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LIBRO DUODECIMO | 439 |
XLV. sì segreto, che Mitradate gli fu mezzano a rappattumarlo col padre; al quale tornato, gli conta aver con la fraude disposta la materia; doversi ora far con l’armi. Farasmane rompe la guerra, trova a dire, che quando ei combatteva col re d’Albania e chiedeva a’ Romani aiuto, il fratello gli operò contro; e per tale ingiuria vendicare, intendeva distruggerlo. E dato al figliuolo grosso esercito, esso incontanente assaltò, e tolse la campagna a Mitradate, sbigottito e salvatosi nel castello di Cornea, forte e con buona guardia di soldati sotto Celio Pollione reggente, e Casperio centurione. Niente sanno meno i Barbari che prender terre per via di macchine e d’artifizj; noi ne siamo maestri. Radamisto avendo in vano, o con danno, dato l’assalto, incomincia l’assedio; e nulla approdando, corruppe il prefetto, protestando Casperio, non vendesse sì bruttamente quel re amico, non l’Armenia, dono del popolo romano; e rispondendo Pollione, troppi esser d’attorno al Castello, e Radamisto, allegando la commessione del padre, fatto tregua, se n’uscì, per distor Farasmane da questa guerra; se no, avvisar T. Vinidio Quadrato, che reggeva la Sorìa, dello stato d’Armenia.
XLVI. Partito il centurione, il prefetto quasi senza pedagogo rimaso, consigliava Mitradate che s’accordasse, ricordando, Farasmane essergli fratei maggiore, ed ei suo genero, e suocero di Radamisto; gl’Iberi, benchè allora più forti, la pace non recusare; sapersi quanto sieno felloni gli Armeni; altra sicurezza non v’essere che quel castello non vettovagliato; non volesse armi, anzi che patti non sanguinosi. Andava adagio Mitradate a fidarsi de’ consigli del