Libro 12

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Publio Cornelio Tacito - Annali (II secolo)
Traduzione dal latino di Bernardo Davanzati (1822)
Libro 12
XI
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LIBRO DUODECIMO

SOMMARIO

I. Claudio si risolve d’ammogliarsi, incerto tra Lollia Paolina, Giulia Agrippina ed Elia Petina. — III. Vince Agrippina, da Pallante e da’ suoi vezzi aiutata. Decide il senato legittime le nozze tra zio e nipote. — VIII. Silano uccidesi: la sorella Calvina scacciata d’Italia, Anneo Seneca richiamato d’esilio. — IX. Ottavia, figlia di Claudio, sposata a Nerone. — X. Chiedono a Roma i Parti re Meerdate, che in battaglia è vinto da Gotaize muore questi: succede Vonone, poi Vologese. — XV. Tenta Mitridate di riavere il regno di Ponto, vinto è tratto a Roma. — XXII. Lollia e Calpurnia in guai per l’odio d’Agrippina. — XXIII. Rinovato l’augurio di salute: esteso il Pomerio di Roma: suoi vecchi confini. — XXV. Nerone adottato da Claudio. — XXVII. Colonia portata nella terra degli Ubj per onorare Agrippina. I Catti ladri son vinti. — XXIX. Vannio, re svevo, cacciato di regno. XXXI. Fatti di P. Ostorio in Bretagna: vinto Caraltaco, morto Ostorio, subentra A. Didio. — XLI. Viril toga affrettata a Nerone. Britannico posposto per mena di Agrippina. — XLII. Prodigi in Roma e carestia. — XLIV. Armeni e Iberi in guerra: Parti e Romani in gran tumulto tra loro. — LII. Furio [p. 417 modifica]Scriboniano in esilio: indovini cacciati d'Italia. — LIII. Decreta il senato pena a donna che si congiunge a schiavo. Premio a Pallante spacciato da Claudio trovator della proposta. — LIV. Queta dalle turbolenze la Giudea, condannato Cumano. — LV. Antioco seda i torbidi Cliti. — LVI. Claudio dopo rappresentar guerra navale dà scolo al lago di Rossiglione. — LVIII. Perora Nerone la causa degl’Iliesi e de’ Bolognesi: soccorsa la colonia bolognese arsa: resa libertà a’ Bodiani: rilasciato per cinque anni il tributo agli Apamiesi. — LIX. Statilio Tauro da Agrippina rovinato. — LX. Stabilita l’autorità de’ procuratori nelle province. — LXI. Immunità a Coi. — LXII. A’ Bizantini cinque anni di tributo rimessi. — LXIV. Spessi prodigj: intimasi morte a Lepida. — LXVI. Claudio infermasi; Agrippina non perde tempo, e con funghi avvelenati l’uccide. — LXIX. Agrippina, colle buone distratto Britannico, proclamasi imperador Nerone. Celesti onori a Claudio.
Anno di Roma dcccii. Di Cristo 49.

Consoli. C. Pompeo Longino Gallo e Q. Veranio.

An. di Roma, dccciii. Di Cristo 50.

Cons. C. Autistio Vetere e M. Svillio Nerviliano.

An. di Roma dccciv. Di Cristo 51.

Cons. T. Claudio Cesare V e Ser. Cornelio Orfito.

An. di Roma dcccv. Di Cristo 52.

C. P. Cornelio Silva Fausto e L. Salvio Otone Tiziano.

An. di Roma dcccvi. Di Cristo 53.

C. Decimo Giunio Silano e Quinto Aterio Antonino.

An. di Roma dcccvii. Di Cristo 54

Cons. M. Asinio Marcello e Manio Acilio Aviola. [p. 418 modifica]

I. La morte di Messalina rivolse la corte; gareggiando i liberti per chi dovesse dare moglie a Claudio, sottoposto a non potere star senza, e da quelle esser dominato. Più ardente ambizione era nelle donne, mostrandosi ciascuna bella e nobile e ricca, e degna di cotanto marito. Le più innanzi erano Lollia Paulina figliuola di M. Loliio stato consolo, e Giulia Agrippina di Germanico. Questa proponea Pallante, quella Calisto. E Narciso, Elia Petina dei Tuberoni. Claudio ora a questa, ora a quella, secondo che udiva, voltandosi, gli chiamò tutti a dire le ragioni.

