Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/438


LIBRO DUODECIMO 431

rendo la campagna, convenne al comparire de’ Ligi e delli Ermunduri battagliare. Così Vannio uscì fuori e fu rotto; ma gloriosamente, con l’arme in mano, e ferite dinanzi; e salvossi rifuggendo all’ armata che l’aspettava al Danubio insieme con la sua gente; a cui fu dato in Pannonia luogo e terreno. Spartironsi il regno Vangio e Sido, fedeli a noi: a que’ popoli, nell’acquistarlo, tutta carità: poscia, o per natura di chi domina o di chi serve, odiosissimi.

XXXI. In Britannia giunto P. Ostorio vicepretore, trovò scompiglio; inondando i nemici il paese dei collegati, rovinosi tanto più, che non credettero il capitano novello con esercito non maneggiato, entrato il verno, potergli noiare. Esso sapendo i primi fatti dar lo spavento o l’orgoglio, vola con le coorti, ammazza chi resiste, perseguita, e non lascia far testa gli sbaragliati: non si fida di loro accordi, per non tornare alle medesime: leva l’arme a’ sospetti e voleva chiuderli tra due fiumi Antona e Sabrina, e ’l campo suo. Gl’Iceni fur primi a risentirsene: gente gagliarda, da guerre non battuta; perchè venne volontaria dal nostro, e dietro a questi le nazioni confinanti. Presero per combattere un luogo bastionato di zolle, d’entrata strettissimo alla cavalleria. Ostorio, benché senza nerbo di legioni, con gli aiuti si mette a sforzargli; e partendole coorti, pone in opera anche la gente a cavallo: e dato il segno, rompe i bastioni, e coloro sconfonde, presi nella lor gabbia, e che per uscirne, vedendosi ribelli e rinchiusi, fer prove da dirsene. In quella zuffa M. Ostorio, figliuolo del Legato, meritò corona di cittadino salvato.

XXXII. La sconfitta degl’Iceni fe’ accordare i dubbi,