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dell'impero romano cap. lvi | 203 |
derla. Se le due nazioni, sollecite della comune lor sicurezza, si uniscono sotto un medesimo re, potranno far impeto sui Barbari con forze invincibili: ma se i Musulmani, stanchi di una lunga serie d’ingiustizie si ritirassero, e facessero sventolare lo stendardo della ribellione, se s’impadronissero de’ castelli, delle montagne e della costa marittima, gli sciagurati Cristiani, esposti a doppio assalto, e quasi posti fra l’incude e il martello, costretti sarebbero a rassegnarsi ad inevitabile servitù1.„ A tale proposito non debbe omettersi di osservare essere un prete che antepone il suo paese alla sua religione, e che i Musulmani, co’ quali cotest’uomo voleva una lega, erano ancora numerosi e potenti nella Sicilia.
Il Falcando vide compiersi la prima parte delle sue speranze, o almen de’ suoi voti. I Siciliani con voce unanime, conferirono lo scettro a Tancredi, pronipote del primo Re, illegittimo di nascita, ma dotato di virtù civili e militari, che senza alcuna
- ↑ At vero, quia difficile est Christianos in tanto rerum turbine, sublato regis timore, Saracenos non opprimere, si Saraceni injuriis fatigati ab eis coeperint dissidere, et castella forte marittima, vel montanas munitiones occupaverint; ut hinc cum Theutonicis summa virtute pugnandum, illinc Saracenis crebris insultibus occurrendum, quid putas acturi sunt Siculi inter has depressi angustias, et velut inter malleum et incudem multo cum discrimine constituti? Hoc utique agent quod poterunt, ut se Barbaris miserabili conditione dedentes, in eorum se conferant potestatem. O utinam plebis et procerum, Christianorum et Saracenorum vota conveniant, ut, regem sibi concorditer eligentes, Barbaros totis viribus, toto conanime, totisque desideriis proturbare contendant; nel qual voto i Normanni e i Siciliani vengono confusi fra loro.