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LIBRO UNDECIMO 419

tavia figliuola di Claudio; che non si potea senza scandolo; avendo Claudio già lei a L. Sillano sposata e fatto dal popolo conoscere e amare questo genero grande per sè, illustrato d’insegne trionfali, e per lo rappresentato spettacolo degli accoltellanti; ma ogni cosa era agevole con quel principe buono, scipito, da essere imboccato e comandato.

IV. Vitellio adunque (come censore, sue maligne viltà ricoprendo) per entrare in grazia d’Agrippina, che vedeva venir padrona, s’impacciava de’ suoi segreti; le rapportava novelle contra Sillano e Giulia Calvina sua sorella, bella e lasciva, stata nuora poco prima di esso Vitellio. Venne poi all’accusarlo, non d’aver fatto con la sorella peccato, ma mal celato d’averle voluto bene. Cesare non fu sordo a’ sospetti del genero, strignendolo più la figliuola. Ma Sillano non sapendo queste girandole (e anche era pretore in quell’anno) per editto di Vitellio si trovò casso del senato, benchè lasciatovi prima nel lustro nella scelta de’ senatori; e insieme Claudio gli disdisse il parentado; fu fatto rinunziare la pretoria, e la fini Eprio Marcello.

V. Entrati consoli C. Pompeio e Q. Verannio, il matrimonio tra Claudio e Agrippina, già per fama, e per lo scellerato amore tenuto per fatto, si conchiùse; non però ardivano far le nozze, non essendosi più udito, uno zio menare la figliuola d’un fratel carnale; e temendo di pubblico inconveniente, se peccato tale si sprezzasse, Vitellio tolse a cavarne le mani, e domandò Cesare: Se si lasserebbe consigliare dal popolo o dal senato. Avendo risposto: Esserci solamente per uno, nè poterne più di loro; disse: Che l’aspettasse in palagio: entra in senato, e chiesta la prima udienza, per cosa che importava allo stato,