Storie (Tacito)/III
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1. Mentre consultano i Duci Flaviani, Antonio Primo , viva face di guerra , persuade celerità. — IV. Aggiugnesi l' autorità di Cornelio Fosco. — V. Ti aggonsi al partito Sidone e Italico , Re Svevo .— VI. Antonio invade l' Italia in compagnia di Arrio Varo : molte città occupano : scelgon Verona campo di battaglia, indarno o tardi frammettendo indugi Vespasiano e Mudano, - IX. Lettere ostili de' Vitelliani e Flaviani. —. X. Sedizioni nel campo Flaviano sedate da Antonio, — XIII Lucilio Basso e Cecina tradiscon Vitellio e son presi da' soldati. — XIV. Vien Antonio a Bedriaco : assale i discordi Vitelliani. La zuffa pria dubbia divien per arte d'Antonio prospera a' Flaviani. -— XIX. I Flaviani ir vogliono in Cremona. —- XX. Lor imprudente foia rattien Antonio. — XXI. Vitelliani a Cremona a pugna accinti : vi si preparan anco i Flaviani. —- XXII. Atroce pugna: vittoria per valore ed arte d'Antonio : ucciso dal figlio un padre. — XXVI. Cremona assediata , presa, arsa : Cecina sciolto mandasi a Vespasiano. —- XXXV. Disperse le vinte legioni. —XXXVI. Vitellio sopito in lusso. — XXXVII. Pur tien Senato : condanna di Cecina. Prende e lascia il Consolato in un di Rosio Regolo. — XXXVIII. Morte di Giunio Bleso per trama di Vitellio : lode di Bleso. — XL. Valente per libidini e indugio, rovina Vitellio : indarno tenta uscir nelle Gallie. —I Flaviani occupano l' Italia. — XLII. Valente dà procella balzato alle Stecadi, isole di Marsilia, è preso. XLIV. Spagna, Gallia, Brettagna, datesi ai Flaviani. —~ XLV. Intorbida l'acqua in Brettagna Venusio : pugne di vario esito. —XLVI Torbidi in Germania e tra' Daci : a tempo Muciano fa la calma. —- XLVII. Schiavesche armi d' Aniceto per il Ponto, tosto oppresse- .— XLVIII Vespasiano in Alessandria per affamar Roma. —— XLlX. Antonio dopo Cremona piti altero, parte di truppa lascia in Verona, parte invia contro Vitellio. — LI. Impudenza di soldato chiedente premio pel fratello che uccise. — LII. Antonio accusato a Vespasiano di celerità da Muciano.— LIII. Orgogliosi lamenti d'Antonio presso Vespasiano: odj tra Antonio e Muciano. — LIV. Vitellio da folle dissimula l'avviso della rotta u Cremona : nolabil costanza di Centurione. — LV. Vitellio , come desto da sonno, fa assediar l' Appennino : comparte onori: vien in fine al campo. .—- LVI. Prodigj : tra' primi egli stesso Vitellio; rozzo in guerra, sconsigliato torna a Roma —. LVII Pozzuolo per Vespasiano, Capoa per Vitellio. Claudio Giuliano tradisce Vitellio, occupa Terracina. —- LVIII. Vitellio rintuzza l' arme che invadon Campagna. Di plebe e schiavi saldasi in Roma esercito Senatori ed equestri disertano. - LlX. I Flaviani ohi a Appennino : prendon Duce Petilio Cariale scampato alle guardie vitelliane, ivi incontrato. — LX. Di pugna avidi calmali aringa d' Antonio. - LXI. Vitelliani non pugnano che di perfidia. Prisco e Alfeno disertori. Con isfacciato tradimento , Valente ucciso, passan da Flavio i Vitelliani. — LXIIL. Trattasi con Vitellio che ceda: nè rilutta. — LXIV. Incitasi all' armi Flavio Sabino /ratello a Vespasiano : di anni grave , trattato di pace muove con Vitellio. — LXVI. Vitellio spronano a fortezza. -— LXVlI. Per infingardia, aringa e cede l' Impero. Reclamano gli astanti e 'l ritraggono a palazzo. .—. LXIX. Sabino fassi padron della repubblica: l' assistono i primai Senatori, il più. degli equestri, l' urbana milizia, i vigili; a malincuor delle germane coorti, scaramuccia a' Vitelliani propizia. Sabino occupa il Campidoglio. — LXXI. Campidoglio preso e arso. — LXXII. Lamenti per tal orrore. Vicende di quello insino a tal dì. — LXXIII. Sabino e Attico console presi. —. LXXIV. Domiziano da scaltro liberto è occultato. Sabino tratto a Vitellio, malgrado di quello, ucciso , è rotolato per le Gemonie. .— LXXV. Virtù di Sabino. Attico che, vero o falso, fassi reo dell' arso Campidoglio , è salvato. —- LXXVI. Terracina da Vitellio stretta e presa. Sgozzato Giuliano. .— LXXVIII. I Flaviani che per colpa d'Antonio o Mudano , baloccano , desti dall' avviso del Campidoglio assediato, affrettansi a Roma. — LXXIX. Ivi presso zuffa di cavalleria lor contraria. LXXX. Pure per pace o tregua, mandan indarno Legati e Vestali i Vitelliani. — LXXXI. I Flaviani in tre corpi s'accostano a Roma. Pugne ivi presso molte e varie, prospere pià a' Flaviani. Adunansi i Vitelliani. —LXXXIII. Inferocisce Marte : Roma laida per lascivie. Il popolo assiste e applaude a' combattenti. ~— LXXXIV. Il pretorio assalito. LXXXV. Vitellio, presa Roma, da sporco nascondiglio estratto, è morto, e gittato sulle Gemonie. .—- LXXXVI. Sua vita e costumi. Domiziano acclamato Cesare.
TRATTO DI POCHI MESI.
Cons. C. Fabio Valente Surrog. A. Alieno Cecina.
Anno di Roma Dcccxxii. Di Cristo 69. Cons. Rosio Regolo. Surrog.
C. Gn. Cecilio Semplice Surr. C. Quinzio Attico.
Con miglior fedé e stella guidavan la guerra i Capi Flaviani. In Petovio, nelle stanze della legion tredicesima fecer consiglio, se si dovessero guardar l'Alpi di Pannonia e aspettar tutte le forze addietro, o investir al primo l'Italia. A cui pareva di aspettare gli aiuti , e trattener la guerra, aggrandivano la forza e la fama delle legioni di Germania: » Essere a Vitellio venuto di nuovo il forte dell'esercito di Brettagna ; essi aver meno legioni , dianzi rotte 5 e benchè parlino altiere, sempre a'vinti manca l'ardire. Mentre che i passi dei monti stanno chiusi, verrebbe Muoiano con le forze d' Oriente : rimanere a Vespasiano il mare e armata : i cuori delle province ; con le quali moverebbe, come un'altra guerra intera : verrieno con sano indugio forze nuove senza toccar le presenti. » II. Antonio Primo , fulmine di questa, guerra, rispose : » Essere la prestezza a loro utile , a Vitellio, dannosissima; aver loro la vittoria tolto, e non dato vigore ; come stati fuor di campo per tutte le terre d' Italia in grandi agi : terribili a' soli alloggi: quanto , prima feroci, ora ingolfati ne' piaceri ; nel cerchio , ne' teatri , nelle gentilezze di Rbma, fatti morbidi o infermi: ma con un poco di tempo, con l' uso della guerra, tornerebbero come prima. Avere Ja Germania, onde viene lor forza, non lontana; Brettagna a un dito di mare ; le Gallie e le Spagne allato : da tutte uomini, cavalli e danari, e l'Italia e le ricchezze di Roma: e se Volessero muover guerra, hanno due armate, e il mare di Illiria netto. Che gioveria chiuder i monti? che la guerra rimetter a que* st'altra state? In tanto danari e viveri onde uscirieno / Facesson capitale più tosto , che le legioni di Pannonia tradite, non vinte, si struggono di vendicarsi ; che gli eserciti di Mesia eran giunti interi e salvi. Se Vitellio ha più legioni; e noi più soldati valorosi, niente corrotti, più accesi, per quella vergogna , a virtù. Cavalli non vinti anche allora che si perdè ; anzi due cornette di Pannonia e Mesia ruppero il nimico; ora sedici insieme, col calpestìo, col frastuolo , con la polvere, scorrfonderanno , rintroneranno quanti cavalli e cavalieri , divezzi della guerra vi avrà. Io medesimo , se non sarò impedito, eseguirò questo mio consiglio. Voi , che non vi sete ancor dichiarati, ritenete le legioni : a me bastano le coorti "spedite. Non avrò pnma un piè in Italia , che voi udirete Vitellio rotto : goderavvi l'animo di seguitarmi e calpestare queste pedate vittoriose. »
III. Tali cose mandò fuore con occhi di fuoco e vote terribile , per esser udito discosto ( essendosi mescolati col consiglio Centurioni e soldati ) , con tanta efficacia, che mosse ancor i ben considerati e cauti. L'altra turba gridava: » Questo è il Capitano, gli altri da nulla ». Tal fama s'era .acquistata in allro consiglio fatto sopra altre lettere di Vespasiano, dove non parlò, come molti, riserbato, per aver poi sue ritirate , ma a viso aperto,- che piace al soldato a parte compagno di colpa e gloria.
IV. Il secondo stimato era Cornelio Fusco procuratore, che tanto sparlò di Vitellio, che se ella andava al contrario s era giucato ogni speranza. Tito Ampio Flaviano andandoci per natura e per età a rilento , insospettì i soldati ch' e' non si ricordasse che egli era stato parente di Vitellio ; e nel primo motivo delle legioni fuggitosi, e poi tornato, fu creduto ordir tradimento ; attesochè a Flaviano , passato di Pannonia in Italia e uscito di pericolo, venne desio di novità ; d' esser rifatto Legato e mescolarsi in guerra civile ; sollecitandonelo Cornelio Fusco, non per bisogno del fatto suo , ma per aggiugnere n quella parte, surgente allora, splendore dal nome consolare.
V. Ma perchè il passaggio in Italia fusse utile e •sicuro , si scrisse ad Aponio Saturnino , che con lo esercito di Mesia s' affrettasse : e per non lasciar le province disannate in preda a barbare genti, si soldarono i principali Sarmati .Iazigi, i quali fecero offerta di gente e gran cavalleria, nella qual sola vairliono ; e fu ricusata perchè non tentassero guerra straniera tra le nostre discordie , o passassero a chi li pagasse meglio , senza tener conto di fede. Tira4'onsi in lega Sido e Italico , Re dei Svevi, antichi divoti de'Romani, gente di promesse osservante. Furon messi aiuti alle frontiere verso la Rezia , contraria , per esser retta dal procurator Porcio Settimio, di fede sincera a Vitellio. Fu mandato adunque Sestilio Felice con la banda di cavalli tauriana , otto coorti di fanti, con gioventù norica a pigliar la ripa del fiume Euo , che divide i Norici da' Reti : ambi fuggirono la battaglia, e la fortuna di parte Flavia altrove si dimostrò.
VI. Volando Antonio co'vessillarj tratti delle coorti e con parte de' cavalli , alla volta d'Italia , gli fu compagno Arrio Varo , valoroso in guerra, allievo in quelle prospere guerre d'Armenia, di Corbulone; le cui virtù si diceva che egli segretamente infamò a Nerone , e ottenne il primopilo per cotal brutto favore , che poi fu sua rovina. Occupando Primo e Varo , intorno Aquilea, ogni cosa , furon volentieri ricevuti dalli Opitergi e Altini. Fu messo guardia in Aitino contro all' armata di Ravenna , non sapendosi ancora se era ribellata. GuadagnarOnsi Este c Padova ; ivi si seppe , tre coorti di Vitellio , e la cornetta della Scriboniana, essersi fermati a Ferrara, e fattovi un ponte ; e anche starvisi mal guardati. Si valsero dell' occasione. Furono all' alba quasi tutti senza arme sorpresi , e pochi , secondo il dato ordine , ammazzatine ; forzati gli altri per paura a mutar fede. Alcuni si arreser subito : molti al nimico sforzanteli tagliarono il ponte e la via.
VII. Divolgatasi tal vittoria de'Flaviani in principio di guerra , se ne vengono due legioni, la settima detta Galbiana, e la tredicesima Gemina, con Vedio Aquila Legato a Padova , baldanzose, ove si riposarono pochi giorni] e Minuzio Giusto, maestro del campo della settima, fu levato dinanzi alla furia de'soldati, per troppo superbo comandare in tempo di guerra civile, e mandato a Vespasiano. Antonio, per accrescere a sua parte riputazione col venerarci il principato di Galba, e col far sì che si credesse risurgere quella parte , fece per ogni terra rimetter le immagini di quello, abbattute per le discordie ; cosa tenuta gloriosa , quanto più disiata.
