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da un caro amico mio, il quale essondo commissario in un concorso di maestri e maestre elomentari per uno de’ più grandi comuni del Regno, ebbe occasione di scorrere parecchie centinaia di componimenti, ne’ quali la scrittura dell’ò, ái, á si alternava con quella dell’ho, hai, ha. Egli, adunque, scriveva in una sua relazione: «Un certo numero di candidate segue quella grafia che alcuni grammatici e lessicografi — il Petrocchi innanzi tutti — hanno messo in onore; cioè di scrivere ò, ài, ànno per ho, hai, hanno, etc., di abolire i dittonghi chiamati mobili, uo, ie, seguendo il suono della pronuncia toscana, onde bono, scola, celo, etc. Senza entrare in una questione grammaticale, è nostra opinione che il bisogno di creare delle nuove difficoltà e disparità ortografiche di carattere artificioso mentre ne esistono tante altre di carattere reale, non sia sentito dai più. Aggiungasi che tanto i migliori e più lodati prosatori o poeti quanto gli scriventi nella lingua corrente (confronta i giornali) preferiscono la vecchia grafia. Che se anche si dissentisse dalla opinione qui espressa, una via conviene scogliere per la scuola, cioè o imporre a tutti l’uso della nuova grafia o acconciarsi alla antica. Ma che un duplice metodo debba o possa essere seguito nelle scuole, le elementari in ispecie, ove è bene che le norme siano poche ma salde, non ci sarà persona di buon senso e senno pratico che voglia ammettere».
Avere ed Essere: il primo aiuta ogni verbo attivo e molti verbi neutri nella formazione dei tempi composti, il secondo il passivo in tutti i suoi tempi, e la maggior parte dei neutri nei tempi composti. «Rimettendomi alle grammatiche e segnatamente a quella del prof. Fornaciari per le regole più particolari, qui avvertirò il lettore che voglia guardarsi di dare al verbo vivere per ausiliario il verbo avere, e che non dica, io ho vissuto, ma io sono vissuto. S’intende che quando questo verbo acquista natura di attivo, allora, prende per ausiliario avere: ho vissuto una vita infelicissima. Un’altra osservazione che sarà utile specialmente ai non toscani: i tempi composti dei verbi cosiddetti servili, dovere, potere, e volere, quando sono in costrutto coll’infinito di un altro verbo, ricevono per regola, senza eccezione, l’ausiliare stesso che riceverebbe quell’infinito, se fosse coniugato ne’ suoi tempi composti. Così ho dovuto, ho potuto, ho voluto scrivere questa lettera, fare questa faccenda, regalare questo libro etc. e son dovuto, son potuto, son voluto andare, finire, morire, etc. Coi verbi riflessivi, reciproci, o pronominali, l’ausiliare è sempre essere: mi son ferito, ci siamo battuti, mi sono comprato una casa.» Così il Rigutini con buona sintesi. Quanto al verbo venire, che molti usano indifferentemente invece di essere come ausiliare del passivo, conviene avvertire che solo in alcuni speciali casi può riuscire efficace e proprio.
Avere alcuno in tasca: modo familiare, usato in Toscana e altrove e significa infischiarsene, provar repulsione, disprezzo.
gioco che l’hanno in tasca come noi.
Giusti, S. Ambrogio.
Avere un diavolo per capello: locuzione familiare e comune di qualche nostra regione e vale essere, specie per alcuna determinata cagione, inquieto, cattivo, nervoso, operando e parlando in modo conforme.
Aver gli occhi di bove o di bue: locuzione nostra familiare che significa veder le cose esagerate, di maggior importanza che elle non siano. Opina il volgo aver le pupille del bue facoltà di veder ingigantiti gli oggetti, ondo trae argomento per ispiegare la docilità.
Aver le mani in pasta: locuzione nostra familiare che significa aver ingerenza, pratica in qualche faccenda. Traslato evidente del fornaio che lavora la pasta e sa trarne fuori il pane lui, meglio e più spiccio dogli altri.
Aver piena l’anima o le scatole di, etc.: modo familiare e vale non poterne più, essere seccato, stufo di cosa alcuna, e simili. Altro invece è aver l’anima piena, che ha nobile senso di passione o di sentimento che pervado e domina l’anima.
Aves: così in Lombardia i tecnici chiamano i diversi piani a cui si trovano le
A. Panzini, Supplemento di Dizionari italiani. | 3 |