Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/56

CAPITOLO LVI

../55 ../57 IncludiIntestazione 15 marzo 2024 75% Da definire

55 57

[p. 109 modifica]

CAPITOLO LVI.

I Saracini, i Franchi e i Greci in Italia. Prime avventure de’ Normanni, e colonie poste da essi in questa parte dell’Europa. Indole e conquiste di Roberto Guiscardo duca della Puglia. Liberazione della Sicilia operata da Ruggero, fratello di Guiscardo. Vittoria sugl’imperatori dell’Oriente e dell’Occidente da Roberto riportata. Ruggero, re di Sicilia, invade l’Affrica e la Grecia. L’imperatore Manuele Comneno. Guerra tra i Greci e i Normanni. Estinzione de’ Normanni.

[A. D. 840-1017] Le tre grandi nazioni dei mondo, i Greci, i Saracini e i Franchi, venute fra loro a scontro, sul teatro dell’Italia si combatterono1. Le province [p. 110 modifica]meridionali che formano oggidì il regno di Napoli, erano quasi per intero sottomesse ai duchi Lombardi principi di Benevento2, sì formidabili in guerra, che il genio di Carlomagno per un momento arrestarono, e pel progresso delle cognizioni fervorosi tanto, che nella loro Capitale un’accademia di trentadue filosofi o grammatici mantenevano. Dalle rovine e dallo smembramento di questo Stato, un giorno sì florido, sorsero i principati di Benevento, di Salerno e di Capua, rivali fra loro; e l’ambizione o la sete della vendetta accecò tanto le diverse fazioni, che a chiamar s’indussero i Saracini, onde videro per lor colpa il proprio retaggio divenir preda degli stranieri. Due secoli di calamità oppressero l’Italia, tribolata da una sequela di crudeli disastri, che gli oppressori della medesima non valevano a ristorare con quella unione e tranquillità, cui solamente da una conquista ben assodata è lecito lo sperare. I vascelli de’ Saracini soventi volte, e quasi ogni anno dal porto di Palermo salpavano: con troppa indulgenza gli accoglieano i Cristiani di Napoli. Più spaventosi armamenti la costa d’Affrica somministrava; e non rare volte accadea che persin gli Arabi dell’Andaluzia venissero or per soccorrere i Musulmani, or per rispingerli, se per professata Setta da lor differivano. Nel corso delle terrene vicissitudini, le Forche Caudine ebbero la seconda volta il destino di nascondere un aguato. Il sangue [p. 111 modifica]degli Affricani una seconda volta i campi di Canne innaffiò, e nuovamente per variate vicende, il Sovrano di Roma, ora assalì, ora difese le mura di Capua e di Taranto. Una colonia di Saracini stanziata erasi a Bari, che domina l’ingresso del golfo Adriatico, e devastando costoro, senza distinguere nè popoli, nè persona, i paesi de’ Greci e de’ Latini, entrambi gli Imperatori irritati, per la vendetta comune, si collegarono. Basilio il Macedone, primo della sua stirpe, e Luigi pronipote di Carlomagno3, sottoscrissero una lega offensiva, ove ciascuna delle due parti obbligossi a fornire le cose all’altra mancanti. Ma l’Imperator greco non potea, senza commettere un atto d’imprudenza, inviare in Italia le sue truppe che campeggiavano nell’Asia, nè i Latini guerrieri bastavano di per sè stessi a difendersi, a meno che il navilio bisantino l’ingresso del golfo padroneggiasse. La fanteria dunque de’ Franchi, la cavalleria e le galee de’ Greci, il Forte di Bari assediarono: e l’Emiro arabo, dopo essersi difeso per quattro anni, alla clemenza di Luigi, che le fazioni dell’assedio comandava in persona, si sottomise. [A. D. 871] Mercè una tal lega, i due Imperatori questa rilevante piazza possedeano in comune; ma non andò guari che lamentele, eccitate da scambievole orgoglio e gelosia, il lor buon accordo turbarono. Attribuendosi i Greci il merito della conquista, e la gloria del trionfo, e vantando la grandezza delle proprie forze, derideano l’intemperanza, e la dappocaggine di una mano di Barbari che militava sotto le bandiere del principe [p. 112 modifica]Carlovingio. La risposta che ai costoro motteggi egli fece, spira tutta l’eloquenza della indignazione e della verità. „Noi confessiamo la grandezza de’ vostri apparecchi, dicea il pronipote di Carlomagno; i vostri eserciti di fatto erano numerosi, come que’ nugoli di locuste che oscurano un giorno della state, ma dopo corto battere d’ali, e poca estesa volata, estenuate e sfiatate cadon per terra. Simili a questi insetti, dopo un debole sforzo siete caduti; vinti per colpa di vostra infingardaggine, avete abbandonato il campo di battaglia per affrontare e spogliare i Cristiani della costa di Schiavonia, che son nostri sudditi. Il numero de’ nostri guerrieri, voi dite, era scarso; e perchè ciò? perchè stanco io d’aspettarvi, avea licenziato il mio esercito, nè conservai che pochi scelti soldati per continuare le fazioni dell’assedio di Bari. Se alla presenza del pericolo e della morte, si sono abbandonati ai diletti de’ lor conviti ospitali, cotali feste hanno forse il vigore delle loro imprese scemato? È forse la vostra frugalità che ha rovesciate le mura di Bari? Non son questi i prodi Franchi, che, comunque scemati di numero, dalle fatiche e dalle infermità, posero alle strette e debellarono i tre più possenti emiri dei Saracini? Non è la rotta di questi emiri che ha affrettato l’arrendersi della città? Bari è caduta. Lo spavento si è impadronito di Taranto; la Calabria sarà liberata; e padroni noi del mare, non sarà difficile il ritogliere la Sicilia dalle mani degl’Infedeli. Mio fratello, aggiugneva (e nulla eravi di più atto a trafiggere la greca vanità, quanto questa denominazione di fratello), affrettate i soccorsi marittimi che [p. 113 modifica]mi dovete somministrare; rispettate i vostri confederati, e degli adulatori fidatevi meno4„.

[A. D. 890] Ma la morte di Luigi, e la debolezza della dinastia de’ Carlovingi, le sublimi speranze de’ Franchi mandarono a vuoto; e qual che si fosse quella delle due nazioni, cui l’onore di avere soggiogata Bari si appartenea, certamente gl’imperatori greci, Basilio, e Leone figlio di lui, tutto il frutto ne colsero. O per amore o per forza, la Puglia e la Calabria li riconobbero per sovrani; una linea ideale condottasi dal monte Gargano alla baia di Salerno, dà a divedere, come la maggior parte del regno di Napoli fosse all’Impero d’Oriente soggetta. Oltre questa linea stavano i duchi, o le repubbliche di Amalfi5 e di Napoli, le quali non avendo mai trasgrediti i doveri del vassallaggio, godeano i felici effetti di aver vicino il lor Sovrano legittimo; e soprattutto Amalfi arricchivasi pel commercio che delle produzioni e de’ lavori dell’Asia, aperto avea colla Europa; ma i principi lombardi di Benevento, di Salerno e di Capua6, fecero spesse volte a lor malgrado [p. 114 modifica]causa separata dalle province greche, e violarono la promessa di sommessione e tributo che aveano pattuita. La città di Bari, fattasi più ricca e più grande, divenne la metropoli del nuovo tema, ossia della nuova provincia della Lombardia: l’ufiziale posto a comandarla, ottenne il titolo di Patrizio, indi la singolare denominazione di Katapan7: l’amministrazione della Chiesa e dello Stato, regolate vennero in guisa, che dal trono di Costantinopoli dovettero affatto dipendere. Gli sforzi operati dai principi d’Italia per contendere ai Greci questa possanza, di vigore e d’accordo mancarono; e quanto agli sforzi delle soldatesche alemanne, che capitanate dagli Ottoni scendeano l’Alpi, i Greci a rispingerli, o a mandarli a vuoto pervennero. Il primo, e il più grande di cotesti imperatori sassoni, si vide costretto ad abbandonare l’assedio di Bari; il secondo, dopo avere perduti i più coraggiosi fra i suoi vescovi e baroni, ebbe a ventura il potere ritirarsi con onore dopo la sanguinosa battaglia di Crotone. Trionfò [p. 115 modifica]de’ Franchi il valore de’ Saracini, comunque le squadre di Bisanzo avessero dianzi proibite le Fortezze e le coste dell’Italia a questi corsari; ma l’interesse sulla superstizione o il risentimento la vinse: e il califfo di Egitto spedì in soccorso del suo confederato cristiano quarantamila Musulmani. I successori di Basilio II8 si lasciarono persuadere che la conquista e la conservazione della Lombardia doveano unicamente alla giustizia delle proprie leggi, alla virtù de’ proprj ministri, alla gratitudine di un popolo liberato per essi dall’anarchia e dall’oppressione. Una sequela di ribellioni non potè a meno però di portar qualche lume sul vero stato delle cose alla Corte di Costantinopoli, sinchè poi la rapidità de’ buoni successi ottenuti dai venturieri normanni dileguasse affatto gli abbagli che l’adulazione aveva nudriti. [p. 116 modifica]

L’instabilità delle umane cose in trista guisa apparisce dall’instituire un confronto tra lo Stato della Puglia e della Calabria nel decimo secolo dell’Era cristiana, e tra quel che erano state queste province ai tempi di Pitagora. Nella più remota di queste due epoche, la costa della Magna Grecia (così nomavasi allora l’Italia) abbondava di città libere, opulenti, e piene di soldati, di artisti e filosofi, intanto che le forze militari di Taranto, di Sibari, di Crotone, in nulla cedeano a quelle di un poderosissimo regno. Nel secolo di cui scriviamo la storia, le stesse province erano in preda all’ignoranza, tribolate dalla tirannide, spopolate dalla guerra co’ Barbari; nè forse abbiam luogo di apporre troppo severamente la taccia di avere esagerato ad un autore di quei tempi che ne le dipinse „vaste e fertili regioni, devastate, come la Terra dopo il diluvio universale lo fu„9. A conoscere quali devastazioni gli Arabi, i Franchi, e i Greci nell’Italia meridionale operassero, sceglierò due o tre fatti opportuni parimente a dimostrare i costumi degl’invasori.

[A. D. 875] I. Non contenti i Saracini di spogliare i monasteri e le chiese, voleano ancora profanarle commettendo sacrilegi. Durante l’assedio di Salerno un Capo Musulmano avea posto nel luogo della Mensa eucaristica il proprio letto, ove ogni notte la verginità di [p. 117 modifica]una monaca sacrificava. Mentre sforzavasi a superare la resistenza che una di queste Religiose opponevagli, una trave, o per arte altrui, o per accidente staccatasi dal letto gli cadde sul capo, onde la morte dell’impudico Musulmano venne attribuita alla collera di Gesù Cristo che assumea finalmente la difesa della fedele sua sposa10.

[A. D. 874] II. I Saracini teneano strette d’assedio le città di Benevento e di Capua: i Lombardi dopo avere chiesto indarno soccorso ai successori di Carlomagno, la clemenza e l’aiuto dell’imperator greco implorarono11. Un intrepido cittadino che venne calato dall’alto delle mura, attraversò le nemiche trincee, ed eseguì la propria incumbenza; ma mentre stava per ritornare alla città, e rincorarne gli abitanti narrando loro il buon esito delle operate cose, cadde fra le mani dei Barbari. Costoro gli prescrissero di favorire la loro impresa ingannando i suoi concittadini. Ricchezze e onorificenze state gli sarebbero guiderdone di frode: la veracità all’opposto gli avreb[p. 118 modifica]be fruttata una morte pronta e sicura. Mostrò di rendersi: ma giunto in tanta vicinanza d’essere udito da que’ che stavano sui baluardi, ad alta voce gridò, „Amici miei, miei fratelli, coraggio e pazienza! continuate a resistere: il vostro Sovrano sa a quale stremo siete ridotti; i vostri liberatori avvicinano: mi è noto il destin che mi aspetta; confido alla gratitudine vostra la cura di mia moglie, e de’ miei figli„. Il furore degli Arabi confermò la verità delle cose dette da questo generoso cittadino, che cadde trafitto da mille colpi; ma egli merita di vivere mai sempre nella memoria degli uomini virtuosi. È però da osservarsi che un’azione di tal natura viene applicata a diverse occasioni ed epoche, così antiche, come moderne, onde è lecito dubitare alcun poco sulla realtà della cosa12.

[A. D. 930] III. Il terzo fatto può in mezzo agli orrori della guerra movere al riso. Tebaldo, marchese di Camerino e di Spoleto13, difendendo le parti dei ribelli [p. 119 modifica]di Benevento, manifestava nella sua condotta una tranquilla crudeltà, che a que’ giorni non era inconciliabile coll’eroismo. I prigionieri, o Greci, o partigiani de’ Greci, che gli cadeano fra le mani, perdeano gli organi della virilità; e rincalzando l’oltraggio con atroce motteggio, „io spero, aggiugnea, di poter presentare al greco Imperatore un esercito di quegli eunuchi, che fanno il più prezioso fra gli ornamenti della Corte bisantina„. Il presidio d’un castello essendo stato disfatto in una sortita, stava per eseguirsi la solita fazione sui prigionieri. Ma le cose vennero interrotte da una donna, che, lanciatasi a guisa di forsennata in mezzo ai carnefici, colle sue grida sforzò Tebaldo a porgerle ascolto. „In questa guisa, o magnanimo eroe, ella esclamò, tu intimi guerra alle donne, alle donne che non ti hanno mai fatta veruna ingiuria, e che non hanno altr’armi fuor della loro rocca e del loro fuso?„ – Tebaldo negò il fatto, asserendo che non avea mai udito favellare di guerra guerreggiata contra le donne, dai giorni delle Amazzoni in poi. „ – Come? riprese a dire infuriata costei: potevate voi assalirne in un modo più immediato? potevate voi trafiggerci in una parte più sensibile, quanto col privare i nostri mariti della cosa, che in essi amiamo maggiormente, della sorgente de’ nostri diletti; e della speranza della nostra posterità? ci avete tolte le nostre mandrie; l’ho sofferto senza lamentarmi: ma questa fatale ingiuria, questa perdita irreparabile, ha stancata la mia pazienza, e chiama sui vostri capi la giustizia del cielo, e quella degli uomini„. Fu applaudito all’eloquenza di questa femmina, non senza molto scrosciar di risa: e i Franchi, comunque selvaggi, [p. 120 modifica]comunque poco accessibili alla pietà, rimasero commossi da una disperazione, ragionevole, quanto comica; per cui oltre alla liberazione de’ prigionieri, la restituzione de’ proprj beni ella ottenne. Mentre tornava trionfando al castello, un messo mandatole da Tebaldo, le chiese, qual punizione dovrebbe pronunziarsi contra suo marito, se per l’avvenire fosse nuovamente colto coll’armi alla mano. „Se tal fosse il suo delitto, e la sua sfortuna, rispose l’oratrice senza titubare, egli ha occhi, ha naso, ha mani e piedi: queste cose gli appartengono, e può meritar di perderle co’ suoi delitti; ma prego il mio Signore, e mio degno padrone a risparmiare ciò che la sua debole serva osa richiamare, come sua particolare e legittima proprietà„14.

[A. D. 1016] Le colonie di Normanni venute a stanziarsi in Napoli e nella Sicilia15, fin dalla loro fondazione, [p. 121 modifica]diedero origine a conseguenze rilevanti per l’Italia, e per tutto l’impero dell’Oriente. Le province dei Greci, de’ Lombardi, e de’ Saracini, discordi fra loro, erano in pericolo di divenir preda del primo che avesse voluto occuparle: in questo medesimo tempo, gli audaci pirati della Scandinavia tutte le terre, e tutti i mari dell’Europa empievano di devastazione e spavento. Dopo una lunga sequela di saccheggi e uccisioni, i Normanni accettarono e tennero un vasto e fertile paese della Francia, cui diedero il proprio lor nome, e abbandonati i loro Dei pel Dio de’ Cristiani16, i duchi di Normandia si riconobbero vassalli de’ successori di Carlomagno e di Capeto. Quella feroce energia che aveano portata con sè dalle addiacciate rupi della Norvegia, sotto un più mite clima si ammansò, non si corruppe; i compagni di Rollone a poco a poco coi nativi del paese si mescolarono; essi adottarono i costumi, la lingua17, e l’audacia cavalleresca de’ Francesi: sicchè, [p. 122 modifica]in quel secolo guerriero, i Normanni la palma del valore e delle militari imprese si meritarono. Fra le superstizioni d’uso in allora, quelle cui più ardentemente si diedero furono i pellegrinaggi di Roma, dell’Italia, e di Terra Santa: genere di operosa divozione che le forze de’ loro animi e de’ lor corpi aumentava. Sprone era ad essi il pericolo, il diletto di veder cose nuove, la ricompensa; la meraviglia, la credulità, la speranza ai loro occhi la scena del mondo abbellivano. Collegati essendosi per mutua difesa, si scontraron sovente ne’ malandrini dell’Alpi, che adescati dal vestire de’ pellegrini, sotto di essi trovavano spesse volte il braccio punitor del guerriero. In uno di questi santi viaggi alla caverna del Gargano, montagna della Puglia, santificata da un’apparizione dell’Arcangelo S. Michele18, si fece ad essi incontro uno straniero, vestito alla greca, che non tardò a manifestarsi per un ribelle fuggitivo, e mortal nemico dell’Impero di Bisanzo. Costui, Melo di nome, nobile di Bari, dopo una congiura infelicemente tentata, costretto a fuggire, cercava altri colleghi, e vendicatori della sua patria. Il contegno ardito de’ Normanni riaccese in lui la speranza, [p. 123 modifica]e il persuase confidarsi ad essi, che ne ascoltarono le lamentazioni, e più ancora le promesse19. La prospettiva di ricchezze che offerse loro, serviva a dimostrar giusta la costui causa, ed un fertile territorio oppresso da effeminati tiranni, parve ai Normanni un retaggio dovuto unicamente al valore. Di ritorno in patria, vi eccitarono e dilatarono l’amore delle lontane spedizioni, e una banda di venturieri, poco numerosa ma intrepida, volontariamente per liberare la Puglia si collegò. Attraversate in separati drappelli le Alpi, e nascosti sotto abiti di pellegrini, trovarono nelle vicinanze di Roma Melo, che dopo avere somministrati cavalli ed armi ai più poveri, li condusse immediatamente alla pugna. Nel primo scontro il loro valore trionfò; ma nel secondo, costretti a cedere ai Greci, superiori di numero, e di macchine belliche ben provveduti, si ritirarono indispettiti, senza però voltar mai le spalle al nemico. L’infelice Melo occupò il rimanente del viver suo sollecitando soccorsi della Corte Alemanna; e i Normanni, postisi per lui in cimento, esclusi dal paese che loro era stato promesso in guiderdone, errarono pei gioghi e per le vallate d’Italia, ridotti a conqui[p. 124 modifica]starsi colla spada il vitto giornaliero. Questa formidabile spada giovò a vicenda ai principi di Capua, di Benevento, di Salerno, e di Napoli che avean contese fra loro; e il valore, e la disciplina de’ Normanni, faceano sempre piegar la vittoria a favor della causa che eglino difendeano. E aveano pur anche l’intendimento di mantenere l’equilibrio di potere fra questi diversi Stati, per tema che la preponderanza di un de’ medesimi non rendesse men rilevanti e men utili i loro aiuti e i loro servigi. In un campo affortificato, posto in mezzo alle paludi della Campania, sulle prime poser dimora, ma non andò guari che un soggiorno più agiato e durevole dalla liberalità del Duca di Napoli ottennero. Egli edificò per essi, lontano otto miglia dalla sua Capitale, la città di Aversa, che fece inoltre munire, perchè fosse contro Capua il lor baluardo. Divennero per ducale concedimento gli usufruttuarj de’ campi, de’ verzieri, delle praterie, delle foreste di quel territorio ubertoso20. [p. 125 modifica]Quivi la fama de’ buoni successi ottenutisi dai nostri venturieri conduceva ogni anno nuove bande di pellegrini e soldati; i poveri spinti dalla necessità, i ricchi incoraggiati dalla speranza: e quanti eranvi uomini valorosi e intraprendenti nella Normandia, venivano a cercare ivi gloria e fortuna. Oltrechè la città independente di Aversa offeriva asilo a quegli abitanti de’ vicini paesi che posti eransi fuor della protezione delle leggi, e a chiunque avea potuto sottrarsi alla ingiustizia o alla giustizia de’ suoi superiori; ben tosto questi rifuggiti, i costumi, e la lingua della gallica Colonia adottarono. Il Conte Rainolfo fu il primo Capo de’ Normanni, nè v’ha chi ignori nella origine delle società essere il maggior grado, la ricompensa e la prova del maggior merito21.