Vili. Consultossi poi che la pianta della guerra fosse Verona ; perchè v' era pianura atta alla cavalleria , ond' eran più forti : e il torre a Vitellio sl possente colonia dava utile e riputazione. Nel passare si prese Vicenza, terricciuola- ma si stimò l'aver tolta la sua patria a Cecina Capitano del nimico. Giovaron bene i Veronesi con l' esempio e con la facoltà ; e si ritennero li eserciti di Germania , che non passassero per la Rezia e per le Alpi Giulie, le quali cose non sapeva o aveva vietate Vespasiano 5 il quale ordinò che in Aquilea si fermasse la guerra e s'aspettasse Muoiano : e parevagli (poichè s'aveva il granaio d'Egitto e'tributi di province ricchissime) che l' esercito di Vitellio per mancanza di danari e viveri potrebbe arrendersi. Il medesimo spesseggiando lettere , ricordava Muciano ; per vincere, diceva egli, con la spada nel fodero , ma in verità, perchè tutta la gloria della guerra si serbasse a lui. Ma i consigli per la distanza de' luoghi giugnevano dopo i fatti.
IX. Antonio repente scorse sino al campo nimico^ e con leggiere scaramuccia tastati gli animi , si Icvaron del pari: e Cecina s'accampò tra Ostilia, borgo veronese, e le paludi del Tartaro , sicuro luogo, di dietro , per lo fiume , e dallato per le paludi. Ch« se egli non tradiva, poteva, o con tutte le forze" vi» telliaue disfare le «lue legioni non ancor congiunta con i' esercito di Mesia, o farle bruttamente fuggir (V Italia. Ma Cecina vendè a' mmici il tempo buono del cacciarle , tranquillandosi col mandare lettere a bravarle ; finchè con messaggi pattuì la tradigione. In quella giunse Aponio Saturnino con la legion settima Claudiana, cui era Tribuno Vipsanio Messalla , di chiari genitori ; valoroso, e solo in questa guerra sincero. A queste tre legioni, che non erano ancor più, nè pari alle forze vitelliane, scrisse Cecina, non volessero i vinti più armeggiare contro al vitelliano esercito , la cui virtù alzò a cielo ; di Vitellio parlò poco . e in generale. Vespasiano niente offese; e nulla vi dicea da corromperli o impaurirli. La risposta de' Capi Flaviani, senza scusare la prima fortuna , fu quanto a Vespasiano , magnifica ; nella causa, confidente; dell'esito, sicura; di Vitellio trattava come nimico ; a' Tribuni e Centurioni , largheggiava di mantenere quanto concedette Vitellio , e confortava Cecina molio aperto a esser de' loro. Lette in pubblico queste due lettere : quella di Cecina sommessiva, quasi temesse di non offendere Vespasiano , e quella de" Capi dispregiante, quasi insultasser Vitellio , accrebber gli animi.
X. E all' arrivo di due altre legioni , terza sotto Dillio Aponiano, e ottava sotto A-umisio Lupo, piacque mostrar le lor forze e trinceare tutta Verona. Alla Galbiana toccò a lavorar nella fronte opposta ; e da lontano apparì cavalleria d' aiuti amici, e mise vano timore , parendo nimica. L'ira de' soldati a T. Ampio Flaviano , come autore di tradimento, senza riscontro alcuno , per odio antico , si difilò' e porlavalo, quasi turbo , alla morte ; gridavanlo parente di Vitellio , traclitor d' Otone , ladro del donativo ; nè gli valeva man giunte , gittarsi in terra, stracciarsi veste , picchiar petto, singhiozzare, quasi che la tanta paura accusasse la conscienza. Se Aponiano cominciava a parlare, i soldati col gridare e picchiare, non lasciavano dir lui ne altri: ad Antonio solo davano orecchi, perchè era facondo , e aveva nel quetar popolo autorità e arte; con la quale, vedendo il tumulto crescere e venirsi dalle villanie all' arme, fece legare Flaviano in catene. I soldati conobber l' arte: cacciaron via le guardie dal tribunale per finirlo. Antonio si mise la spada al petto, e gridava voler morire per le mani de'soldati suoi o sue, e per nome chiamava ogn' amico o graduato eh' ei vedeva , perchè l' aiutasse, Voltossi alle insegne, agli Jddii della guerra ; pregandoli a metter più tosto nelli eserciti de' nimici quel furore , quella discordia- tanto che la cosa allenò: e già finito il giorno si ritrasse ognuno al suo padiglione. Flaviano la notte andò via, riscontrò lettere da Vespasiano, e fu fuor di pericolo.
XI. Le legioni , quasi di quel morbo infette , si levano contro Aponio Saturnino, Legato dell'esercito di Mesia (più atroci che prima, perchè di mezzodì, non da sera stracche dal lavorare), per essersi pubblicata una lettera creduta di Saturnino a Vitellio. Già si faceva a chi più esser buono e modesto ; allora 9 ehi più insolente e rabbioso ; per non chieder con minor rabbia al supplizio Aponio , che si avessero Flaviano , dicendo i Mesj , avere aiutato vendicare i Pannoni ,• e questi , quasi l' altrui sedizione la loro prosciogliesse, godevano di j ifarla. Vannone al giardino ove era Saturnino alloggiato. Ogni cosa fecero Primo. Aponiano e Messalla, per lui campare : ma gli valse nascondersi al buio nel fornello di certa stufa per sorte spenta. Onde a Padova se ne andò senza littori. Partici li due consolari , rimase il comando d'ambo gli eserciti ad Antonio solo; cedendoglielo i colleghi , e volendolo i soldati. Nè vi mancò chi credesse Antonio aver mosso lo scandolo cattivamente , per esser solo padrone della guerra. • . .
XII. Travagliava la parte di Vitellio in più maligna discordia, non per sospetti di popolo, ma per fellonia di capitani. Lucilio Basso ammiraglio a Ravenna indusse que' soldati non chiari, per esser quasi tutti di Dalmazia ^e Pannonia ( le quali province si tenevano per Vespasiano ) a chiarirsi per lui. Di notte , perchè gli altri non sapessero il tradimento, i trattanti soli si ragunarono nelle principia del campo. Basso per la vergogna o paura , se non riuscisse aspettò in casa. Quei capitani con gran tumulto abbattono le immagini di Vitellio ; di certi oppostisi fanno pezzi ; l' universale , vago di cose nuove , voleva Vespasiano. Allora Lucilio s' affaccia : palesa , tutto esser di suo ordine. L'armata fa suo Ammiraglio Cornelio Fusco., il quale tosto si presenta. Basso con onesta guardia portato da fuste in Adria, è fatto prigione da Mennio Rufino , che la guardava. Ma di subito lasciato , arrivatovi Ormo liberto di Cesare , tra' Capi anch' egli.
XIII. Cecina , divolgatasi la ribellione dell' armata, chiama da canto nelle principia i principali Centurioni e pochi soldati , dando agli altri da fare, per lo campo. Quivi la virtù di Vespasiano, e le forza di quella parte esalta: dice: » Esser loro fuggita l'armata , arca di tutti i viveri : le Gallio e le Spagne nimiche : niuno in Roma di chi fidarsi, e ogni cosa di Vitellio all'ingiù ». Però fece dare il giuramento a Vespasiano, prima dai consapevoli, poi dagli altri attoniti di cosa sì nuova. Subitamente fu dato di piglio alle immagini di Vitellio , e mandatolo a dire ad Antonio. Ma, come per tutto il campo si seppe la tradigione , soldati corsi alle principia , vedendo scritto il nome di Vespasiano, e le immagini di Yitellio abbattute, prima ogni cosa ammutolì, poi scoppiò fuori ogni voce : » A tale esser ridotta la gloria del germano esercito ? senza battaglia, senza sangue porgere le mani a legare e l'armi a spogliare? E a quali legioni? Vinte: e scemo della prima e quattordicesima , il forte dell' esercito d' Otone ; state rotte nondimeno e atterrate anch' esse da loro in quella stessa campagna : e perchè ? per fare un presente ad Antonio sbandito , di tante migliaia d' armati , quasi di tanto bestiame da vendere , cioè di otto legioni, oltre a un' armata. Voler Basso e Cecina sopra le case , giardini e tante ricchezze rapite al Principe, torgli anche i soldati, quantunque non menomati, nè feriti e vili alli stessi Flaviani. E che risponderebbero a chi domandasse di lor prosperità e avversità ?
XIV. Così gridava ciascuno o tutti, secondo li cacciava il dolore : e movendo la legion quinta, rimettono le immagini di Vitellio; legano Cecina; eleggonsi per Capi Fabio Fabulo Legato di essa quinta e Cassio Longo, Maestro del campo. Danno ne' soldati di tre fuste, senza scienza nè colpa, e ne fanno pezzi. Lasciano il campo, tagliano il ponte, tor nano a Ostilia , indi a Cremona , a trovare la legion prima , detta Italica , e la ventunesima , Rapace, già da Cecina mandate con parte de7 cavalli a tenerla. ,
XV. Quando Antonio seppe queste cose, deliberò d' assaltare quelli eserciti , divisi di luoghi e d'animi , prima che tornasse ne' Capitani l' autorità , nei soldati l'ubbidienza, nelle legioni congiunte il coraggio ; conietturando che Fabio Valente , fedele a Vitellio e buon soldato , fusse partito di Roma, e s'affrettasse , inteso il tradimeuto di Cecina. E Vitello aspettava gran gente germana per la Rezia e aiuti di Brettagna, Callia e Spagna , da fracassar il Mondo di guerra, se Antonio, antivedendo, non anticipava il combattere e vincere. Venne con tutto l'esercito ip due posate da Verona a Bedriaco. L'altro di tenne le legioni a fortificarsi; gli aiuti mandò nel Cremonese, sotto spezie di far gente, a empiersi di preda civile. Egli con quattromila cavalli si discostò da Bedriaco otto miglia perchè predasser con più licenza; e più lontano era, come s'usa, gente a far la scoperta.
XVI. Intorno all'ora quinta del giorno vennero cavalli battendo, a dire, che i nimici eran presso : pochi innanzi: grande movimento e fremito seguitare. Mentre Antonio consulta che sia da fare, Arrio Varo > volonteroso di fare qualche opera, co'più pronti Cavalieri assali e piegò i Vitelliani, con pochi morti Perchè molti accorsivi rivoltaron fortuna , i primi all'affrontare rimasero sezzi al fuggire. Antonio non voleva si tosto , e s' aspettò quel che avvenne. Confortò i suoi a ire con grande animo alla battaglia .' mandò alcune truppe di cavalli aUelatora, lasciando nel mezzo spazio a ricever Varo co'suoi cavalli. Fece armare le legioni per la campagna: diede il segno che ciascuno , lasciato il predare, corresse in battaglia per la più corta. Varo impaurito entrò tra' suoi compagni e quelli impaurì. Fuggivano sani e feriti, afflitti dalla via stretta e paura propria.
XVII. Antonio non lasciò in quel pericolo cosa possibile a costante Capitano e soldato fortissimo 5 spigne i paurosi; rattiene i fuggenti: ove è travaglio, onde speranza, con voce , mano , contiglio si fa dai nimici ammirare, da'suoi vedere ; e venne in sì fatto ardore , che trapassato di lancia uno Alfiere che fuggiva, rapì la bandiera, e voltolla verso i nimici ; per la qual vergogna non più di cento cavalli fecer testa. Giovò il luogo ; perchè la via stretta, il ponte tagliato , il fiume in mezzo di dubbio guado d' alte ripe , non lasciaron fuggire. Tal necessità o fortuna risuscitò quella parte. Attestatisi con istretti ordini, aspettano i Vitelliani larghi, confusi e abbattonli. Antonio seguita gli spaventati, ammazza i combattenti. Ciascuno degli altri , secondo che più ama, spoglia, piglia , ruba arme e cavalli. Sentendo le liete grida, que'che dianzi fuggivano per le campora, si mescolano nella vittoria.
XVIII. Quattro miglia lontano da Cremona si videro luccicar le insegne delle legioni Rapace e Italica, che insin quivi vennero, quando da prima vincevano i lor cavalli ; ma alla fortuna rivoltata non s'apersero per ricevere gli sbaragliati, non s' opposero al nimico , non l' assaltarono , stracco per la pugna e per la tanta via corsa. Forse i vinti non così nelle prosperità desiderarono il Capitano, come nelle avversità s' avvedevano di non l' avere. Urta la cavalleria vincente la balenante battaglia ; ed eccoti Vipsanio JYlessalla Tribuno con li aiuti Musici . i quali egli , benchè venuti a corsa, teneva sì buon soldati, come i legionari. Così i cavalli e pedoni congiunti, ruppero l'ordinanze delle legioni; e le mura cremonesi vicine, quanto speranza davano di salvarsi, tanto animo toglievano di combattere.