II. Narciso raccontava l’antico matrimonio, la casa comune, avendo di lei avuta Antonia; la famiglia non sentirebbe mutamento, se vi tornasse la moglie solita, che non ha cagione d’esser matrigna a Britannico e Ottavia, ma di tenergli cari come propri. Anzi Lollia (diceva Calisto) li terrà per figliuoli, che niuno ne ha: nè stata è rimandata come colei, la quale ritornando, tanto più fia superba e ritrosa. Ma Pallante lodava soprattutto in Agrippina, il tirarsi dietro il figliuolo nipote di Germanico, degno veramente d’imperio, stirpe Claudia, la quale questa giovane feconda accrescerà, unirà, nè il chiarore dei Claudi Cesari porterà in altra casa.

III. Furono queste ragioni le più entranti e aiutate dall’arte; spesseggiando Agrippina di visitare, quasi per obbligo, il zio; e tanto sopra l’altre il prese, che ella procedeva da moglie prima che fosse; e quando ne fu certa, pensò più oltre: d’ammogliar Domizio suo figliuolo, e di Gn. Enobarbo con [p. 419 modifica]Ottavia figliuola di Claudio; che non si potea senza scandolo; avendo Claudio già lei a L. Sillano sposata e fatto dal popolo conoscere e amare questo genero grande per sè, illustrato d’insegne trionfali, e per lo rappresentato spettacolo degli accoltellanti; ma ogni cosa era agevole con quel principe buono, scipito, da essere imboccato e comandato.

IV. Vitellio adunque (come censore, sue maligne viltà ricoprendo) per entrare in grazia d’Agrippina, che vedeva venir padrona, s’impacciava de’ suoi segreti; le rapportava novelle contra Sillano e Giulia Calvina sua sorella, bella e lasciva, stata nuora poco prima di esso Vitellio. Venne poi all’accusarlo, non d’aver fatto con la sorella peccato, ma mal celato d’averle voluto bene. Cesare non fu sordo a’ sospetti del genero, strignendolo più la figliuola. Ma Sillano non sapendo queste girandole (e anche era pretore in quell’anno) per editto di Vitellio si trovò casso del senato, benchè lasciatovi prima nel lustro nella scelta de’ senatori; e insieme Claudio gli disdisse il parentado; fu fatto rinunziare la pretoria, e la fini Eprio Marcello.

V. Entrati consoli C. Pompeio e Q. Verannio, il matrimonio tra Claudio e Agrippina, già per fama, e per lo scellerato amore tenuto per fatto, si conchiùse; non però ardivano far le nozze, non essendosi più udito, uno zio menare la figliuola d’un fratel carnale; e temendo di pubblico inconveniente, se peccato tale si sprezzasse, Vitellio tolse a cavarne le mani, e domandò Cesare: Se si lasserebbe consigliare dal popolo o dal senato. Avendo risposto: Esserci solamente per uno, nè poterne più di loro; disse: Che l’aspettasse in palagio: entra in senato, e chiesta la prima udienza, per cosa che importava allo stato, [p. 420 modifica]incomincia: „Le gran fatiche del principe, che regge il mondo, doversi sgravar delle cure di casa, perchè si dea tutto alle pubbliche. E chi meglio ciò poter fare che una, di tutti i beni e mali consorte? a questa dover fidare i segreti del cuore, i teneri figliuoli esso, che non conobbe mai libidini nè piaceri, ma sempre sin da piccolo ubbidì alle leggi„.

VI. Fatto così bello preambolo, e molto dai Padri adulato, seguitò: „Poichè voleano tutti che al principe si ridesse moglie, doversi scerre la più nobile, feconda e santa: tale essere, senza altra cercare, Agrippina; niuna di sangue sì chiaro; aver fatto figliuoli, vedersi colma di virtù, e abbattersi, per divin volere, a esser vedova per maritarsi a principe che mai non isposò moglie altrui. Avere udito dai Padri, veduto essi i Cesari torsi l’altrui donne a lor piacimento. Questi usare altra modestia, insegnare agli altri imperadori di così prenderla. Se sposare figliuola di fratello è nuovo a noi, ad altre genti esser solcane, da legge niuna vietato. Essersi gran tempo astenuti dalle cugine, ora spesseggiarsi. L’usanze accomodarsi al bisogno: col tempo verrà in uso anche questa„.

VII. Vi furon di quelli che protestando, se Cesare la tentennasse, d’andare a fargliele far per forza, usciron di senato con furia vari mucchi; gran calca vi concorre, gridando: Il medesimo chiedere il popol romano; e Claudio senza tardare s’appresenta loro nel Fòro e accetta il buon pro. Entra in senato, e sollecita il partito: Che tra zio e nipote di fratello si possa far giuste nozze, ancora per l’avvenire. T. Alledio Severo, cavalier romano, per acquistar la grazia (diceano d’Agrippina) fu solo a bramare [p. 421 modifica]tal parentado. Quindi si mutò il tutto. Governava una donna; nè per disonestà, come Messalina, si faceva giuoco dello Stato, ma si faceva servire, non come donna, e come da schiavi. Era in pubblico severa, spesso superba: in casa onestissima se non se per regnare; d’oro avidissima, diceva, per sovvenire il regno.