[A. D. 1038] Dopo che gli Arabi conquistata aveano la Sicilia, gl’imperatori greci ad altro non aveano pensato, che ai modi di ricuperare questa bella provincia: [p. 126 modifica]ma la lontananza e il mare, ai loro sforzi i più vigorosi opponeano insuperabili ostacoli. Le spedizioni più dispendiose, dopo avere offerti alcuni lampi di buon successo, non giovavano per ultimo che ad aggiugnere nuove pagine di calamità e di umiliazioni agli Annali di Bisanzo. Basti il dire, che una sola di queste imprese costò alla Grecia ventimila de’ suoi migliori soldati; e i Musulmani vincitori si risero di una nazione che commetteva agli eunuchi non solamente la custodia delle sue donne, ma il comando ben anche de’ proprj eserciti22. Dopo avere regnato due secoli, i Saracini colle loro discordie perdettero sè medesimi23. L’Emiro negò riconoscere l’autorità del Re di Tunisi: il popolo contra l’Emiro si sollevò; i Capi occuparono le città; l’infimo fra i ribelli, il suo villaggio, o il suo castello a grado suo governava, e fra due fratelli che si guerreggiavano, il più debole si volse ai Cristiani per implorarne soccorso. Ovunque rischi offerivansi, i Normanni erano pronti ad accorrere e a rendersi utili. Arduino, agente e interprete de’ Greci, arrolò cinquecento cavalieri o guerrieri a cavallo sotto lo stendardo di Maniaces, governatore della Lombardia. Quando questi sbarcarono nella Sicilia, i due fratelli erano riconciliati; rimesso fra la Sicilia e l’Affrica il buon accordo, truppe comuni difendeano la costa. I Normanni conduceano l’antiguardo: onde gli Arabi [p. 127 modifica]di Messina fecero trista esperienza del valore di un nemico nuovo per essi. In una seconda azione campale, l’Emiro di Siracusa venne tratto d’arcione e passato da banda a banda da Guglielmo d’Altavilla, soprannomato Braccio di Ferro. In una terza battaglia, gli intrepidi soldati di questo capitano misero in rotta un esercito di sessantamila Saracini, non lasciando ai Greci altra fatica, fuor quella d’inseguire le vinte truppe: luminosa vittoria, benchè non debba tacersi che la penna dello Storico nel descriverla ha voluto entrare a parte di merito colla lancia normanna. Nondimeno ella è cosa certa che i Normanni in modo essenziale contribuirono al buon successo di Maniaces, il quale con questa vittoria, tredici città, e la più gran parte della Sicilia, al greco Imperatore sommise. Ma costui la propria gloria militare, con atti d’ingratitudine e tirannide, deturpò; nel divider le spoglie, non fece caso del merito dei suoi valorosi ausiliari, i quali, per tanto ingiurioso trattamento, videro offesi e il loro orgoglio, e la lor cupidigia. Giovandosi del loro interprete le proprie lagnanze innoltrarono; ma queste disdegnate, l’interprete fu frustato. Benchè i patimenti della flagellazione riguardassero il solo che fu sottoposto alla pena, l’oltraggio feriva tutti quelli che lo aveano inviato: deliberarono vendicarsi; accorti però nel dissimulare fino all’istante che, o fosse di consenso de’ Greci, o fuggendo, ebbero raggiunto il continente dell’Italia: i Normanni d’Aversa, non men si sdegnarono per l’oltraggio ricevuto dai loro fratelli; [A. D. 1040-1043] e la provincia della Puglia24 fu invasa come pegno di [p. 128 modifica]un credito che i Normanni aveano, sin vent’anni dopo la prima lor migrazione. Il loro esercito non sommava allora a più di settecento cavalieri, e cinquecento fantaccini, mentre sessantamila uomini, a quanto narrasi, erano la forza dell’esercito di Bisanzo, poichè furono richiamate in Italia le legioni, che nella Sicilia avevano guerreggiato25. Un araldo propose ai Normanni l’alternativa della battaglia o della ritirata. „La battaglia!„ – sclamarono questi ad unanime voce, e un de’ lor più robusti guerrieri atterrò con un colpo di pugno il cavallo del greco messo, che con nuovo cavallo fu rimandato. I Generali bisantini ebbero grande cura di nascondere il sofferto affronto alle truppe imperiali; ma due combattimenti che si succedettero, più segnalatamente a queste mostrarono quai fossero la forza e il valor de’ Normanni. Nelle pianure di Canne gli Asiatici fuggirono all’aspetto degli avventurieri di Francia, e il duca di Lombardia cadde in potere de’ vincitori. Gli abitanti della Puglia ad una nuova dominazione si assoggettarono, e l’Imperatore greco non salvò dal disastro che le quattro piazze di Bari, di Otranto, di Brindisi, e di Taranto. Da quest’epoca [p. 129 modifica]incomincia il Governo de’ Normanni in Italia, Governo che la nascente colonia di Aversa ben tosto oscurò. Il popolo elesse dodici Conti26, e in queste scelte l’età, la nascita, il merito, regolarono i suffragi. Le contribuzioni distrettuali assegnate a questi ripartimenti, servivano ad uso particolare dei Conti, e ognun di essi innalzò nel mezzo delle sue terre, una Fortezza, che tenea in dovere i vassalli. La città di Melfi, residenza comune dei Conti, e situata nel mezzo della provincia, divenne la metropoli e la Fortezza dello Stato. Ognuno di questi dodici Capi avea per sè una casa, e un separato rione; il qual Senato militare la cosa pubblica amministrava. Il primo di essi, presidente e Generale della repubblica, ricevè il titolo di Conte della Puglia, dignità conferita a Guglielmo Braccio-di-Ferro, che, nello stile di quel secolo, veniva dipinto come un lione nella battaglia, un agnello nella società, un angelo ne’ consigli27. Un [p. 130 modifica]autore normanno vissuto a quei giorni, descrive con tutta ingenuità i costumi e l’indole de’ suoi compatriotti28. „I Normanni, dice il Malaterra, sono un popolo astuto, e vendicativo: l’eloquenza e la dissimulazione sembrano ereditarie fra loro: sanno abbassarsi all’adulazione: ma se la legge non li tiene in freno, a tutti gli eccessi delle lor passioni abbandonansi. I Principi normanni son gelosi di mostrarsi verso il popolo liberali; il popolo tiene la via di mezzo, o piuttosto unisce gli estremi dell’avarizia e della prodigalità; avidi d’arricchire e di dominare, disprezzano tutto quel che possedono, sperano tutto quello che bramano; le armi, i cavalli, il lusso degli abiti, e l’esercizio della caccia e della falconeria, formano le delizie de’ Normanni29, ma all’uopo i [p. 131 modifica]rigori di qualsisia clima, le fatiche e i sagrifizj di una vita militare con incredibile pazienza sopportano30„.

[A. D. 1046 ec.] I Normanni della Puglia, trovavansi dunque ai confini de’ due Imperi di Alemagna e di Costantinopoli, e seguendo la politica dell’istante, riceveano l’investitura delle loro terre, or dall’uno, or dall’altro, de’ due Imperatori. Ma la conquista era il più saldo diritto che armar potessero questi venturieri: nessuno amavano, di nessun si fidavano perchè nessuno gli amava, e nessuno fidavasi di essi; al disprezzo che verso di loro ostentavano i Principi, il timore si frammettea, e allo spavento che ai nativi inspiravano, l’astio e il risentimento erano uniti. Desideravan costoro un cavallo, una donna, un giardino? se ne impadronivano tosto31; e i Capi aveano soltanto l’arte di colorare cogli speciosi nomi di ambizione e di gloria la lor cupidigia. I dodici Conti alcune volte, per commettere qualche ingiustizia, si collegavano; se aveano contese domestiche, erano [p. 132 modifica]queste per disputarsi le spoglie del popolo; le virtù di Guglielmo spariron con esso, e Drogone, fratello e successore di lui, più atto a condurre il valore che a reprimere la violenza de’ suoi eguali si dimostrava. Sotto il regno di Costantino Monomaco, il gabinetto di Costantinopoli, mosso meno da riguardi di beneficenza che da politica, imprender volle a liberare l’Italia da tal permanente calamità, più che un torrente di Barbari disastrosa32. Argiro, figlio di Melo, incaricato di porre in opera questo divisamento, di splendidissimi titoli33, e di esteso potere venne insignito. La memoria del padre suo, dovea renderlo accetto ai Normanni: egli già, assicurato erasi il volontario servigio loro, per ispegnere la sommossa eccitata da Maniaces, e per vendicare ad un tempo e le ingiurie particolari che questi lamentavano, e quelle che avea sofferte lo Stato. Costantino avea in animo di snidiare dalle province italiane questa [p. 133 modifica]colonia di guerrieri, e sul teatro della guerra persica trapiantarla; laonde, per primo contrassegno dell’imperiale munificenza, il figlio di Melo cercò profondere fra i Capi l’oro della Grecia, o i preziosi lavori dell’industria di questa nazione; ma l’arte di Argiro, il senno e il coraggio de’ vincitori della Puglia sventarono. Ricusati i suoi doni, o certamente i partiti da esso posti, protestarono con un unanime voto di non voler cambiare i presenti possessi, e le più prossime speranze, colla rimota fortuna che lor nell’Asia offerivasi. Andate a vuoto le vie della persuasione, Argiro di sottometterli o distruggerli deliberò, invocando contra il comune nemico i soccorsi delle potenze latine, e stringendo una lega offensiva fra il Papa e gl’Imperatori di Oriente e di Occidente. [A. D. 1049-1054] La Cattedra di S. Pietro era in quel tempo occupata da Leone IX, un Santo34, giusta il più semplice significato che suole a questo vocabolo attribuirsi, uomo fatto per ingannare sè medesimo, e gli altri35, opportunissimo pel rispetto che erasi con[p. 134 modifica]ciliato a consacrare sotto il nome di pietà, le provvisioni alle vere pratiche della religione più opposte. L’umanità di questo Pontefice erasi lasciata commovere dalle querele, e fors’anche dalle calunnie di un popolo oppresso; gli empj Normanni aveano interrotto il pagamento delle decime, nè mancarono decisioni, che chiarissero atto legittimo il brandir la spada temporale contra sacrileghi masnadieri, che le censure della Chiesa sprezzavano. Leone, nato in Alemagna, di famiglia nobile, e collegata colla famiglia regnante, oltre all’avere libero accesso alla Corte, in grande confidenza coll’Imperatore Enrico III vivea; ardente di zelo il trasse, in cerca di guerrieri e di confederati, dalla Puglia alla Sassonia, dalle rive dell’Elba a quelle del Tevere. Nel durare di tali apparecchi, Argiro di colpevolissime armi segretamente valeasi. Grande copia di Normanni agl’interessi dello Stato, o a particolari vendette venne sagrificata, e tra questi il prode Drogone trucidato entro una chiesa. Il fratello di lui Unfredo, terzo Conte della Puglia, ereditonne il coraggio. I traditori ebber castigo. Lo stesso Argiro superato e ferito, corse lungi dal campo della battaglia, e nascose la sua ignominia dietro le mura di Bari, aspettando ivi i tardi soccorsi de’ confederati. [p. 135 modifica]

[A. D. 1053] Ma all’Impero di Costantino, la guerra contra i Turchi maggiori tribolazioni arrecava: debole e perplesso mostravasi Enrico; e il Pontefice che dovea rivalicar le Alpi, scortato da un esercito di Alemanni, sol settecento soldati della Svevia, e alcuni volontarj della Lorena condusse. Nel cammin tardo che ei fece da Mantova a Benevento, ricevè sotto il santo stendardo un pugno d’Italiani, tolti dalla scoria di tutti gli ordini36. Il sacerdote e lo scorridore sotto una medesima tenda posavansi: e si vedeano nelle prime file un miscuglio di piche e di croci, e il guerrier santo conduttore della falange nel regolare le fazioni, gli accampamenti, le scaramuccie, andava ricapitolando le lezioni militari che in sua giovinezza avea ricevute. I Normanni della Puglia non poterono mettere in campo che tremila uomini a cavallo, e un picciol numero di fantaccini. La diffalta de’ nativi li privò di viveri e di ritratta; un superstizioso rispetto37 agghiacciò un istante la lor prodezza, ignara per solito di timore. Al primo veder Leone che avvicinavasi come nemico, non sen[p. 136 modifica]tiron ribrezzo di prosternarsi dinanzi al loro padre spirituale. Ma inesorabile il Papa si diè a divedere: i suoi Alemanni, superbi della loro alta statura, la piccola de’ loro avversarj derisero, e fu a questi chiarito, che tra la morte o l’esiglio doveano scegliere. Disdegnando i Normanni una fuga, e dall’altro lato, molti di loro essendo stremi per non avere da tre giorni preso alcun cibo, s’attennero al partito di una morte, la più pronta e la più decorosa. [A. D. 1053] Dal colle di Civitade ove erano ascesi, calarono nella pianura, d’onde partiti in tre divisioni sulle truppe pontifizie fecero impeto. Riccardo, Conte di Aversa, e il famoso Roberto Guiscardo, che alla sinistra e al centro si ritrovavano, assalirono, ruppero, sbaragliarono, inseguirono quel gregge di raunaticci Italiani, che combatteano senza ordine, nè del fuggire arrossivano. Più ardua bisogna toccava da sostenere al Conte Unfredo, che conducea la cavalleria dell’ala destra. Vengono generalmente rappresentati gli Alemanni38, come poco abili nell’adoperar lancie e cavalli; ma scesi a terra opposero una impenetrabile falange, cui nè uomo, nè cavallo, nè armadura poteano resistere, a motivo della gravezza delle enormi loro sciabole che piombar faceano a due ma[p. 137 modifica]ni sull’inimico. Così ostinatamente si difendeano, allorchè la cavalleria che tornava addietro, dopo avere inseguita la parte vinta da Riccardo, e da Roberto Guiscardo, gli accerchiò, e morirono nelle loro file, stimati dagli stessi avversarj, e col conforto di aver vendute care le proprio vite. Il Papa, datosi alla fuga, trovò chiuse le porte di Civitade, e cadde fra le mani dei devoti suoi vincitori, che, baciandogli i piedi, chiedeano essere benedetti ed assoluti per la rea vittoria che aveano riportata. In questo nemico prigioniero i soldati non vedeano che il Vicario di Gesù Cristo: e benchè tai contrassegni di rispetto, quanto ai duci almeno, possano a ragioni di politica attribuirsi, vi è anche luogo a credere che i medesimi duci alle superstizioni del popolo non fossero peregrini. Nella calma del ritiro, il Pontefice, di cui buone erano le intenzioni, deplorò tanto sangue umano sparso per sua cagione, sentì essere egli stato l’origine de’ peccati e degli scandali commessi, e poichè mal tornata era l’impresa, vedea scopo del biasimo universale la sconvenevolezza del contegno che avea tenuto39. Tali idee tenendo l’animo suo, [p. 138 modifica]non ricusò il vantaggioso negoziato che veniagli proposto, e abbandonando una lega, da lui medesimo predicata, come divina, le conquiste passate e future de’ Normanni ratificò. Qual che si fosse il modo, onde erano state usurpate, le province della Puglia e della Calabria faceano sempre parte del dono di Costantino e del Patrimonio di S. Pietro, onde il dono e l’accettazione poteano le pretensioni del Pontefice e quelle dei Normanni conciliare nel medesimo tempo. Di fatto si promisero scambievolmente il soccorso delle armi loro spirituali e temporali; i Normanni in appresso si obbligarono pagare alla Corte di Roma un tributo, ossia una onoranza di dodici danari per ogni spazio di terreno che un aratro arava in un anno; dopo la qual memorabile convenzione, vale a dire, dopo sette secoli all’incirca, il regno di Napoli è rimasto feudo della Santa Sede40. [p. 139 modifica]

Chi vuole Roberto Guiscardo41 disceso da un contadino, chi da un Duca normanno gli concede l’origine: l’orgoglio e l’ignoranza si univano in una principessa greca42 per invilire la nascita di Guiscardo, l’ignoranza e l’adulazione nei suoi sudditi italiani si univano per innalzarla43. Nato nella seconda classe, ossia nell’ordine medio della No[p. 140 modifica]biltà44 usciva di una famiglia di sotto-vassalli o vessilliferi della diocesi di Coutances nella bassa Normandia, i quali nel nobile castello di Altavilla abitavano. Tancredi, padre di Guiscardo, segnalato si era alla Corte e nel ducale esercito, cui dovea somministrare dieci soldati o cavalieri. Due maritaggi con donne, che di nobiltà non cedeangli, fecero Tancredi padre di dodici figli, tutti allevati nella casa paterna, e con egual tenerezza amati dalla seconda moglie dello stesso Tancredi. Ma un mediocre patrimonio non bastava a sì numerosa ed intraprendente figliuolanza, per lo che i dodici fratelli, vedendosi imminenti le funeste conseguenze della povertà e della discordia, risolvettero nelle straniere guerre cercar fortuna. Incaricatisi due soli d’essi di mantenere la loro prosapia, e di assistere alla vecchiezza del padre, gli altri dieci si partìan dal castello a mano a mano che l’età virile toccavano; e attraversando le Alpi, i Normanni della Puglia raggiunsero. I primi di questi non secondarono che il proprio valore: i lor buoni successi divennero sprone ai più giovani, onde Guglielmo, Drogone, e Unfredo, l’ultimo di questi maschi, meritarono essere Capi di lor nazione, e della nuova repubblica fondatori. Roberto, il primo dei sette figli, nati dalle seconde nozze, possedea, nè le negavano i suoi nemici medesimi, tutte le qualità di [p. 141 modifica]un capitano e di un uomo di Stato. La statura sua, quella de’ più alti uomini del suo esercito superava: tali ne erano le proporzioni del corpo, che gli davano grazia e vigore ad un tempo; fino anche nel declinar de’ suoi anni gli rimasero, robusta salute capace di sopportare qualunque fatica, e nobiltà di contegno fatta per comandare ad ognuno. Vermiglio in volto, largo di spalle, fornito di lunghi capelli e lunga barba del colore del lino, gli occhi suoi sfavillavano; e la voce, siccome quella di Achille, potea, in mezzo al tumulto d’una battaglia, mantenere l’obbedienza, e diffondere il terrore. Ne’ secoli barbari della cavalleria, troppo rilevanti erano siffatti vantaggi, perchè sfuggir potessero all’attenzione dello Storico, e del poeta. È stato osservato che Roberto usava ad un tempo, e colla stessa maestrìa, e della spada che colla destra mano brandiva, e della lancia che la sua sinistra tenea; che tre volte, venne tratto d’arcione nella battaglia di Civitade, e che, riassunte per tre volte le forze, nel finire di quella memorabil giornata, riportò il premio del valore su tutti i guerrieri di entrambi gli eserciti45. Non mai sazia la sua ambizione, sulla coscienza della propria superiorità la [p. 142 modifica]fondava. Nella scelta delle vie per innalzarsi, gli scrupoli della giustizia non mai lo arrestarono, rade volte il sentimento dell’umanità: e quantunque lo allettasse il goder buona opinione, le sue azioni erano indifferentemente o secrete, o palesi, secondo che o l’uno, o l’altro metodo all’interesse del momento pareagli più adatto. Fu dato il soprannome di Guiscardo46 a questo grande mastro della saggezza politica, troppo spesso confusa colla dissimulazione e colla furberia. Il poeta pugliese gli dà lode di avere superati, Ulisse nell’astuzia, nell’eloquenza Cicerone. I suoi artifizj nullameno sotto un’apparenza di militare franchezza si mascheravano: nell’apice di sua fortuna fu nondimeno accessibile e affabile verso i soldati, e benchè indulgente alle costumanze de’ nuovi sudditi si dimostrasse, le antiche consuetudini del suo paese, nell’abito e ne’ modi con ostentazione serbò. Saccheggiava avidamente per largire con profusione. L’essere stato povero in giovinezza, alla frugalità lo avvezzò; i profitti mercantili non credè indegni delle sue cure; sottometteva a lunghi e crudeli tormenti i prigionieri per costringerli a scoprire le nascoste loro ricchezze. Al dir de’ Greci, abbandonò la Normandia, da soli cinque cavalieri e trenta fantaccini seguìto, calcolo che sembra tuttavia esagerato. Perchè questo sesto fi[p. 143 modifica]glio di Tancredi di Altavilla passò sotto spoglie di pellegrino le Alpi, e fra i venturieri italiani fece i suoi primi soldati. I fratelli e i compatriotti di lui, spartiti essendosi fra loro le fertili campagne della Puglia, conservavano ciascuno colla gelosia dell’avarizia la propria parte. L’ambizioso giovine occupò le montagne della Calabria, e nelle prime imprese da esso operate contra i Greci, e contra i nativi, non è sì agevol cosa il discernere lo scorridor dall’eroe. Sorprendere un castello o un Convento, trarre qualche ricco cittadino in aguato, rapire le derrate in circonvicini villaggi, tai furono le oscure fatiche in cui da prima si adoperarono la forza e le intellettuali facoltà di Guiscardo. I volontarj della Normandia sotto le sue bandiere si ascrissero, e i contadini della Calabria, da lui comandati, assunsero nome ed indole di Normanni.

[A. D. 1054-1080] Roberto, la cui ambizione colla fortuna si dilatava, eccitò la gelosia del suo fratel primogenito, che in una passeggiera querela minacciò i giorni dell’altro, e alla libertà di lui pose impaccio. Alla morte di Unfredo, i figli di questo, in tenera età, si videro esclusi dal comando, e a vita privata ridotti per l’ambizione del loro tutore e zio. Guiscardo sollevato sopra uno scudo, venne chiarito conte della Puglia e generale della Repubblica. Più possente in allora, e di un’autorità più considerabile insignito, volle terminare la conquista della Calabria, e meritarsi un grado che lo collocò per sempre al di sopra dei suoi eguali. Il Papa avealo scomunicato per alcuni atti, o di rapina fossero, o di sacrilegio; ma non fu difficile il fare intendere a Nicolò II, che non tornava a due amici il mettersi in mala intelligenza [p. 144 modifica]fra loro; essere i Normanni difensori fedelissimi della Santa Sede, la lega di un principe offrir sicurezza maggiore che non la condotta capricciosa d’un Corpo aristocratico. Un sinodo di cento Vescovi essendosi a Melfi assembrato, il Conte interruppe una rilevante impresa per vegliare in persona alla sicurezza del romano Pontefice e per eseguirne i decreti. Questi, mosso da gratitudine e da politica, concedè a Roberto, e alla posterità di Roberto, il titolo di Ducanota, coll’investitura della Puglia e della Calabria, e di tutte le terre dell’Italia e della Sicilia, che dallo stesso Roberto ai Greci scismatici e agl’Infedeli saracini verrebbero toltenota. Il consenso del Papa potea ben giustificare le conquiste di Roberto, ma non compartirgli la facoltà di ordinare le cose a suo grado e senza consultare i voleri di un popolo libero e vincitore. Guiscardo non pubblicò la nuova sua dignità, che dopo avere colla presa di Cosenza e di Reggio illustrate nella successiva stagione campale le proprie armi. In mezzo all’entusiasmo che il suo trionfo inspirava, adunò le truppe, 47 48 [p. 145 modifica]chiedendo alle medesime confermassero col lor suffragio un giudizio pronunciato dal Vicario di Gesù Cristo: i soldati con acclamazioni di gioia, salutarono Duca il valoroso lor capitano: e i Conti, statigli fino allora eguali, pronunciarono il giuramento di fedeltà col sorriso sulle labbra, e colla indignazione nel cuore. [A. D. 1060] Da quel punto, Roberto assunse i titoli di Duca della Puglia, della Calabria e della Sicilia, per la grazia di Dio e di S. Pietro, ma dovette adoperarsi vent’anni per meritarli e consolidarli; la qual tardanza di buoni successi in un paese sì poco esteso, può sembrare inferiore all’alto ingegno del Duca e al valore delle sue genti. Si osservi però essere stati pochi di numero i Normanni, impacciati inoltre da parecchi ostacoli; volontarj e precarj i loro servigi. I vasti disegni del Duca alcune volte arrenavano per le opposizioni delle Assemblee baronali; i dodici Conti eletti dal popolo, contro la autorità del Capo ordirono trame: e i figli di Unfredo, denunziando la perfidia del loro zio, chiesero giustizia e vendetta. L’abile Guiscardo le loro trame scoperse, estinse il fuoco della sommossa, i colpevoli all’esiglio o alla morte dannò; ma spese inutilmente gli anni, e le forze della nazione in siffatte intestine discordie. Dopo che egli ebbe disfatti gli esterni nemici, i Greci, i Lombardi e i Saracini, a questi le città marittime affortificate offersero asilo. Eccellenti erano nel munire e difender le piazze; mentre i Normanni, avvezzi a combattere solamente a cavallo e in aperta campagna, l’arte degli assedj non conoscevano, e la sola perseveranza potea farli padroni delle Fortezze. Salerno resistè più di otto mesi; durò oltre quattr’anni l’assedio, o il [p. 146 modifica]blocco di Bari. Primo a mostrarsi in tutti i rischi il Duca normanno, l’ultimo era a stancarsi; nè nella pazienza del soffrire alcuno lo superava. Intantochè strignea d’assedio la rocca di Salerno, un masso enorme lanciato dalle mura avendo fatta in pezzi una delle sue macchine, una scheggia di legno gli ferì il petto. Sotto le mura di Bari, ei soggiornava sotto una cattiva baracca, fatta di rami secchi e coperta di paglia, sito pericoloso, esposto da ogni lato alla intemperie delle stagioni, e alle frecce dell’inimico49.

Le province conquistate in Italia da Roberto son quelle che fanno oggidì il regno di Napoli; nè il volgere di sette secoli ha potuto disgiungere le contrade che dall’armi di Guiscardo furon congiunte50. Tale monarchia formarono le province greche della Calabria e della Puglia, il principato di Salerno, sottomesso ai Lombardi, la Repubblica d’Amalfi e i Cantoni interni del vasto ed antico Ducato di Benevento. Tre soli di questi Cantoni dalla dominazione del vincitor si sottrassero, il primo per sempre, i due altri fin verso la metà del secolo successivo. L’Imperatore di Alemagna avea conferito al Papa, fosse a titolo di dono, o di cambio, la città e il territorio immediato di Benevento: e benchè questa sacra terra alcune volte sia stata invasa, il nome di S. Pietro [p. 147 modifica]finalmente sulla spada de’ Normanni ebbe trionfo. La lor prima colonia di Aversa avendo soggiogato, e conservato lo Stato di Capua, i principi di questa città si videro costretti a mendicare il vitto, nanti alla soglia del palagio de’ loro antenati. I Duchi della città di Napoli, la libertà popolare mantennero sotto apparenza di sommessione all’Impero di Bisanzo. Per mezzo alle conquiste di Guiscardo avvi due cose degne di eccitare la curiosità del leggitore, le dottrine salernitane51, il commercio di Amalfi52.

