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LIBRO DUODECIMO | 445 |
chio acciò non potessero fuggire; agiato, da potervisi ringirare, maneggiare, vogare e combattere. Fanti e cavalli di guardia stavano in su le travi dietro ai parapetti ov’erano briccole e caricate balestre: soldati d’armata in legni coperti tenevano il restante del lago; i colli, le ripe e le cime de’ monti a modo di teatro, eran gremite di genti, venute dalle vicinanze e da Roma, per vedere o far corte al principe. Risederono, egli in abito imperiale, e poi lungi Agrippina in manto d’oro. Combattevano, benchè malfattori, da forti uomini e valorosi; e dopo molte ferite furon divisi.
LVII. Fatta la festa, fu dato l’andare all’acqua e scoperto l’errore dello spiano, non livellato al fondo, nè a mezz’acqua del lago; onde poi lo raffondò, e per ragunar di nuovo il popolo, gittativi sopra i ponti, vi fece una festa d’accoltellanti a piede; ove apparecchiò un convito allo sbocco dell’acqua, che sgorgò con tal furia, che si trasse dietro le cose vicine, e smosse le lontane; e ognuno stordì per lo romore: e Agrippina servendosi dello spavento del principe, voltasi a Narciso soprantendente dell’opere disse, averla lui fatta male in prova, per farne bottega e rubare; ned egli a lei la sua donnesca superbia e le troppo alte speranze risparmiò.
LVIII. Nel consolato di D. Giunio e Q. Aterio, Nerone di sedici anni sposò Ottavia figliuola di Cesare; e per dargli gloria di letterato e bello parladore, lo fecer difender la causa degl’Iliesi; ove con faconda diceria mostrò, come i Romani vennero da Troia, e Enea fu origine di casa Giulia, e l’altre antichità quasi favole; e ottenne che gl’Iliesi d’ogni gravezza di comune fussero esenti. Orante il mede-