XIX. Nè Antonio li seguitò , ricordandosi delle fatiche e del sangue , onde ei, se ben vinse, afflisse tanti uomini e cavalli. Tramontando il Sole , arrivò tutto il forte dell' esercito Flaviano ; e calpestati i corpi, e'freschi vestigi dell'uccisione, come a guerra vinta chieggono d' andare a Cremona a ricevere gli arresi o sforzarli. Queste cose belle diceano in pubblico ; ma in sè discorreva ciascuno : » Questa colonia in piano potersi pigliare con assalto e di notte ; col medesimo ardire e più licenza di rubare. Aspettando il giorno, se n'andrieno in accordi e lagrime: un poco di gloria vana e pietà , pagherieno lor fatiche e sangue. Ma le ricchezze de' Cremonesi balzerieno in grembo a'Legati e Prefetti. Saccheggiare la città sforzata, i soldati) l'arresa, i Capitani. « Spregiano Centurioni e Tribuni ; e perchè non s' odano comandai^ , dibatton l' armi , risoluti , non essendo condotti all' assalto, d' andarvi,
XX. Antonio entrò tra loro, e fattili chetare con la presenza e autorità disse : » Non volere a sì meritevoli levar gloria nè premio ; ma da'soldati a" Capitani esser divario: a quelli star benissimo il desiderar di combattere , a questi il provvedere, consultare 3 più volte col savio indugio , che con tate* meraria fretta, giovare. Come aveva con l'arme e con la mano fatto la sua parte nella vittoria , così gioverebbe con la ragione e col consiglio, arti proprie del Capitano. Saper ben egli che importi la notte : il non saper il sito della città: i nimici entro: ogni cosa atta ad inganno. Non dovervisi entrare, benchè fussero le porte spalancate. , se non di di, e se prima riconosciuta non è. Comincerete l' assalto senza vddere Ove debba darsi ! quanto alte le mura : se cou balestre o lanciotti , o zappe o dificj ? » \ oltatosi ad uno aduno domandò: » Se portato aveano accette, picconi, e che altro ci vuole a prender città ; » e dicendo : » No ; i, soggiunse : » E potranno le vostre mani con le spade e lance aprire e atterrar le mura ? Quando bisognerà fais. bastioni , coprirci con tavolati e graticci , staremo noi trasecolati a mirare le alte torri e fortificazioni altrui ? Non è meglio indugiare una notte , e condotte tutte le macchine e gli ordigni , portar la forza e la vittoria con ,esso noi ?» E tosto manda a Bedriaco saccomanni e ragazzi , co' più freschi Cavalieri per condurre stromenti , e ciò che faceva di mestieri.
XXI. Il che dispiacque a' soldati : e stavano per levarsi su; ma alcuni cavalli scorsi sotto le mura presero certi usciti di Cremona, dai quali seppero che sei legioni di Vitellio e tutto l' esercito stato a Ostilia, udita la rotta de' loro , aveano fatto il dì trenta miglia; volevan combattere, e arriverieno allora. Questo terrore aperse gli orecchi de' soldati ai consigli del Capitano. Ferma in su l' argine della via Postumia la legion terza : a sinistra nel piano la settima Galbiana: in un fosso naturale fortificata la settima Claudiana : in luogo aperto l' ottava ; e chiusa fra folti arbuscelli la tredicesima. Così erano ordinate l'aquile e le insegne : i soldati rinfusi accaso per la notte : il vessillo de' Pretoriani allato alla terza : le fanterie d' aiuto ne' corni : i fianchi e le spalle cinse la cavalleria : Sido e Italico Svevi , col fiore di lor gente , stavano nella prima battaglia.
XXII. Ma l' esercito di Vitellio , che doveva di ragione riposare in Cremona , e, riprese per cibo e sonno le forze, il dì di poi rompere e disfare il nimico , morto di freddo e fame, all' ora terza di notte , privo di Capo e consiglio , si spinse ne' Flaviani disposti e pronti. Qual fosse l’ ordine disordinato per la notte e per l'ira, non affermerei; altri pongono la legion quarta Macedonica nel corno a loro destro : la quinta e quindicesima , con le compagnie di Brettagna della nona . seconda e ventesima, nella batta* glia: la sedicesima, ventiduesima e prima nel sinistro. Quei della Rapace e dell' Italica essersi mescolati per tutto. I cavalli e gli aiuti si posero dove e'vollero. Fu il combattere di quella notte vario, dubbio, atroce: ora a questi, ora a quelli infelice ; cuore , mani, occhi, nulla valieno. Erano l'armi medesime : da ogni banda noto il nome per tanto chiederlo: frotte di Soldati qua e là strascicavano le insegne mescolate. Era forte caricata la legion settima scritta da Galba; toltole alcune insegne; uccisole sei Centurioni di prime file : Attilio Vero , uno di essi, salvò l' aquila con molta strage di nimici, e al fin sua.
XXIII. Antonio sostenne i suoi , che piegavano, chiamando i Pretoriani ; i quali, presa la pugna ? caricarono i nimici: poi furon piegati, avendo i Vitelliani piantati i mangani in su l'argine della via, che tiravano all' aperto, dove prima si perdevano i tiri , cogliendo arbori e non nimici. Un de' quali grande a dismisura della legion quattordicesima fracassava con gran sassi i nimici. e n' avrebbe fatto macello se non era un glorioso ardire di due soldati, che con due scudi raccolti tra quei morti, non essendo considerati, andaron a tagliar le funi a' contrappesi di quello stiomento. Furono incontanente uccisi; però i nomi non si seppero: il fatto è certo. A mezza notte , non si vedendo ancora dove la fortuna pendesse, si levò la luna; e scoperse l'uno esercito , l ' altro ingannò. Giovò a' Flaviani l ' averla di dietro , perchè gittava più lunghe l ' ombre de' cavalli e fanti che non erano i corpi ; e i nemici imberciavan quelle. I ;VitelIiani scoperti col lume in faccia, erano , senza potersi guardare , quasi da occulta parte saettati.
XXIV. Antonio adunque, quando potette conoscere i suoi , ed esser conosciuto, chi svergognava e proverbiava ; molti lodava ed inanimiva: a tutti dava speranze e promesse, e domandava le legioni di Pannonia perchè avessero ripreso l ' armi ? In quel piano potere essi convertir la passata vergogna in gloria. Voltatosi a' Mesici, li predicava Capi e autori di quella guerra: » A che aver provocato con parole e minacce i Vitelliani. se ora spiritassono delle lor mani e occhi ? » Così a qualurique a lui s' avveniva , diceva. Più disse alla legion terza, ricordandole l ' antiche prodezze e le nuove ; delli scacciati Parti sotto M. Antonio ; Armeni sotto Corbulone ; Sarmati dianzi. E ai Pretoriani in collora disse:» E voi concittadini , se non vincete questa volta, quale altro Imperadore, qual campo vi raccetterà ? Colà sou le armi vostre e P insegne : la morte se perderete ; che l’ onor n'è già ito ». Usciron le grida per tutto:
e la terza salutò ( così s' usa in Sorìa ) il nascente
Sole.
XXV. Uscì voce , forse messa per arte del Capitano , Muoiano esser giunto ) e che gli eserciti s' eran salutati con quelle grida. Muovono il passo, quasi cresciuti di nuovi aiuti , e già diradavano i combattenti Vitelliani senza Capo, ciascuno da suo impeto o paura , spinti o ritirati. Quando Antonio li vede piegati, col folto battaglione gli urta, allarga e scompiglia ; nè si potevano , impediti da lor carri e macchine , riordinare. I vincitori alle bande della via fanno calca per fretta di seguitarli. Fece più notevole la mortalità un caso che Vipsanio Messalla conta così : Giulio Mansueto sjsagnuolo , scritto nella Rapace , lasciò a casa un figlioletto, il quale cresciuto fu scritto da Galba nella settima : avvennesi qui nel padre, e lo atterrò di fedita ; mentre l'uno spoglia, Y altro dà i tratti, si riconoscono: spiragli m braccio: il figliuol piagne e scongiura quell'anima del morto padre che )i perdoni la non sua colpa. Ma di tutte quelle maledette armi civili, un soldato solo che parte era ? Levò suso quel corpo; fece la fossa e rese al padre l' ultimo ufficio. Considerollo chi gli era presso ; indi altri: e per tutto l'esercito fu sparso il miracolo , con bestemmiare e maledire sì crudel guerra. Nulla però di meno corrono a spogliare amici, parenti, fratelli, ammazzati: lo mal falto biasimano , e sì il fanno.
XXVI. Arrivati a Cremona, si presentò loro strana e dismisurata fatica. Nella guerra d' Otone i soldati germanici cinsero le mura di Cremona col campo loro; e quello di trincee e nuovi fortific amenti V aggiunsero. A cotal vista arrestarono i vincitori , non sapendo i Capi che comandarsi. Dar F assalto i soldati stracchi la notte e 'l d'i ? cosa dura. e senza vicino aiuto, pericolosa ; tornare a Bedriaco ? tanto cammino, fatica intollerabile; e rendevasi la vittoria disutile ; fortificar il campo ì cosa da far uscir subito i nimici vicini addosso ai lavoranti fuor di schiera e disperderli. E più di tutto si temea de' propri soldati , nimici più dello indugio che del pericolo ; Fan* dar cauto non è grato , la temerità dà speranza : ferite , sangue , morte, tutto eontrappesava la cupidigia del predare.
XXVII. Questo piacque ad Antonio : fece assaltar le trincee da tutte le parti. Prima si combattè da lontano con frombole, Con saette , ove i Flaviani an<davan col peggio , essendo i nimici a cavaliere. Pose alle trincee e porte le legioni scompartite, acciò quale si portasse meglio apparisse, e se ne accendesse gareggiamento ; cioè la terza e la settima, presso alla via di Bedriaco ; l' ottava e la settima Claudiana, alla trincea destra; la tredicesima fu dall' empito trasportata alla porta Bresciana. Posaronsi un poco ; intanto comparvero zappe, picconi, falci e scale, dai villaggi vicini. Allora messesi le targhe in capo, fatta serrata testuggine , vanno sotto le mura. Da ogni banda si combatteva alla romana.'I Vitelliani rUotolan loro addosso gran sassi : sgretolano, aprono e con pali e lance frugano e disfanno la collegata testuggine delle targhe, e quella infrangono e macellano.
XXXVIII. L' assalto allenava, se a' soldati strae* chi e sordi a' conforti de' Capitani , non era detto : » Colà è Cremona ». Se questo fu tratto d' Ormo come vuol Messalla, o d'Antonio, come C. Plinio , che ne lo biasima, non discerno ; ma egli fu bene, quantunque sceleratissimo, proporzionato alla fama e vita, di qual s'è l'undiloro. Senza più guardar a ferite nè a sangue , già avevan rovinato il riparo, già scotevan le porte: salitisi insu le spalle, e sopr'alla rifatta testuggine , aggavignano armi e braccia a' nimici. Sani con feriti, moribondi con boccheggianti, s' abbaruffano in ogni strana attitudine e immagine di morte.
XXTX. Asprissima battaglia faceano la settima e la terza: e con l'arco dell'osso vi si mise Antonio con aiuti fortissimi. Vedendo i Vitelliani non poter reggere a tanta serra e fuori della testuggine, ciocchè di sopra piombava sbalzare, diedono al mauganone la pinta : il quale di sotto quanti ne coperse , schiacciò o sbaragliò : e di sopra si tirò dietro i merli, la cresta del bastione, e una torre congiuntali, intonata da' sassi ; e mentre i setti mani s'aiutavano a montare con serrate frotte , i terzani con le scuri e spade spezzaron la porta. Il primo a entrar dicono tutti gli autori che fu C. Volusio soldato della terza. Costui salito su la trincea , fattosi far largo per fqrza, alzò le mani e gridò : » Il campo è nostro ». Gli altri seguitarono , già per la paura gittandosene i Vitelliani a teri/a: quanto è dal campo alle mura, s' empiè di morti.
XXX. Rimanevaci fatica nuova e varia : mura alte, torri murate , porte ferratissime , tanti soldati con l ' arme in mano , tanto popolo cremonese, tutto della parte contraria ; e mezza Italia concorsa in que' dì alla fiera, che dava, per la moltitudine , aiuto alla difesa e animo agli assalitori per la preda. Tosta Antonio manda a ficcar fuoco nelle amenissime ville e palagi, fuori della città, se forse i Cremonesi per salvar i lor beni mutasson fede. Empie le più alte case e vicine alle mura di buon soldati; i quali cacciano i difenditori con travi , fuochi e tegoli.