I. Una Scuola di giurisprudenza suppone leggi e proprietà, e una religione chiara abbastanza, onde l’evidenza della ragione renda men necessario il ministerio della Teologia; ma in qualunque epoca dell’umana civiltà, i soccorsi dell’arte medica son necessarj; e se per una parte, il lusso rende più frequenti le malattie acute, lo stato di barbarie moltiplica il numero delle contusioni e delle ferite. I tesori della greca medicina fra le colonie arabe dell’Affrica, della Spagna [p. 148 modifica]e della Sicilia si eran diffusi: e in mezzo alle corrispondenze della pace e della guerra, una scintilla di sapere splendè, e si mantenne a Salerno, città commendevole per l’onestà de’ suoi uomini, per l’avvenenza delle sue donne53. Una Scuola, la prima che siasi veduta sorgere in mezzo alle tenebre onde era ingombrata l’Europa, all’arte di guarire vi si consacrava; i frati ed i vescovi, a questa salutare e lucrosa professione si accomodarono, e innumerevoli infermi, distintissimi per grado, e nati nelle più remote contrade, or chiamavano a sè, or venivan cercando i medici di Salerno. Una tale scuola i vincitori normanni protessero; e Guiscardo, benchè allevato nel mestier dell’armi, il merito e il valore di un filosofo sapeva discernere. Dopo trentanove anni di peregrinazione, Costantino, cristiano di Affrica, riportò da Bagdad la conoscenza della lingua e delle arti degli Arabi; e della pratica, delle lezioni, degli scritti di questo scolaro di Avicenna, Salerno trasse profitto. La sua scuola di medicina, sonnecchiò molto tempo sotto il nome di Università: i suoi precetti, nel duodecimo secolo, vennero ridotti in una serie d’aforismi indicati in versi leonini, o versi latini rimati54. [p. 149 modifica]

II. La città di Amalfi, situata sette miglia a ponente di Salerno, e trenta ad ostro di Napoli, un tempo oscura, pompeggiava allora di possanza e di tutti que’ vantaggi che dell’industria son conseguenza. Ricca di fertile territorio, benchè poco estesa, i suoi abitanti profittarono della loro situazione posta in una spiaggia di mare delle meglio accessibili; primi ad incaricarsi di provvedere il Mondo occidentale de’ lavori e delle derrate dell’Oriente, questo utile commercio divenne fonte della loro opulenza e della lor libertà. Godeva Amalfi di un Governo popolare sotto l’amministrazione di un Duca, e sotto la supremazia del greco Imperatore: cinquantamila cittadini entro le sue mura si racchiudevano; nè alcun’altra città eravi, egualmente copiosa di oro, di argento e di suppellettili appartenenti alla ricercatezza del lusso. Peritissimi essendo nello dottrine teoriche e pratiche della navigazione e dell’astronomia i marinai che nel suo porto abbondavano, la scoperta della bussola, che ne ha offerto il modo di trascorrere il globo con sicurezza, alle lor ricerche o alla lor buona sorte è dovuta. Il commercio di Amalfi alle rive dell’Affrica, dell’Arabia e dell’India estendendosi, o le produzioni di queste tre contrade almen comprendendo, i suoi possedimenti in Costantinopoli, in Antiochia, in Gerusalemme e in Alessandria, le aveano [p. 150 modifica]acquistati i privilegi delle colonie independenti55. Dopo tre secoli di prosperità, Amalfi venne soggiogata dai Normanni, e devastata per l’opera che la gelosa repubblica di Pisa diede a tal uopo. Ella non contiene più oggidì che un migliaio di pescatori, i quali, avvolti nella miseria, possono unicamente inorgoglirsi degli avanzi di un arsenale, di una Cattedrale e dei palagi degli antichi loro trafficanti56.

Ruggero, duodecimo ed ultimo tra i figli di Tancredi, rimase più lungo tempo in Normandia, trattenutovi prima dalla sua giovine età, poi da riguardo alla decrepitezza del padre. [A. D. 1060-1090] Chiamato indi in Italia affrettossi ad approdar nella Puglia, ove meritò la stima, e ben tosto, in appresso, la gelosia di Guiscardo eccitò. Eguali per valore e per ambizione, Ruggero avea sovr’esso il vantaggio di giovinezza, avvenenza, e leggiadri modi, che l’affetto de’ soldati e [p. 151 modifica]del popolo gli conciliarono. Era sì povero egli, e le persone del suo seguito, in tutto quaranta, che dalla vita di guerriero passò a quella di scorridore, e da quella di scorridore all’altra di ladro domestico. Si avevano in allora tanto imperfette nozioni sulla proprietà, che lo storico stipendiato di questo Ruggero, e per ordine di lui medesimo, racconta certa impresa del suo eroe quando rubò cavalli in una scuderia di Melfi57. Il valore, il coraggio gli giovarono ad uscir presto fuori della povertà e dell’ignominia; e queste vili pratiche abbandonò per meritarsi gloria in una guerra contra gli Infedeli; in che lo zelo e la politica del fratello Guiscardo, promotore della Spedizione siciliana, lo secondarono. Dopo la ritirata de’ Greci, gli idolatri (con questo nome i Cattolici chiamar soleano i Saracini), ristorate le loro perdite, rientrati erano negli antichi possedimenti. Ma una picciola banda di venturieri operò la liberazione della Sicilia, dalle congiunte forze dell’Impero di Oriente invano tentata58. Incominciò Ruggero dal [p. 152 modifica]disfidare sopra uno scoperto palischermo i pericoli reali e favolosi di Cariddi e di Scilla; e sbarcato con sessanta soldati sulla nemica costa, e incalzati i Musulmani fino alle porte di Messina, ritornò sano e salvo in Italia, carico del bottino fatto nei dintorni di quella città. Il suo coraggio operoso e paziente nell’assedio della Fortezza di Trani si fa manifesto: onde a vecchia età pervenuto, dilettavasi in narrando che nel durar dell’assedio, egli e la Contessa sua moglie, si videro ridotti ad un solo mantello, del quale a vicenda si ricoprivano; e narrava parimente, come essendogli stato ucciso il cavallo, in compagnia d’esso i Saracini lo trascinassero; come col valore della sua spada se ne spacciasse, riportando sul dorso la sella del corridore per non lasciar tra mani infedeli il menomo trofeo di sè stesso. Nell’assedio di Trani, trecento Normanni arrestarono e respinsero le forze di tutta l’Isola. Nella battaglia di Ceramio, cinquantamila uomini, tra que’ di cavalleria e d’infanteria, vennero sconfitti da centrentasei soldati cristiani, senza contare S. Giorgio che combattè a cavallo nelle prime file. Al successore di S. Pietro vennero serbati i nemici stendardi e quattro cammelli; le quali spoglie de’ Barbari, se fossero state esposte non in Vaticano ma in Campidoglio, avrebbero potuto ricordare i trionfi riportati sul popolo di Cartagine. Questo calcolo che riduce a sì picciol numero i Normanni dovea forse applicarsi ai [p. 153 modifica]cavalieri soltanto, ossia nobili guerrieri che combattevano a cavallo, e che aveano ciascuno un seguito di cinque o sei uomini59. Pure ammettendo ancora una tale interpretazione, e concedendo ai Cristiani quanti vantaggi il valore, la bontà dell’armi e la fama aggiunger potevano, la sconfitta di un esercito sì numeroso, mette tuttavia un prudente leggitore nella alternativa di credere tutto ciò o miracolo, o favola. Gli Arabi della Sicilia riceveano possenti soccorsi dai lor compatriotti dell’Affrica; ma le galee di Pisa veniano parimente soccorritrici alla normanna cavalleria nell’assediare Palermo, e nel momento della pugna la gelosia de’ due fratelli di Altavilla, il nobile carattere d’una emulazione generosa e invincibile assumea. Dopo una guerra di trent’anni60, Ruggero acquistò unitamente al titolo di Gran Conte, la sovranità della più grande e della più fertile fra le isole del Mediterraneo; e l’amministrazione di lui, dà a divederlo uom d’animo liberale e di mente istrutta più di quanto il secolo, e l’educazione che ricevuta avea, comportassero. La libertà della religione e il godimento delle loro proprietà ai Musul[p. 154 modifica]mani lasciò61. Un filosofo arabo, medico di Mazara, e discendente dalla stirpe di Maometto, che avea arringato il vincitore, venne chiamato alla Corte: ove nel latino idioma trasportò la sua Geografia de’ Sette Climi, che Ruggero, dopo averla letta attentamente, agli scritti del greco Tolomeo preferì62. Un avanzo di nativi cristiani che ai buoni successi de’ Normanni avea contribuito, n’ebbe in compenso il vedere la Croce trionfante nell’Isola, la quale sotto la giurisdizione del Romano Pontefice ritornò. Nove Vescovi vennero creati nelle città principali della Sicilia, e il clero dovette esser contento delle magnifiche doti alle chiese, o ai monasteri largite. Ciò non pertanto l’eroe cattolico i diritti della civile magistratura con gran fermezza sostenne. Anzichè rinunziare alla investitura de’ benefizj, ebbe l’accorgimento di volgere a suo pro le pretensioni del Papa, onde la singolar Bolla che i principi della Sicilia chiarisce Legati ereditarj e perpetui della santa Sede63, consolidò ed estese il primato della Corona. [p. 155 modifica]

[A. D. 1081] La conquista della Sicilia era stata più gloriosa che utile a Roberto Guiscardo; nè i possedimenti della Puglia e della Calabria all’ambizione di cotest’uomo bastando, deliberò afferrare, o far nascere l’occasione d’invadere, e soggiogar forse l’Impero dell’Oriente64. Un divorzio, ottenuto sotto pretesto di consanguinità, lo avea separato dalla prima moglie, statagli compagna nell’umil fortuna, e Boemondo nato da queste prime nozze, si trovò alla condizione di imitar piuttosto il suo chiaro padre che di succedergli. La seconda moglie di Roberto, essendo figlia de’ Principi di Salerno, i Lombardi acconsentirono a riconoscere per erede di lui Ruggero, nato dalla medesima. Cinque figlie parimente dalla Principessa di Salerno ebbe Viscardo, tutte onorevolmente accasate65, e una di esse fu promessa ancor fanciulla [p. 156 modifica]al giovine ed avvenente Costantino, figlio ed erede dell’Imperatore Michele66. Ma una rivoluzione crollò il trono di Costantinopoli: la famiglia reale di Duca nel palagio o nel chiostro fu confinata: e Roberto, trafitto l’animo dalla sciagura della figlia, e dall’espulsione del confederato, pensò a vendicarsi. Un Greco che diceasi padre di Costantino, mostratosi ben tosto a Salerno, mise insieme una novella di trono rassegnato per forza, e di fuga. Il Duca maravigliosamente pronto a ravvisare in quest’uomo il suo amico infelice, pomposamente lo accolse, e come verso persona della dignità imperiale insignita addiceasi. Questo Michele67 dunque trascorse in trionfo la Calabria e la Puglia fra le lagrime e le acclamazioni de’ popoli: e il Papa Gregorio VII esortò i vescovi ad adoperarsi coi lor sermoni, i Cattolici col lor braccio, a ritornare questo principe in trono. Roberto e il Greco in famigliari e spessi colloquj vedeansi, e noti egualmente, [p. 157 modifica]il valor normanno e i tesori del greco Impero, pubblica fede alle reciproche promesse lor procacciavano. Nondimeno, a confessione de’ Greci e de’ Latini, cotesto Michele non era che un fantasma, un impostore, un frate scappato dal suo convento, o un servo della greca Corte. Lo scaltro Guiscardo immaginò questo artifizio, sperando che dopo aver dato un’apparenza di giustizia alle sue armi, il falso imperatore tornerebbe nella sua oscurità ad un cenno di chi da questa l’avea ritratto; ma sol la vittoria potea costringere la credenza de’ Greci, nè l’ardor de’ Latini per tale impresa la credulità de’ medesimi pareggiava; i soldati normanni voleano godersi in pace il frutto di lor fatiche, e gl’Italiani fremevano alla sola idea di pericoli cogniti ed incogniti che ad una spedizione oltremare si congiungevano. A fine di far soldati, Roberto non risparmiò donativi, o promesse; nè minacce, così per parte dell’autorità civile, come per parte dell’autorità ecclesiastica; che anzi alcuni atti di violenza hanno dato origine al fattogli rimprovero di avere arrolati, senza distinzioni nè pietà, e vecchi, e fanciulli. Dopo due anni impiegati senza posa in tali apparecchi, l’esercito di terra e le forze navali si adunarono ad Otranto, ultimo promontorio dell’Italia, situato all’estremità del calcagno dello stivale. Roberto si trasferì, accompagnato dalla moglie che ai fianchi di lui combattea, dal figlio Boemondo, e dal greco impostore. Mille trecento cavalieri normanni68, o alla scuola de’ Normanni educati, [p. 158 modifica]formavano il nerbo di questo esercito composto di circa trentamila uomini d’ogni arma69; cencinquanta navi vennero caricate di truppe da sbarco, di cavalli, di armi, di macchine da guerra, e di torri di legno coperte di cuoio non concio; navilio che era stato allestito in Italia, e la repubblica ragusea, divenuta confederata di Roberto, le galee aveva fornite. All’ingresso del golfo Adriatico le coste dell’Italia e dell’Epiro si avvicinano l’una all’altra. Lo spazio che disgiugne Brindisi da Durazzo, conosciuto sotto il nome di Passaggio Romano, non è largo più di cento miglia70. Rimpetto ad Otranto si restringe di cinquanta71, angustia che suggerì a Pirro, e a Pompeo l’idea sublime, o stravagante di unire con un ponte entrambe le rive. Roberto, prima di [p. 159 modifica]imbarcare le sue truppe e le sue munizioni, mandò innanzi quindici galee comandate da Boemondo, affine di soggiogare o minacciare l’isola di Corfù, riconoscere l’opposto lido, e assicurare ne’ dintorni di Vallona un buon porto alle sue truppe. Boemondo compiè la sua traversata e il suo sbarco, senza accorgersi di nemici. Sperienza fortunata pe’ Normanni, e che diè a divedere a quale scadimento l’incuria de’ Greci avesse ridotta la loro marineria! Le isole e le città marittime dell’Epiro all’armi di Roberto, o al terror del suo nome cedettero, e poichè ebbe toccate le coste di Corfù (la quale isola accenno col suo nome moderno) condusse la sua squadra e il suo esercito ad assediare Durazzo. Cotesta città, dal lato di Occidente, chiave dell’Impero greco, dalla sua antica fama, da recenti fortificazioni, dal patrizio Giorgio Paleologo vincitore di diverse battaglie nell’Oriente, da un presidio tolto dalle province di Albania e di Macedonia, in ogni età vivai di eccellenti soldati, era difesa. Pericoli e sciagure d’ogni genere nel durar di questa impresa provarono l’animo di Guiscardo: nella stagione la più propizia dell’anno, la flotta di lui che stavasi lungo la costa, venne d’improvviso assalita da una fortuna di mare; e piogge miste a neve, e furiosi venti d’ostro ingrossarono l’Adriatico, talchè un nuovo naufragio la sinistra fama degli scogli Acroceraunj riconfermò72. Andati in pezzi o portati lontano e vele, [p. 160 modifica]e alberi, e remi, si videro coperti il mare, e le rive di frantumi di navigli, d’armi e cadaveri, e la maggior parte delle munizioni le acque inghiottirono o danneggiarono. Sottrattasi con grande stento al furore dell’onde la ducale galea, Roberto si fermò sette giorni sul vicino promontorio per raccogliere gli avanzi della sua flotta, e rianimare il depresso coraggio de’ suoi soldati. I Normanni non erano più quegli audaci piloti che aveano scoperto nuove acque sull’Oceano, dalla Groelandia al monte Atlante, que’ piloti che erano stati veduti sorridere sui perigli da poco che offre l’onda mediterranea. Piansero nel durare della procella, e tremarono all’avvicinare de’ Veneziani, che mossi dalle preghiere e dalle promesse della Corte di Bisanzo venivano ad assalirli. Le pugne del primo giorno mal non tornarono a Boemondo, giovine imberbe73 che i legni del padre suo comandava, ma le galee veneziane rimasero tutta notte ferme sull’áncora, a guisa di mezza luna, ordinate. La maestria di loro fazioni, il modo vantaggioso onde collocati aveano i proprj arcieri, la forza delle lor chiaverine, il fuoco greco somministrato ad essi dall’Imperatore, li fecero nel secondo giorno padroni della vittoria. I legni pugliesi o ragusei alla costa si ripararono: molti videro tagliare le gomene, e in poter cadettero del vincitore; oltrechè, la guernigion di Durazzo, con una abile sortita, portò fin nelle tende di Roberto la strage [p. 161 modifica]e il terrore: vennero introdotti soccorsi entro la piazza, e appena gli assedianti più non padroneggiarono il mare, si videro privi de’ tributi, e delle vettovaglie, che dianzi le isole, e le città marittime ad essi inviavano. Si arroge, che un contagioso morbo travagliò ben tosto l’esercito dei Normanni, onde perirono privi di gloria cinquecento cavalieri; e la perdita delle genti di Guiscardo non ascese a meno di diecimila uomini, sol che si voglia dedurla dal registro de’ funerali, e supponendo che tutti i morti l’onor di esequie ottenessero. Solo, imperterrito, in mezzo a tante calamità, il Duca normanno, intantochè nuove forze dai lidi pugliesi e siculi ritraeva, conquassava colle sue macchine d’assedio, e tribolava, ora dando scalate alle mura, ora adoperandosi contro le fondamenta di queste, Durazzo. Ma la solerzia e il valore di lui, in un valore eguale, e in una solerzia superiore, scontraronsi. Avendo egli condotto a piè del baluardo una torre mobile che racchiudea cinquecento soldati, mentre stava per abbassarne la porta, o il ponte levatoio, una enorme trave lo arrestò nell’impresa, e il fuoco greco in un istante la sua torre gli consumò. Intanto che i Turchi dal lato orientale, le truppe di Guiscardo dall’occidentale, il romano impero invadeano; il vecchio successore di Michele rassegnava lo scettro nelle mani di Alessio, illustre Generale e fondatore della dinastia de’ Comneni. Anna, figlia di questo Alessio, e famosa per avere scritta la Storia del padre, dal suo stile ampolloso non rimovendosi, osserva che lo stesso Ercole alla doppia pugna non avrebbe saputo resistere, e su tal base fondandosi, approva la precipitosa pace che il ridetto Alessio concluse col Turco; la qual cosa il trasferirsi in per[p. 162 modifica]sona a soccorrer Durazzo gli agevolò. Egli avea ben trovato vuoto di soldati il suo campo come di danari l’erario; ma tai furono il vigore, la sollecitudine delle sue provvisioni, che in sei mesi radunò un esercito di settantamila uomini74, e fece compiergli un cammino di cinquecento miglia. Ei tolse soldati dall’Europa e dall’Asia, dal Peloponneso infino al mar Nero; ostentava la pompa del grado imperiale nella magnificenza della guardia composta di cavalieri ricchi d’armadure, e di arredi d’argento, e nel numeroso corteggio di nobili e di principi che lo accompagnavano; e più d’uno di questi principi (il che prova una mansuetudine de’ costumi di Bisanzio in que’ tempi) nelle vicissitudini del palagio imperiale aveano vestita un istante la porpora, e ciò nulla meno vivean ricchi e insigniti di cariche ragguardevoli. Tutti i predetti Grandi, animati la più parte dal fuoco della giovinezza, avrebbero dovuto col loro esempio farsi sprone alla moltitudine: ma l’eccessivo amor de’ piaceri, il disprezzo di ogni subordinazione, furono origine di disordini e di mali. Voleano questi essere condotti subito alla battaglia, e con importuni clamori [p. 163 modifica]misero a cattivo partito la prudenza di Alessio, che avrebbe potuto prendere in mezzo e tribolar colla fame l’esercito degli assedianti. L’enumerazione delle province greche a’ que’ giorni, offre un triste raffronto tra quel che furono gli antichi limiti dell’Impero, e quello che erano divenuti. Raccolti in fretta, e in mezzo al comune terrore, i nuovi soldati, non fu possibile il ritrarre dalla Natolia o Asia Minore le sue guernigioni, se non se col cedere ai Turchi le città che da queste istesse guernigioni erano custodite. Il nerbo dell’esercito greco stavasi ne’ Varangi, e nelle guardie scandinave, il cui numero avea poco prima ricevuto rinforzo da una truppa di esuli e di volontarj venuti dall’isola di Tule, o della Gran Brettagna. I Danesi e gl’Inglesi parimente, sotto il giogo de’ Normanni gemeano; laonde molti giovani venturieri vennero nella risoluzione di abbandonare una terra di schiavitù, e abbracciando lo scampo che ad essi il mare offeriva, peregrinarono lungamente a tutte le coste, ove qualche speranza di libertà e di vendetta allettavali. Il greco Imperatore a sè gli assoldò, e primieramente in una nuova città della costa d’Asia stanziarono; ma non andò guari che Alessio chiamatili al servigio immediato del suo palagio, e della imperiale persona, nella lor fedeltà e prodezza un bel retaggio preparò ai suoi successori75. Rammen[p. 164 modifica]tando con indignazione questi guerrieri tutto quanto eglino pure aveano sofferto dai Normanni, marciarono contra un nemico di lor nazione, e giubilanti, e impazienti di ricuperar nell’Epiro la gloria che alla giornata di Hastings aveano perduta. I Varangi erano inoltre sostenuti da alcune bande di Franchi o Latini; tutti coloro che, per sottrarsi alla tirannide di Guiscardo, riparati eransi a Costantinopoli, agognavano l’istante di segnalare il loro zelo, e appagare in uno la sete della vendetta. In così ardue circostanze l’Imperatore non aveva avuti a schifo gli impuri soccorsi de’ Paoliziani, o de’ Manichei della Tracia e della Bulgaria; i quali eretici all’intrepidezza de’ martiri l’operoso valore e la disciplina di eccellenti soldati aggiugnevano76. Un negoziato col Sultano avendo procurato all’Imperatore un rinforzo di mille Turchi all’incirca, si videro insieme in contrasto le frecce della cavalleria scitica, e le lance della normanna. Udite le prime voci del formidabile esercito che incontro venivagli, Roberto raunò un consiglio da’ suoi primarj uffiziali composto. „Voi vedete, lor disse, in qual pericolo vi trovate: esso è incalzante, inevitabile. Le colline sono coperte di guerrieri e di stendardi: l’Imperator greco è accostumato alle guerre e ai trionfi. La disciplina e l’unione solamente ci possono far salvi, e sono pronto a cedere il comando ad un Generale più abile di me„. Le acclamazioni generali, e persino de’ suoi segreti nemici, avendolo in sì periglioso momento fatto certo della stima e della confidenza d’ognuno; „contiam dunque, esclamò, sui [p. 165 modifica]frutti della vittoria, e se vi è un vile, impediamogli ogni strada alla fuga, abbruciamo il nostro navilio e le nostre bagaglie, e combattiamo su questo suolo, come se fosse il luogo della nostra nascita, e del nostro sepolcro„. Approvata unanimamente siffatta risoluzione, Guiscardo che disdegnò cautelarsi fra mezzo alle file de’ suoi soldati, si pose a capo dell’esercito ordinato in battaglia aspettando ivi di piè fermo il nemico. Un fiume poco largo gli guardava le spalle, l’ala destra prolungandosi sino al mare; la sinistra terminava alle falde delle colline: e Guiscardo forse ignorava che in questo campo medesimo Cesare e Pompeo disputati eransi l’Impero del Mondo77.