VIII. Sillano s’ammazzò il dì delle nozze; o per avere sino a quello sperato, o scelse quello per concitar più odio. Calvina sua sorella fu cacciata d’Italia; e Claudio ordinò farsi i sagrifizi del re Tulio, e le ribenedizioni de’ pontefici nel bosco di Diana, per lo ’ncesto di Sillano con la sorella, ridendosi ognuno che in tal tempo si punissero e purgassero gl’incesti. Ma Agrippina, per farsi conoscere anche per buone opere, fece ad Anneo Seneca perdonare l’esilio, e farlo pretore; pensando di far cosa grata al pubblico per essere gran letterato; e far Domizio allevar da tanto maestro, e valersi de’ suoi consigli, per arrivare al principato; come fedele per lo beneficio, e avverso a Claudio per l’ingiuria.

IX. Parve da non indugiare: e con gran promesse inducono Memmio Pollione eletto consolo a dir sua sentenza: Che Claudio sposasse Ottavia a Domizio; l’età s’affaceva: e ne seguirieno cose maggiori. Pollione quasi con le stesse parole che poco fa Vitellio, fece l’uficio; segue l’effetto; così Domizio di parente è fatto sposo e genero, e pari a Britannico, per li favori della madre, e per le arti delli accusatori di Messalina, che temevano non il figliuolo non li gastigasse.

X. In questo tempo gli ambasciadori dei Parti mandati a chiedere, come dissi, Meerdate, entrati in senato, espongono: „Venir bene scienti di nostra [p. 422 modifica]colleganza: non ribelli di casa arsacida, ma per riavere il figliuolo di Vonone, nipote di Fraate, che gli liberi dalla tirannia di Gotarze, intollerabile ai nobili e a’ plebei. Avere uccisi loro i fratelli, i vicini e i lontani, insino le donne pregne e i bambini; per ricoprir con la crudeltà l’esser suo, dappoco in casa, e sgraziato in guerra. Richiedere l’antica pubblica amistà, che noi soccorressimo i compagni nostri, emoli di possanza, ma cedenti per riverenza. Darsi, non per altro, li figliuoli de’ lor re per ostaggi, che per poter, quando son retti male, mandare al principe e a’ Padri per un re buono uscito di loro scuola„.

XI. Cesare all’incontro parlamentò dell’altezza romana, dell’osservanza de’ Parti: essergli, come al divino Augusto, chiesto il re: e non fiatò di Tiberio, che l’aveva mandato. Meerdate, che presente era, ammonì: „Che non pensasse dominar que’ popoli come schiavi, ma reggergli come cittadini con clemenza e giustizia; cose, quanto meno conosciute, tanto più accette a’ Barbari„. Voltosi alli ambasciadori, lodò a cielo questo allievo di Roma, pieno di modestia; ma doversi qualche cosa comportare a’ re, e non esser utile scambiagli tutto dì; noi esser tanto colmi di gloria, che vorremmo vedere ogni altro stato quieto„. A C. Cassio, reggente la Soria, ordina che conduca il giovane in riva d’Eufrate.

XII. Era Cassio in legge lo più ammaestrato di que’ tempi, che l’arti della guerra giacevano per la pace, la quale stima gli oziosi quanto i prodi. Nondimeno quanto senza guerra poteva, rimetteva i modi antichi d’esercitare i soldati, pensare, provvedere, fare come se ’l nimico assalisse; parendogli [p. 423 modifica]così esser dignità dei suoi maggiori e di casa Cassia, da quelle genti ancora celebrata. Fatti dunque muover quelli che avevan fatto chiamare il re, accampatosi a Zeuma, dove è più agevole il passo; quando comparvero i grandi de’ Parti, e Abbaro re degli Arabi, Cassio ricordò a Meerdate, sollecitasse sua impresa, perchè i Barbari si muovono con furore, e tardando allentano o tradiscono. Non ne fece capitale per inganno di Abbaro, che il giovane non accorto, e stimante che l’esser re stesse nel vivere con gran lusso, trattenne molti dì nella terra di Edessa: e chiamandogli Carrene, con dire che ogni cosa era presta, venendo presto, non vanno per la corta in Mesopotamia, ma girano per l’Armenia, che si dovea, cominciando il verno, fuggire.

