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LIBRO DUODECIMO 441

affogò in molti panni e gravi; e scannò i loro figliuoli perchè gli piagnevano.

XLVIII. Quadrato inteso il tradimento fatto a Mitradate, e regnare i traditori, chiama il consiglio, spone il fatto, domanda se si dee gastigare. Pochi guardavano all'onore pubblico; i più alla sicurezza, dicendo, doversi aver care le rabbie tra loro de’ forestieri, e seminar zizzanie; come spesso hanno usato i principi romani, donando a uno, e togliendo a un altro questa benedetta Armenia, per aizzarli. Farsi per noi, che Radamisto si tenga il male acquistato con odio e infamia, più tosto che Se l’avesse con gloria. Così fu deliberato; ma per non parere d’approvare tanta atrocitade (e forse Cesare sarebbe di altro animo), mandarono a dire a Farasmane, che dello stato armeno sgombrasse egli e il figliuolo.

XLIX. Era procurator di Cappadocia Giulio Peligno, d’animo vile, corpo ridicolo egualmente dispregevole, ma tutto di Claudio, che quando era privato, co’ visi da far ridere passava mattana. Costui, come volesse riaver l’Armenia, fa gente del paese: gli amici più che i nimici saccheggia; i suoi lo piantano, i Barbari l’assaliscono; scarso di partiti, ne va a Radamisto, per li cui presenti corrotto, lo esorta al prender lo scettro reale, e al prenderlo assiste e serve. Divolgatasi tanta vergogna, a fin che tutti non fosser creduti di questa razza, vi fu mandato Elvidio Prisco con una legione a riparare per allora. Passò a fretta il Monte Tauro; e già, molte, cose avendo accomodate più con dolcezza che forza, fu fatto ritornare in Soria per non la romper coi Parti.

L. Avvegnaché Vólogese, parendogli venuto il tem-