XXXI. Le legioni rifanno testuggini : altri tiran sassi e dardi ; tanto che i Vitelliani a poco a poco scorati cedono alla fortuna , di mano in mano i più degni; perciocchè lasciando sforzar Cremona, non rimaneva loro più luogo di misericordia; e il vincitore sfogherebbe tutta la rabbia sopra di loro Tribuni e Centurioni, non sopra la plebe che non ha che perdere. I soldati privati non pensavan tant' oltre; faceali lor bassezza sicuri. Sperduti per le vie, nascosti per le case , non chiedevano pace e ayevan diposta la guerra. I principali del campo levano il nome e le immagini di Vitellio ; sciolgono Cecina. ancor nei ferri , e preganlo che preghi per loro. Ributtandoli arricciato e tronflo , lo importunano , e chieggono a un traditore tanti fortissimi campioni con le lagrime ( ultimo di tutti i mali ) mercè per Dio , e mostrano i sagri veli e le bende dalle mura. Avendo Antonio fatto fermar l' armi , cavaron fuori le insegne e l' aquile , e dietro ne veniva la gente trista, disarmata , con gli occhi bassi : e d'intorno i vincitori prima li svillaneggiavano , poi alzavan le mani ; ma vedendoli porger il viso , e Ogni viltà patire , si rimembrarono questi esser quelli che dianzi a Bedriaco si temperarono nella vittoria. Ma quando cernie Cecina da Consolo con la pretesta, littori innanzi , e chi faceva far largo, scappati di pazienza , gli rinfacciavano l'orgoglio e la crudeltà ; e infino al tradimento : tanto s' odiano le brutture ! Antonia
vi riparò col mandarlo guardato a Vespasiano.
XXXII. Intanto la plebe di Cremona tra tante spade ebbe che fare : venivasi al sangue , se i Capitani pregando non addolcivano i soldati. Antonio fece le parole a tutti : magnifiche ai vincitori , benigne a' vinti : di Cremona non si dichiarò. L' esercito, oltre alla naturale agonia della preda, la voleva spiantare per odj antichi. Crede vasi i Cremonesi aver aiutato Vitellio anche nella guerra d' Otone ; schernito ( come sono insolenti i plebei della città ) i tredicesimani , lasciativi a fabbricare l' anfiteatro. Accrebbe l' odio , l' avervi fatto Cecina lo spettacolo delli accoltellanti ; l" essere stata due volte sedia della guerra , aver porto vivande all' esercito vitelliano in battaglia' ed esservi insino state uccise delle donne, uscite a combattere per affezione alla parte. La Fiera ricca, aggiunta alla colonia ricca , tanto più li accendeva alla preda. In Antonio solo per lo grado e nome, eran tutti gli occhi volti : gli altri Capitani non eran guardati. Essendo egli di sangue lordo, entrò per lavarsi nella stufa , e trovatala poco calda, udissi: » Ben tosto fia riscaldata». Cotal motto fe' credere lui aver dato il segno di metter fuoco in Cremona, che già ardea; e gli accattò tutto
i ' odio.
XXXIII. Entraronvi a furia quarantamila armati e di bagaglioni e guatteri più numero e più crudi e più disonesti. A fil di spada e di vergogna , andava ogni età e dignità. Dei vecchi e vecchie, come disutili, faceano strazj e risa. Avvenendosi a matura vergine e bel donzello, per strappatigli di mano , gli sbranavano , e alla fine se n' uccidevano. Portandosi alcuni via danari o doni d' oro , rubati ai templi divini , se più forti di loro incontravano , erano uccisi. Altri spregiando le robe che davan loro nelle mani , cercavano col bastonare e tormentar i padroni, di far disotterrar le-nascoste; e nelle case e ne'templi svaligiati, per piacevolezza gittavan fiaccole. Erano in quello esercito composto di Romani, allegati, stranieri di varie lingue e costumi, diverse voglie , diverse leggi , e nulla non lecito. Quattro giorni durò il sacco di Cremona; arse ogni cosa sagra e profana : il tempio solo di Mefite avanti alle mura fu difeso dal sito o dalla Iddia.
XXXIV. Tal fine ebbe Cremona l’ anno dugcnto ottantasei dopo che ella , essendo Consoli T. Sempronio e P. Cornelio, entrando in Italia Annibale, fu edificata per frontiera oltre al Po contro a' Galli o altra rovina che calasse dall' Alpi. Per molti abitatori , comodità di fiumi, grassezza e parentadi del paese, crebbe e fiori: da guerre di fuori non tocca, per le civili infelice. Antonio, vergognandosi di tanto male, essendone ogni dì più odiato, bandì che niuno tenesse prigioni Cremonesi. E già erano preda vana, perchè tutta Italia s' era accordata a non voler comperare. Cominciaro ad esser uccisi. I parenti , visto ciò , li raccattavan segretamente. Il popolo avanzato tornò in Cremona, e furon rifatti tempj e luoghi pubblici con la borsa de'cittadini , esortandone Vespasiano.
XXXV. Ma per lo fetore dello ammorbato terreno, poco potero dimorar nelle rovine della sepolta città. Tre miglia più là rimettono gli sparsi e spaventati Vitelliaui, ciascuno sotto sue insegne: le legioni vinte spargono per l'Illiria; affine che, stante ancora la guerra civile, non avessero doppio cuore. Mandano in Brettagna e Spagna corrieri e nuove del seguito in Gallia, come Eduo, Giulio Caleno Tribuno: in Germania, come Treviro, Alpino Montano Prefetto d' una coorte, quasi a mostra, perchè ambi furono Vitelliani. Chiusero con le guardie i passi dell'Alpi per sospetto che la Germania non s'armasse per Vitellio.
XXXVI. Il quale, avendo spediti alla guerra Cecina e poco appresso Fabio Valente, cacciava i pensieri col far buon tempo; non a proveder armi, non, a esercitare e ammonir soldati, e farsi a tutti vedere, ma sotto F ombre di bei giardini, alla guisa dì pigri animali, che quando il ventre è pieno, poltriscono, s'era dimenticato ogni cosa passata, presente e avvenire; standosi nel bosco della Riccia a marcir «F ozio, lo colsero le novelle, che Lucilio Basso F avea tradito, e fattoli ribellare F armata di Ravenna ; . e poco appi esso un dolor mescolato con allegrezza: che altresì Cecina l' avea tradito e l'esercito incatenatolo. Per F allegrezza il disensato non sentì la picchiata. Torna in Roma baldanzoso, e in pieno
/ parlamento n'esalta l'amor de'soldati. Fa legar P. Sabino Prefetto de' Pretoriani per esser amico di Cecina ; sostituisce Alfeno Varo.
XXXVII. Fece poi pomposa diceria in senato: e da' Padri fu messo in cielo con finissime adulazioni. Contro a Cecina, prima L. Vitellio disse atroce parere; gli altri, che un Consolo avesse tradito la repubblica, un Capitano lo Imperadore, un tanto arricchito e onorato l'amico, facevano gli sdegnati, dolendosi del danno non di Vitellio, ma loro. Dei Capi Flaviani non dissero parola offensiva: gli eserciti incolpavan d'errore e poca prudenza; il nominar Vespasiano sfuggivano e circoscrivevanlo. Rossio Regolo impetrò da Vitellio in barbagrazia il rimanente del consolato di Cecina, che era un sol dì, ridendosi ognuno di chi il diede e di chi il ricevè. L'ultimo d'ottobre fece le parole del prenderlo e del renderlo. Notavano i pratichi, che Consolo un sol di fu anche Caninio Rebilo a tempo di C. Cesare dettatore, quando si sollecitavano i premj della guerra civile; ma far nuovo Consolo, se quel che sedeva non era prima disfatto per legge, non s' era udito mique.
XXXVIII. In quei dì si fece gran dire della morte di Giunio Bleso, seguita, per quanto ritraggo, così: Vitellio ammalato grave nel giardino de' Servilj vide una notte in una torre vicina moki lumi • la cagione intese essere, che Cecina Tusco convitava molti, trai quali era il principale Giunio Bleso: e l'apparecchio e l' allegria e 'l baccano, e l' altre cose gli fnron dipinte maggior del vero. Nè vi mancò chi dicesse : » Tusco e gli altri, ma Bleso più di tutti, festeggiano e giubbilano , mentre il principe ha male ». Quando quelli che specolano i cuori de' principi veggon Vitellio tinto bene da poter dare a Bleso lo scacco, ne lascian la cura a L. Vitellio, che per astio maligno non poteva patire di vederlo per la sua gran fama passare innanzi a sè, macchiato d'ogni bruttura. Apre la camera dell' Imperadore e col figliuol di quello in braccio a lui s'inginocchia: e i domandandoli esso che ciò fusse : » Non portargli (disse) lagrime "e preghi per proprio duolo o pericolo , ma di suo fratello e nipoti. Ridersi di Vespasiano, da tante legioni germaniche7 da tanti vassal li potenti e fedeli, da tanti spazj di terra e mare , tenuto discosto. Nella città, in seno, avere il nimico, che si vanta de' suoi avoli Giunj e Antonj, di esser di schiatta imperiale, e mostrasi dolce e largo asoldati. A costui ognun volgersi ; mentre Vitellio a chi gli è nimico o amico, non badando, tira su un emolo, che da tavola rimira i travagli del Principe. Esser bene, di sì scelerata allegria, farlo tristo , e dare a divedere che Vitellio è vivo, e regge, e in Ogni caso, ha un figliuolo ».
XXXIX. Dibattutosi tra la paura e la voglia, per levarsi il pericolo del tener Bleso vivo, e'l carico di farlo morire alla scoperta , si gittò al veleno ; il che più si credette, essendolo andato a vedere con allegrezza grandissima : oltre al crudel vanto datosi (io riferirò le parole proprie) d'aver pasciuto gli occhi della morte del suo nimico. Eu in Bleso, oltre alla chiarezza del sangue e gentilezza de' costumi, fede ostinata. Cecina il tentò e altri Capi di quella parte cominciati a stuccarsi di Vitellio, ancora in buon essere, ed ei sempre forte, santo, quieto: sì poco de' subiti onori, non che del principato curante, che poco ne mancò al non parerne degno.
XL. In tanto Fabio Valente con mandrie d' eunuchi e concubine, camminando più lento che la guerra non ama, ebbe avviso in estrema diligenza, che Lucilio Basso avea data l'armata di Ravenna ; e poteva, se ei fusse uscito di passo, tener Cecina in cervello, o esser a tempo a trovarsi alla giornata; nè mancò chi consigliarlo, d'andar co'suoi più fidati per tranelli , scansata Ravenna, a Ostilia é Cremona; altri di chiamar i Pretoriani da Roma, e passar per forza, Egli si trattenne: e quando era tempo da fare, se n'andò in consigli ; non prese nè l'uno spediente , nè l' altro: tenne via di mezzo (che ne'pericoli non ci è peggio ) , nè abbastanza avventurò nè provvide.
XLI. Scrisse a Vitellio per aiuto. Vennero tre coorti con la cavalleria di Brettagna ; troppo numero a frodare e poco a sforzar la passata; e quantunque Valente avesse da pensar tanto , ebbe infamia d' aver voluto sfogare ogni brutta libidine per le case delli alloggiaici. Avea forza e danari e lussuria: vizio, che ultimo si parte da chi rovina. Quando l' aiuto • finalmente arrivò, chiarì la fiacchezza del consiglio , perchè sì pochi non potevano attraversar il nimico, quando russero stati fedelissimi ; e fidare non se ne poteva, se bene li riteneva un poco di modestia e riverenza al Capitano; legami, che non itengono più che tanto chi brama garbugli, e ha mandato giù la visiera, I pedoni innanzi, e i cavalli appresso, sospettandone, mandò a Rimini; ed ei con pochi nell'avversità non mutati, voltò nell'Umbria, indi in Toscana; ove, inteso il caso di Cremona, gli venne non basso pensiero, e se gli riusciva, terribile: di dar di piglio alle navi; porre in terra in qualunque luogo della provincia Narbonese; chiamar le Gallie, le genti di Germania, e accender nuova guerra.