XIII. Stracchi per le montagne e nevi, si congiungono con la gente di Carrene vicino alla pianura; passano il Tigre, e attraversano li Adiabeni, lo cui re Giubate, che facea l’amico di Meerdate, in segreto tenea da Gotarze. Presero per viaggio la città di Nino, sedia antichissima dell’Assiria, e il castello famoso, ove Alessandro con Dario combattè e abbattè la potenza di Persia. Gotarze intanto nel monte Sambulo sagrificava agli Iddii del luogo, ove è in maggior devozione Ercole; il quale in sogno mostra a’ sacerdoti che a certo tempo menino al tempio i loro cavalli a ordine per la caccia; i quali caricati di turcassi pieni di frecce, corrono per boschi, e di notte tornano con molto ansare co’ turcassi voti; e lo Iddio di nuovo mostra loro in sogno in quai boschi corsero e trovanvisi sparsi i salvaggiumi per terra.

XIV. Ma Gotarze, non avendo bastevole esercito, [p. 424 modifica]si facea del fiume Corma riparo. Sfidato a battaglia, e punto per trombetti e affronti, metteva tempo in mezzo, mutava luoghi, mandava a’ nemici moneta perchè facessono tradimenti. Tra gli altri Ezate adiabeno e Abbaro re arabo, se ne vanno con gli eserciti, per loro poca levatura, essendo chiaro per isperìenza che i Barbari corrono a chiedere a Roma i re, e poi non gli vogliono. Meerdate di sì forti aiuti spogliato, e degli altri insospettito, deliberò, non potendo altro, rimettersi alla fortuna e combattere, e Gotarze inferocito per gli scemati nemici, accettò. L’affronto fu sanguinoso e dubbio, sino a che Carrene, scorso troppo dietro a una parte fuggente, da un’altra fresca fu circondato. Allora Meerdate perduta ogni speranza, fidatosi di Parrace, creatura del padre, fu da lui preso e dato al vincitore; il quale dicendogli non parente, nè Arsacida, ma forestiero e Romanesco, gli mozzò gli orecchi, e lasciollo andare a mostra di sua clemenza e nostra onta. Morì poi Gotarze, e fu chiamato al regno Vonone, che governava i Medi. Poco visse e nulla operò. Succedetteli Vologese suo figliuolo.

XV. Andando disperso Mitridate Bosforano, e vedendo partito Didio capitano romano, col forte dello esercito, con aver lasciato Coti giovane, non esperto, in regno nuovo, con poche coorti sotto Giulio Aquila cavalier romano, sprezzati ambidue, sollieva popoli, alletta sbanditi, raguna esercito, e toglie lo stato al re de’ Dandaridi, e stava per pigliare il Bosforo. Quando Aquila e Coti intesero queste cose, e che Zorsine re de’ Soraci era ritornato nimico, vedendosi deboli, cercarono anch’essi aiuti di fuori; e mandarono ambasciadori a Eunone principale delli [p. 425 modifica]Adorsi, mostrando loro che Mitridate ribello alla potenza romana era niente. Convennero agevolmente, e che Emione con la cavalleria combattesse, e i Romani assediasser le terre.

XVI. Muovonsi schierati così: Gli Adorsi alla testa e alla coda; nel mezzo le nostre coorti, e i Bosforani armati alla romana. Rotto così il nimico, s’andò a Suza città di Dandaria, abbandonata da Mitridate per sospetto de’ suoi, e parve da lasciarvi presidio. Entrato ne’ Soraci e passati il fiume Paude, accerchiano Uspen, città in monte, con buoni fossi, e triste mura di graticci ripieni di terra, agevoli a disfare. Da alte bertesche, fuochi e saette lanciando, travagliavano gli assediati; e se la notte non ispartiva, seguiva l’assalto, e la presa in un dì.

XVII. La dimane màndaro a offerir la terra e diecimila schiavi, salvando i liberi. Troppa crudeltà parve tanti arresi uccidere, o briga a guardargli; meglio essere spegnerli con ragion di guerra. E fu dato il segno a’ soldati, saliti con le scale su le mura, di mandar tutti a fil di spada. Lo sterminio delli Uspensi spaventò gli altri, vedendoci mandare arme, ripari, luoghi aspri e alti, fiumi, città, ogni cosa a un piano, e nulla sicuro. Zorsine adunque, dibattutosi, se dovesse pensare al caso estremo di Mitridate o al suo regno, s’attenne all’utile; e dati ostaggi, si prostese dinanzi all’immagine di Cesare con gloria grande del romano esercito d’avere scorso vincitore senza sangue, sino a tre giornate, come, si vede, presso al Tanai: Non ebbe nel tornarsene egual fortuna, per certe navi trasportate per mare nelle costiere de’ Tauri, le quali que’ Barbari [p. 426 modifica]circondarono, e uccisero il prefetto e quasi tutti i centurioni.

