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LIBRO DUODECIMO | 437 |
berto alcun fedele avea, fu cacciato. In quella occasione i due giovani riscontrandosi, Neron salutò Britannico col suo nome, e egli lui con quel di Domizio; di che, come principio di discordia, Agrippina molto si dolse col marito, dispregiarsi l’adozione, guastarsi in casa quello che avea giudicato il senato, comandato il popolo. Se que’ maligni che mettevano questi punti non si scacciavano, ne seguirebbe rovina pubblica. Claudio di queste quasi malvagità adirato, i custodi ottimi del figliuol suo uccise e confinò; e lo mise in mano a chi volle la matrigna;
XLII. la quale non ardì fare il resto, per levar prima la guardia di mano a Lusio Gela e Rufo Crispino, come troppo obbligati alla memoria e ai figliuoli di Messalina. Per consiglio adunque della moglie che diceva, le coorti, per la concorrenza di due, dividersi in fazioni, e meglio potersi disciplinare comandate da uno, fu dato il comando de’ pretoriani a Burro Afranio, tenuto gran soldato, ma conoscente chi gliel dava. Levossi Agrippina in maggiore altura, e andava in Campidoglio in carretta, come già potevano solamente i sacerdoti e le cose sante; il che accresceva venerazione a questa donna, figliuola d’uno imperador d’eserciti, e sorella, moglie e madre di tre imperadori del mondo; esempio unico sino a oggi. In tanto Vitellio, che l’avea presa per lei più di tutti, favoritissimo, vecchissimo (tanto stanno in bilico i grandi) da Giuno Lupo senatore toccò un’accusa di maestà danneggiata e d’imperio agognato. E vi dava Cesare orecchi, se Agrippina con minacce, anzi che preghi, non lo svolgeva a privare d’acqua e fuoco l’accusatore; chè di tanto si contentò Vitellio.