XLII. Partito Valente, Cornelio Fusco con l' esercito e con le galee; circonda quei che tenevan Rimini spaventati: piglia la pianura dell' Umbria e la parte della Marca, cui bagna l'Adriatico: e tra Vespasiano e Vitellio, l'Appennino divideva tutta l'Italia. Fabio Valente dalla spiaggia pisana da fortuna di mare, o contrario vento, fu gittata a Monaco; ove era vicinq Mario Maturo procuratore dell' Alpi ma» rittime, fedele a Vitellio . al cui giuramento con tutto i nimici d'intorno non avea rinunziato. Fece a Valente accoglienza, e lo distolse dall'entrare senza fondamento ne' Narbonesi, come anche ne lo distolse il vedere gli altri alienati- perchè Valerio Paulino procuratore, bravo soldato, in minor fortuna amico di Vespasiano, gli aveva fatto fare omaggio da'popoli vicini ;
XLIII. e , sommossi al pigliar l' arme quelli che Vitellio cassò, teneva guardie nella colonia di Fregius, e altri passi di quel mare: e l' autorità di Paulino vi era grande , perchè Fregius era sua patria. Era stimato da' Pretoriani, de' quali fu già Tribuno: e i paesani per favorire un de'loro, e sperandone grandezza, aderivano a quella fazione. Per tutte queste cose provvedute, fermate , bociate maggiori, e penetrate ne'voltabili animi de'Vitelliani, Fabio Valente con quattro alabardieri, tre amici e tre Centurioni, se ne tornò alle navi, data licenza a Maturo, e agli altri di rimanervi e giurare a lor posta fedeltà a Vespasiano. Valente era per mare più sicuro che per le riviere e città- ma non sapendo che farsi, e vedendo più quello che da fuggire era, che da sperare, fu portato dal temporale alle Stecadi , isole di Marsilia, e quivi preso da galee mandatevi da Paulino.
XLIV. Preso Valente, ogni cosa si voltò al vincitore : e prima in Ispagna la legion prima Aiutrice, nimica a Vitellio, per la memoria d'Otone, la quale seco trasse la decima e la sesta. Le Gallie non si fecer pregare. Aggiunse la Brettagna a Vespasiano la grazia che vi acquistò, governando con tanta gloria la seconda legione datali da Claudio, non senza
alterazion dell' altre, delle quali molti Centurioni e soldati, tirati innanzi da Vitellio, a malincorpo mutavaij principe.
XLV. I Britanni per questa discordia e tanti romori di guerra civile si sollevarono, messi su da Venusio, uomo feroce, nimico del nome romano, e fieramente acceso contro a Cartismandua stata sua moglie, di gran sangue, reina de'Briganti; la quale, poichè con inganno prese il Re Carattaco, e parve ne cagionasse il trionfo a Claudio Cesare, crebbe in potenza e felice pompa ; sprezzato Venusio, fece Vellocato suo scudiere, suo marito e Re, e la sua casa mise subitamente in conquasso. Il marito aveva il favor del popolo; l'adultero la libidine della Reina, e la crudeltà. Venusio adunque aiutato di fuori, c i Briganti ribellatisi, la condussero all' estremo : ella chiedeo ai Romani difesa ; nostri uomini e cavalli dopo varie battaglie salvarono la Reina : il Regno rimase a Venusio, la guerra a noi.
XLVI. Iu Germania in questo tempo si travagliò per negligenza de' Capitani e sedizion de' soldati ; per forze di fuori e dislealtà d' allegati , ebbero a farla male le cose nostre. Questa guerra , perchè fu lunga, narreremo di sotto con le cagioni e successi. Fecero movimento ancora i Daci, gente sempre senza fede allora senza paura, levatone l' esercito di Mesia- ma stavano a veder i primi successi di questi Imperadori. Visto tutto ardere di guerra l'Italia, e tra sè nimicarsi, cacciarono degli alloggiamenti la. gente a piede c a cavallo ; e impadroniti di qua e di là del Danubio , ordinavano anche disfare quelli delle legioni ; ma Muciano con la legion sesta s'oppose, già sapendo la vittoria di Cremona : e non volendo che il Daco e il Germano ci assalissero da due Lande. Favorinne, come spesso, la fortuna romana, che condusse là Muoiano e le forze d'Oriente, e ci sbrigò di Cremona. Fonteo Agrippa, stato un anno viceconsolo in Asia, fu mandato in Mesia e aggiuntovi forze dell'esercito Vitelliano; che per istar in pace, fu prudenza spargerlo per le province e occuparlo in guerre di fuori.
XLVII. L'altre nazioni non si stavano. In Ponto mosse subito armi uno schiavo barbaro, stato Ammiraglio del Re Polemone. Questi fu Aniceto suo liberto, già potente: e poichè fu ridotto il regno in vassallaggio, non potendo sofferire il nuovo governo in nome di Vitellio si fe'seguito in Ponto, invitando alla preda i più rovinati ; e già Capitano di moltitudine non disprezzabile , entrò subito in Trcbisonda, città molto antica in capo del Mar Maggiore edificata da'Greci: ammazzovvi cinquecento soldati del Re, già nostri aiuti: fatti poi cittadini romani, tenevano insegne e armi romane ; ma greca negligenza e licenza : arse l'armata e scorrazzava tutto quel mare, perchè Muoiano avea condotto a Costantinopoli le migliori galee e tutti i soldati ; e scorrevan quei Barbari con più dispregio, fabbricati repente lor navilj , chiamati camere, stretti dalle bande, col ventre largo, incastrati senza legatura di ferro o rame: quando è mar grosso, aggiungono tavole di sopra secondo i fiotti: chiudonvisi entro, e per l'onde si rivoltano, avendo due prue eguali e remeggio a ogni mano , e posson da ogni banda sicuramente approdare.
XLVIII. Spinse tal cosa Vespasiano a spedire Virdi o Gemino, soldato di prova, co' vessillari. Il quale, assalito il nimico scomposto e sbandato per vaghezza di preda, lo ripinse a'navilj: fabbricò galee a furia: raggiunse Aniceto alla foce del fiume Corbo, sicuro con l'aiuto del Re de'Sedochezi, con cui s' era con danari e doni collegato. Il Re da prima lo difendeva con armi e minacce; propostogli poi o premio o guerra , il Barbaro ( come son traditori ) vendè la vita d'Aniceto e le persone de'fuggitivi ; e finì la guerra servile. Vespasiano, lieto della vittoria, andandogli ogni cosa me'che non desiderava, ebbe in Egitto avviso del succeduto a Cremona. Tanto più sollecitò d' andar in Alessandria ; per istrigner,- ora che l' esercito di Vitellio era rotto, anche Roma con " la fame, bisognosa d' aiuto forestiero; e metter il nimico in carestia e discordia, chiudendo le tratte eie'viveri di tutta l' Affrica , la quale s' apparecchiava di assaltare per mare e per terra.
XLIX. Stando il Mondo in tanto trambusto, mentre la fortuna dell'Imperio si muta, Antonio Primo dopo il fatto di Cremona non fu così netto; parcvagli alla guerra aver soddisfatto e agevole ogni residuo, e forse la felicità scoperse sua natura, avara, superba, e gli altri vizj nascosti. Calpestava Italia come sua presa ; teneva le legioni per sue : ogni suo detto o fatto, tendeva a farsi grande ; e per far licenziosi i soldati , rimetteva nelle legioni il rifare i Centurioni morti; onde erano fatti i più seandolosi; nè i soldati stavano co' Capitani ; ma questi dalla violenza loro eran tirati : e di tali cose sediziose e guastatrici della milizia, facea guadagno, senza temere di Mudano, che s'appressava, che era peggio che avere sprezzato Vespasiano. L. Venendone il verno e allagando il Po la pianura, mosse la gente spedita. Lasciate in Verona le insegne, l'aquile delle vincitrici legioni, feriti, vecchi e gran parte de' sani; parendogli finita la gueiTa, bastar le coorti e le bande, e delle legioni il fiore. Unissi ancora la legione undicesima , stata prima a vedere , poi dolente di non s'esser ritrovata alla vittoria: e più, seimila Dalmati di nuovo scritti , Poppeo Silvano, stato Consolo, li comandava; ma perchè egli ne sapeva poco e 'l tempo da fatti consumava in discorsi, Annio Basso, Legato d' una legione , gli era sempre appresso: e sotto colore d'ubbidirlo , faceva destramente ogni cosa. Chiedendo i soldati dell' armata di Ravenna d'esser fatti di legioni , se ne scelsero i migliori, e l' armata fu supplita di Dalmati. Questo esercito si fermò a Fano, stando i Capitani sospesi sopra la resoluzione di tutta l'impresa. Intendevano i Pretoriani esser partiti di Roma ; credevano che l'Appennino fosse guardato ; trovavansi in paese per la guerra disfatto; spaventavali la carestia e il chiedere i soldati insolentemente il clavario ( così chiamano una sorte di donativo ) , e non aver provveduto grano, nè danari ; e se nulla si poteva distribuire, era rapito per la furia e ingordigia.
LI. Trovo in celebrati scrittori, aver fatto quei vittoriosi sì poca stima del buono e onesto, che un soldatello a cavallo provò d' aver morto in battaglia un fratello, e ne chiese premio a' Capitani. Non si poteva tale uccisione per ragione umana onorare, nè -per ragion di guerra punire; dissero che non v' era di presente da poterlo a sufficienza rimeritare; quel che poi si seguisse, non trovo. Nelle prime guerre civili, quando si combattè al Ianicolo contro a Cinna, un caso simile nan-a Sisenna d'un soldato di Pompeo , che ammazzò il fratello , e riconosciutolo , uccise sè stesso. Cotanto più stimolava i nostri antichi, siccome nelle bontà la gloria, così nelle sceleratezze la coscienza! Noi, sempre che verrà a proposito, addurremo simili antichi esempi, per insegnamento del bene e per conforto del male.
LII. Antonio e gli altri Capi risolverono di mandar cavalli a riconoscere tutta l' Umbria e dove fusse più agevole a passar l' Appennino : da Verona far venire aquile, insegne e quanti soldati v'era, e di vettovaglia empiere il Po e'l mare. Alcuni di essi Capi volevano indugiare; perchè Antonio s'era fatto troppo grande e Muciano s'aspettava migliore. Al quale sì presta vittoria diede nel cuore,- e se Roma si pigliava senza lui, non gli parendo aver parte e gloria nella guerra, scriveva doppio a Primo e Varo : ora, che s'andasse innanzi; ora, discorreva de'vantaggi del temporeggiare; per poter dire in ogni evento, se. tristo : » Io 'l vietai : » se buono : » Io l' ordinai. » Scriveva bene aperto a Plozio Grifo, fatto da Vespaslano nuovo senatore e Capo d' una legione e altri suoi confidenti. E tutti scrivevano a Muciano ( com' e' voleva ) della fretta di Primo e Varo , sinistramente. Egli mandava quelle lettere a Vespasiano, con le quali operò, che i fatti d'Antonio caddero di quella stima che gli pareva di meritarsi.
LUI. Il che Antonio non poteva tollerare ; recandosi da' mali ufici di Muciano i pericoli suoi : e ne parlava senza rispetto, essendo di lingua troppo libero , e non usato a dichinarsi. Scrisse a Vespasiano con troppo vanto, scrivendo a Principe e con qualche veleno contro a Muoiano : » Aver fatto esso prender l' armi alle legioni di Pannonia; stimolato i Capi di Mesia a venir via; per la sua costanza, apertesi FAlpij preso Italia, racchiusi i germani aiuti, e di Rezia, che le legioni di Vitellio discordanti e sparse fossero da tempesta di cavalli e forza di pedoni in un dì e una notte sconfitte; questa essere opera bellissima e sua : il caso di Cremona frutto di guerra. Maggior danni di rovinate città aver fatto alla repubblica le discordie civili antiche. Esso militar per lo suo Imperadore con la spada in pugno e non con lettere e ambasciate ; nè scurare lor gloria a coloro che hanno in questo mentre accomodata l'Asia. Ma essi la pace di Mesia ; egli la salvezza e sicurezza d'Italia aver procurato; e convertito a Vespasiano le Gallie e le Spagne, potentissima parte del Mondo; ma ogni sfatica più che perduto, se a quei soli si daranno i premj de'pericoli, che ne'pericoli non sono stati. » Muciano riseppe ogni cosa: ne nacquero gravi rancori. Antonio alla scoperta, Muciano con astuzia , e però più implacabilmente, gli fomentava.
LIV. Ma Vitellio con l' occultar le nuove delle cose rovinate a Cremona, scioccaniente allungava i rimedi più tosto che i mali; perchè, se gli avesse confessati e consultatone, ancor v'eran forze e speranze: ma col falso dir bene, s'aggravava nel maleIn casa sua non sentivi parola di guerra : per Roma, perchè vietato era , non d'altro si ragionava: e chi, non proibito, avrebbe detto la cosa giusta , la metteva più atroce : e per accrescerne il grido i Capitani nemici menavano le spie di Vitellio prese a veder le forze del vincitor esercito, e rimandavanle: e Vitellio le esaminò in segreto, e tutte le fece uccidere. Giulio Agreste Centurione, di fermezza d'animo memorevole , predicato che ebbe assai in vano a Vitellio per accenderlo, F indusse a mandarlo a chiarirsi delle forze nimiclie , e di tutto il seguito a Cremona; non come spia segreta, ma liberamente di commission dell'Imperadore, ricerca Antonio- di veder il tutto. Fecegli mostrare dove si combattè . le reliquie di Cremona c le prese legioni. Agreste torna a Vitellio, il quale negando esser vero il riferito , e dicendol corrotto: » Poichè gran testimonianza ( diss' egli ) te ne bisogna dare, nè in altro mia vita e morte ti può,più servire , io la ti darò. » E partito si uccise. Alcuni scrivono che Vitellio il fece ammazzare : di sua fede e coraggio dicono il medesimo.