[A. D. 1081] Alessio avendo risoluto, contro il parere de’ più saggi suoi capitani, di commettersi all’evento di una battaglia, insinuò alla guernigione di Durazzo il contribuire con una sortita a tempo operata alla liberazione della città. Con due divisioni egli marciò per sorprendere i Normanni innanzi lo schiarire del giorno, onde da due lati vedeasi la cavalleria leggiera dei Greci tener la pianura; la seconda linea era composta di arcieri, i Varangi serbarono a sè medesimi l’onore di combattere all’antiguardo. Al primo scontro, le azze da guerra degli stranieri portarono terribili botte all’esercito di Guiscardo, a soli quindicimila uomini allora ridotto. I Lombardi e i Calabresi, dandosi a vergognosa fuga, corsero, chi alle rive del [p. 166 modifica]fiume, chi a quelle del mare; ma il ponte era stato distrutto, per togliere un varco ai soldati della piazza, se tentavano una sortita; la costa vedeasi cinta di galee veneziane che fecero prova delle lor macchine da guerra in mezzo a questa disordinata moltitudine; la quale sarebbe inevitabilmente perita senza il valore e la condotta ammirabile de’ suoi Capi. I Greci ne descrivono Gaita, moglie di Roberto, come una amazzone e una seconda Pallade, men abile nelle arti, ma non men della dea degli Ateniesi terribile nella guerra78. Benchè ferita da una freccia, rimase sul campo di battaglia, e colle esortazioni e coll’esempio le soldatesche disperse riordinò79; la sua femminile voce venia secondata dalla voce più forte e dal braccio più vigoroso di Guiscardo. Intrepido [p. 167 modifica]in mezzo all’azione, quanto magnanimo ne’ consigli: „Dove fuggite voi, esclamò? avete che fare con un nemico implacabile, e la morte è meno crudele della servitù„. Il momento era decisivo; i Varangi, nell’avanzarsi troppo, lasciarono scoperti i lor fianchi; gli ottocento cavalieri del corpo di battaglia del Duca, che non erano stati intrapresi, colla lancia in resta si precipitarono sul nemico, e gli Storici greci non rimembrano senza dolore l’impeto della cavalleria franca, cui non val resistenza80. Alessio non trascurò alcun dovere di generale e soldato; ma allorchè vide la strage de’ Varangi e la fuga de’ Turchi, e in niun conto avendo i proprj sudditi, della fortuna sua disperò. La principessa Anna, che versa una lagrima su questo infausto avvenimento, è ridotta a vantare la forza e l’agilità del cavallo di suo padre, e il vigore onde questi si difese contra un cavaliere che con una percossa di lancia aveagli fatto in pezzi il cimiero. Con disperato valore, si aperse varco per mezzo a uno squadrone di Normanni che la fuga impedivagli, e dopo avere errato due giorni e due notti in mezzo alle montagne, potè godere di qualche riposo, non d’animo, ma di corpo, entro le [p. 168 modifica]mura di Licnido. Si dolse Roberto delle sue truppe che, troppo mollemente e lentamente inseguendo Alessio, una tanto luminosa preda sfuggirsi lasciassero: ma nel confortarono i trofei e gli stendardi tolti al nemico, la ricchezza e il lusso del campo greco, e la gloria di aver distrutto un esercito cinque volte più numeroso del suo. Molti Italiani rimasero vittima del proprio spavento; pur questa memoranda giornata non costò a Guiscardo più di trenta de’ suoi cavalieri. L’esercito imperiale perdè, fra Greci, Turchi ed Inglesi, cinque o seimila uomini all’incirca81, fra i quali si noverano molti nobili e guerrieri di sangue reale; l’impostore Michele trovò nello spianato di Durazzo una morte più onorevole che nol fu la sua vita.

[A. D. 1082] Ella è cosa molto probabile che Guiscardo non si affliggesse gran fatto della perdita di questo fantasma d’Imperatore, costatogli molto caro, nè con altro pro che di avventurarlo alla derisione de’ Greci. Disfatti questi, la guernigione continuò nel difendersi: l’Imperatore aveva avuta l’imprudenza di richiamare Giorgio Paleologo, intanto che un Veneziano comandava nella città: le tende degli assedianti vennero cambiate in baracche, atte ad offerire riparo contra il rigore del verno; e ad una disfida fattagli dalla Fortezza, Roberto rispose che la sua perseveranza, l’ostinazione degli assediati almen [p. 169 modifica]pareggiava82. Già forse ei fondavasi sopra una lega segreta da lui stretta con un nobile Veneziano, che sedotto dalla speranza di un luminoso e ricco maritaggio, ebbe la viltà di tradire i confederati della sua patria. Nel più cupo della notte, furono gettate dall’alto delle muraglie le scale di corda, per le quali saliti tacitamente gli snelli Calabresi, sol dal nome, e dalle trombe del vincitore, i Greci furono desti. Ciò nullameno per tre giorni difesero le strade contra un nemico già padrone de’ baluardi; si rendettero finalmente dopo un assedio di sette mesi, calcolati dal momento che la piazza fu circondata. Penetrò indi Roberto nelle parti interne dell’Epiro, o dell’Albania, e attraversate le prime montagne della Tessaglia, trecento Inglesi nella città di Castoria sorprese, a Tessalonica si avvicinò, fece tremare Costantinopoli. Ma un più incalzante dovere, il corso dei suoi ambiziosi disegni interruppegli. Già distrutti due terzi del suo esercito dal naufragio, dai morbi contagiosi e dal ferro nemico, e allorchè aspettavasi dall’Italia nuove reclute, dolorosi messaggi lo ragguagliarono delle sciagure, e de’ pericoli ai quali, per la lontananza di lui, la stessa Italia era in preda, della ribellione delle città e de’ Baroni della Puglia, dello stremo a cui trovavasi il Papa, dell’avvicina[p. 170 modifica]mento, o piuttosto dell’invasione di Enrico Re di Alemagna. Egli osò immaginarsi che la presenza sua basterebbe a rendergli sicuri gli Stati, e sopra un sol brigantino, rivalicò il mare, lasciando l’esercito sotto il comando di suo figlio e dei Conti normanni; e con esortazioni a Boemondo, di rispettare la libertà de’ suoi eguali, ai Conti di obbedire l’autorità del lor Generale. Il figlio di Guiscardo sull’orme del padre suo camminò. I Greci paragonano questi due guerrieri al bruco e alla locusta, l’uno de’ quali divora tutto quanto non fu sterminato dall’altro83. Dopo avere vinte due battaglie contra l’Imperatore, scese nella pianura della Tessaglia e assediò Larissa, capitale del favoloso regno di Achille84, ove l’erario e i magazzini del greco esercito si racchiudevano. Del rimanente debbonsi encomj alla prudenza e alla fermezza di Alessio, che contro la infelicità de’ tempi coraggiosamente lottò. In mezzo alla penuria che disastrava lo Stato, ardì valersi degli arredi superflui delle chiese, provvide alla diffalta dei Manichei, col sostituir loro alcune tribù della Mol[p. 171 modifica]davia; settemila Turchi assunsero il luogo degli estinti fratelli e l’incarico di vendicarli; intanto i soldati greci, addestratisi nel cavalcare e nel lanciar frecce, si fecero abili al giornaliero esercizio delle fazioni militari e delle imboscate. Sapendo Alessio per esperienza che i cavalieri franchi, tanto formidabili sui lor corridori, non poteano nè combattere, nè quasi moversi a piedi85, ordinò ai suoi arcieri di far bersaglio de’ loro dardi il cavallo anzichè il cavaliere, e seminava di punte di ferro ed altri impacci il terreno d’onde potea paventare un assalto. La guerra venne protratta ne’ dintorni di Larissa ove i successi de’ due eserciti, dubbiosi rimasero. In tutte le occasioni il coraggio di Boemondo in guisa luminosa, e sovente con fortuna, si dimostrò; ma i Greci immaginarono uno stratagemma per cui il normanno campo fu saccheggiato. Inespugnabile essendo la città, i Conti o disgustati, o corrotti dall’inimico, le bandiere del loro duce abbandonarono, e consegnati ai Greci i lor posti, le parti dell’Imperatore seguirono. Alessio riportò a Costantinopoli il vantaggio, anzichè l’onore della vittoria. Quanto al figlio di Guiscardo, rinunziando ad un territorio che non potea più difendere, veleggiò verso l’Italia [p. 172 modifica]ove ben accolselo il padre, che ne conoscea il merito, e ne compiagnea l’infortunio.

[A. D. 1081] Di tutti i principi latini confederati di Alessio, e nemici di Roberto, il più poderoso e zelante era Enrico III, o IV Re d’Alemagna, e d’Italia, che divenne in appresso Imperator d’Occidente. La lettera che il Principe greco indirissegli86, abbonda di sentimenti di verace amicizia e del desiderio onde ardea di consolidare la scambievole lega con vincoli di famiglia, e politici. Congratulatosi con Enrico pei buoni successi da esso ottenuti in una giusta e santa guerra, querelasi perchè le audaci imprese de’ Normanni, la prosperità del suo impero hanno turbata. La nota de’ donativi inviatigli dalla Grecia ai costumi del secolo corrisponde: una corona d’oro guarnita di raggi, una croce da petto adorna di perle, una scatola di reliquie coi nomi e titoli de’ Santi cui perteneano, un vaso di cristallo, un vaso di Sardonica, balsamo, probabilmente della Mecca, e cento pezze di porpora; inoltre cenquarantaquattromila bisantini d’oro, con promessa di aggiugnerne altri dugento sedicimila, allorchè Enrico fosse venuto in armi sul territorio pugliese, e confermata, con giuramento, la loro confederazione con[p. 173 modifica]tro il comune inimico. Il Principe alemanno87 che già trovavasi in Lombardia, Capo di un esercito e di una fazione, accettando tosto queste magnifiche offerte, al mezzogiorno immantinente si volse; e benchè il fermasse in cammino la notizia della giornata di Durazzo, ricompensò abbondantemente il dono avuto dall’Imperatore, poichè lo spavento che coll’armi sue e col suo nome inspirò, costrinse Roberto a ricercar precipitosamente la Puglia. Enrico detestava i Normanni, come confederati e vassalli di Gregorio VII, implacabile suo nemico, orgoglioso sacerdote, che col suo zelo ambizioso riaccese la lunga querela tra il Sacerdozio e l’Impero88: il Re, il Papa, si mandavano anatemi a vicenda, e ognun d’essi avea posto un rivale sul trono del suo antagonista. Dopo la sconfitta e la morte del ribelle della Svevia, Enrico si condusse in Italia per assumervi l’imperiale corona, e scacciare il tiranno della Chiesa [p. 174 modifica]dal Vaticano8990: ma la causa di Gregorio i Romanisostennero, e fermi in lor coraggio rendevangli i soccorsi d’uomini e di danaro che ad essi venian dalla Puglia, onde per tre volte l’Imperatore alemanno tentò indarno l’assedio di Roma. [A. D. 1081] Nel quarto anno, Enrico si guadagnò, coll’oro dicesi di Bisanzo, i Nobili romani che i lor dominj e le lor castella a tutti gli orrori della guerra videro in preda. [A. D. 1084] Gli vennero consegnate le porte, i ponti e cinquanta ostaggi: l’antipapa Clemente fu consacrato nel palagio di Laterano, e pieno di gratitudine incoronò in Vaticano il suo protettore. L’Imperatore Enrico, intitolatosi successore d’Augusto e di Carlomagno, chiarì il Campidoglio sua stabile residenza. Il nipote di Gregorio le rovine del Septizonio tuttavia difendea: assediato entro castel S. Angelo il Papa nel solo coraggio e nella fedeltà del suo vassallo normanno ponea la speranza. Ben vero è che ingiurie e reciproche lamentanze aveano interrotto il buon accordo fra questi due personaggi; ma in sì imminente pericolo Guiscardo i suoi giuramenti, il suo interesse più forte ancora dei giuramenti, l’amor [p. 175 modifica]della gloria, e l’odio che portava ai due Imperatori, sol calcolò. Dispiegata la santa bandiera, coll’animo deliberato di accorrere in soccorso al principe degli Appostoli, e dopo avere raunati seimila uomini a cavallo, e trentamila fantaccini, il più numeroso di quanti eserciti ebbe giammai, mosse da Salerno a Roma, e durante quel cammino i pubblici applausi, e le promesse di celeste soccorso, lui e le sue soldatesche accompagnarono. Vincitore in sessantasei battaglie, all’avvicinar di Guiscardo, Enrico tremò: mostrando ricordarsi d’alcuni indispensabili affari che la sua presenza volevano in Lombardia, esortò i Romani a conservarsi fedeli, e tre giorni prima che i Normanni giugnessero, affrettatamente partì. In men di tre anni, il figlio di Tancredi di Altavilla ebbe la gloria di liberare il Pontefice, e di vedere sparire dinanzi a sè le armi vincitrici degli Imperatori d’Oriente91, e d’Occidente. Ma lo splendore del trionfo di Roberto le sciagure di Roma oscurarono. Già i partigiani di Gregorio toccata aveano la meta di rompere, di scalare le mura, già si trovavano in Roma; non quindi inoperosa, o priva di forze era la fazione degli Imperiali: laonde il terzo giorno si accese una terribile sedizione, e un accento inconsiderato sfuggito al vincitore, per cui parea la [p. 176 modifica]difesa, o la vendetta essere comandate, divenne segnale d’incendio e di devastazione92. I Saracini della Sicilia, i sudditi di Ruggero, gli ausiliari di Guiscardo, colsero il destro per ispogliare e profanare la santa città de’ Cristiani: migliaia di cittadini vennero oltraggiati, trucidati o ridotti in servitù, innanzi agli occhi e per opera de’ confederati del loro padre spirituale. Un vasto rione che dal palagio di Laterano al Colosseo si estendea, le fiamme consunsero, sicchè anche ai dì nostri non offre più che un deserto93. Gregorio, abbandonata una città, che lo detestava e più nol temea, andò a terminare nel palagio di Salerno i suoi giorni. Senza dubbio, questo scaltro pontefice, colla lusinga della sovranità di Roma, o della Corona imperiale, Guiscardo adescò; ma un sì periglioso espediente, al certo, giusta ogni apparenza, opportunissimo ad infondere nuovo ardore nell’animo ambizioso del Duca normanno, coll’effettuarsi, avrebbe per sempre alienati dal Pontefice gli animi de’ fedeli principi dell’Alemagna. [p. 177 modifica]Guiscardo liberatore e in un flagello di Roma, avrebbe potuto finalmente darsi al riposo: ma nel medesimo anno che egli aveva veduto fuggire l’Imperator d’Alemagna, il capitano instancabile agli antichi divisamenti delle orientali conquiste fece ritorno. [A. D. 1084] L’entusiastico zelo, o la gratitudine di Gregorio, i regni della Grecia e dell’Asia al costui valore aveva promessi94. Le milizie del Normanno stavano in armi, fatte orgogliose dai buoni successi ottenuti, e preste a cercarne altri in mezzo alle pugne. La principessa Anna, valendosi delle parole di Omero paragona questi soldati ad uno sciame di api95: ma ho già fatto conoscere innanzi che maggior numero di forze il figlio di Altavilla non aveva mai radunate: cento venti navigli vi vollero ad imbarcarle, e innoltrata essendo di molto la stagione, il porto di Brindisi96, alla rada aperta di Otranto [p. 178 modifica]ei preferì. Alessio intanto, timoroso di un secondo assalto, a ristorare la marineria dell’Impero si adoperava, oltre al considerabile soccorso di trentasei legni da sbarco, di quattordici galee, e nove galeotte straordinariamente ampie e robuste che dalla Repubblica veneta aveva ottenuto: soccorso abbondantemente ricompensato col privilegio parziale di commercio conceduto alla repubblica, col dono fattole dall’Imperatore di molte botteghe e case nel porto di Costantinopoli, col pagamento di un tributo, tanto più gradevole ai Veneziani, che derivava da una tassa imposta ai cittadini di Amalfi loro rivali. La lega de’ Greci coi Veneziani copriva di una squadra nemica il mare Adriatico. Ma fosse negligenza dei confederati, o abilità di Roberto, l’incostanza de’ venti, o l’oscurità d’un nebbione, il Duca si aperse un varco, e i Normanni sani e salvi sulla costa d’Epiro sbarcarono. L’intrepido Capitano, comandando venti buone galee si pose immantinente in cerca dell’inimico, e benchè più avvezzo a guerreggiare a cavallo, commise la propria vita, e quella di suo fratello e de’ suoi due figli all’evento di una battaglia navale. In tre successive pugne datesi a veggente dell’isola di Corfù, l’impero del mare fu disputato; e l’abilità e il numero de’ confederati prevalsero nelle due prime: ma nella terza i Normanni riportarono una vittoria decisiva e compiuta97. Con [p. 179 modifica]ignominiosa fuga i brigantini leggieri de’ Greci si spersero: più ostinata lotta sostennero le nove Fortezze mobili de’ Veneziani; sette mandate a fondo, e due cadute finalmente in potere dell’inimico; duemila cinquecento prigionieri la pietà del vincitore indarno implorarono, e la figlia di Alessio fa ascendere a tredicimila uomini il numero de’ Greci, o confederati, che in tale occasione morti rimasero. L’altezza d’ingegno avea tenuto luogo di esperienza a Guiscardo. In ognuna delle sere successive alle azioni, dopo avere sonato a ritratta, esaminava tranquillamente le cagioni della sconfitta, e immaginava nuovi stratagemmi che alla sua debolezza supplissero, e i vantaggi del Greco rendessero vani. Le fazioni marittime il verno sospese: col ritorno di primavera pensò nuovamente ad impadronirsi di Costantinopoli; ma in vece di attraversare i colli dell’Epiro, si trasferì nella Grecia, e nelle città dell’Arcipelago, le cui spoglie un maggior premio alle sue fatiche offerivano; oltrechè, in un tal campo i suoi eserciti di terra e di mare poterono più vigorosamente, e con migliore speranza di buon successo, accordarsi; ma tai disegni turbò un morbo contagioso che si diffuse per tutto il campo normanno nell’isola di Cefalonia, e del quale lo stesso Roberto fu vittima. Egli spirò [p. 180 modifica][A. D. 1085] entro la sua tenda in età di settant’anni: si sparse generalmente la voce che ei morisse avvelenato per opera o della moglie, o del greco Imperatore98. Questa inaspettata morte dà luogo alla immaginazione di spaziare per tutto il corso d’imprese che potevano ancora essere riserbate a Roberto, dall’esistenza del quale, ed è provato abbastanza, la grandezza dei Normanni pendea99. Un esercito vittorioso che non vedea più nemici attorno di sè, si sbandò e si ritrasse in preda al disordine della costernazione, ed Alessio, che palpitava pel proprio Impero credè appena a sè stesso di essere libero dal pericolo. La galea che portava i mortali avanzi di Guiscardo, naufragò alla costa d’Italia: pur questi, avendosi potuto ritirarli, deposti vennero nella tomba di Ve[p. 181 modifica]nosa100, luogo più celebre per essere stata culla di Orazio101, che come sepolcro del guerriero di Normandia. Ruggero, secondogenito e successore di lui, ridotto videsi alla modesta condizione di Duca della Puglia. Fosse stima, o spirito di parzialità, Guiscardo non avea lasciato al prode Boemondo altro retaggio che la sua spada. Le pretensioni di questo turbarono la pubblica tranquillità sino all’istante che la prima Crociata contro i Saracini d’Oriente, un campo più luminoso di gloria e di conquiste gli aperse102.

[A. D. 1101-1154] E le più splendide, e le più modeste speranze della vita, vanno tutte, e prestamente, a perdersi nella tomba. La discendenza maschile di Roberto Guiscardo, così nella Puglia, come in Antiochia, alla seconda generazione si estinse: ma l’ultimo tra’ fratelli di lui, fu il ceppo d’una dinastia di Re, e il figlio del Gran Conte il nome, le conquiste, e il coraggio di Ruggero I eredò103. Nato egli in Sicilia, [p. 182 modifica]avea soli quattro anni, allor quando succedè al padre nella sovranità di questa contrada, retaggio che la ragione potrebbe invidiargli, se le fosse permesso un istante il desiderare i fastosi, e spesso chimerici diletti, che dal potere derivano. Se Ruggero si fosse contentato del fertile suo patrimonio, la gratitudine dei popoli avrebbe in lui ravvisato un benefattore, e mercè una saggia amministrazione, riconducendo i bei giorni delle Colonie greche104, potea la Sicilia venire in tanta ricchezza e possanza, quanta è lecito aspettarne dalle più vaste conquiste; ma l’ambizione del Gran Conte così nobili disegni non conoscea, e colle volgari vie della violenza e dell’artifizio pensò a disbramarla. Ansioso di regnar solo in Palermo, di cui la metà al ramo primogenito di sua famiglia aspettavasi, si sforzò di dilatare lo Stato della Calabria oltre i confini stipulati co’ primi patti, e spiò con impazienza l’istante che declinasse la salute già debole del suo cugino Guglielmo della Puglia, pronipote di Roberto. Alla prima notizia della morte di [p. 183 modifica]esso, partitosi Roberto con sette galee da Palermo, e nella baia di Salerno ancoratosi, [A. D. 1127] ricevette, dopo dieci giorni di negoziazione, il giuramento di fedeltà della Capital de’ Normanni, costrinse i Baroni a rendergli omaggio, e a concedergli investitura, i Pontefici, male atti a soffrire, così l’amicizia, come la nimistà di un sì poderoso vassallo. Rispettò nondimeno, qual patrimonio di S. Pietro, il territorio di Benevento; ma col ridursi a soggezione Napoli e Capua, mandò a termine i disegni concetti da Guiscardo suo zio, e tutte le conquiste de’ Normanni si appropriò. Altero del sentimento della sua possanza e del suo merito, i titoli di Duca e Conte sdegnò, perchè pareagli che la Sicilia congiunta ad un terzo forse del continente d’Italia, potesse formar la base d’un reame105, alle monarchie di Francia e d’Inghilterra solamente inferiore. Ei venne coronato a Palermo, e i Capi della nazione che alla cerimonia assistettero, aveano senza dubbio il diritto di decidere sotto qual nome ei regnerebbe sovr’essi; ma l’esempio d’un tiranno greco, e d’un emiro de’ Saracini non bastava a giustificare il suo titolo di monarca al cospetto di nove Re del Mondo latino106, che po[p. 184 modifica]ricusare di riconoscerlo, finchè la sanzione del Pontefice avesse ottenuta. L’orgoglio di Anacleto concedè di buon grado un titolo che l’orgoglio di Ruggero sottomesso erasi a chiedere107. [A. D. 1130-1139] Ma Anacleto medesimo trovavasi nella circostanza di veder contrastata la propria elezione, perchè nominato erasi un altro Papa sotto nome di Innocenzo II; e intanto che Anacleto stavasi sul Vaticano, il suo fuggitivo, ma più felice, emulo, dalle nazioni europee veniva riconosciuto. La monarchia di Ruggero fu crollata e quasi distrutta per l’abbaglio che egli commise nell’eleggersi il protettore ecclesiastico; la spada dell’imperatore Lottario II, le scomuniche d’Innocenzo, le squadre di Pisa, lo zelo di S. Bernardo, alla perdizione del masnadiero della Sicilia si collegarono; onde Ruggero, dopo vigorosa resistenza, scacciato videsi dal continente dell’Italia; e alla cerimonia dell’investitura d’un nuovo Duca della Puglia, il Papa e l’Imperatore, tennero, ciascuno, una falda del gonfalone, per dare a divedere che sosteneano i loro diritti, e i litigi lor sospendeano. Ma durò per poco [p. 185 modifica]questa irrequieta amicizia, e le malattie e le diffalte non tardarono a distruggere gli eserciti dell’Alemagna108. Ruggero che di rado perdonava ai nemici, o morti, o vivi che fossero, il Duca della Puglia e tutti i partigiani del medesimo sterminò. Innocenzo, debole quanto vanaglorioso, divenne, al pari di Leone IX, suo predecessore, il prigioniero e l’amico de’ Normanni; e la loro riconciliazione trovò per celebrarla l’eloquenza di S. Bernardo, fattosi allora pien di rispetto verso il titolo e le virtù del Re siciliano.

