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A: non è qui il luogo di ripetere diffusamente ciò che i lessicografi e i grammatici hanno scritto sull’uso di questa preposizione, oggi invadente e che distrugge molti altri costrutti. L’a: (francese à) e l’in (francese en) sono diventati oramai i due perni su cui posano le parole nella più parte dei costrutti; inutile altresì l’insistere sulla deformazione che l’organismo delicatissimo della nostra lingua ne riceve. Così ad es. si dice: «Gelato alla crema, uova al burro, pasta al sugo, etc.» invece della preposizione con, la quale indica appunto «compagnia, unione, mistione,» e di cui i dialetti serbano l’uso tuttavia. Così un oste di campagna vi domanderà se la frittata vi piace coll’olio, o con lo strutto, e non all’olio. L’uso dell’a in simili costrutti si è venuto radicando per modo che l’espellerlo non mi pare più possibile. Gli stessi scrittori, posti nell’alternativa di scegliere tra l’uso comune e l’uso letterario, non sempre si accordano; nè d’altronde riesce sempre agevole il determinare in molte e sottili locuzioni con l’a quando trattasi di vero errore oppure quando l’uso col suo impero assoluto e le autorevoli eccezioni giustificano l’orrore. In via generale si può però affermare la tendenza ad usare questa preposizione a alla maniera de’ francesi; se non che il francese è sicuro nell’uso dello sue proposizioni, noi vaghiamo incerti e con tanta libertà da insinuare confusione e ingenerare indisciplinatezza alla perspicuità ed alla facilità dell’apprendere. Ecco qualche esempio in proposito: In una vetrina da orefice accanto alla scritta: Cache-portraits à secret, era scritto «monete brevettate a segreto per due ritratti». (Giacchè nell’uso degli avvisi commerciali, in città italiane, accanto all’avviso italiano si trova talora la scritta in francese. E si parla delle tabelle bilingui dell’Austria! E nè meno è raro il caso di leggero manifesti di vendita in francese. Anzi a Milano è cosa frequente). Così un dottore in filologia intitola un suo scritto: «Come si parla agli Stati Uniti» invece che dire «negli Stati Uniti» generando una vera confusione di senso. Ecco altre eleganze: «Forchettone a servizio, cucchiaione a zuppa, a riso, a salsa.» Trattasi di cataloghi e scritte volgari da vetrina, quindi senza pretese letterarie, altri obbietterà. È vero. Tuttavia si noti l’importanza che nella vita moderna hanno le scritte publiche. Esse fissano l’uso più che l’opera di molte scuole. Ma di ciò vedasi nella prefazione. — I puristi riprendono queste maniere avverbiali: poco a poco, due a due, mano a mano e anche man mano, corpo a corpo invece di a corpo a corpo, a poco a poco etc., a mano a mano che rispondono all’uso classico di nostra lingua: a capo in iscambio di da capo.

À per ha: V. Avere.

Abbacchio: voce romanesca passata nell’uso della lingua: indica l’agnello giovane, vissuto libero, in pasture aperte. I romani lo sanno cucinare squisitamente.

Abbaino: per questa parola si intende quella finestra o lucernario sopra il tetto

che dà luce a stanze od a soffitte. A Mi-

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