LV. Vitellio quasi destato dal sonuo, mandò Giulio Prisco e Alfeno Varo, con quattordici coorti pretoriane, e tutti i cavalli, a impadronirsi dell' Appennino, e appresso una legion dell'annata. Tante migliaia d' armati scelti a piè e cavallo avrebbero con altro Capo potuto muover guerra, non che difendersi. L' altre coorti diede a Lucio suo fratello., per guardia di Roma ; e senza lasciare alcuno delli usati piaceri, cacciato da difGdenza, affrettava di creave i Consoli per molti anni : fece molte leghe e donò cittadinanze: levò tributi : concesse esenzioni: smembrava in somma ¥ Imperio, senza pensar al futuro. Alla macca di cotali larghezze correva il volgo: più sciocchi se li compravan con danari; chi aveva ingegno , sapeva cotali cose non potersi, senza danno della repubblica , nè dar nè ricevere. Alla per Cne, scongiurandonelo l' esercito, con gran seguito di senatori, tratti molti da ambizione, più da paura, Tenne in campo sotto Bevagua in Umbria tutto confuso c preda de' falsi consigli.
LVI. Aringando egli ( cosa prodigiosa ! ) gli volò sopra 'l capo un nugolo di laidi uccelli, che coperse il Sole; e peggio, che un toro scappò dall'altare, « scompigliato tutto l'ordine del sacrificio, fu ammazzato discosto, nè dove l'ostie soglionsi: ma il prodigio maggiore era Vitellio: non sapeva di guerra, non prender partiti, non file ordinare, spiai"e; la . guerra strignere o allungare ; altrui ne domandava : ad ogni avviso allibiva, gli tremavan le gambe; sempre era ebbro ; lo stare in campo gli venne a tedio ; e udito che l' armata di Miseno s'era ribellata, tornò a Roma, spaventandolo sempre l'ultima percossa, e niente pensava all' ultima rovina. Perchè «piando gli era agevole passar l'Appennino con l'esercito intero e forte, e assalire i ninnici, morti di fame e freddo, lo sparnazzò: e mandò alla mazza cpiei ferocissimi soldati , pronti sino a morir per lui, contraddicendo i Centurioni pratichissimi, che domandatine, gli avrebbero" detto la verità. Ma non eran lasciati dagl'intrinsichi di Vitellio, che gli avevano acconce in modo l'orecchie, che l'utile li pareva, aspro, ascoltando solo il piacevole e dannoso.
LVII. L'armata di Miseno fu indotta a ribellarsi da Claudio Faventino Centurione, che Galba con onta cassò: il quale mostrò lettere contraffatte di Vespasiano, offerente gran premio, dandoglisi: tanto ardir puote nelle discordie civili ancora un solo ! Governavala Claudio Apollinare, nè fedel ministro, nè valente traditore: e Apinìo Trione, stato Pretore, allora per sorte a Minturno s' offerse Capo dei ribellanti : questi ci tirarono terre privilegiate e co Ionie. Pozzuolo era tutto volto a Vespasiano, Capua a Vitellio; e le lor gare mescolavano tra le guerre civili. Vitellio mandò Claudio Giuliano, stato di detta armata Ammiraglio, piacevole, che addolcisse que' soldati : e con lui una coorte di guardia di Roma , e li accoltellanti, che erano a suo governo. Accampatisi a ricontro, Giuliano stette poco a passar dalla parte di Vespasiano ; e presero Terracina, forte di sito e di muraglia, più che per loro industria.
LVIlI. A tale avviso Vitellio, lasciata parte delle genti in Piarni, co' Capi pretoriani, mandò L. Vitellio suo fratello con sei coorti e cinquecento cavalli in Terra di Lavoro contro alla guerra che ne veniva. Lui sbigottito confortava l'affezion de' soldati e del popolo, che chiedevan l' arme , ed ei chiamava esercito e legioni quella canaglia valente in parole. Consigliato da' liberti ( perchè gli amici, quanto da più, meu fedeli erano), raguna le tribù: fa giurare chi si fa scrivere: soprabbondando il numero, spartì la cura a' Consoli ; a' Senatori pose balzello di schiavi e danari ; i Cavalieri offeriron servigio e danari, e '1 medesimo i libertini : faceanlo per paura, ed egli lo pigliava per affezione. A molti incresceva , non di Vitellio, ma del caso e del seggio imperiale ; nè mancava egli di muover compassione con volto, parole e lagrime, con larghe promesse e smisurate, come chi ha gran paura. Il titolo di Cesare , prima rifiutato, accettò, per farsene buono augurio, e perchè gli spaventati così odono le vanità del popolo, come i consigli de'savi. Ma come le imprese con più impeto che consiglio, nel principio son di fuoco e poi raffreddano, i Senatori e' Cavalieri lo piantavano a poco a poco; prima guardando ch'eì non vedesse, poi senza tale rispetto indifferentemente ; talchè Vitellio dall' impresa non miscibile si tolse giù per vergogna.
LIX Questa paurosa partita di Vitellio accrebbe tanto favore a parte Flavia, quanto fu terrore d'Italia quando ei prese Bevagua , e mostrò aver innovata la guerra. I Sanuiti, Peligni e Marsi, co' Capuani, rivoltatisi prima di loro, facevano in tutta la guerra a chi me' servire, come per lo nuovo Signore si fa. Ma nel passar l'Appennino, la cruda vernata afflisse l'esercito e quasi disordinò, per le grandissime nevi; e videsi a quanto rischio si metteva se la fortuna non faceva tornare addietro Vitellio ; la quale spesso a' Flaviani giovò, non meno che la ragione. Riscontrai li quivi Petilio Ceriale, fuggito per la pratica del paese, dalle guardie di Vitellio, vestito da villano: era parente stretto di Vespasiano e soldato di conto; però fu ricevuto tra' Capi. Anche Flavio Sabino e Domiziano si potetter fuggire, scrivono molti ; avendo loro Antonio con vari inganni fatto penetrare messaggi, che li mostraron modo a salvarsi; ma a Sabino infermità tolse forza e animo. Domiziano avea cuore; ma Vitellio gli crebbe guardie: promisero fuggir seco, ma non se ne fidò; e Vitellio per amor de' propri parenti non intendea fargli male.
LX. Vennero i Capitani a Carsole, ove si riposarono alcuni giorni, finchè l' esercito gli raggiugnesse. Pareva luogo da porvi il campo: scopriva gran paese, da potervi condurre le vettovaglie dalle terre grasse addietro, e trattar tradimento co'Vitelliani, dieci miglia distanti. Questo non voleva il soldato ; ma vittoria e non pace: nè pur tutta la gente aspettare, -per aver meno compagni alla preda sicura. Antonio gli ratinò a parlamento, ammonendogli : » Che Vitellio aveva ancor delle forze; poco stabili con l'aver tempo, terribili messe in necessità. I principj delle guerre civili lasciasi alla fortuna: consiglio e ragione conducono la vittoria. Già s'era ribellata l' armata Miscna e la bellissima Terra di Lavoro; nè a Vitellio altro rimaso al Mondo che quant'è tra Terracina e Narni. S'era acquistato nel combatter Cremona assai gloria; nel distruggerla troppo odio; non agognassero Roma, anzi presa che salva. Util maggiore e ornamento eccessivo sarebbe loro il conservare il senato e popol romano senza sangue. »
LXI. Da tali e simiglianti parole, rimasero mitigati quegli animi. Comparsero le legioni ; e per la fama e terrore del cresciuto esercito, i soldati di Vitellio vacillavano: a guerra niuno confortava; molti a passare di là ; gareggiando a donare suo' fanti e cavalli al vincitore, e grato failosi. Da questi si seppe ne'vicini campi esser Terni guardata da quattrocento cavalli. Varo mandatovi con gente spedita, pochine ammazzò , che combatterono: molti, gittate in terra l'armi, chiederon mercè : altri rifuggitisi in campo empievano di spavento, contando della virtù e numero de' nimici gran miracoli per iscemarsi vergogna della perduta Terni. Nè erano le falte de' Vitelliani punite, ma ben pagate dall'altra parte, alla quale per colmo di perfidia a gara passavano molti Tribuni e Centurioni, perchè i soldati privati tennero duro per Vitellio, sino a che Prisco e Alfeno , abbandonato il campo e tornati a Vitellio, fecero che a niuno fu vergogna passare all' altra parte.
LXII. In que' giorni Fabio Valente fn morto pri7 gione ia Urbino, e fatta vedere la sua testa ( per torre ogni speranza ) a' soldati Vitelliani che lo facevano andato in Germania a mandar qua eserciti nuovi e vecchi. E vistol morto, si diedero al disperato. All' esercito Flaviano non può dirsi quanto, finito Valente, paresse finita la guerra. Nacque Valente in Anagni, di famiglia cavalleresca: fu di costumi malvagi , d' ingegno non malo : faceva il faceto ; fu strione a' giuochi Giovenàli, al tempo di Nerone quasi necessitato : poi fece per gusto il giullare con più garbo che onestà. Legato d'una legione favorì Verginio e l' infamò; avendo corrotto Fonteio Capitone a far tradimento o per non aver potuto corromperlo , Y ammazzò. Tradì Galba : fu fedele a Vitellio : e la fellonia degli altri lui illustrò.
LXIII. I soldati di Vitellio, perdute le speranze da ogni banda , volendo passare allr altra parte ( anche ciò non fu senza infamia ), scesero nel piano di Narni a bandiere spiegate. L' esercito Flaviano si mise, come per combattere, in ordini stretti in su la strada ; e ricevè in mezzo i Vitelliani , a' quali Antonio Primo parlò umanamente . e gli allogò parte a Narni e parte a Terni: e con essi alcune delle legioni vincitrici , per esser loro a ridosso se non stesser quieti. Primo e Varo allora non mancarono di mandar più volte a offerire a Vitellio salvezza, danan e le delizie di Terra di Lavoro, se egli, posate l'armi, rimetteva sè e i figliuoli in Vespasiano. Il medesimo scrisse Muciano ; del che Vitellio talora fidandosi , parlava del numero de' servi e del luogo da eleggersi. Tanto era stordito, che se gli altri non si ricordavano che egli era principe r ei se l'avrebbe dimenticato. LXIV. Ma i primi di Roma segretamente mettevan su Flavio Sabino Prefetto a farsi partecipe di questa vittoria e fama : » Avere i soldati guardiani di Roma suoi propri : quei della notte non gli mancherieno: i loro schiavi, la fortuna della parte, e riuscir ogni cosa a chi vince. A Primo e Varo, non cedesse di gloria. A Vitellio rimanere pochi soldati e spaventati dalle male nuove per tutto : il popolo esser leggieri e volterebbe, facendosene egli Capo , le medesime adulazioni a Vespasiano. Vitellio, sì scaduto, non potersi più reggere. Quando ella gli andasse bene, la guerra si riconoscerebbe finita da chi pigliasse Roma. Ciò convenire a Sabino per salvar l'Imperio al fratello; ciò a Vespasiano, per far gli altri cedere e Sabino ».
LXV. Egli debole per la vecchiaia, non ci andava di buone gambe. Altri credevano in segreto che per invidia tardasse la fortuna al fratello, che minor d' età niello stato privato, era avanzato da lui in riputazione e ricchezze. E tenevasi che Sabino gli avesse mantenuto il credito , preso in pegno sua casa e poderi ; onde temeasi che tra loro bollissero occulti umori, benchè salvassero F apparenza. Altri la pigliavano più dolcemente: che quest'uomo abborrisse le crudeltà e'l sangue- però spesso in casa sua trattò con Vitellio di posar l' arme e far pace. Le condizioni, si disse, fermò nel tempio d' Apolline con due testimoni Guvio Rufo e Silio Italico: quegli ch' eran discosto notavano i visaggi: Vitellio avvilito .e abbietto ; Sabino non oltraggioso e volto a compassione.