Ad espiare la sacrilega guerra contra il successor di S. Pietro intrapresa, Ruggero avea promesso di inalberare lo stendardo della Croce; nè fu lento nel compiere un voto che ai suoi interessi, e alle mire di sua vendetta si conformava. I recenti oltraggi che sofferti avea la Sicilia, lo sollecitavano a giuste rappresaglie sui Saracini; e i Normanni già unitisi di sangue con tante famiglie di quella antica parte di Grecia rimembrarono, e vogliosi si fecero d’imitare, le imprese marittime di quelli che erano divenuti i loro antenati; laonde nella maturità di lor forze lottarono contro la potenza affricana che allor declinava. Allorchè il Califfo Fatimita si partì per la conquista dell’Affrica, volle ricompensare il merito reale, e la fedeltà apparente di Giuseppe, uno de’ suoi u[p. 186 modifica]fiziali presentandolo del proprio regio manto, di quaranta cavalli arabi, del suo palagio colle pregiose suppellettili che vi si trovavano, e per ultimo del governo de’ regni di Tunisi e di Algeri. I Zeiridi109, discendenti di Giuseppe, dimenticando la sommessione e la gratitudine che a questo lontano benefattore dovevano, si erano impadroniti della suprema possanza, ed abusati del frutto di loro prosperità; già volgeano allo scadimento, dopo essersi mostrati, nè con abbagliante splendore, fra le dinastie d’Oriente. Oppressi per terra dagli Almoadi, principi fanatici di Marocco, vedeano le loro rive esposte alle correrie de’ Greci e de’ Franchi, che prima del finire dell’undicesimo secolo li sottoposero ad un tributo di dugentomila piastre d’oro. Le prime geste di Ruggero unirono alla Corona di Sicilia lo scoglio di Malta, che una colonia religiosa e militare in appresso illustrò; assalì indi Tripoli110, piazza forte situata sulla costa, ove trucidati i maschi, ridusse le donne a schiavitù: ma fa d’uopo ricordarsi che spesse volte i Musulmani egualmente della vittoria abusarono. La capitale de’ Zeiridi nomavasi Affrica, come il paese, detta però talvolta Mahadia111, dal nome dell’Arabo che gettate ne aveva [p. 187 modifica]le fondamenta: città forte e fabbricata sull’Istmo; ma la fertilità della circostante pianura all’imperfezione del porto è lieve compenso. Giorgio, ammiraglio di Sicilia assediò Mahadia con una squadra di cencinquanta galee, di soldati e di strumenti da guerra ben provvedute. Già il sovrano avea presa la fuga, e ricusato il Governatore moro di capitolare; ma temendo avventurarsi all’ultimo assalto, fuggì secretamente coi Musulmani abbandonando ai Franchi i tesori e la città. Il Re di Sicilia e i suoi luogotenenti soggiogarono in diverse spedizioni Tunisi, Saface, Capsia, Bona, e una lunga estensione di littorale112; vennero posti presidj nelle Fortezze, assoggettata a tributo la contrada, onde non mancò apparenza di verità all’adulazione, allor quando asserì che la spada di Ruggero teneva Affrica sotto il giogo113. Ma lui morto, questa spada si ruppe e sotto il tempestoso regno del suo successore, i possedimenti oltramarini della Sicilia114, vennero trascurati, o [p. 188 modifica]abbandonati, o perduti. I trionfi di Scipione e di Belisario, hanno dimostrato non essere nè inaccessibile nè invincibile l’Affrica; pur grandi principi della Cristianità che possono gloriarsi della rapidità di loro conquiste, e della loro dominazione sulla Spagna, nel volersi armar contra i Mori incagliarono.

Dopo la morte di Roberto Guiscardo, i Normanni dimenticarono per sessanta anni i lor divisamenti sull’Impero di Costantinopoli. L’accorto Ruggero sollecitò, appo i greci principi, alleanze politiche e domestiche, che meglio il suo titolo di Re rialzassero; e chiesta in nozze una donzella della famiglia Comnena, le prime negoziazioni un esito favorevole prometteano. [A. D. 1146] Ma il disprezzo con cui vennero accolti gli ambasciatori di Sicilia in Costantinopoli, irritò la vanità di Ruggero, e, giusta le leggi delle nazioni, un popolo innocente portò la pena dell’alterigia della Corte di Bisanzo115. L’ammiraglio siciliano, Giorgio, passò dinanzi a Corfù con una squadra di settanta galere. Poco affezionati alla Corte che governavali, e istrutti dall’esperienza che un tributo è meno disastroso ancor d’un assedio, quegli abitanti, posero la capitale e l’isola intera nelle mani de’ conquistatori. Durante siffatta invasione, non indifferente negli annali del commercio, i Normanni si diffusero sul Mediterranneo e sulle province della Grecia; nè la ri[p. 189 modifica]spettabile vetustà di Atene, di Tebe e di Corinto, oppose argine alla rapina, e alla crudeltà de’ vincitori. Niun monumento della devastazione che Atene sofferse, è pervenuto insino a noi. I Latini scalarono le antiche mura, che ricigneano, senza difenderle, le ricchezze di Tebe, e i vincitori si ricordarono sol del Vangelo, per farlo mallevadore del giuramento a cui costrinsero i legittimi proprietarj di non avere sottratto alcun tesoro alla rapacità degl’invasori. All’avvicinar de’ Normanni, la città bassa di Corinto rimase vota d’abitatori; i Greci si ripararono alla rocca, situata sopra un’eminenza, d’onde versava copiose le sue acque la fonte di Pirene, cotanto nota agli amatori dell’antica Letteratura; rocca invincibile, se i vantaggi dell’arte e della natura, la mancanza di valore potessero compensare. Gli assedianti non durarono altra fatica che inerpicarsi sulla collina: il loro generale, maravigliato egli medesimo della sua vittoria, ne manifestò al Cielo la propria gratitudine collo strappar dall’altare una immagine preziosa di S. Teodora, avvocata della Fortezza. La parte più preziosa del bottino si stette in fabbricatori di seta d’entrambi i sessi, che Ruggero nella Sicilia inviò; nella qual circostanza, instituendo confronto tra l’abile industria di quegli artigiani, e la dappocaggine de’ suoi soldati, esclamò essere la rocca e il telaio le sole armi cui trattar sapessero i Greci. Due segnalati avvenimenti questa spedizione marittima contraddistinsero; la liberazione d’un Re di Francia, e l’insulto che a Costantinopoli i navigli Siciliani inferirono. I Greci avendo, contra tutte leggi di religione e d’onore, ritenuto prigioniero Luigi VII di ritorno dalla sua mal augurosa crociata, la flotta normanna lo incontrò, e toltolo [p. 190 modifica]di mano a costoro, alla Corte di Sicilia onorevolmente il condusse, d’onde poi, passando per Roma, a Parigi si trasferì116. Essendo altrove l’Imperator greco, indifesi trovavansi nè si credeano in sicurezza Costantinopoli e l’Ellesponto. Le galee siciliane venute a gittar l’áncora dinanzi all’imperiale città, il clero e il popolo empierono di spavento: soldati non eranvi, per aver questi seguite le bandiere di Manuele. Certamente l’ammiraglio Siciliano non trovavasi in forze bastanti per assediare o prender d’assalto una sì grande metropoli: ebbe nulla meno la soddisfazione di umiliare la greca arroganza, e di additare ai navigli di occidente il cammino della vittoria. Sbarcata una parte di truppe che devastarono i giardini imperiali, armò di punte d’argento, o cosa più verisimile, di sostanze ardenti le frecce che contro il palagio de’ Cesari vennero lanciate117. Manuele finse non curare [p. 191 modifica]questo disadatto scherzo de’ corsari della Sicilia, che un istante di sorpresa e di negligenza avea favorito; [A. D. 1148-1149] ma il suo coraggio e le sue forze, preste erano alla vendetta. Dalle squadre greche e veneziane coperti vidersi l’Arcipelago e il mar Ionio; nondimeno non so quanti legni da sbarco, quanti carichi di munizioni, quante lancie fosse d’uopo supporre, per adattare la ragion nostra, o anche i calcoli della nostra immaginazione, a quelli dello Storico di Bisanzo, che fa ascendere a mille e cinquecento il numero de’ navigli messi in mare in tal circostanza. L’Imperatore, con molta saggezza e vigorìa, regolò questa impresa; onde l’ammiraglio Giorgio, costretto a ritirarsi, perdè diciannove galee, molte delle quali caddero in potere dell’inimico. Corfù, dopo essersi ostinatamente difesa, la clemenza del suo legittimo sovrano implorò, e d’allora in poi non vi fu tra i limiti del greco impero un naviglio, o un soldato del Principe siciliano, che prigioniero non divenisse. Declinavano del pari la fortuna e la salute di Ruggero, cui pervenivano, in fondo del suo palagio, alternativi messaggi di vittorie e sconfitte, intanto che l’invincibile Manuele, primo sempre alla pugna, [A. D. 1155] venia riguardato dai Greci e dai Latini, come l’Alessandro, o l’Ercole del suo secolo.

Ad un principe di siffatta indole non potea bastare l’aver rispinto un barbaro ardimentoso. Il suo dovere e la cura di mantenere i proprj diritti, forse anche il suo interesse e la sua gloria, gli prescrivevano tornar in onore l’antica maestà dell’Impero; e ricuperando le province dell’Italia e della Sicilia, punire questo preteso Re, pronipote d’un vassallo [p. 192 modifica]normanno118. I nativi della Calabria sempre affezionati mostravansi alla lingua e alla religione de’ Greci, che il clero latino avea severamente abolite. Estinta la prima linea dei duchi della Puglia, il Re di Sicilia pretendea che, qual pertenenza di sua Corona, questa provincia si riguardasse; il fondatore della monarchia siciliana aveala retta coll’armi, e col morire di lui sminuì la tema de’ suoi sudditi; i loro mali umori non si dileguarono. Il Governo feudale racchiudeva non pochi germi di ribellione, e un nipote di Ruggero chiamò, egli stesso, in Italia i nemici della sua famiglia e della sua patria. La dignità della porpora, e una sequela di guerre contra gli Ungaresi ed i Turchi avendo impedito a Manuele di condurre in persona la spedizione italiana, affidò al valoroso e nobile Paleologo la flotta e l’esercito dell’Impero. Questi fece sua prima impresa l’assedio di Bari, in ogni occasione giovatosi, e con buon sucesso così del ferro, come dell’oro. Salerno, e alcune città della costa occidentale, serbaronsi fedeli al Re normanno, che nondimeno, in due azioni campali, perdè la maggior parte delle terre possedute sul Continente; e il modesto imperatore de’ Greci, disdegnando l’adulazione e la menzogna, si appagò di udir celebrata la riduzione di trecento città, o villaggi della Puglia o della Calabria, i cui nomi e titoli sovra ogni parete del pa[p. 193 modifica]lazzo vennero impressi. Per servire alle pregiudicate opinioni dei Latini, venne ad essi mostrata una donazione, o vera, o falsa de’ Cesari dell’Alemagna119; ma il successore di Costantino vergognando subitamente di un tale pretesto, fece valere i suoi diritti inalienabili sull’Italia, protestando voler confinati i Barbari di là dall’Alpi. Le città libere, incoraggiate dai seducenti discorsi, dalle liberalità, e dalle illimitate promesse di Manuele loro confederato, perseverarono in un generoso resistere contra il dispotismo di Federico Barbarossa: l’Imperatore di Bisanzo pagò le spese delle rifabbricate mura di Milano, e versò, dice uno Storico, [A. D. 1155-1174 ec.]fiumi d’oro nella città di Ancona confermata nel suo affetto ai Greci dal geloso odio che i Veneziani portavanle120. Il commercio di Ancona, e la giacitura posta nel cuor dell’Italia, la rendeano importante piazza, che le truppe di Federico assediarono per due volte, sempre respinte dal coraggio che dall’amor di libertà viene inspirato. Oltrechè, questo amore mantengano e gli ufizj dell’ambasciatore di Costantinopoli, e gli onori e le ricchezze di cui, come a fedelissimi amici, largiva la Corte di Bisanzo agli Anconitani più intrepidi e più [p. 194 modifica]zelanti per la lor patria121. Manuele nell’orgoglio suo disdegnava un Barbaro per collega, e la sua ambizione era invigorita dalla speranza di togliere la porpora agli usurpatori dell’Alemagna, e di assodare in Occidente come in Oriente il suo legittimo titolo di solo imperator de’ Romani. Fermo in tale divisamento, chiamò seco in lega il popolo e il vescovo di Roma. Molti Nobili le parti di lui abbracciarono. Le nozze di una sua nipote con Odono Frangipani, lo fecero sicuro dei soccorsi di questa potente famiglia122: l’antica metropoli dell’Impero accolse con rispetto gli stendardi e le immagini di Manuele123. Durante la querela tra Federico e Alessandro III, il Papa ricevè due volte in Vaticano gli ambasciatori di Costantinopoli: ed or venia lusingata la pietà del Pontefice col dimostrargli possibile l’unione delle due Chiese da così lungo tempo promessa, or eccitata la cupidigia della venale sua Corte; or esortavasi Alessandro III a vendicare le proprie ingiurie, e a profittare del favorevol momento per deprimere la fe[p. 195 modifica]roce tracotanza degli Alemanni, e riconoscere il vero successore di Costantino e di Augusto124.

Ma queste conquiste in Italia, questo regno universale erano chimere che ben tosto svanirono. Le prime inchieste di Manuele fece vane la prudenza di Alessandro III, che calcolò le conseguenze d’un cambiamento così importante125; nè una disputa, sol personale, valse per indurre il Papa a spogliarsi del retaggio perpetuo del nome latino. Riconciliatosi una volta con Federico, più chiaramente si espresse; confermò gli atti de’ suoi predecessori; scomunicò i partigiani dell’Imperator greco; la separazione definitiva delle due Chiese, o almeno degli Imperatori di Roma e di Costantinopoli, pronunziò126. Le città libere della Lombardia avendo prestamente dimenticato lo straniero loro benefattore, il monarca di Bisanzo si vide esposto all’odio de’ Veneziani, nè l’amicizia di Ancona si conservò127. Fosse per principio di avarizia, [p. 196 modifica]o così mosso dalle rimostranze de’ sudditi, fece imprigionare i trafficanti veneziani e le cose lor confiscare; la qual violazione della fede pubblica, un popolo libero e dedito al commercio irritò. Cento galee allestite ed armate in tre mesi, tribolarono le coste della Dalmazia e della Grecia: ma dopo scambievoli perdite, la guerra fu terminata con un aggiustamento poco glorioso all’Impero, alla repubblica di Venezia poco piacevole: ai Veneziani della successiva generazione era serbato il vendicare compiutamente le antiche ingiurie che nuove ingiurie ancora aggravarono. Il luogotenente di Manuele avea fatto giungere alla sua Corte queste notizie, essere egli in forza bastantemente per estinguere le ribellioni della Puglia e della Calabria, ma non per resistere al Re di Sicilia, in procinto già d’assalirlo: predizione che non tardò a verificarsi. La morte di Paleologo fu cagione che si ripartisse il comando fra diversi Capi eguali tutti di grado, e tutti egualmente di militar sapere sforniti; vinti per terra e per mare i Greci, que’ prigionieri che all’acciaro de’ Normanni e de’ Saracini poterono sottrarsi, abbiurarono ogni specie di ostilità contro la persona e gli Stati del lor vincitore128.Ciò nullameno il Re di Sicilia apprezzava [p. 197 modifica]la perseveranza e il coraggio di Manuele, giunto a sbarcare un secondo esercito ai lidi d’Italia: onde indirigendo rispettose proposte al novello Giustiniano, [A. D. 1156] sollecitò una pace, o una tregua di trent’anni, accettando, come favore, il titolo di Re, e vassallo militare dell’Impero Romano riconoscendosi129. I Cesari di Bisanzo a questo fantasma di dominazione si accomodarono, senza bramar forse mai l’opera de’ Normanni, onde la tregua di trent’anni da alcun atto ostile fra la Sicilia e Costantinopoli non fu turbata. E stava per terminare la tregua, allorchè usurpò il trono di Manuele un barbaro tiranno, orrore del suo paese e del Mondo: un principe fuggitivo della famiglia Comnena armò in suo favore Guglielmo II, pronipote di Ruggero; e i sudditi di Andronico non vedendo nel lor padrone che un nemico pericolosissimo, accolsero, come amici, i Normanni. [A. D. 1156] Gli Storici latini si diffondono raccontando130 il rapido progresso de’ quattro Conti che invasero la Romania, e molte castella e città al Re di Sicilia sommisero; i Greci131 [p. 198 modifica]narrano esagerando le crudeltà licenziose e sacrileghe commesse nel saccheggio di Tessalonica, seconda città dell’Impero. I primi deplorano la morte di que’ guerrieri invincibili, e pieni di buona fede che per gli artifizj di un vinto nemico perderon la vita: celebrano con canto di trionfo i secondi le moltiplici vittorie de’ lor concittadini e sul mar di Marmora o Propontide, e sulle rive dello Strimone, e sotto le mura di Durazzo. Un cambiamento politico che punì le colpe d’Andronico, unì contra i Franchi lo zelo e il coraggio dei Greci: e diecimila Normanni rimasero morti sul campo della battaglia, e di quattromila d’essi prigionieri potè valersi a grado della sua vanità, o della sua vendetta, Isacco l’Angelo, il nuovo imperatore. Tal fu l’esito dell’ultima guerra fra i Greci e i Normanni: venti anni dopo, le nazioni rivali erano sparite, o sotto straniero giogo gemeano, e i successori di Costantino non durarono assai lungo tempo per allegrarsi sulla caduta della monarchia siciliana.

[A. D. 1154-1166] Lo scettro di Ruggero passò successivamente nelle mani del figlio e del pronipote di lui, conosciuti entrambi col nome di Guglielmo, ma contraddistinti dai soprannomi opposti di Cattivo e di Buono; nondimeno questi due predicati che indicar sembrano i due estremi del vizio e della virtù, nè all’uno, nè [p. 199 modifica]all’altro de’ due principi convenevolmente si adattano. Allorchè il pericolo e la vergogna costrinsero il primo a ricorrere all’armi, non tralignò dal valore de’ suoi maggiori: ma debole ne era l’indole, dissoluti i costumi, ostinate e funeste le passioni, ed ha avuto taccia presso la posterità, non solamente delle colpe sue personali, ma di quelle di Maio, suo Grande Ammiraglio, che abusò, prima della confidenza del suo benefattore, poi contra i giorni del medesimo cospirò. La Sicilia, dopo la conquista degli Arabi, molte tracce delle costumanze orientali offeriva; vi si trovava il dispotismo, la pompa e fino gli harem convenienti ad un Sultano; onde una nazion di Cristiani vedeasi oppressa e oltraggiata da eunuchi, che apertamente, o in segreto, professavano la religione di Maometto. Un eloquente storico di Sicilia132 ha dipinti i costumi del suo paese133, la caduta dell’ingrato Maio, [p. 200 modifica]la ribellione e il gastigo de’ suoi assassini, la prigionia e la liberazione del medesimo Re, le guerre particolari che partorirono i disordinamenti dello Stato, e le scene di calamità e di discordie che afflissero la Capitale, sotto il regno di Guglielmo I e la minorità di suo figlio. [A. D. 1166-1189] La giovinezza, l’innocenza e la beltà di Guglielmo II134 amar lo fecero dalla nazione; le fazioni si riconciliarono, ripresero vigore le leggi, e dal punto in cui questo soave principe pervenne a virile età sino a quello della immatura sua morte, la Sicilia godè un breve intervallo di pace, di giustizia e di felicità, cose che ella apprezzò tanto più per la ricordanza delle passate calamità, e per tema delle future. Colla morte di Guglielmo II, si spense la posterità maschile legittima di Tancredi di Altavilla; ma la zia di Guglielmo, figlia di Ruggero, avea sposato il più possente principe del suo secolo; onde Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, scese le Alpi, pretendendo la Corona imperiale e il retaggio della moglie sua. Respinto dal voto [p. 201 modifica]unanime di un popolo libero, sol colla forza potè ottenere l’intento. Mi è aggradevole il trascrivere i pensieri e le parole dello Storico Falcando, che sul luogo, e nell’istante degli avvenimenti, scrivea coll’anima di un vero amico della sua patria, e colla sagacità profetica d’un uomo di Stato. „Costanza, sin dalle fasce, educata nella copia delle tue delizie, o Sicilia, cresciuta colle tue istituzioni, colle tue dottrine, co’ tuoi costumi, ti abbandonò per portare fra i Barbari i tuoi tesori: ed or fa ritorno con uno sciame di costoro per contaminare di barbarica laidezza i fregi della sua patria nutrice. Già mi sembra vedere le turbolente falangi de’ nostri tiranni, empir di terrore, devastar colla strage, stremar colle rapine, deturpare colle dissolutezze queste doviziose città e questi paesi per lunga pace fiorenti. Vedo l’eccidio, o la cattività de’ nostri cittadini, le nostre vergini e le nostre matrone in preda ai soldati135. In tale estremità (si fa quindi ad interrogare un amico) che operar debbono i Siciliani? l’elezione unanime di un re valoroso ed esperto può salvare ancora la Calabria e la Sicilia136, perchè la leggierezza de’ Pugliesi, [p. 202 modifica]sempre avidi di politici cambiamenti, nè confidenza, nè speranza m’inspira137. Se noi perdiamo la Calabria, le alte torri, la numerosa gioventù e i navigli di Messina138 basteranno per arrestare i masnadieri: ma se i Selvaggi della Germania si collegano coi messinesi pirati, se portano la fiamma in questa fertile regione, già spesso assai travagliata dalle lave dell’Etna139, qual difesa rimane alle parti interne dell’Isola, a quelle belle città, che il piè nemico di un Barbaro non dovrebbe mai profanare140? Un tremuoto ha di bel nuovo rovesciata Catania, le antiche virtù di Siracusa languiscono nella solitudine e nella povertà141; ma Palermo ha conservato il suo ricco diadema, e le sue triplici mura racchiudono una moltitudine di Cristiani e di Saracini, ardenti in [p. 203 modifica]difenderla. Se le due nazioni, sollecite della comune lor sicurezza, si uniscono sotto un medesimo re, potranno far impeto sui Barbari con forze invincibili: ma se i Musulmani, stanchi di una lunga serie d’ingiustizie si ritirassero, e facessero sventolare lo stendardo della ribellione, se s’impadronissero de’ castelli, delle montagne e della costa marittima, gli sciagurati Cristiani, esposti a doppio assalto, e quasi posti fra l’incude e il martello, costretti sarebbero a rassegnarsi ad inevitabile servitù142.„ A tale proposito non debbe omettersi di osservare essere un prete che antepone il suo paese alla sua religione, e che i Musulmani, co’ quali cotest’uomo voleva una lega, erano ancora numerosi e potenti nella Sicilia.

