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della rivoluzione di roma | 289 |
La lettera all’imperatore d’Austria non dispiacque, ma non bastò a calmare gli animi esacerbati. Essa fu presa siccome un correttivo, quasi che il papa, pentito da un lato, e dall’altro non potendo retrocedere, si fosse appigliato a quell’unico temperamento, come il solo mezzo termine che se gli offeriva. Ciò dette coraggio a taluno di riassumerne le difese, ma gli eccessivi che in quel momento prevalevano per operosità ed energia, serravano loro la bocca dicendo che per discacciare i barbari non vi volevan nè lettere nè allocuzioni, ma cannoni. I partigiani di Pio IX ammutolivansi ed ecclissavansi, mentre i suoi avversari sfolgoravan di nuova luce: sicchè l’astro fulgido del pontefice cominciò a precipitare per l’orbita del tramonto.
Il principio che ogni nazione appartenga a se stessa è professato generalmente, e lo professiamo ancor noi; e quindi il desiderio di vedere eliminato l’elemento straniero può considerarsi come un sentimento universale, precipuamente nella parte colta ed intelligente. Avremmo amato le cento volte che le popolazioni di teutonica origine non avesser giammai predominato nella nostra bella penisola, e che, avuto un dì questo malaugurato predominio, lo avesser perduto nell’ultima circoscrizione territoriale dell’anno 1815.
Ma poichè così volle la forza del destino, molti avrebbero amato nel 1848 che si lasciasse nei Germani la persuasione in cui erano, che il papa non li volesse più in Italia.
Forse le cose avrebber preso in tal caso un altro indirizzo.
Ma lo spingerlo a dichiarare la guerra rovinò tutto, e lo costrinse, come padre comune di tutti i fedeli, a protestarsi di amarli tutti indistintamente come suoi figli, e quindi a non potere approvare quella guerra che nell’impeto delle passioni era stata già iniziata.
Ben a ragione pertanto dovemmo allora e dobbiamo ora biasimare coloro che sconsigliatamente spingevano il Santo Padre a questo passo che rovinò tutto l’edificio il