LXVI. E se Vitellio agevolmente disponeva i suoi, come egli s'abbiosciò, l'esercito di Vespasiano en trava in Roma senza sangue. Ma i più fedeli a Vitellio , più gli dannavano le condizioni di quella pace brutta, non sicura a discrezione del vincitore: » ll quale « (dicevano) •i non esser tanto superbo ch'ei patisse che tu vivessi privato, nei vinti lo patirieno; così la misericordia ti arrecherebbe pericolo. Sii vecchio , sii stucco dei beni e de' mali ; ma Germanico tuo figliuolo, che nome, che stato avrebbe? Offerisconti danari, corte, paradisi; ma come Vespasiano fosse in sella, non terrebbe sicuro sè , uè gli amici, nè gli eserciti, sino a che non vedesse spento il tuo seme emolo. Agro è lor saputo tener vivo per tutti i casi Valente in prigione ; non che Primo e Fusco e Muciano, principal di quella parte, avesser licenza di far altro di te che ucciderti. Non la perdonò Cesare a Pompeo, non Augusto ad Anionio, se già più alti spiriti di loro non porta Vespasiano stato cortigiano di Vitellio , quando egli era Consolo con Claudio. Che non più tosto muoverti, come la censura, e i tre consolati di tuo padre , tanti onori di tua nobil famiglia, ricercherebbono a prendere dalla disperazione ardimento ? I soldati ti tengono il fermo : t'avanza il favor del popolo. Peggio non può avvenirci che in questo modo gittarci via. O vinti o arresi, morti siamo : è pur meglio con virtù, che con istrazj e scherni, render l' ultimo fiato ».
LXV1I. Vftellio era sordo a' forti consigli. Scoppiavagli il cuore , persistendo nell' armi, d' aver a lasciare il vincitore più crudo a sua moglie e figliuoli. La vecchia madre pochi dì prima morì a tempo, che non vide rovinata la casa sua. Del principato del figliuolo non cavò altro che pianto c nome di bontà. Ai diciotto di dicembre, udita la rivolta della legione e gente datesi a Narni, s' uscì di palagio vestito di nero in mezzo alla mesta famiglia col figlioletto in lettighina, che sembrava un mortorio. Il popolo, che gli era lusinghevole fuor di tempo, i soldati cheti e in cagnesco.
LXVill. Non è cuore umano che non fusse intenerito a vedere il romano Principe, dianzi padion del Mondo, abbandonato il trono della sua grandezza, per mezzo della città e del popolo, uscirsi dell1 Imperio. Cosa non veduta, non udita più unque. Fu Cesare Dettatore di repente ucciso ; Caio in occulto tradito ; Nerone nascoso di notte in villa sconosciuta" Pisone e G-alba caddero quasi in battaglia; ma Vitellio, in suo parlamento, tra' suoi soldati, a vista delle donne, dopo alcune parole e a sua fortuna convenienti: che per la pace e ben pubblico cedeva : avessono almeno di lui memoria e compassione de'suoi innocenti, fratello, moglie e piccoli figliuoli; e ora a tutti, ora a uno a uno porgendo Germanico, lo raccomandava; finalmente soffocato dal piagnere , si trasse da canto il pugnale,. e lo diede a Cecilio semplice Consolo, quasi dandogli la podestà sopra la vita e morte de' cittadini. Recusandolo egli, nè consentendolo gli uditori, si partì per portare nel tempio della Concordia le insegne dell' imperio e tornarsene a casa del suo fratello. Raddoppiaron le grida: » Non in (fesa privata: in palagio ». ti chiuser le strade, da quella in fuori che va in Via Sagra. Allora egli non sapendo che farsi, tornò in palagio.
LXJX. Già era sparso che egli renunziava l' Imperio} e Flavio Sabino avea scritto ai Tribunj che / tenessero i soldati a freno. Come se adunque a Vespasiano tutta la repubblica fusse caduta in grembo, i primi Senatori, i più de' Cavalieri, tutti i soldati di Roma, e la guardia di notte, empieron la casa di Sabino; ove fu riferito dell' affezion del popolo, e come i soldati Germani minacciavano. Ma Sabino era passato tanto oltre, che non poteva tornar indietro : e ciascuuo per paura di sè-, e per non esser da' Vitellani assaliti sparsi e deboli, lo spignevano tardo e lento ali ' arme ; ma come in tali casi avviene, fu buono ognuno a consigliare e pochi a entrar nel pericolo. Scendendo Sabino con armati, l'affrontano dal Lago Fondano valorosissimi Vitelliani > i quali, dopo sprovveduta e breve scaramuccia, rimasero al disopra. Sabino spaventato si ritirò per la più sicura in rocca di Campidoglio co' suoi soldati, e qualche Senatore e Cavaliere. Non pos^o dire i nomi, per li molti che sj fecer di quelli quando Vespasiano ebbe vinto. Vi si rinchiusero insino delle donne, e per la più notabile, Gracilia Verulana, non per seguitar figliuoli nè parenti, ma la guerra. L' assedio de' Vitelliani fu sì largo, che Sabino la notte per luoghi non guardati vi fece entrar i figliuoli suoi e Domiziano suo nipote, e uscir un messaggio a'Capi Flaviani, a chieder soccorso perchè le cose erano strette. Non vi fu quella notte romore, e poteva uscirsene, essendo ì soldati di Vitellio feroci al combattere , ma alle fatiche e vigilie poco intenti ; e una subita vernina pioggia non gli lasciava vedere nè udire.
LXX. La mattina a dì, innanzi che si cominciasse a rompere mandò Cornelio Marziale di Primopilo a Vitellio si lamentarsi: » che questi ,non erano dei patti ; far le viste di lasciar l'Imperio per ingannare taiite persone illustri ; e perchè altro essersi egli sceso di ringhiera e avviato verso casa il fratello in testa alla piazza a mostrarsi al popolo e non verso Aventino a casa la moglie, come conveniva, volendo esser privato e fuggire ogni apparenza di principe ? Tutto il contrario aver fatto ; tornatosene in palagio, rocca dell'Imperio; mandato indi masnade a coprir la più calcata contrada di Roma di morti innocenti combattere anche Campidoglio. Essere stato sempre in toga e un Senatore, come gli altri ; mentre Vespasiano e Vitellio contendono con battaglie di legioni, sforzamenti di città, arrendimenti di soldati. Il fratello pur di Vespasiano, quando già Spagna, Germania, Brettagna, erano rivolte, essere stato saldo in fede sino a che chiamato fu all'accordo. La pace e concordia esser ai vinti utile ; a'vincitori solamente onorevole. Se si pentiva delle capitolazioni, non perseguitasse lui col ferro, 'come fatto avea con poca fede, non il figliuolo di Vespasiano, a pena fuor di fanciullo. Uccidere un vecchio e un giovanetto che pro ? Alle legioni mostrasse il viso : ivi dell' Imperio combattesse: il restante sarebbe di chi vincesse ». Vitellio rispose timoroso poche parole , incolpando il troppo ardire de' soldati : non averlo potuto tener la modestia sua ; e rimandò Marziale per un uscio segreto, acciò i soldati non l'ammazzassero, come mezzano di odiata pace. Egli non potendo più comandare nè proibire , non era più Imperadore, ma pietra di scandolo.
LXXI. Appena rientrato Marziale in Campidoglio, eccoti soldati infuriati senza Capo, ciascun dassè, correre in frotte in piazza, a' tempj che le stanno a cavaliere : salire al monte schierati alle prime porte di Campidoglio. Già v' erano logge a marritta di chi sale. Gli assediati escon fuori in su quelle tetta ; e con tegoli e sassi ne cacciano i Vitelliani, clie altro non aveano .che spade, nè tempo a mandar per mangani o saettume. Lanciano il fuoco nella prima parte della loggia e gli van dietro. E già aveva arso la porta: non potettero entrare perchè Sabino la turò, in vece di muro, con le statue, splendori delli antichi, di qualunque luogo sbarbate. Allora assaliscono per due altre sprovvedute vie : lungo il boschetto dell'Asilo, e pe'cento scaglioni, onde si sale a Tarpeo. Era improvviso l'uno e l'altro assalto ; quello per lo boschetto più da vicino, più fiero e senza riparo ; montandosi per li congiunti edificj, alzati per la lunga pace al piano di Campidoglio. Qui si dubita se il fuoco fu messo da quei di fuori, o pur, come si crede più, da que'di dentro, per discostarsi i nimici già alle costole. Parte di quel fuoco s'appiccò alle logge dinanzi al tempio ; la fiamma s' av^ ventò all' aquile di legname antico che reggevano il frontespizio, e furono esca all'arsione, così seguita a porte chiuse, del Campidoglio non difeso , non saccheggiato.
LXXII. Fatto di tutti i fatti, da che Roma è Roma, dolentissimo e bruttissimo; non di nimico barbaro, ma quando ci erano (se meritato l'avessimo) propizj gl' Iddii, che quel seggio di Giove ottimo massimo, piantato dai nostri maggiori con buoni augurj , pegno sicuro del nostro Imperio, cui nè Porsena, quando la città si rese, nè i Galli, quando la presero, avrebber potuto contaminare, dal furor dei principi sprofondasse! Ajse anche prima Campido-r {dio nella guerra civile, ma per inganno privato ; ora alla scoperta assediato, alla scoperta abbruciato ; e qual guerra cagionò l qual pregio di tauto male ? Salvar la patria forse 7 Gettonne per boto i fondamenti il Re Tarquinio Prisco, per la guerra sabina, non dicevoli allora alle deboli forze di Roma, ma risguardò la speranza della futura grandezza. Alzaronlo Servio Tullio con l'aiuto dei collegati, e Tarquinio Superbo, presa Suessa Pome/ia con le spoglie nemiche. Ma la gloria dell' averlo compiuto fu serbata a Roma libera. Cacciati i Re, Orazio Pulvillo nel suo consolato secondo, lo dedicò con tal magnificenza, che poi la smisurata potenza del popol romano lo potè adornare, non accrescere. Quattrocento venticinque anni dappoi nel consolato di L. Scipione e C. Norbano, arse di nuovo e fu rifatto sopra la medesima pianta. Sulla vittorioso n' ebbe la cura, e nonlo dedicò (ciò solo alla sua felicità fu negato); ma Lutazio Catulo, il cui nome, tra tante memorie di Cesare, vi si lesse insino a Vitellio. Sì fatto tempio allora ardeva ,
LXXIII. con più paura delli assediati, che de' Vitelliani, forti ne'pericoli e astuti' dove in quelli erano i soldati timidi, il Capo dappoco, che non trovava spedienti da sè, nè prendeva que' d'altri: correva qua e là alle grida de' nimici : comandava quel che aveva vietato e vietava il cqmandato ; e quel che nelle cose disperate avviene, ognun comandava e niuno eseguiva. All' ultimo gittate giù l' armi guardavano dove e come fuggire. Entrano con furore i Vitelliani : e mettono ogni cosa a ferro e fuoco e sangue. Pochi di que'soldati, che ardiron combattere 3 tra'quali Cornelio Marziale," Emilio Pacense , Casperio Nigro, Didio Sceva, più segnalati, n'andarono in pezzi. Accerchiano Flavio Sabino, che era disarmato e non fuggiva ; e Quin»io Attico Consolo che si faceva conoscer per l' ombra del grado^ e per li sciocchi bandi mandati nel popolo pieni d' onori di Vespasiano e vituperj di Vitellio : gli altri per vari modi scapparono travestiti da schiavi, trafugati da' loro creati, tra le some nascosti. Alcuni saputo il nome e contrassegno de' Vitelliani, lo davano e chiedevano" e sotto tale audacia coperti passavano.
LXXIV. Domiziano alla prima furia si nascose in cella del tempiere: un accorto liberto gli mise la cotta ; e mescolato tra la turba de' sacerdoti passò via, sconosciuto insino al Velabro e a casa Cornelio Primo, creatura di suo padre ; il qual suo padre poi, regnando esso Domiziano, rovinata la casa, vi fece un tempietto con l' altare a Giove Conservadore, e 'l suo caso vi scrisse in marmo : e fatto Iinperadore sagrò un gran tempio a Giove Custode , con sè ingrembogli. Sabino e Attico in catena furon menati a Vitellio, che non fece loro mal viso nè cattive parole ; adirandosene quei che pretendevan ragione di ammazzarli, e chiedevano premio di loro opere. Coq^ grida cominciate da' più vicini, l'inuma plebe minacciando e adulando insieme, chiedeva Sabino al supplizio. Cominciando Vitellio in su le scalee del palagio a raccomandarlo, il fecer chetare. Allora fu Sabino ferito, lacerato, dicapitato, strascinato alle Gemonie il tronco.
LXXV. Tal fihe fece quest' uomo, certo da non disprezzare. Trentacinqu' anni militò per la repubblica , fuori e dentro chiaro. Non lo sapresti dir reo, uè ingiuste : favt-;ava troppo : ciò solo gli fu appq8lo in sette auai che governò la Mesia e dodici Ro-« ina» In quest' ultimo il tenue chi dappoco, clii moderato , e non sanguigno : ognuno, il perno di casa sua innanzi che Vespasiano fusse Principe. Odo, che a Muciano questa morte fu cara e buona per la pace ; perchè conoscendosi l'uno fratello d'Imperadoré, l'altro nell'Imperio compagno, si sarebbero invidiati. Gridando il popolo: muoia il Consolo.; Vitellio noi consenti, placato seco, e quasi per gratitudine dell'aver Attico, interrogato, chi mise fuoco nel tempio? risposto: » Io fui; » e con tale confessione o bugia, opportuna, scolpato di sì gran fallo i Vitelliani, e tiratosi tutto l'odio.