Il Falcando vide compiersi la prima parte delle sue speranze, o almen de’ suoi voti. I Siciliani con voce unanime, conferirono lo scettro a Tancredi, pronipote del primo Re, illegittimo di nascita, ma dotato di virtù civili e militari, che senza alcuna [p. 204 modifica]macchia splendeano. Egli trascorse i quattro anni del suo regno sul confin della Puglia, ove l’esercito de’ nemici fermò; e restituì agli Alemanni una prigioniera di sangue reale, la stessa Costanza, senza farle soffrire alcun cattivo trattamento, e senza pretendere riscatto; generosità che oltrepassava forse i limiti permessi dalla politica e dalla prudenza. [A. D. 1194] Dopo la morte di Tancredi, la moglie e il figlio di lui, in tenera età, senza resistenza perdettero il trono. Enrico marciò vincitore da Capua a Palermo, e le vittorie di lui, l’equilibrio dell’Italia annientarono; laonde i Papi e le città libere, se avessero conosciuti i loro veri interessi, si sarebbero adoperati con tutti i modi spirituali e temporali, ad impedire la pericolosa unione del regno di Sicilia all’Impero d’Alemagna; ma quella accortezza del Vaticano, sì di frequente lodata, o accusata, in tal momento fu cieca o inoperosa; e se fosse vero che Celestino III, con un calcio buttò via dal capo di Enrico III, prostratosi dinanzi a lui, la Corona imperiale143, un tale atto di impotente orgoglio, non avrebbe avuta altra conseguenza, che sciogliere lo stesso Imperatore da ogni riguardo di gratitudine, e farlo nemico alla Chiesa. I Genovesi che aveano in Sicilia una fattoria, al lor commercio vantaggiosissima, porsero orecchio alle proposte di Enrico, convalidate dalla promessa di un limitato guiderdone, e di una [p. 205 modifica]pronta partenza144. I vascelli genovesi che comandavano lo stretto di Messina, apersero il porto di Palermo all’Imperatore; della cui amministrazione fu primo atto l’abolire i privilegi, e impadronirsi delle proprietà di questi imprudenti confederati. La discordia de’ Cristiani e de’ Musulmani, deluse l’ultimo voto che il Falcando avea concepito: perchè questi si battettero in seno della Capitale, nel qual fatto più migliaia di Maomettani perirono; quelli che si sottrassero alla morte, riparatisi nelle montagne, per trenta e più anni, turbarono la pace dell’Isola. Federico II trapiantò sessantamila Saracini a Nocera, Cantone della Puglia; e così egli, come Manfredo figlio di lui, nelle loro guerre contra la Chiesa Romana, adoperarono il vergognoso soccorso de’ nemici di Cristo; per lo che questa colonia di Musulmani, conservò in mezzo all’Italia, la sua religione e i suoi costumi, sino al terminarsi del decimoterzo secolo, allorchè la vendetta e l’entusiasmo della casa di Angiò la distrusse145. La crudeltà e l’avarizia dell’Imperatore, oltrepassarono tutti i fla[p. 206 modifica]gelli che avea predetti il Falcando. L’avidità di questo Principe il trasse a violare le tombe dei Re, e a cercare per ogni banda i nascosti tesori del palagio e del regno. Oltre alle perle e ai diamanti, facili ad essere trasportati, sopra censessanta cavalli si caricarono l’oro e l’argento della Sicilia146. Il giovine Re, la madre di lui, le sorelle, i Nobili d’entrambi i sessi vennero separatamente imprigionati nelle Fortezze dell’Alpi, e al menomo sentore di ribellione, i prigionieri perdeano o la vita, o gli occhi, o gli organi della virilità. A tante sventure della sua patria fu commossa anche Costanza; e questa erede della schiatta de’ Normanni, molti sforzi operò per frenare il dispotismo del marito, e per salvare il patrimonio del figlio suo, nato allor di recente di quell’Imperatore, e che fu nella successiva età sì famoso, sotto nome di Federico II. Dieci anni dopo questa politica vicissitudine, i Re di Francia, il ducato di Normandia alla lor Corona congiunsero; lo scettro degli antichi Duchi, per via di una pronipote di Guglielmo il Conquistatore, alla Casa dei Plantageneti pervenne; onde questi prodi Normanni, [p. 207 modifica]che tanto numerosi trofei nella Francia, nell’Inghilterra, nella Irlanda, nella Puglia e nella Sicilia innalzarono, per le conseguenze della vittoria, o della servitù, si trovarono colle nazioni vinte confusi. [p. 208 modifica]

CAPITOLO LVII.

I Turchi Selgiucidi. Loro ribellione contra Mamud, conquistatore dell'Indostan. Togrul sottomette la Persia e protegge i Califfi. Romano, Imperatore debellato e fatto prigioniere da Alp-Arslan. Potenza e grandezza di Malek-Sà. Conquiste dell'Asia Minore e della Siria. Trista condizione cui Gerusalemme è ridotta. Pellegrinaggio al Santo Sepolcro.

Fa duopo che il leggitore, abbandonando le rive della Sicilia, si trasporti al di là del mar Caspio, in quelle contrade d’onde uscirono i Turchi o Turcomanni, contro de’ quali la prima tra le Crociate venne intrapresa. L’Impero che questi fondato aveano nel sesto secolo sulle regioni della Scizia, da lungo tempo non era più; ma vivea tuttor celebre il loro nome fra i Greci e fra gli Orientali: e gli avanzi di cotesta nazione formavano diverse popolazioni independenti, formidabili per le lor forze, e diffuse in tutta l’estensione del Deserto, dalla Cina alle rive del Danubio e dell’Osso. La colonia ungarese facea parte della Repubblica europea; sui troni d’Asia altrettanti schiavi, e soldati di origine turca si stavano. Intanto che le lancie normanne soggiogavano la Sicilia e la Puglia, uno sciame di questi pastori del Settentrione, i reami della Persia inondava. I loro Principi, della stirpe di Selgiuk, innalzarono un saldo e possente Impero, che da Samarcanda ai confini della Grecia, e dell’Egitto

Note

  1. In quanto spetta alla storia d’Italia dei secoli nono e decimo, posso citare i libri quinto, sesto, e settimo del Sigonio, De regno Italiae (secondo volume delle sue opere, ediz. di Milano 1732): gli Annales del Baronio colla critica del Pagi: il settimo e ottavo libro della Istoria civile del regno di Napoli, del Giannone: il settimo e ottavo volume degli Annali d’Italia del Muratori (ediz. in 8), e il secondo volume dell’Abrégé chronologique del signor di Saint-Marc, opera che sotto un titolo superficiale molta dottrina, e indagini molte racchiude. Accerto i miei leggitori, e conoscendo eglino adesso il mio metodo di scrivere la Storia dovrebbero crederlo facilmente, che fin dove ho potuto, e tutte le volte che era utile il farlo, ho portate le mie ricerche a tutte le fonti primitive, e soprattutto ho accuratamente consultati gli originali dei primi volumi della grande Raccolta intitolata Scriptores rerum ital. del Muratori.
  2. Il dotto Camillo Pellegrino, che viveva a Capua nel secolo XVII, ha rischiarata la storia del ducato di Benevento nella sua Historia principum longobardorum. V. i Scriptores del Muratori (t. II, part. I, p. 221-345; e t. V, p. 159-245).
  3. V. Costantino Porfirogeneta, De thematibus, lib. II, c. 11, in vit. Basil. c. 55, p. 181.
  4. La lettera originale dell’imperatore Luigi II all’imperatore Basilio, curioso monumento del nono secolo, è stata per la prima volta pubblicata dal Baronio (Annal. eccles., A. D. 871 n. 51-71), che ha seguìto un manoscritto dell’Erenperto, o piuttosto dello Storico Anonimo di Salerno, tratto dalla Biblioteca del Vaticano.
  5. V. l’eccellente dissertazione De republica Amalphitana, nella Appendix (p. 1-42) della Historia Pandectarum (Trajecti ad Rhenum, 1722 in 4) di Enrico Brencmann.
  6. Il vostro signore, dicea Niceforo, ha dato soccorso e protezione, principibus capuano et beneventano, servis meis, quos oppugnare dispono .... Nova (piuttosto Nota) res est od eorum patres et avi, nostro imperio tributa dederunt (Luitprando, in Legat., p. 484). Non si fa qui menzione di Salerno; pur fu in questi giorni all’incirca che questo principe cambiò di parte, e Camillo Pellegrino (Script. rer. ital., t. II, part. I, p. 285) ha osservato con molta accortezza questo cambiamento nello stile della Cronaca Anonima. Luitprando (p. 480) fonda su prove dedotte dalla Storia e dalla Lingua i diritti dei Latini sulla Puglia e sulla Calabria.
  7. V. I Glossarj greci e latini del Ducange (articoli Κατεπανο Catapana) e le sue note sull’Alexiade (pag. 275). Egli non ammette l’idea de’ contemporanei che derivar faceano questo vocabolo da Κατα παν, juxta omne; e trova soltanto che essa è una corruzione del vocabolo latino capitaneus. Il signor di Saint-Marc osserva però giustamente (Abrégé chronolog., t. II, pag. 924) che in quel secolo i Capitanei non erano Capitani, ma solamente i Nobili di primo ordine, i grandi sottovassalli dell’Italia.
  8. Ου μονον δια πολεμων ακριβως ετεταγμενον το τοιουτον υπηγαγε το εθνος (i Lombardi) αλλα και αγχινοια χρησαμενος, και δικαισυνη και χρηστοτητι επιεικως τε τοις προσερχομενοις προσφερομενος και την ελευθεριαν αυτοις πασης τε δουλειας, και των αλλων φορολογικων χαριξομενος, non solamente con guerre saggiamente condotte assoggettò la nazione (i Lombardi); ma usando d’ingegno, e colla giustizia e l’indulgenza egualmente proferendosi a’ nuovi sudditi, e facendo lor grazia della libertà franca, da ogni servitù e dagli altri tributi usitati (Leone, Tattica, c. 15, pag. 741). La Cronaca di Benevento (t. II, part. I, p. 280) offre una idea ben diversa de’ Greci in que’ cinque anni (891-894) che Leone signoreggiò la città.
  9. Calabriam adeunt, eamque inter se divisam reperientes, funditus depopulati sunt (o depopularunt) ita ut deserta sit velut in diluvio. Tale è il testo di Eremperto o Erchemperto, giusta le due Edizioni del Caraccioli (Rerum ital. script. t. V, p. 23) e di Camillo Pellegrino (t. II, part. I, p. 246) opere rarissime al tempo che il Muratori le ha pubblicate di nuovo.
  10. Il Baronio (Annal. eccles. A. D. 874 n. 2) ha tratta questa storia da un manoscritto di Eremperto, che morì a Capua, quindici anni dopo un tale avvenimento. Ma un falso titolo ha ingannato questo Cardinale, e noi non possiamo citare che la Cronaca Anonima di Salerno (Paralipomena, c. 110), composta verso la fine del decimo secolo, e pubblicata nel secondo volume della Raccolta del Muratori. V. le Dissertazioni di Camillo Pellegrino (t. II, part. I, pag. 231-281 ec.).
  11. Costantino Porfirogeneta (in vit. Basil. c. 58, p. 183) è il primo autore che racconti questo fatto. Ma lo pone accaduto sotto i regni di Basilio e di Lodovico II, mentre la riduzione di Benevento operata dai Greci, non avvenne che nel 891, vale a dire dopo la morte di questi due principi.
  12. Paolo Diacono (De gest. Longob., l. V, c. 7, 8, p. 870, 871, ediz. Grot.) racconta un fatto simile, accaduto nel 663 sotto le mura della stessa città di Benevento; ma attribuisce ai Greci il delitto di cui gli autori di Bisanzo incolpano i Saracini. Dicesi che nella guerra del 1756 il signor di Assas, ufiziale del reggimento di Auvergne, si consecrasse in egual modo alla morte: ed anzi con maggiore eroismo, perchè i nemici che lo aveano fatto prigioniere, non gli chiedeano che il silenzio. (Voltaire, siècle de Louis XV, c. 33, t. IX, p. 172).
  13. Tebaldo che Luitprando colloca fra gli eroi, fu, propriamente parlando, duca di Spoleto e marchese di Camerino dall’anno 926 al 935. Il titolo e l’impiego di marchese (comandante della Marca, o della Frontiera) era stato introdotto in Italia dagl’imperatori francesi (V. Abrégé chronologique, t. II, p. 645-732, ec.).
  14. Luitprando, Hist., l. IV, c. 4, Rerum italic. scriptores, t. I, part. I, p. 453, 454. Se qualcuno trovasse troppo libera tal descrizione sarei costretto ad esclamare col povero Sterne: Duolmi di non potere trascrivere con circospezione quelle cose che senza scrupolo un vescovo ha scritte; sarebbe stato ben peggio se avessi tradotto alla lettera ut viris certetis testiculos amputare, in quibus nostri corporis refocillatio, etc..
  15. I monumenti che ci restano del soggiorno de’ Normanni in Italia, sono stati raccolti nel quinto volume del Muratori; fra i quali monumenti conviene distinguere il poema di Guglielmo Pugliese (p. 245-278) e la storia di Galfridus (Gioffredo) Malaterra (p. 537-607). Nati entrambi in Francia, i ridetti autori scrivevano in Italia, colla robusta franchezza di uomini liberi ai giorni de’ primi conquistatori (prima dell’anno 1100). Non fa di mestieri il ripetere i nomi de’ compilatori e critici della Storia d’Italia, Sigonio, Baronio, Pagi, Giannone, Muratori, Saint-Marc ec. da me consultati sempre, e non copiati giammai.
  16. Alcuni fra i primi convertiti si fecero battezzare dieci, o dodici volte, affine di ricevere dieci o dodici volte la tonaca bianca che era d’uso il dare in dono ai Neofiti. Ai funerali di Rollone, furono fatte largizioni ai monasteri pel riposo dell’anima del defunto, e sagrificati cento prigionieri; ma nello spazio di una, o due generazioni, il cambiamento fu compiuto e generale.
  17. I Normanni di Bayeux, città situata sulla costa marittima, parlavano tuttavia (A. D. 940) la lingua danese, mentre a Rouen la Corte e la Capitale l’avevano dimenticata. Quem (Riccardo I) confestim pater Baiocas mittens Botoni militiae suae principi nutriendum tradidit, ut ibi LINGUA eruditus DANICA suis exterisque hominibus sciret aperte dare responsa (Wilhelm Gemeticensis, De ducibus Normannis, l. III, cap. 8, pag. 623, edizione di Camden). Il Selden (Opera, t. II, pag. 1640, 1656) ha offerto un saggio della lingua naturale e favorita di Guglielmo il Conquistatore (A. D. 1035), saggio troppo vieto ed oscuro ai dì nostri anche per gli Antiquari, e pei Giureconsulti.
  18. V. Leandro Alberti (Descrizione d’Italia, p. 250) e Baronio (A. D. 493, n. 43). Quando anche l’Arcangelo avesse ereditato il tempio dell’oracolo e come è presumibile la caverna di Calcante, l’astrologo degli antichi (Strabone, Geogr. l. VI, pag. 435, 436), i Cattolici in questo caso colla eleganza della loro superstizione aveano superati i Greci.
  19. I Normanni erano pel loro valore conosciuti in Italia; alcuni anni prima, cinquanta de’ loro cavalieri trovatisi a Salerno nel tempo che un’armatetta di Saracini veniva ad affrontar la città, chiesero armi e cavalli a Guaimaro III, allora principe di Salerno, e chiesto si aprissero loro le porte della città, fecero impeto ne’ Saracini e li sconfissero. Guaimaro divisava conservar questi guerrieri presso di sè. Ma volendo essi ripartire, si fece promettere che sarebbero tornati con altri prodi di lor nazione per combattere gl’Infedeli (Hist. des republ. ital., t. I, p. 263.) (Nota dell’Editore).
  20. L’autore della storia delle repubbliche italiane al tomo I p. 267, racconta in ben altro modo la cosa. Dopo la ritirata dell’imperatore Enrico II, i Normanni, unitisi sotto gli ordini di Rainolfo, presero Aversa, in allora piccolo castello del ducato di Napoli; ne erano padroni da pochi anni, quando Pandolfo IV, principe di Capua s’impadronì di Napoli all’impensata. Sergio, duce delle soldatesche, e Capo della repubblica, uscì coi principali cittadini fuori di una città, ove non potea veder senza orrore una straniera dominazione introdursi. Si ritirò in Aversa, e allorchè col soccorso de’ Greci, e dei cittadini rimasti fedeli alla loro patria ebbe raccolto quanto denaro bastava a saziare la cupidigia dei venturieri normanni, si valse de’ loro soccorsi ad assalire la guernigione del principe di Capua, che egli sconfisse tornando indi in potere di Napoli. In questa occasione, confermò ai Normanni il possedimento di Aversa, e de’ suoi dintorni, formandone una contea della quale conferì l’investitura a Rainolfo. (Hist. des republ. ital., t. I, p. 267). (Nota dell’Editore).
  21. V. il primo libro di Guglielmo Pugliese. Le descrizioni di questo scrittor di versi possono adattarsi a tutti gli sciami di Barbari e di Filibustieri.

    Si vicinorum quis PERNITIOSUS ad illos
    Confugiebat, eum gratanter suscipiebant,
    Moribus et lingua, quoscunque venire videbant,
    Informant propria; gens efficiatur ut una.

    e altrove quando parla de’ venturieri Normanni, in cotal guisa si esprime.

    Pars parat, exiguae vel opes aderant quia nullae;
    Pars quia de magnis majora subire volebant.

  22. Luitprand., in Legatione, p. 485. Il Pagi ha schiarito questo avvenimento seguendo il manoscritto storico del Diacono Leone (t. IV, A. D. 965, n. 17-19).
  23. V. la Cronaca araba della Sicilia, nel Muratori (Script. rerum italic., t. I, p. 253).
  24. V. Gioffredo Malaterra che narra la guerra della Sicilia e la conquista della Puglia (l. I, c. 7, 8, 9-19), Cedreno, (tom. II, p. 741-743, 755, 756) e Zonara (tom. II, p. 237, 238) descrivono gli avvenimenti medesimi: e poichè i Greci si erano già avvezzi alle umiliazioni, una sufficiente imparzialità scorgesi ne’ loro racconti.
  25. Cedreno specifica il ταλμα ordinanza militare dell’Obsequium (Phrygia) e il μεθος parte, de’ Tracesii (Lydia), v. Costantino (De Thematibus, 1, 3, 4, con la carta del Sig. Delisle); e chiama indi i Pisidii, e i Licaonii col predicato foederati.
  26. Omnes conveniunt et bis sex nobiliores,
    Quos genus et gravitas morum decorabat et aetas,
    Elegere duces. Provactis ad comitatum
    His alii parent. Comitatus nomen honoris,
    Quo donantur erat. Hi totas undique terras
    Divisere sibi, ni sors inimica repugnet,
    Singula proponunt loca quae contingere sorte
    Cuique ducis debent, et quaeque tributa locorum.

    E dopo avere parlato di Melfi, Guglielmo Pugliese aggiunge:

    Pro numero comitum bis sex statuere plateas,
    Atque domus comitum tolidem fabricantur in urbe.

    Leone d’Ostia (l. II, c. 67) ne istruisce in qual modo vennero distribuite le città della Puglia: ma inutile mi è sembrata una tal descrizione.

  27. Guglielmo Pugliese (lib. II, c. 12). Mi fondo sopra una citazione del Giannone (Ist. civ. di Napoli t. II, p. 31), citazione che nell’originale non posso verificare. Il Pugliese loda le validas vires, probitas animi et vivida virtus di Braccio-di-Ferro, aggiugnendo che, se questo eroe fosse vissuto più lungamente, niun poeta avrebbe potuto pareggiarne il merito co’ suoi canti (l. I, p. 258, l. II, p. 259). Braccio di ferro fu pianto dai Normanni, quippe qui tanti consilii virum (dice il Malaterra (l. I, c. 12, p. 552) tam armis strenuum, tam sibi munificum, affabilem, morigeratum ulterius se habere diffidebant.
  28. Malaterra (l. I, c. 3, pag. 550): Gens astutissima, injuriarum ultrix ..... adulari sciens ..... eloquentiis inserviens; espressioni che dimostrano qual fosse l’indole, fin passata in proverbio, de’ Normanni.
  29. Il genio della caccia, e l’uso di addestrare ad essa i falconi, apparteneano specialmente ai discendenti de’ marinai della Norvegia; del rimanente è possibile che i Normanni abbiano portati dalla Norvegia e dall’Irlanda i più belli uccelli da falconeria.
  30. Può confrontarsi questo ritratto, con quello che della stessa popolazione ha fatto Guglielmo di Malmsbury (De gest. Anglorum, l. III, p. 101, 102), il quale i vizj e le virtù de’ Sassoni e de’ Normanni colla bilancia dello storico e del filosofo apprezza. Certamente l’Inghilterra nell’ultima conquista ha vantaggiato.
  31. Il Biografo di S. Leone IX avvelena santamente la descrizione che fa dei Normanni: Videns indisciplinatam et alienam gentem Normanorum, crudeli et inaudita rabie et plus quam pagana impietate adversus ecclesias Dei insurgere, passione christianos trucidare, etc. (Wibert, c. 6). L’onesto Pugliese si contenta di indicare con calma l’accusatore di questo popolo qual uomo veris commiscens fallacia (l. XI, p. 259).
  32. Tutte queste particolarità che si riferiscono alla politica de’ Greci, alla ribellione di Maniaces ec., possono vedersi in Cedreno (t. II, p. 757, 758), in Guglielmo Pugliese (l. I, p. 257, 258: l. II, p. 259), e in due Cronache di Bari lasciateci da Lupo Protospata (Muratori Script. rer. ital., t. V, p. 42, 43, 44), e da autore anonimo (Antiq. ital. med. aevi, t. I, p. 31-33). Quest’ultima è un frammento di qualche pregio.
  33. Argiro ottenne, dice la Cronaca anonima di Bari, imperiali patenti, faederatus et patriciatus et catapani et vestatus. Il Muratori ne’ suoi Annali (t. VIII., p. 426) fa giustamente una correzione, ossia interpretazione, su questa ultima parola. Egli legge sevestatus, vale a dire Sebastos, ossia di Augusto: ma nelle sue Antichità, seguendo il Ducange, fa di questo sevestatus, un officio di palagio, cioè quello di Gran Mastro della guardaroba.
  34. Viberto ha composta una vita di S. Leone IX, ove si ravvisano le passioni e le massime pregiudicate del suo secolo; opera stampata a Parigi nel 1615 in 8.^o, e inserita indi nelle Raccolte de’ Bollandisti del Mabillon e del Muratori. Il signore di Saint-Marc (Abrégé t. II, p. 140-210, e p. 25-95) ha narrata con molta accuratezza la storia pubblica e privata di questo Pontefice.
  35. Vuol dire qui l’Autore, che Leone IX il Santo aveva l’indole sì semplice, che poteva ingannare sè stesso, e colla sua autorità sugli animi del popolo, siccome Papa, indurre gli altri in inganno, senza volere, e senza avvedersi di essere ingannatore. Leone per la sua indole poteva ingannarsi ne’ negozj familiari, o politici, ed indurre in inganno gli altri; ma nella cosa di cui trattavasi non sembra essersi potuto ingannare, nè essersi ingannato. Trattavasi di soccorrere gli abitanti della Puglia, e di far che i Normanni pagassero le decime ecclesiastiche: bisogna per altro confessare, che è, in quei tempi d’ignoranza e di barbarie, da condannarsi il costume di usare le armi, inducendo ad impugnarle i poveri popoli, per sostenere le censure, le scomuniche, fatte di tal maniera più spaventose. (Nota di N. N.)
  36. V. intorno alla spedizione di Leone IX contra i Normanni, Guglielmo il Pugliese (l. II; p. 259-261) e Gioffredo Malaterra (l. I, c. 13, 14, 15, p. 253). Questi due autori danno a divedere imparzialità; perchè la preoccupazione nazionale che tiene gli animi loro, è contrabbilanciata da un’altra preoccupazione di mestiere, siccome preti.
  37. Il Cattolico romano non chiama superstizioso il rispetto dei Normanni verso S. Leone IX: s’egli seguì il cattivo uso del suo tempo barbaro facendo la guerra a’ Normanni pei motivi indicati, il buon credente sentirà che doveva a’ Normanni, buoni cattolici, far grande impressione il vedere un Papa, generale d’un’armata nemica. (Nota di N. N.).
  38. Teutonici quia Caesaries et forma decoros
    Fecerat egregie, proceri corporis illos,
    Corpora derident normannica, quae breviora
    Esse videbantur.

