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LIBRO UNDECIMO | 427 |
se si perdesse. Che non accettarlo così? La vita sarebbe al meschino continuato supplizio.„ Per queste ragioni scrisse a Eunone: „Che Mitridate meritava la morte, e poteva dargliela; ma per antico costume essere i Romani tanto benigni a’ supplicanti, quanto duri a’ nimici; e si trionfa de’ popoli e de’ regni, non d’un uomo solo„.
XXI. Consegnato dipoi, e portato a Roma Mitridate da Giunio Citone procuratore del Ponto, si dice che a Cesare parlò troppo altiero in quella fortuna, e n’andarono per lo popolo queste parole: „Io non ti sono rimandato, ma torno: se noi credi, lasciami e vedrailo„. E quando in mezzo alle guardie fu mostrato in ringhiera al popolo; non si cambiò. A Gitone furono ordinate le insegne di consolo, ad Aquila di pretore.
XXII. In detto anno Agrippina contro a Lollia, che seco aveva conteso il matrimonio del principe, inviperata, le trova cagioni e accusatore d’aver sopra quello domandalo Caldei, Maghi e Apollo Clario. E Claudio, senza udir lei, disse in senato molto della sua nobiltà: „Nata di sorella di L. Volusio; bisnipote di Cotta Messalino da canto di padre; stata moglie di Memmio Regolo (di Caio, che la rimandò, non volle dire, ma aggiunse): aver mali pensieri contro allo stato. Esser bene prima che ella gli effettui, confiscarle i beni e scacciarla d’Italia„. E così fu; lasciatole delle sue smisurate ricchezze cento venticinquemila fiorini per vivere. E Calpurnia, illustre donna, fu sperperata per averla il principe chiamata bella, ragionandone a caso, non per averne capriccio; però Agrippina non le fe’ il peggio. A Lol-