Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/55

CAPITOLO LV

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CAPITOLO LV.

I Bulgari. Origine, migrazioni, e fermate degli Ungaresi. Lor correrie nell'Oriente e nell'Occidente. Monarchia de' Russi. Particolarità sulla Geografia, e il commercio di questa nazione. Guerra de' Russi contro l'Impero Greco. Conversione de' Barbari.

Sotto il regno di Costantino, pronipote di Eraclio, un nuovo sciame di Barbari distrusse per un continuo avvenire quel cancello antico del Danubio che fu poi così spesso atterrato, e rifabbricato. I progressi di questi Barbari, vennero, a caso e senza che eglino stessi se ne avvedessero, favoreggiati dai Califfi. Le legioni romane non mancavano di faccende nell’Asia, e, dopo avere perduto la Sorìa, l’Egitto, e l’Affrica, i Cesari si videro per due volte ridotti al rischio, e al disdoro di difendere contro i Saracini la lor capitale. Se nel narrare diverse particolarità intorno a questo popolo tanto spettabile, io ho deviato alcun poco dalla linea che prefissa erami nel divisamento della mia Opera, l’importanza del soggetto coprirà questa colpa e servirammi di scusa. Tanto nell’Oriente quanto nell’Occidente, così negli affari di guerra come in quelli di religione, o considerando i progressi che fecero nelle Scienze, o la loro prosperità, o la lor decadenza, gli Arabi eccitano sotto ogni aspetto la nostra curiosità. Possono attribuirsi all’armi loro i primi disastri della Chiesa greca, e del greco Impero; e i discepoli di Maometto tengono tuttavia lo scettro civile e religioso delle [p. 52 modifica]nazioni dell’Oriente. Ma avrebbe argomento poco degno di un’eguale fatica, la storia di quegli sciami di popoli selvaggi che, nel tempo trascorso fra il settimo, e il dodicesimo secolo, ora a guisa di passeggieri torrenti, or per una sequela di migrazioni1 dalle pianure della Scizia l’Europa innondarono. Barbari sono i lor nomi, incerta la loro origine: confuso il modo onde son pervenute a noi le lor geste. Governati da una cieca superstizione, e da un valor brutale condotti, costoro non offerivano nella monotonia delle lor vite pubblica e privata, nè le soavità dell’innocenza, nè i lumi della politica. I disordinati loro assalti furono infruttuosi contra il soglio di Bisanzio: la maggior parte di queste bande è sparita senza lasciar vestigio di sè, e i loro miserabili avanzi rimangono, e rimarranno forse ancor lungo tempo, sotto dominazioni ad essi straniere. Mi limiterò a scegliere per mezzo alle antichità, I de’ Bulgari, II degli Ungaresi, III de’ Russi, quei tratti che meritano essere conservati. IV la Storia delle conquiste de’ Normanni, e V della Monarchia de’ Turchi mi condurrà alle memorabili Crociate di Terra Santa e alla doppia caduta della città, e dell’impero di Costantino. [p. 53 modifica]