    I versi del Pugliese non hanno per l’ordinario maggior pretensione: ma egli si anima poi quando gli accade il descriver battaglie. Due delle sue comparazioni, tratte dalla caccia del falco e della negromanzia, servono ad indicare i costumi dei suoi tempi.

  39. Il signor di Saint-Marc (t. II, p. 200-204) cita le lamentanze, o le censure che sulla condotta del Pontefice vennero fatte in allora da rispettabili personaggi. Avendo Pietro Damiano, l’oracolo di quella età, ricusato ai Papi il diritto di far la guerra, il cardinale Baronio (Annal. eccles. A. D. 1053, n. 10-17) rimanda l’eremita al suo posto (Lugens eremi incola) sostenendo con calore le prerogative delle due spade di S. Pietro.(*)
    (*) Si sa qual uso siasi sempre fatto ne’ secoli passati di quell’espressione dell’Evangelo: ecce duo gladii hic, asserendo la Corte romana, e sostenendo i Teologi di quella che una delle due spade era la figura della forza delle scomuniche e dell’autorità spirituale del Papa, e l’altra della sua autorità nelle cose temporali. Quanto al Cardinal Baronio sanno gl’illuminati ingegni, ch’egli ne’ suoi Annali ecclesiastici spesse volte eccede in favorire la Corte di Roma, e che quell’Opera corretta dal dottissimo Pagi, e nell’istoria, e nella cronologia, e ne’ ragionamenti, acquistò maggior pregio dalla critica di lui, che dall’autore, che ebbe il merito d’aver ordinato gli Annali, ma non discernimento nel trattare la materia, e ne’ giudizj. (Nota di N. N.)
  40. Il Giannone (Istor. civ. di Napoli, t. II, p. 37-49-57-66) discute con eguale abilità e come giureconsulto, e come antiquario, l’origine e la natura delle investiture pontificie: ma fa vani sforzi per conciliare insieme i doveri di patriota e di cattolico, e colla futile distinzione, Ecclesia romana non dedit, sed accepit, si sottrae alla necessità di una confessione sincera, ma pericolosa.
  41. Le particolarità che riguardano la nascita, l’indole e le prime imprese di Guiscardo, trovansi in Gioffredo Malaterra (l. I, c. 3, 4-11-16, 17, 18-38, 39, 40), in Guglielmo Pugliese (l. II, pag. 260-262), in Guglielmo Gemeticense, o di Jumièges (l. XI, c. 30, p. 663, 664, ediz. di Camden), in Anna Comnena (Alexiade, l. I, p. 23, 27, l. VI, p. 165, 166) colle note del Ducange (Not. in Alex. p. 230-232-320), che ha raccolte tutte le Cronache latine e francesi, e nuovi schiarimenti ne ha tratti.
  42. Ο δε Ρομπερτος (parola corrotta alla Greca) ουτος ην Νορμαννος το γενος, την τυχην ασημος εξ αφανους πανυ τυχης περιφανης .... e altrove απο εουχατης πενιας και τυχης αφανους, Romperto (parola corrotta alla greca invece di Roberto) era Normanno di nazione, ignobile di nascita .... e altrove divenuto illustre dopo una nascita affatto oscura, e in un altro luogo (l. IV, p. 84) απο εουχατης πενιας και τυχης αφανους da una estrema miseria e da oscura nascita. Anna Comnena era nata per vero dir nella porpora; non così il padre suo di privata condizione, illustre bensì, ma innalzato dal merito solamente.
  43. Il Giannone (t. II, p. 2), dimenticando i suoi autori originali, per far derivare Guiscardo da una schiatta principesca, si fida alla testimonianza d’Inveges, frate agostiniano di Palermo, che vivea nell’ultimo secolo. Questi due autori prolungano la successione dei Duchi, fino a Guglielmo II il Bastardo o il Conquistatore, che credevasi (comunemente si tiene) il padre di Tancredi di Altavilla. Questo errore è maiuscolo, ed eccita tanta maggior maraviglia, che allor quando il figlio di Tancredi guerreggiava nella Puglia, Guglielmo II non avea più di tre anni (A. D. 1037).
  44. Il giudizio del Ducange è giusto e moderato: Certe humilis fuit ac tenuis Roberti familia, si ducalem et regium spectemus apicem, ad quem postea pervenit; quae honesta tamen et, prater nobilium vulgarium statum et conditionem, illustris habita est, quae nec humi reperet, nec altum quid tumeret. (Guglielmo di Malmsb. De gest. Anglorum, l. III, p. 107, Not. ad Alexiad., p. 230).
  45. Citerò alcuni de’ migliori versi del Pugliese (lib. II, pag. 270),

    Pugnat utraque manu, nec lancea cassa, nec ensis
    Cassus erat, quocunque manu deducere vellet.
    Ter dejectus equo, ter viribus ipse resumptis
    Major in arma redit: stimulos furor ipse ministrat.
    Ut leo cum frendens, etc.
    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
    Nullus in hoc bello, sicuti post bella probatum est,
    Victor vel victus, tam magnos edidit ictus.

  46. Gli autori e gli editori normanni che meglio conoscevano la loro lingua, traduceano la parola Guiscardo o Wiscard nell’altra Callidus, uomo scaltrito ed astuto. La radice Wise è famigliare agli orecchi inglesi, e l’antico vocabolo Wiseacre offre all’incirca lo stesso significato, e la medesima desinenza. Την χυχην πανουργοτατος esprime assai bene il soprannome e l’indole di Roberto.
  47. La storia del modo onde Roberto Guiscardo si procacciò il titolo di Duca è un argomento assai intralciato ed oscuro. Seguendo le giudiziose osservazioni del Giannone, del Muratori e del Saint-Marc, ho procurato narrarla nella maniera più coerente e meno inverisimile.
  48. Il Baronio (Annal. ecclesiast. A. D. 1059, n. 69) ha pubblicato l’Atto originale, ch’ei dice aver copiato dal Liber censuum, manoscritto del Vaticano. Ciò nondimeno il Muratori ha pubblicato (Antiq. med. aevi; t. V, p. 851-908) un Liber censuum, ove un tale atto non trovasi; e i nomi di Vaticano e Cardinale destano egualmente i sospetti d’un protestante e d’un filosofo.
  49. V. la vita di Guiscardo nel II e III libro del Pugliese, nel I e II di Gioffredo Malaterra.
  50. Il Giannone (vol. II della sua Istoria civile l. IX, X, XI, e l. XVII, p. 460-470) narra con imparzialità le conquiste di Roberto Guiscardo e di Ruggero I, l’esenzione di Benevento, e delle dodici province del regno. Questa ripartizione però accadde soltanto sotto il regno di Federico II.
  51. Il Giannone (t. II, p. 119-127), il Muratori (Antiq. medii aevi, t. III, Dissert. 44, p. 935, 936), il Tiraboschi (Istor. della letteratura ital.) ne hanno offerto uno specchio storico de’ medici della Scuola Salernitana. Quanto al giudicare la teorica e la pratica della lor medicina, è tal bisogna che ai nostri medici sol s’appartiene.
  52. L’instancabile Enrico Brenckmann ha aggiunte sul finire della sua Historia Pandectarum (Trajecti ad Rhenum, 1722, in 4.), due dissertazioni, De Repubblica amalphitana e De Amalphi a Pisanis direpta, fondate sulla testimonianza di cenquaranta scrittori; ma poi ha dimenticati i due importanti passi dell’ambasceria di Luitprando (A. D. 959), ove s’instituisce un parallelo fra il commercio e la navigazione di Amalfi e di Venezia.
  53. Urbs Latii non est hac delitiosior urbe,
    Frugibus, arboribus vinoque redundat; et unde
    Non tibi poma, nuces, non pulchra palatia desunt,
    Non species muliebris, abest probitasque virorum.

    Guglielmus Appulus, l. III, p. 267.

  54. Il Muratori pretende che i versi di cui parlasi, sieno stati composti dopo l’anno 1066, epoca della morte di Odoardo il Confessore, rex Anglorum, al quale sono indiritti. Le opinioni intorno a ciò, o piuttosto gli sbagli del Pasquier ( Recherches de la France, l. VII, c. 2), e del Ducange (Gloss. lat.) non indeboliscono in modo alcuno le prove del Muratori. Già nel settimo secolo, era conosciuta l’usanza de’ versi rimati; usanza tolta alle lingue nortiche ed orientali (Muratori, Antiquit., t. III; Dissertat., n. 40, p. 686-708).
  55. Esattissima ed assai poetica è la descrizione di Amalfi fatta da Guglielmo Pugliese (l. III, p. 267) co’ seguenti versi, il terzo de’ quali sembra alla bussola riferirsi:

    Nulla magis locuples argento, vestibus, auro,
    Partibus innumeris: hac pluribus urbe moratur
    Nauta maris coelique vias aperire peritus.
    Huc et Alexandri diversa feruntur ab urbe
    Regis, et Antiochi. Gens haec freta plurima transit.
    His Arabes, Indi, Siculi nascuntur et Afri.
    Haec gens est totum prope nobilitata per orbem,
    Et mercando ferens, et amans marcata referre.

  56. Il nostro Autore appoggia forse questo calcolo ai riferti de’ viaggiatori eruditi che nel principio del secolo decimottavo visitarono Amalfi (Brenckm., De rep. Amalph. Diss. 1, c. 23); l’Autore però della Hist. des Rep. Ital., nel vol. I, p. 304, ne porta la popolazione a sei o ottomila abitanti. (N. dell’Ed.).
  57. Latrocinio armigerorum suorum in multis sustentabatur, quod quidem ad ejus ignominiam non dicimus; sed, ipso ita praecipiente, adhuc viliora et reprehensibiliora dicturi sumus, ut pluribus patescat, quam laboriose et cum quanta angustia a profonda paupertate ad summum culmen divitiarum vel honoris attigerit. Così il Malaterra s’introduce a narrare il furto de’ cavalli (lib. I, c. 25). Dal momento che questo autore fa menzione di Ruggero, suo mecenate (l. I, c. 19), Guiscardo, qual secondo personaggio, sol comparisce. Trovasi qualche cosa di somigliante nella condotta di Velleio Patercolo, Storico di Augusto e di Tiberio.
  58. Duo sibi proficua reputans, animae scilicet et corpori, si terram idolis deditam ad cultum divinum revocaret (Gioffredo Malaterra, l. II, c. 1). I tre ultimi libri di questo Storico son dedicati a narrare la conquista della Sicilia; e lo stesso Malaterra ha composto il Sommario esatto de’ suoi Capitoli (p. 544-546).
  59. V. la parola milites nel Glossario latino del Ducange.
  60. Fra le altre circostanze curiose, o bizzarre, il Malaterra ne racconta che gli Arabi aveano introdotto in Sicilia l’uso de’ cammelli, (l. 1, c. 33), e de’ colombi messaggeri (c. 42); che il morso della tarantola produce una malattia quae per anum inhoneste crepitando emergit; fenomeno assai ridicolo cui soggiacque tutto l’esercito de’ Normanni, accampato sotto la mura di Palermo (c. 36). Aggiugnerò una etimologia che non è indegna dell’undicesimo secolo. Messana è derivato di Messis, luogo d’onde le biade venivano dalla Sicilia inviate in tributo a Roma (l. II, c. 1).
  61. V. la capitolazione di Palermo nel Malaterra (lib. II, c. 45) e nel Giannone che parla sulla tolleranza generale conceduta ai Saracini (t. II, p. 72).
  62. Giovanni Leone Affricano (De medicis et philosophis Arabibus, c. 14, presso Fabricio, Bibl. graec. t. XIII, p. 278, 279). Questo filosofo nomavasi Esseriff, Essascialli, e morì nell’Affrica (A. E. 516, A. D. 1112). Tal denominazione ha molta somiglianza coll’altra Seriff al Eldrisi. Così chiamavasi chi offerse il suo libro (Geogr. nubiens.; V. la Prefazione, p. 88, 90, 176) a Ruggero re di Sicilia (A. E. 548, A. D. 1153; D’Herbelot, Bibl. orient. p. 786; Prideaux, Life of Mahomet, pag. 188; Petis de la Croix, Hist. de Gengis-kan, p. 535, 536; Casiri, Bibl. arab. hispan. t. II, p. 9-13), onde temo sia accaduto in ordine a ciò qualche equivoco.
  63. Il Malaterra parlando della fondazione de’ Vescovadi (l. IV, c. 7) porta la Bolla in originale (l. IV, c. 29). Il Giannone, come istorico del paese, offre un’idea di questo privilegio e della monarchia di Sicilia (t. II, p. 95-102), e Saint-Marc (Abrégé, t. III, p. 217-301) discute una tale quistione con tutta l’abilità d’un giureconsulto siciliano.
  64. Nelle descrizioni della prima spedizione di Roberto contra i Greci, i miei autori sono: Anna Comnena (I, II, IV, V. libri dell’Alexiade), Guglielmo Pugliese (lib. IV e V, p. 270-275), e Gioffredo Malaterra (l. III, c. 13, 14-24, 29-39); essi erano contemporanei, e possono riguardarsi come autentici i loro scritti, avvertendo però, che niun d’essi fu testimonio oculare delle battaglie.
  65. Una di queste si sposò ad Ugo, figlio di Azzo, o Axo, marchese di Lombardia (Guglielmo Pugliese, l. III, p. 267), ricco, potente e nobile nell’undecimo secolo, e i cui maggiori il Muratori e il Leibnitz hanno scoperto appartenere al nono e decimo secolo. Le due famose Case di Brunswick e di Este derivano da due figli primogeniti del marchese Azzo. V. Muratori, Antichità Est.
  66. Anna Comnena loda e sospira con un po’ troppo di libertà questo bel giovinetto, che le venne promesso in isposo quando fu sciolto l’altro contratto di nozze colla figlia di Guiscardo. Nel lib. I, pag. 23, ella dice che questo principe era αγαλμα φυσεως ... Θεου χειρων φιλοτιμημα .... χρυσου γενους απορροη un gioiello dalla natura ... una bell’opera delle mani di Dio ... una emanazione dell’età d’oro, ec. (p. 27). Ella descrive altrove il bianco e il vermiglio della pelle, gli occhi di falco ec. l. III, p 71.
  67. Anna Comnena (l. I, p. 28-29), Guglielmo Pugliese (l. IV, p. 271), Gioffredo Malaterra (l. III, c. 13, p. 579, 580). Più circospetto si mostra quest’ultimo; ma il Pugliese dice,

         Mentitus se Michaelem
    Venerat a Danais quidam seductor ad illum.

    Si lasciò sorprendere da questa frode Gregorio VII; e il Baronio è quasi l’unico che la voglia sostenere qual verità (A. D. 1080, n. 44).

  68. Ipse armatae militia non plusquam MCCC milites secum habuisse, ab eis qui eidem negotio interfuerunt attestatur (Malaterra, l. III, c. 24, p. 583), e sono i medesimi che il Pugliese al l. IV, p. 273 chiama equestris ducis, equites de gente ducis.
  69. Εις τριακοντα χιλιαδας da trentamila, così si esprime Anna Comnena (Alexias, l. I, p. 37), e un tale calcolo concorda col numero e col carico de’ navigli. Ivit in Dyrrachium cum XV militibus hominum, dice il Chronicon Breve Normannicum (Muratori, Scriptores, t. V, p. 278). Io mi sono adoperato a conciliare insieme queste diverse testimonianze.
  70. L’Itinerario di Gerusalemme (p. 609, ediz. Wesseling) accenna un intervallo ragionevole e vero di mille stadj, o cento miglia, che stravagantemente hanno duplicato Strabone (l. VI, pag. 433) e Plinio (Hist. nat. III, 16).
  71. Plinio (Hist. nat. III, 6, 16) assegna QUINQUAGINTA miglia a questo brevissimus cursus, e indica la vera distanza da Otranto alla Vallona o Aulon (d’Anville, Analyse de sa carte des côtes de la Grèce, etc. p. 3-6). Ermolao Barbaro che sostituisce il vocabolo centum (Hardouin, not. 66, in Plin. lib. III) avrebbe potuto essere corretto da quanti piloti veneziani erano usciti di quel golfo.
  72. Infames scopulos Acroceraunia, Horat., Carmen 1 e 3. Vi è qualche poco di esagerazione nel praecipitem Africum decertantem aquilonibus et rabiem Noti, e nel monstra natantia dell’Adriatico; ma Orazio palpitante per la vita di Virgilio, è un esempio che ben comparisce nella storia della poesia e dell’amicizia.
  73. Των δε εις τον πωγωνα αυτου εφυβρισαντων insultavanlo per la barba (che gli mancava) (Alexias, l. IV, p. 106). Ciò nondimeno i Normanni si radeano la barba; i Veneziani la lasciavano crescere: di qui avrà avuta origine la mancanza di barba attribuita, poco felicemente per dir vero, a Boemondo (Ducange, Not. ad Alex., p. 283).
  74. Il Muratori (Annali d’Italia, t. IX, p. 136, 137), osserva che alcuni autori (Pietro Diacono, Chron. Casin. lib. III, cap. 49) fanno ascendere l’esercito de’ Greci a censettantamila uomini, ma che si può levare il cento, lo stesso Malaterra indicandone soli settantamila; piccola svista! Il passo al quale fa allusione il Muratori trovasi nella Cronaca di Lupo Protospata (Script. ital. t. V, p. 45). Il Malaterra, (l. IV, 17) parla in termini, ampollosi, ma vaghi, di questa imperiale spedizione: Cum copiis innumerabilibus, e il Poeta Pugliese (l. IV, p. 272):

    More locustarum montes et plana teguntur

    .
  75. V. Guglielmo di Malmsbury, De Gestis Anglor., l. II, p. 92. Alexius fidem Anglorum suscipiens, praecipuis familiaritatibus his eos applicabat, amorem eorum filio transcribens. Orderico Vitale (Hist. eccles., l. IV, pag. 508, l. VII, p. 841) racconta la partenza di questi profughi dall’Inghilterra e il modo onde presero servigio in Grecia.
  76. V. il Pugliese (l. I, p. 256). Ho già descritto nel capitolo LIV la storia e l’indole di questi Manichei.
  77. V. il semplice ed ammirabile racconto di Cesare (Comment. de bell. civil. III, 41-75). Gli è da deplorarsi che Quinto Icilio (il Signor Guichard) non sia vissuto a bastanza per far le note a questa parte di essi come le ha fatte alle azioni campali dell’Affrica e della Spagna.
  78. Παλλας αλλη και μη Σθηνη un’altra Pallade, ma non Minerva. Il presidente Cousin (Hist. de Constantinople, t. IV, p. 131, in 12) ha tradotto molto aggiustatamente che combattea come una Pallade, benchè non dotta al pari di quella della Grecia. I Greci aveano composti gli attributi delle loro divinità di due caratteri poco fatti per accoppiarsi, quello di Neith, l’artigiana di Sais nell’Egitto, e quello di una vergine amazzone del lago Tritonio nella Libia (Banier, Mythologie, t. IV, p. 1-31, in 12).
  79. Anna Comnena (lib. IV, p. 116) ammira con una specie di terrore le maschili virtù di una tal donna. Queste erano più famigliari alle Latine, e benchè il Pugliese (lib. IV, p. 273) faccia menzione della presenza e della ferita della moglie di Guiscardo, affievolisce l’idea della sua intrepidezza:

    Uxor in hoc bello Roberti forte sagitta
    Quadam laesa fuit: quo vulnere TERRITA nullam
    Dum sperabat opem, se poene SUBEGERAT hosti.

    Il vocabolo subegerat non è felice che trattandosi di una donna prigioniera.

  80. Απο της του Ρομπερτου προηγησαμενης μαχης, γινοσηων την προτων κατα των εναντιων ιππασιαν των Κελτων ανυποιστον dalla prima battaglia data da Romperto, conoscendo l’invincibile cavalleria de’ Celti che primi combattevano nella fronte (Anna, l. V, p. 133) ed altrove και γαρ Κελτος ανηρ πας εποχουμενος μεν ανυπιστος την ορμην, και την θεαν εστιν poichè il Celta a cavallo è formidabile non che all’impeto, alla sola vista (pag. 140). La pedanteria adoperata dalla Principessa nella scelta delle denominazioni classiche ha incoraggiato il Ducange ad attribuire ai suoi compatrioti l’indole degli antichi Galli.
  81. Lupo Protospata (t. III, p. 45) dice seimila; Guglielmo Pugliese più di cinquemila (l. IV, p. 275): nel che è lodevole e singolare la lor modestia; era sì facile ad essi con un tratto di penna l’uccidere venti o trentamila scismatici, od infedeli.
  82. I Romani riguardando come nome di cattivo augurio il nome Epidamnus, gli sostituirono l’altro Dyrrachium (Plinio, III, 26), di cui il popolo avea fatto Duracium (V. il Malaterra), vocabolo che ha qualche somiglianza coll’altro, durezza. Durando era uno fra i nomi di Roberto, e veramente Roberto potea chiamarsi un Durando; giuoco scipitissimo di parole. (Alberic, Monach. in Chron., V. Muratori, Annali d’Italia, t. IX, p. 137).
  83. βρουχους και ακριδας ειπεν αν τις αυτους πατερα και υιον il padre e il figlio erano appellati bruchi e locuste (Anna, lib. I, pag. 35). Mercè tali comparazioni, tanto diverse da quelle di Omero, costei s’immagina inspirar disprezzo ed orrore contra il cattivo animaluzzo che appellasi conquistatore. Fortunatamente il comun raziocinio, ossia la comune irragionevolezza, ai lodevoli disegni della greca Principessa fan guerra.
  84. Prodiit hac auctor Trojanae cladis Achilles.
    Virgilio nel libro secondo dell’Eneide (Larissaeus Achilles) aggiugne forza alla supposizione del Pugliese (l. I, p. 275), supposizione non giustificata dalle geografiche descrizioni che si trovano in Omero.
  85. L’ignoranza ha tradotto των πεδιλων προαλματα, (punte de’ talari) Speroni; e questi impacciavano i cavalieri che combattevano a piedi (Anna Comnena, Alexias, lib. V, p. 140). Il Ducange ha dedotto il vero significato di queste parole da una usanza ridicola, ed incomoda, durata dall’undicesimo secolo fino al decimoquinto. I ridetti speroni, configurati a guisa di scorpione, aveano talvolta due piedi e una catenella d’argento che gli attaccava al ginocchio.
  86. Tutta questa lettera merita di essere letta (Alexias, l. III, p. 93, 94, 95). Il Ducange non ha intese le seguenti parole αστροπελεκυν δεδεμενον μετα χρυμαφις. Ho procurato di dar loro una interpretazione possibilmente plausibile: χρυμαφιου significa corona d’oro. Simone Porzio (in Lexico graeco-barbar.) dice che ασροπελεκυς equivale a κεραυνος, πρηστηρ, lampo.
  87. Intorno a questi principali fatti rimetto i leggitori agli storici Sigonio, Baronio, Muratori, Mosheim, Saint-Marc etc.
  88. Le vite di Gregorio VII sono o leggende, o invettive (Saint-Marc, Abrégé; t. III. p. 233; ec.), e i moderni leggitori non crederanno più ai suoi miracoli che ai suoi sortilegi. Nel Leclerc (Vie de Hildebrand, Bibliothèque ancienne et moderne, t. VIII) si trovano diverse nozioni instruttive a tale proposito, e molte dilettevoli nel Bayle (Dictionaire critique, Grégoire VII). Questo pontefice fu, non v’ha dubbio, un uomo sommo, un secondo Atanasio, in un secolo più fortunato per la Chiesa. Mi sarà egli lecito aggiugnere che il ritratto di Atanasio da me offerto nel Capitolo XXI è uno de’ tratti della mia storia de’ quali mi trovo meno scontento?
  89. Ciò che qui dice l’autore di Gregorio VII forse è esagerato; vegga il lettore ciò che abbiamo scritto di questo Papa famoso in una Nota al vol. IX. (Nota di N. N.)
  90. Anna, col rancore proprio ad una scismatica greca, chiama Gregorio καταπτυσος ουτος Παπας (lib. I, pag. 32), un Papa e un prete degno che gli sia sputato addosso; lo accusa di aver fatto frustare gli ambasciatori di Enrico, di aver fatto ad essi rader la barba; forse d’averli privati degli organi della virilità (p. 31-33); ma questo crudele oltraggio è poco verisimile, nè ben provato. V. la sensata prefazione del Cousin.
  91. .... Sic uno tempore victi
    Sunt terrae Domini duo: rex Alemannicus iste,
    Imperii rector romani maximus ille.
    Alter ad arma ruens armis superatur: et alter
    Nominis auditi sola formidine cessit.