LXXVI. In que' giorni L. Vitellio pose il campo a Fcronia, per ispiantar Terracina, ove stavan chiusi accoltellanti e ciurme, clft non ardivano uscir fuori delle mura a combattere. Guidava, come dicemmo, li accoltellanti Giuliano, le ciurme Apollinare ; non come Capitani, ma licenziosi e pigri come la lor gentaglia : non usavano scolte, non mura deboli fortificare; dì e notte poltrire; per li giardini far rombazzo; a'piaceri, vagando, attendere; non di guerra, se non a tavola , ragionare. Apinio Tirone, uscito fuori pochi dì innanzi a mugnere quelle terre acerbamente , dava più carico che utile alla parte.
LXXVII. Uno schiavo di Verginio Capitone fuggl a L. Vitellio e offerse, avendo compagni, dargli d'imbolio la rocca non guardata. A notte scura con gente spedita saghe il monte in capo a' iìimici. Indi a rovina corre a tagliargli a pezzi, non a combatterli. Disarmati o correnti per l' arme, li sbatacchia, chi sonnacchiosi, chi sbalorditi dal buio, spavento, nimiche trombe e gridai Pochi accoltellanti, che fecer testa, caddero vendicati, gli altri si gittavano a seavezzacollo alle navi, ov' era il medesimo terrore e scompiglio, mescolativi paesani, cui come gli altri, i Vitelliani ammazzavano. Nel primo -tumulto scamparon sei galee con Apollinare Ammiraglio : l' altre o furon prese o affondarono dalla folla e peso di quei che vi si gettavano. Giuliano fu menato , frustato e scannato dinanzi a L. Vitellio. Fu chi incolpò Triaria sua moglie d' avere, cinta di spada, usato superbia e crudeltà fra le miserie della sforzata Terracina. Egli ne mandò al fratello la lettera con l'alloro e domandandogli, se dovea tornarsene,
0 finir di domar Terra di "Lavoro ; il che fu la salute non pur della parte Vespasiana, ma della Repubblica ; perchè , se que' soldati in su la vittoria feroci, per natura ostinati, si difilavano a Roma; la battaglia era grossa e la rovina della città, perchè L. Vitellio, benchè infame, era industrioso, e assai valeva; non con le virtù, come i buoni, ma co' vizj, come i pessimi.
LXXVIII. Mentre i Vitelliani facevano queste cose,
l esercito di Vespasiano partito da Narni, si stava ne' giorni di Saturno in Otricoli , ozioso a gittar via questo tempo- per aspettar Muciano. Nè mancò chi dicesse che Antonio il fece ad arte; perchè Vitellio gli scrisse segretamente, che volendo servir lui. il faria Consolo e suo genero con ricca dote. Altri dicevano che questo cardo gli era dato per compiacere Muciano. Alcuni, che ciò fu consiglio di tutti i Capi : mostrar la guerra a Roma e non farla, vedendo che Vitellio piantato da' soldati migliori e da tutti gli aiuti, avrebbe ceduto l'Imperio. Ma ogni cosa guastò la fretta, e poi la dappocaggine di Sabino, che prese l' armi sconsiderato e non seppe difendere da tre coorti Campidoglio, rocca sicura da grandissimi eserciti. Non può darsi a uno quella colpa che lu di tutti; perchè Muoiano con le lettere di due sensi ritardava i vincitori : Antonio con ubbidire arrovescio e incolparne gli altri, sè caricò: gli altri Capi, per creder la guerra finita, le diedon fine più ricordevole. Anche Pclilio Cenale mandato innanzi con mille cavalli ad attraversare il piano de' Sabini, e per la via Salaria entrar in Roma, molto penò; finchè la fama dell' assediato Campidoglio fece destare ognuno.
LXXIX. Antonio per la via Flaminia a molte ore di notte giunse a'Sassi Rossi; aiuto tardo. Ivi intese di Sabino morto, Campidoglio arso, Roma in tremito, ogni cosa dolore, e che la plebe e schiavi si armavano per Vitellio. E Pelilio Ceriale co' suoi cavalli fu rotto da' pedoni Vitelliani, a' quali corse addosso, come a vinti , non cauto; e trovò riscontro. Combattessi poco fuor di Roma tra quelle case, orti e traverse, che note a'Vitelliani e non a' ninnici, gl'impaurirono : nè tutti i cavalli eran d'accordo; perchè alcuni delli arresi a Narni stavano a veder chi vincesse. Fu preso Tullio Flaviano, Capitano d' una compagnia di essi cavalli : gli altri fuggirono bruttamente, seguitati non oltre Fidene.
LXXX. Questo successo accrebbe Y affezione del popolo: la plebe di Roma prese l' armi : pochi aveano scudo : i più dando di piglio a ciò che veniva loro alle mani, chieggon battaglia. Vitellio li ringrazia: comanda che coprino a difender Roma: ragnna il Senato : mandano ambasciatori alli eserciti a persuadere, sotto pretesto della Repubblica, accordo e pace. Questi ebbero fortuna varia; que'che incon traron Petilio Ceriale, furon per capitar male, nori volendo i soldati udir nulla di pace. Vi fu ferito Aruleno Rustico Pretore, il che dispiacque ; oltre all'aver violato uno ambasciadore e Pretore, per la sua propria deguità. Sbaragliossi sua comitiva : il littore che volle fargli far largo . fu morto ; e se non che la guardia che Petilio diè loro, li difese, l'ambasceria , sagra anche ai Barbari, era dalla rabbia civile, in su le mura della patria, violata fin con la morte. Li ambasciadori ad Antonio, ebbero meglio fare, per avere, non più modestia i soldati, ma più autorità il Capitano.
LXXXI. Ingerissi tra li ambasciadori Musonio Rufo cavaliere, filosofo stoico; e sputava sentenze de'beni della pace e mali della guerra, fra le squadre dei soldati. A molti moveva riso, a'più fastidio. Altri lo spignevano o calpestavano; tanto che, da chi ammonito e da chi minacciato, si rimase di quel filosofare a sproposito. Incontrarono ancora vergini Vestali con una lettera di Vitellio ad Antonio, chiedente soprattenersi il combattere un giorno solo ; che s'acconcerebbe agevolmente ogni cosa. Alle Vergini fu dato licenza onorevole : a Vitellio risposto, che Sabino ucciso e Campidoglio arso, non pativano accordi.
LXXXH. Nondimeno Antonio parlò a' soldati di posarsi a Pontemolle, per l' altro dì entrare in Roma. Questa dimora tentava, per mitigare essi soldati , accaniti per detta battaglia , che al popolo, al Senato, a' tempj e luoghi sagri avesson riguardo. Ma essi d'ogni indugio sospettavano rome nimico della vittoria: e le insegne rilucenti per li colli , benché con plebaglia dietro non da guerra, parevan loro niifriirt) esercito. Mossersi verso Roma in tre parti: una ila via Flaminia, ove si trovava; altra dalla ripa dol Tevere, la terza per via Salaria s'accostava a porta Collina. La plebe fu sbaragliata da' cavalli. I soldati Vitt'lliani altresì fecero tre riscontri: scaramucce fuor di Roma molte e varie : e più prospere a' Flaviani, meglio capitanati. Que' soli ebber che fare ebe voltarono a sinistra della città alli orti Salustiani per vie strette o mollicciche; perchè i Vitelliani sopra le mura degli orti coi sassi e dardi gli ributtavano ; finchè vennero verso la sera cavalli da porta Collina, e circondaronli. Appiccossi ancbe in Campo Marzio grande zuffa. Favoriva i Flaviani la fortuna e la tante volte acquistata vittoria : i Vitelliani, portati dalla disperazione, fulminavano, e cacciati si rattestavano nella città',
LXXXIII. veggente il popolo, che quasi a una festa , ora a questi, ora a quelli con le grida appi audeva : quando Y una parte fuggiva, i nascosti per le case o botteghe faeevan trar fuora e uccidere, e toccava loro quasi tutta la preda ; perchè i soldati attendevano a far carne e il popolo bottino. Crudele e sozza cosa era a veder per tutta la città, qui battaglie e ferite, qua stufe e taverne; sangue e cadaveri; bagasce e lor simili. Quivi era ogni abbominazione di libidinoso ozio; ogni sceleratezza di sforzata città: cacciata pareva esser dalle furie, e la medesima nelle morbidezze notare. Combatterono già in Roma con eserciti vittoriosi. L.- Silla due volte e Cinna una , con crudeltà non minori; ora con bestiai sicurtà, e senza lasciare un menomo de'piaceri, come se alla festa di quei giorni nuova letizia s'aggiugnesse • si rallegravano per li mali pubblici, non
per affezione alla parte.
LXXXIV. La fatica maggiore fu pigliare il campo, difeso da' migliori per ultima speranza. Cotanto più studiosamente i vincitori, spezialmente i vecchi soldati, vi piantano quantunque ingegni mai si trovaro a prese di fortissime cittadi • testuggini , mangani, bastioni, fuochi: quantunque fatiche e pericoli, mai sopportarono, gridavan , doversi terminare in quest' opera. » Esser renduto la città al Senato e popol romano: i templi alli Iddii; il Campo, proprio onore de' soldati, lor patria, lor casa, dovere, non v' entrando subito, star tutta notte in arme ». All' incontro i Vitelliani, benchè non pari di numero e di fortuna, inquietavano la vittoria, turbavano la pace, imbrodolavano di sangue case e altari, ultimi conforti de' vinti. Molti sopra torri o difese di mura spirarono ; sbarrate le porte, si voltò contro a' vincitori tutta la folla, e caddero con le ferite dinanzi e facce volte al nemico. Tanto stimaron l'onore fin sul morire.
LXXXV. Vitellio, quando fu presa Roma y s' uscì di palagio dalla parte di dietro, e fecesi portar in seggiola a casa la moglie in Aventino, per nascondervisi, e la notte fuggirsene a Terracina al fratello e a' soldati. Ma come era voltabile ( e natura è delli spaventati ) , dispiacendogli ogni partito , massimamente l'ultimo, tornò in palagio, rimaso una spi-• lonca- o essendosi partiti insino alli infimi schiavi 0 sfuggendo di riscontrarlo. Arricciali quel silenzio i capelli : cerca le camere, non v'è anima nata: nascondesi il misero, stracco e per perduto in luogo schifo. Giulio Placido, Tribuno di coorte, nel trae fuore, e con man legate di dietro e veste stracciata, fu menato a mostra. Molti gli diceano male : niuno il piangea : avealo privo di misericordia sì sozzo fine. Avventassi a lui uno de' soldati di Germania, per ira, o per levarlo tosto da quello scherno , gli tirò un colpo, e colse il Tribuno ( e forse tirò a lui ) e gli tagliò un orecchio, e subito fu ammazzato. Vitellio con le punte delle spade era fatto ora alzare il viso, e porgerlo alli scherni, ora guatar le sue statue cadenti, o la ringhiera, o il luogo dove fu morto Galba: finalmente lo rotolarono alle Gemonie , dove era stato gittato il corpo di Sabino. Una sola parola n' uscì da animo grande, quando al Tribuno che lo straziava, disse: » Io pur sono stato tuo Imperadore ». E quivi, raddoppiategli le ferite, morì. Il popolaccio lo perseguitava sciaguratamente morto come l' aveva favorito vivo.
LXXXVI. Suo padre fu L. Vitellio : finiva cinquanzette anni. Ebbe consolato, sacerdozj, nome e luogo tra'principali. non per suoi meriti, ma per lo splendore paterno. Ebbe il principato da chi noi conosceva. Pochi acquistarono Y amor del li eserciti con le virtù come que-ti col poltroneggiare. Era nondimeno bonario e liberale" che conduce chi è troppo a rovina. Amicizie, volendole mantenere con largo donare, non con saldezza di costumi, più meritò, che non ebbe. Che Vitellio perdesse, si fece senza dubbio per la Repubblica. Non perciò posson coloro che tradirono Vitellio a Vespasiano, mettere a questo conto la lor perfidia, avendo essi fatto il simile a Galba. Il Sole tramontava; e i Magistrati e Senatori , per la paura s' erano usciti di Roma , o uascosti scosti per le case di loro creature; però non si potè ragunar il Senato. Domiziano, cessato il pericolo; se n’andò da’ Capi della parte: fu salutato Cesare; e da molti soldati armati accompagnato a casa suo padre.
fine del libro terzo.