[A. D. 680] I. Intanto che movea verso l’Italia, Teodorico2 Re degli Ostrogoti, gli fu mestieri col debellarli, superare l’ostacolo che i Bulgari gli opponevano. Dopo una tale sconfitta, il nome di Bulgari, e questa popolazione medesima, sparvero per un secolo e mezzo; onde avvi luogo a credere che sol per via di nuove colonie fattesi sulle rive del Boristene, del Tanai, o del Volga, nuovamente si diffondesse in Europa o la stessa denominazione, od una denominazione allo incirca non dissimile. Un re dell’antica Bulgaria3, giunto agli estremi del vivere, lasciò ai cinque suoi figli un’ultima lezione di moderazione e concordia, che i giovani Principi ricevettero, come d’ordinario soglionsi ricevere dalla gioventù gli avvisi della vecchiezza, e della esperienza. Seppellirono il padre loro, si scompartirono i suoi sudditi e le sue mandrie, i consigli ne dimenticarono. Separatisi indi, o ciascuno postosi a capo della sua truppa, cercarono fortuna, chi da una banda, e chi dall’altra, e troviam ben tosto il più avventuroso di essi, nel cuor dell’Italia sostenuto dalla protezione dell’Esarca di Ravenna4; ma il corso della migrazione si [p. 54 modifica]volse, o venne trascinato verso la capital dell’Impero. Allora la moderna Bulgaria, acquistando, sulla riva australe del Danubio il nome e la forma che mantiene ancor tuttavia, queste popolazioni ottennero per guerra, o per negoziati le province romane della Dardania, della Tessaglia, e dei due Epiri5; tolsero la supremazia ecclesiastica alla città, che fu patria di Giustiniano: e al momento della loro prosperità, la città oscura di Licnido, ovvero Acrida, divenne la residenza del loro Re, e del loro Patriarca6. Una prova incontrastabile, e dal loro idioma dedotta, ne assicura che i Bulgari derivano dalla schiatta primitiva dagli Schiavoni, o, per parlare con maggiore esattezza, dagli Slavoni7; e che le popolazioni de’ Serviani, de’ Bosnj, de’ Rasciani, de’ Croatti, de’ Valacchi, venute dalla medesima [p. 55 modifica]origine8 ec. seguirono gli stendardi o l’esempio della tribù principale. Queste diverse tribù tennero i diversi paesi che giaciono fra l’Eussino, e il mare Adriatico, quali in istato di prigioniere o di suddite, quali di confederate o nemiche del greco Impero; e il loro nome generico di Slave9 che equivaleva a gloria, corrotto dal caso o dalla malivolenza, non indica oggi giorno che servitù10. [A. D. 900 ec.] Fra queste colonie i Crobaziani11 o Croatti, che oggidì fan [p. 56 modifica]parte della forza militare degli Austriaci, discendono da un poderoso popolo, già vincitore e sovrano della Dalmazia. Le città marittime, e fra l’altre la nascente Repubblica di Ragusi, avendo implorato il soccorso e gli avvisi della Corte di Bisanzio, Basilio ebbe tanta grandezza d’animo per consigliarle a non serbare al romano Impero che una lieve testimonianza di lor fedeltà, e di calmare, mercè un annuale tributo, il furore di quegli invincibili Barbari. Undici Zupani, o proprietarj di grandi feudi, si scompartivano il regno della Croazia: e le lor forze unite componeano un esercito di sessantamila uomini a cavallo e di centomila fantaccini. Una lunga costa di mare coperto da una catena di isole, frastagliato da ampj porti, e quasi a veggente delle rive dell’Italia, allettava alla navigazione i Latini, e gli stranieri. Le lancie, e i brigantini de’ Croatti erano foggiati a guisa delle barche de’ primi Liburnj. E per vero dire, cento ottanta navigli offrono l’idea d’una rilevante marineria; ma gli uomini di mare de’ nostri giorni non potrebbero rattenere le risa in udendo memorare vascelli da guerra, la cui ciurma non sommava a maggior numero di dieci, venti, o quaranta uomini al più. S’introdusse a poco a poco l’usanza di adoperare più onorevolmente siffatti navigli ai bisogni del commercio: nullameno i pirati schiavoni erano sempre in grande numero e da temersi; e solamente sul finire del decimo secolo la Repubblica [p. 57 modifica]di Venezia, si assicurò la libertà e la sovranità del Golfo12. Gli antenati di questi re dalmati, peregrini agli usi come agli abusi della navigazione, abitavano la Croazia Bianca, le parti interne della Slesia, e della piccola Polonia, lontani, giusta i calcoli de’ Greci, trenta giornate dal Mar Nero.

