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si rallegravano per li mali pubblici, non
per affezione alla parte.
LXXXIV. La fatica maggiore fu pigliare il campo, difeso da' migliori per ultima speranza. Cotanto più studiosamente i vincitori, spezialmente i vecchi soldati, vi piantano quantunque ingegni mai si trovaro a prese di fortissime cittadi • testuggini , mangani, bastioni, fuochi: quantunque fatiche e pericoli, mai sopportarono, gridavan , doversi terminare in quest' opera. » Esser renduto la città al Senato e popol romano: i templi alli Iddii; il Campo, proprio onore de' soldati, lor patria, lor casa, dovere, non v' entrando subito, star tutta notte in arme ». All' incontro i Vitelliani, benchè non pari di numero e di fortuna, inquietavano la vittoria, turbavano la pace, imbrodolavano di sangue case e altari, ultimi conforti de' vinti. Molti sopra torri o difese di mura spirarono ; sbarrate le porte, si voltò contro a' vincitori tutta la folla, e caddero con le ferite dinanzi e facce volte al nemico. Tanto stimaron l'onore fin sul morire.
LXXXV. Vitellio, quando fu presa Roma y s' uscì di palagio dalla parte di dietro, e fecesi portar in seggiola a casa la moglie in Aventino, per nascondervisi, e la notte fuggirsene a Terracina al fratello e a' soldati. Ma come era voltabile ( e natura è delli spaventati ) , dispiacendogli ogni partito , massimamente l'ultimo, tornò in palagio, rimaso una spi-• lonca- o essendosi partiti insino alli infimi schiavi 0 sfuggendo di riscontrarlo. Arricciali quel silenzio i capelli : cerca le camere, non v'è anima nata: nascondesi il misero, stracco e per perduto in luogo schifo. Giulio Placido, Tribuno di coorte, nel trae fuore, e