    È cosa non poco singolare che questo poeta latino parli dell’Imperatore greco come se governasse l’Impero romano (t. IV, p. 274).

  92. La narrazione del Malaterra (l. III, c. 37; pag. 587, 588) è autentica, minuta, imparziale. Dux ignem exclamans urbi incensa, etc. Il Pugliese attenua la disgrazia: inde quibusdam aedibus exustis, disgrazia che alcune Cronache parziali si studiano esagerare (Muratori, Annali, t. IX, pag. 147).
  93. Il Gesuita Donato (De Roma veteri et nova, l. IV, c. 8, p. 489) dopo avere parlato di una tale devastazione, aggiugne con grazia: Duraret hodieque in Caelio monte interque ipsum et Capitolium miserabilis facies prostratae urbis, nisi in hortorum vinetorumque amenitatem Roma resurrexisset, ut perpetua viriditate contegeret vulnera et ruinas suas.
  94. Il titolo di Re promesso, o conferito a Roberto dal sommo Pontefice (Anna l. I, p. 32) è a bastanza provato dal Poeta Pugliese (l. IV, p. 270):

    Romani regni sibi promisisse coronam
    Papa ferebatur.

    e non intendo il perchè questo nuovo tratto di giurisdizione apostolica spiaceva al Gretser e ad alcuni altri difensori del Papa.

  95. V. Omero Iliade B. (quanto detesto questo metodo pedantesco di citare i libri dell’Iliade colle lettere dell’alfabeto greco!) 87 ec. Le api di Omero offrono l’immagine di una turba disordinata; perchè la loro disciplina, e i lavori repubblicani sembrano idee di un secolo posteriore (V. Eneide, lib. I).
  96. Guglielmo Pugliese (l. V, p. 276). L’ammirabile porto di Brindisi ne formava due; il porto esterno offeriva un golfo coperto da un’isola, il quale per gradi si restringeva, e comunicava, mediante un canale, nel porto interno che da due bande comprendea la città. Cesare e la natura, sonosi adoperati a rovinarlo: e a petto di siffatte potenze che valgono i deboli sforzi del governo Napolitano? (Swinburne’s Travels in the two Sicilies, vol. I, p. 384-390).
  97. Guglielmo Pugliese (l. V, p. 276) descrive la vittoria de’ Normanni, e dimentica le due sconfitte anteriori, che Anna Comnena però non dimentica (l. VI, p. 159, 160, 161); anzi a sua volta, ella inventa, o esagera una quarta battaglia ove i Veneziani sono vendicati delle perdite sofferte, e del loro zelo ricompensati. I Veneziani non la pensavano così, poichè rimossero il loro Doge, propter excidium stoli. (Dandolo in Chron., Muratori, Script. rerum italicarum, tom. XII, pag. 249).
  98. I più autentici fra gli storici, Guglielmo Pugliese, (l. V, p. 277), Gioffredo Malaterra (l. III, c. 41, p. 589), e Romualdo di Salerno (Chron. in Muratori, Script. rerum ital. t. VII) non fanno parola di un tale misfatto, che trovano tanto evidente Guglielmo di Malmsbury (l. III, p. 107) e Ruggero di Hoveden (pag. 710, in Scrip. post Bedam). L’Hoveden anzi ne viene spiegando, come Alessio il Giusto sposasse, incoronasse, e facesse bruciar viva la complice della sua colpa. Ma questo Storico inglese è sì cieco che colloca Roberto Guiscardo, o Wiscard, nel novero de’ cavalieri di Enrico I, il quale ascese al trono quindici anni dopo la morte del Duca di Puglia.
  99. Anna Comnena cosparge con gioia d’alcuni fiori la tomba del suo nemico (Alexiade, l. V, p. 162-166); ma il merito di Guiscardo è ben meglio provato dalla stima e dalla gelosia di Guglielmo il Conquistatore, ne’ cui Stati la famiglia di Guiscardo vivea. Graecia (dice il Malaterra) hostibus recedentibus libera laeta quievit: Apulia tota, sive Calabria turbatur.
  100. Urbs Venusina nitet tantis decorata sepulchris.
    Uno dei migliori versi del Poema del Pugliese (l. V, p. 278). Guglielmo di Malmsbury (l. III, p. 107) ne ha data cognizione di un epitafio di Guiscardo, che qui non merita d’aver luogo.
  101. Ciò nullameno Orazio condotto a Roma sin dalla sua fanciullezza (Sermon. 1 e 6) avea poche obbligazioni a Venosa, e le sue reiterate allusioni agl’incerti limiti della Puglia e della Lucania (Carm. III, 4, Sermon. II, 1) mal si addicono al suo ingegno e al secolo in cui vivea.
  102. V. Il Giannone (t. II, pag. 88-93) e gli Storici della prima Crociata.
  103. I Regni di Ruggero e dei Re normanni della Sicilia, tengono quattro libri della Istoria civile del Giannone (t. II, l. XI-XIV, p. 136-140), e trovansi qua e là descritti nel nono e decimo volume degli Annali del Muratori. La Biblioteca Italica (t. I, pag. 175-222) contiene un compendio molto utile delle opere del Capecelatro, moderno Napoletano, che ha pubblicati due volumi sulla storia del suo paese, incominciando da Ruggero I e venendo inclusivamente a Federico II.
  104. Giusta le testimonianze di Filisto e di Diodoro, Dionigi tiranno di Siracusa manteneva un esercito di diecimila uomini a cavallo, di centomila fantaccini e di quattrocento galee. Si confrontino l’Hume (Saggi, v. I, p. 268-435) e il Wallace, avversario di questo istorico, (Numbers of Mankind, p. 306-307). Tutti i viaggiatori, D’Orville, Reidesel, Swinburne, ec. parlano delle rovine d’Agrigento.
  105. Un autore contemporaneo che descrive le azioni di Ruggero, dall’anno 1127 all’anno 1135, fonda i titoli di questo principe sul merito e sulla possanza del medesimo, sul consenso de’ Baroni, e sull’antichità della monarchia di Palermo e della Sicilia, senza far parola della investitura di Papa Anacleto (Alexand. caenobii Telesini abbatis de rebus gestis regis Rogerii, l. IV, in Muratori, Script. rerum ital., t. V, p. 607-645).
  106. I Re di Francia, d’Inghilterra, di Scozia, di Castiglia, di Aragona, di Navarra, di Svezia, di Danimarca e di Ungheria. Il trono de’ primi tre era assai più antico di quello di Carlomagno. Fra i sei successivi, i tre primi aveano fondate colla spada, i tre ultimi col battesimo le loro monarchie. Il Re d’Ungheria era il solo che avesse avuto l’onore, o l’affronto di ricevere dal Papa la propria corona.
  107. Fazello, e una folla d’altri Siciliani, hanno immaginata una incoronazione precedente di alcuni mesi, alla quale nè il Papa, nè l’Imperatore avrebbero avuta parte (A. D. 1130, 1 maggio). Il Giannone a proprio malgrado la nega (t. II, p. 137-144): il silenzio dei contemporanei dismentisce una tal favola, nè vale a sostenerla un preteso chirografo di Messina. (Muratori, Annali d’Italia, t. IX, p. 340; Pagi, Critica, t. IV, p. 467, 468).
  108. Ruggero corruppe il secondo ufiziale dell’esercito di Lottario, il quale fece sonare a ritratta, o piuttosto gridò alle truppe di ritirarsi: perchè gli Alemanni, aggiugne il Cinnamo (l. III, c. I, p. 51) non conoscono l’uso delle trombe. Nell’asserire la qual cosa, ci mostra di non conoscere egli medesimo gli usi de’ popoli che ha descritti.
  109. V. De Guignes, Hist. génér. des Huns, t. I, p. 369-373, e Cardonne, Hist. de l’Afrique, etc., sous la domination des Arabes, t. II, p. 70-140. Sembra che questi due autori abbiamo preso Novairi per loro guida.
  110. Tripoli (dice il Geografo di Nubia, o parlando con più esattezza il Seriffo al Edrisi) urbs fortis, saxeo muro vallata, sita prope littus maris. Hanc expugnavit Rogerius, qui mulieribus captivis ductis, viros peremit.
  111. V. la Geografia di Leone l’Affricano (in Ramusio, t. I, fol. 74, vers. fol. 75 recto) e i Viaggi di Shaw (p. 110); il settimo libro del presidente De Thou, e l’undecimo dell’Abate di Vertot. I cavalieri di Malta ebbero la saggezza di rifiutare questa piazza, che Carlo V offeriva loro a condizione di difenderla.
  112. Il Pagi ha indicate con esattezza le conquiste di Ruggero nell’Affrica: e l’amico di lui, l’abate di Longuerue, ne illustrò le osservazioni con alcune Memorie arabe (A. D. 1147, n. 26, 27; A. D. 1148, n. 16: A. D. 1153, n. 16).
  113. Appulus et Calaber, Siculus mihi servit et Afer. Orgogliosa iscrizione, dalla quale apparisce che i vincitori normanni veniano sempre contraddistinti dai lor sudditi Cristiani e Musulmani.
  114. Ugone Falcando (Hist. Sicula, in Muratori, Script., t. VII, p. 270, 271) attribuisce tali perdite alla negligenza, o alla perfidia dell’ammiraglio Maio.
  115. Al silenzio degli Storici siciliani, che finiscono troppo presto, o cominciano troppo tardi, possono supplire Ottone di Fraysingen (De gest. Freder. I, l. I, c. 33, in Muratori, Scriptor., t. VI, pag. 668), il veneziano Andrea Dandolo (Id., t. XII, p. 282, 283) e gli Autori greci, Cinnamo (l. III, c. 2-5) e Niceta (in Manuel. l. II, c. 1-6).
  116. Credo riferirsi alla prigionia e alla liberazione di Luigi VII il παρ ελιγον ηλθε του αλωναι, venne dall’essere prigioniero per poco tempo, di Cinnamo l. II, c. 19, p. 47. Il Muratori, fondandosi sopra assai valevoli testimonianze (Ann. d’Ital. t. IX, p. 420, 421), si fa beffe del dilicato riguardo di alcuni autori Francesi i quali asseriscono marisque nullo impediente periculo ad regnum proprium reversum esse; del rimanente il loro difensore Ducange, a quanto osservo, si mostra meno asseverante nel comentare Cinnamo che allorquando presenta l’edizione del Joinville.
  117. In palatium regium sagittas igneas injecit, dice Dandolo; ma Niceta (l. II, c. 8, p. 66) trasforma queste frecce in Βελη αργντεους εχοντα ατρακτους, frecce che aveano la punta d’argento; aggiugnendo che Manuele qualificava un tale oltraggio co’ vocaboli παιγνιον, γελωτα .... γηστευοντα, puerili, ridicoli ... da ladroni. Un compilatore, Vincenzo di Beauvais, dice che queste frecce erano d’oro.
  118. V. intorno all’invasione dell’Italia, argomento quasi disdegnato da Niceta, la più accurata storia del Cinnamo (l. IV, c. 1-15, p. 78-101). Quest’ultimo si fa strada ad una diffusa narrazione con questo pomposo proemio, περι της Σικελιας τε, και της Ιταλων εσηεπτετολης, ως και γαυτας Ρωμαιοις ανασωσαιτο, fu veduto intorno alla Sicilia, e all’Italia, inteso a restituire a Roma anche quelle province.
  119. Un Autore latino, Ottone (De gestis Friderici I, l. II, c. 30, p. 734), attesta essere stato finto un tal documento. Il Greco Cinnamo (l. I, c. 4, p. 78) fa valere una promessa di restituzione di Corrado, o di Federico. Una frode è sempre credibile quando viene attribuita ai Greci.
  120. Quod Anconitani graecum imperiunt nimis diligerent.... Veneti speciali odio Anconam oderunt. I beneficia e il flumen aureum dell’Imperatore erano la cagione di questo effetto, e forse ancora di una tal gelosia. Il Cinnamo (l. IV, c. 14) conferma la narrazione latina.
  121. Il Muratori fa menzione di due assedj di Ancona. Il primo nel 1167, sostenuto contra Federico I, che combattè in persona (Ann., t. X, p. 39 ec.), il secondo nel 1173, contra l’arcivescovo di Magonza, luogotenente di questo principe, prelato indegno del suo titolo e delle sue cariche (p. 76 ec.). Le Memorie pubblicate dal Muratori nelle sua grande Raccolta (t. VI, p. 921-946) al secondo assedio si riferiscono.
  122. Questa circostanza abbiam ricavata da una Cronaca anonima del Fossa Nova, pubblicata dal Muratori (Script. ital., t. VII, p. 874).
  123. Il βασιλειος σημειον, segno regio, del Cinnamo (l. IV, c. 14, pag. 99) ammette due spiegazioni. Uno stendardo si conforma meglio ai costumi de’ Latini, una immagine a quelli de’ Greci.
  124. Nihilominus quoque petebat, ut quia occasio justa et tempus opportunum et acceptabile se obtulerant, romani corona imperii a sancto apostolo sibi redderetur; quoniam non ad Frederici Alamanni, sed ad suum jus asseruit pertinere (vit. Alexandri III a cardinal. Aragoniae, in Script. rer. ital., t. III, part. I, p. 458). Egli partì per la sua seconda ambasceria, cum immensa multitudine pecuniarum.
  125. Nimis alta et perplexa sunt (vit. Alexandri III, p. 460, 461), dicea il circospetto Pontefice.
  126. Μηδεν γεσον ειναι λεγλν Ρωμη τη νεοτερα προς την πρεσβυτεραν παλαι απορραμεισωέ, dicendo non essere alcuna differenza dalla nuova Roma in confronto all’antica, dopo averle divise. (Cinnamo, l. IV, c. 14, p. 99).
  127. Il Cinnamo nel suo sesto libro descrive la guerra di Venezia, che Niceta non ha giudicata degna della sua attenzione. Il Muratori porta all’anno 1171 e successivi alcune particolarità che riguardano gl’Italiani, e che non hanno un vezzo generale per noi.
  128. Romualdo di Salerno (in Muratori, Scr. Ital., t. VII, p. 198) fa menzione di una tale vittoria. Ella è cosa assai singolare che il Cinnamo (l. IV, c. 13, p. 97, 98) si mostri più animato del Falcando, e racconti particolarità omesse da questo Storico (p. 208, 270) nel far l’encomio del Re di Sicilia. Ma l’Autore greco amava le descrizioni, e il Latino non amava Guglielmo il Cattivo.
  129. V. intorno alla lettera di Guglielmo I, il Cinnamo (l. IV, c. 15, p. 101, 102) e Niceta (l. II, c. 8). Sarebbe cosa malagevole il decidere, se i Greci s’ingannassero eglino stessi, o volessero ingannare il Pubblico con queste adulatrici descrizioni della grandezza dell’Impero.
  130. Non posso citare a tal luogo altre originali testimonianze fuor delle miserabili cronache di Sicardo di Cremona (p. 603), e del Fossa Nova (p. 875) che leggonsi nel settimo volume storico del Muratori. Il Re di Sicilia inviò le sue truppe contra nequitiam Andronici ... ad acquirendum imperium C. P. I soldati del medesimo furono capti aut confusi ... decepti, captique da Isacco.
  131. Ne manca qui il soccorso del Cinnamo, e ci vediamo ridotti a Niceta (Andronico, l. I, c. 7, 8, 9, l. II, c. 1, Isacco l’Angelo, l. I, c. 1-4) che diviene un contemporaneo di molto peso. Avendo egli scritto dopo la caduta dell’Imperatore e dell’Impero non è trascorso in adulazioni: ma il disastro di Costantinopoli inacerbisce la sua nimistà contro i Latini. Noterò qui ad onore della letteratura che Eustazio, arcivescovo di Tessalonica, il famoso comentatore di Omero, ricusò di abbandonare il suo gregge.
  132. La Historia Sicula di Ugone Falcando che, per parlare aggiustatamente procede dall’anno 1154 all’anno 1169, trovasi nel settimo volume della Raccolta del Muratori (p. 259-344), ed è preceduta (p. 251-258) da una Prefazione, o eloquente lettera de calamilatibus Siciliae. Il Falcando è stato soprannomato il Tacito della Sicilia, e, salva l’immensa differenza che passa fra il primo secolo, e il dodicesimo, tra un senatore ed un frate, non disputerò al Falcando un simile onore. Rapida e chiara ne è la narrazione, coraggioso ed elegante lo stile, sensatissime le osservazioni: conoscea gli uomini, e cuore d’uomo egli avea. Spiacemi soltanto che abbia spese le sue fatiche sopra un terreno tanto sterile, ed esteso sì poco.
  133. I laboriosi Benedettini pensano (Art de vérifier les Dates, p. 896) che il vero nome di Falcando sia Fulcandus, o Foucault. A loro avviso, Ugo Foucault, francese d’origine, che divenne in appresso Abate di S. Dionigi, avea seguìto in Sicilia il suo protettore, Stefano De La Perche, zio della madre di Guglielmo II, arcivescovo di Palermo, e Gran Cancelliere del regno. Ciò nullameno il Falcando ha tutti i sentimenti di un Siciliano, e il titolo di Alumnus che egli si attribuisce da sè medesimo, sembra indicare che egli sia nato, o almeno allevato nell’Isola.
  134. (Falcando p. 303). Riccardo di S. Germano incomincia la sua Storia dal narrare la morte, e dal far gli encomj di Guglielmo II. Dopo alcuni epiteti che non significano nulla, aggiunge: Legis et justitiae cultus tempore suo vigebat in regno: sua erat quilibet sorte contentus (erano questi uomini?), ubique pax, ubique securitas, nec latronum metuebat viator insidias, nec maris nauta offendicula piratarum (Script. rer. ital. t. VII, p. 969).
  135. Costantia, primis a cunabilis in deliciarum tuarum affluentia diutius educata, tuisque institutis, doctrinis et moribus informata, tandem opibus tuis Barbaros delatura discessit: et nunc cum ingentibus copiis revertitur, ut pulcherrima nutricis ornamenta barbarica foeditate contaminet...... Intueri mihi jam videor turbulentas Barbarorum acies .... civitates opulentas et loca diuturna pace florentia, metu concutere, caede vastare, rapinis atterere et foedare luxuria: hinc cives aut gladiis intercepti, aut servitute depressi, virgines constupratae, metronae, etc.
  136. Certe si regem non dubiae virtutis elegerint, nec a Saracenis Christiani dissentiant, poterit rex creatus, rebus licet quasi desperatis et perditis subvenire, et incursus hostium, si prudenter egerit, propulsare.
  137. In Appulis, qui, semper novitate gaudentes, novarum rerum studiis aguntur, nihil arbitror spei aut fiduciae reponendum.
  138. Si civium tuorum virtutem et audaciam attendas ..... murorum etiam ambitum densis turribus circumspectum.
  139. Cum crudelitate piratica Theutonum confligat atrocitas, et inter ambustos lapides, et Ethnae flagrantis incendia, etc.
  140. Eam partem quam nobilissimarum civitatum fulgor illustrat, quae et toti regno singulari meruit privilegio praeminere, nefarium esset ... vel Barbarorum ingressu pollui. Merita di essere letta la descrizione ricercata sì, ma non priva di vezzo, con cui il Falcando dipinge il palagio, la città, e l’ubertosa pianura di Palermo.
  141. Vires non suppetunt, et conatus tuos tam inopia civium, quam paucitas bellatorum elidunt.
  142. At vero, quia difficile est Christianos in tanto rerum turbine, sublato regis timore, Saracenos non opprimere, si Saraceni injuriis fatigati ab eis coeperint dissidere, et castella forte marittima, vel montanas munitiones occupaverint; ut hinc cum Theutonicis summa virtute pugnandum, illinc Saracenis crebris insultibus occurrendum, quid putas acturi sunt Siculi inter has depressi angustias, et velut inter malleum et incudem multo cum discrimine constituti? Hoc utique agent quod poterunt, ut se Barbaris miserabili conditione dedentes, in eorum se conferant potestatem. O utinam plebis et procerum, Christianorum et Saracenorum vota conveniant, ut, regem sibi concorditer eligentes, Barbaros totis viribus, toto conanime, totisque desideriis proturbare contendant; nel qual voto i Normanni e i Siciliani vengono confusi fra loro.
  143. La testimonianza di un Inglese, Ruggero di Hoveden (p. 689), è di poco peso a fronte del silenzio degli Autori alemanni ed italiani (Muratori, Annali d’Italia, tom. X, p. 156). Gli ecclesiastici, e i pellegrini che tornavan da Roma, innumerevoli favole spacciarono sull’onnipotenza del Santo Padre.
  144. Ego enim in eo cum Theutonicis manere non debeo. (Caffari, Annales genuenses, in Muratori, Script. rer. ital. t. VI, p. 367, 368).
  145. V. intorno ai Saracini della Sicilia e di Nocera gli Annali del Muratori (t. X, p. 149, ed A. D. 1223-1247), il Giannone (t. II, p. 385); e fra gli originali citati nella Raccolta del Muratori, Riccardo di S. Germano (t. VII, p. 996), Matteo Spinelli di Giovenazzo (t. VII, p. 1064), Nicolò di Jamsilla (t. X, p. 494) e Matteo Villani (t. XIV, l. VII, p. 103). L’ultimo di questi Scrittori lascia luogo a pensare che Carlo II della Casa di Angiò, adoperasse l’artifizio anzichè la violenza per ridurre in soggezione i Saracini di Nocera.
  146. Il Muratori cita il passo di Arnaldo di Lubecca (l. IV, c. 20): Reparit thesauros absconditos, et omnem lapidum pretiosorum et gemmarum gloriam, ita ut oneratis 160 sommariis, gloriose ad terram suam redierit. Ruggero di Hoveden, che accenna la violazione delle tombe e de’ cadaveri de’ monarchi, fa ascendere il valore dello spoglio di Salerno a dugentomila once d’oro (p. 746). Al qual proposito, sarei propenso ad esclamare colla giovinetta stordita del La-Fontaine: Vorrei aver io quel che ci manca.