XVIII. Mitridate, non avendo più arme, pensa ove trovar misericordia. Di Coti fratello statogli traditore, or nimico, temeva; Romano alcuno ivi non era d’autorità da starsene a sue promesse. Gittasi ad Eunone, nimico suo proprio, e per la nuova nostra amicizia potente, e con abito e volto acconcio alla presente fortuna, entra in palagio, e abbracciatogli le ginocchia, dice: „Eccoti volontario Mitridate, tanti anni da’ Romani cercato per terra e per mare. Fa della prole del grande Àchemene (il che solo non m’hanno potuto torre i nimici) ciocchè tu vuoi„.

XIX. La chiarezza dell’uomo, la mutata fortuna, e ’l pregar generoso commossero Eunone: leval su: lodato d’avere eletto la gente Adorsa, la destra sua per chieder mercè, e a Cesare manda ambasciadori e lettere di questo tenore: „Gl’imperadori del popolo romano, e i re delle grandi nazioni essersi fatti amici per la simigliante grandezza; egli e Claudio, per la comune vittoria. Le guerre non avere più nobil fine che, perdonando, accordare. Così a Zorsine vinto niente essersi tolto. Per Mitridate, che più grave peccò, pregava, non rendergli regno, nè potenza, ma perdonargli il venire in trionfo e la morte.

XX. Claudio, benchè dolce con la nobiltà straniera, dubitò se meglio era ricevere con tal patto cotal prigione o ripigliarlo con l’armi. Premevalo il duolo delle ingiurie e la voglia del vendicarsi; ma gli era detto: „Che qui si vedea guerra in paesi deserti, mare senza porti, re bizzarri, popoli vagabondi, terreno sterile; tedio, durando; pericolo, affettandosi: poca lode, vincendo, e gran vergogna [p. 427 modifica]se si perdesse. Che non accettarlo così? La vita sarebbe al meschino continuato supplizio.„ Per queste ragioni scrisse a Eunone: „Che Mitridate meritava la morte, e poteva dargliela; ma per antico costume essere i Romani tanto benigni a’ supplicanti, quanto duri a’ nimici; e si trionfa de’ popoli e de’ regni, non d’un uomo solo„.

XXI. Consegnato dipoi, e portato a Roma Mitridate da Giunio Citone procuratore del Ponto, si dice che a Cesare parlò troppo altiero in quella fortuna, e n’andarono per lo popolo queste parole: „Io non ti sono rimandato, ma torno: se noi credi, lasciami e vedrailo„. E quando in mezzo alle guardie fu mostrato in ringhiera al popolo; non si cambiò. A Gitone furono ordinate le insegne di consolo, ad Aquila di pretore.

XXII. In detto anno Agrippina contro a Lollia, che seco aveva conteso il matrimonio del principe, inviperata, le trova cagioni e accusatore d’aver sopra quello domandalo Caldei, Maghi e Apollo Clario. E Claudio, senza udir lei, disse in senato molto della sua nobiltà: „Nata di sorella di L. Volusio; bisnipote di Cotta Messalino da canto di padre; stata moglie di Memmio Regolo (di Caio, che la rimandò, non volle dire, ma aggiunse): aver mali pensieri contro allo stato. Esser bene prima che ella gli effettui, confiscarle i beni e scacciarla d’Italia„. E così fu; lasciatole delle sue smisurate ricchezze cento venticinquemila fiorini per vivere. E Calpurnia, illustre donna, fu sperperata per averla il principe chiamata bella, ragionandone a caso, non per averne capriccio; però Agrippina non le fe’ il peggio. A [p. 428 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/435 [p. 429 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/436 [p. 430 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/437 [p. 431 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/438 [p. 432 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/439 [p. 433 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/440 [p. 434 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/441 [p. 435 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/442 [p. 436 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/443 [p. 437 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/444 [p. 438 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/445 [p. 439 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/446 [p. 440 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/447 [p. 441 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/448 [p. 442 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/449 [p. 443 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/450 [p. 444 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/451 [p. 445 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/452 [p. 446 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/453 [p. 447 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/454 [p. 448 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/455 [p. 449 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/456 [p. 450 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/457 [p. 451 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/458 [p. 452 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/459