprato una casa.» Così il Rigutini con buona sintesi. Quanto al verbo venire, che molti usano indifferentemente invece di essere come ausiliare del passivo, conviene avvertire che solo in alcuni speciali casi può riuscire efficace e proprio.
Avere alcuno in tasca: modo familiare, usato in Toscana e altrove e significa infischiarsene, provar repulsione, disprezzo.
gioco che l’hanno in tasca come noi.
Giusti, S. Ambrogio.
Avere un diavolo per capello: locuzione familiare e comune di qualche nostra regione e vale essere, specie per alcuna determinata cagione, inquieto, cattivo, nervoso, operando e parlando in modo conforme.
Aver gli occhi di bove o di bue: locuzione nostra familiare che significa veder le cose esagerate, di maggior importanza che elle non siano. Opina il volgo aver le pupille del bue facoltà di veder ingigantiti gli oggetti, ondo trae argomento per ispiegare la docilità.
Aver le mani in pasta: locuzione nostra familiare che significa aver ingerenza, pratica in qualche faccenda. Traslato evidente del fornaio che lavora la pasta e sa trarne fuori il pane lui, meglio e più spiccio dogli altri.
Aver piena l’anima o le scatole di, etc.: modo familiare e vale non poterne più, essere seccato, stufo di cosa alcuna, e simili. Altro invece è aver l’anima piena, che ha nobile senso di passione o di sentimento che pervado e domina l’anima.
Aves: così in Lombardia i tecnici chiamano i diversi piani a cui si trovano le acque sorgive o acque freatiche: dal latino alvus?
Aviàrio: (dal lat. avis = uccello) grandissima gabbia ove ne’ giardini zoologici si tengono le varie specie di uccelli, sì che una certa larghezza di volo porge loro l’illusione della libertà.
Avvenirista: neologismo non infrequente e non bello. Dicesi di chi in politica o anche in arte aspira ardentemente e inconsultamente al domani: il che, dato il rapido anzi vertiginoso mutarsi odierno delle cose, non è senza ragione. E con tutto ciò l’uomo sarà sempre lo stesso e il detto nihil sub sole novum non tramonterà!
Avviliente: questo part. pres. del verbo avvilire è frequente nell’uso, ma non trovo registrato. Il simigliante si potrebbe dire di altri part. presenti efficaci, usati nelle scritture moderne con certa predilezione artistica di rinnovare la forza del participio presente, e non registrati.
Avviso: ter. mar., bastimento militare di forme snelle e velocissimo, destinato a portare avvisi alle armate.
Avvistare: i dizionari recano questa parola nel senso di giudicare ad occhio, misurare dalla vista, che mi pare assai raro. Piú frequente è l’uso di avvistare detto specialmente delle navi quando cominciano a scorgersi su la linea dell’orizzonte. In francese aviser vale appunto anche apercevoir d’assex loin.
Azimut: voce araba. Termine astronomico universale che indica l’angolo che fa col meridiano il piano verticale d’un astro.
Azionare: nel linguaggio dei tecnici è voce comune, nel senso di muovere, mettere in azione parlandosi appunto di macchine e ordigni meccanici. Nessun dizionario la registra. Il francese ha il verbo actionner sì nel senso di intentare una azione giudiziaria come nel senso di mettere in moto. Manifestamente noi traemmo azionare dal francese.
Azione civile: è una domanda giudiziale con la quale uno si faccia a chiedere o al giudice civile, ovvero al giudice penale (quale parte civile) la tutela di un interesse civile.
Azzardare: per rischiare e azzardo per rischio sono voci da taluni riprovate come gallicismi. Sarà anche, ma l’uso ne è così antico e popolare che anche la Crusca registrò la locuzione giuochi d’azzardo; e come dire altrimenti per chi vuol essere inteso? giuochi di ventura o di fortuna? Si può forse osservare come la parola italiana zara, giuoco con tre dadi (Cfr. Dante: Quando si parte il giuoco della zara) proviene dalla stessa parola araba zar = dado, da cui deriva la parola francese hasard: questa visse e germinò, quella morì.
Azzardo: per rischio, cimento, pericolo. V. Azzardare.
Azzeccagarbugli: felice creazione di nome e personaggio dovuta al Manzoni (I Promessi Sposi), divenuto poi tipo per indicare un avvocato che faccia astuto mercimonio del suo ufficio. Questo nome è formato da azzeccare cogliere e garbugli (milanese garbui) intrigo di cose e persone. Del resto il popolo ha un’arte sua, speciale e istintiva, nel creare tali nomi significativi delle cose: all’artista il perfezionarli e adattarli.