[A. D. 640-1017] Poco durevole e poco estesa del pari fu la gloria de’ Bulgari13. Ne’ secoli nono e decimo, regnavano ad ostro del Danubio; ma più poderose nazioni che migrate erano dopo di essi, gl’impedirono volgersi di nuovo a settentrione, o di far progressi verso il ponente. Nondimeno nell’oscuro novero delle loro imprese, una ne posson citare, di cui fino a quel momento era stato serbato l’onore ai soli Goti, quella di avere ucciso in battaglia uno fra i successori d’Augusto e di Costantino. L’imperatore Niceforo dopo avere perduta la sua fama nella guerra d’Arabia, perdè la vita nell’altra che contro gli Schiavoni sostenne. Nel principio della stagione campale penetrato era con arditezza, e buon successo, nel cuore della Bulgaria, giunto a metter fuoco alla Corte Reale, che, giusta ogni apparenza, era, e non altro, [p. 58 modifica]un villaggio colle case fabbricate di legno; ma intanto che al bottino si affaccendava, ricusando ogni proposta di negoziazioni, i nemici ripresero coraggio, e, riunite le loro forze, posero ostacoli insuperabili alla sua ritirata; per lo che fu udito esclamare tremando: „Oimè! Oimè! A meno di valerci d’ali come gli uccelli, non ci rimane alcuna via di salvezza„. Due interi giorni standosi nella inerzia della disperazione, aspettò il suo destino; ma al giunger del terzo, e sorpreso il campo imperiale dai Bulgari, il sovrano, e i grandi ufiziali della Corona nelle proprie tende vennero trucidati. Almeno il corpo di Valente non avea sofferti oltraggi; ma il capo di Niceforo fu esposto sopra una picca, e il cranio del medesimo incastrato in oro, fu spesse volte empiuto di vino in mezzo alle orgie della vittoria. I Greci, benchè deplorassero l’invilimento cui disceso era il trono, dovettero ravvisare in ciò un giusto castigo della avarizia, e della crudeltà. La coppa dianzi accennata facea palese tutte le barbarie degli Sciti; pure innanzi la fine di questo medesimo secolo, i lor costumi selvaggi si ingentilirono per una conseguenza del commercio pacifico che ebbero co’ Greci, del colto paese che possedettero, e del Cristianesimo, che fra loro s’introdusse: i nobili della Bulgaria vennero allevati nelle scuole, e alla Corte di Costantinopoli, laonde Simeone14, giovine [p. 59 modifica]principe della reale famiglia fu istrutto nella Rettorica di Demostene, e nella Logica di Aristotile.

[A. D. 927-932] Questo Simeone abbandonò la vita monastica per assumere gli ufizj di re e di guerriero; e sotto il suo regno, che oltre a quarant’anni durò, i Bulgari fra le potenze del mondo incivilito presero sede. I Greci, assaliti da questo Sovrano per più riprese, cercarono conforti dal non risparmiargli rimproveri di perfido e di sacrilego. Inoltre si procacciarono con danari i soccorsi de’ Turchi. Ma Simeone, dopo avere perduta contro di questi una battaglia, in un secondo scontro il disastro emendò, riportando vittoria in un tempo ove riguardavasi qual ventura l’evitare i colpi di questa nazion formidabile. Vinse, ridusse in cattività, disperse la tribù de’ Serviani; e chi trascorse il territorio della Servia, prima che fosse popolato di nuovo, null’altro potè scoprirvi fuor di cinquanta vagabondi, privi di mogli e di figli, e che una sussistenza precaria traevano dalla caccia. I Greci soffersero una sconfitta alle rive dell’Acheloo, presso gli autori classici tanto famose15, e il corno del Dio dal vigore dell’Ercole barbaro fu messo in pezzi. Simeone strinse d’assedio Costantinopoli, e, in un parlamento avuto coll’Imperatore gli dettò le condizioni della pace. Nel convenire l’uno alla presenza dell’altro, tutte le cautele della diffidenza adoperarono. La reale galea venne legata [p. 60 modifica]ad una munitissima piattaforma che a tal fine era stata costrutta; e il Barbaro si mostrò vano di pareggiare in pompa la maestà della porpora. „Siete voi cristiano? Romano gli chiese umilmente: dovete astenervi dal versare il sangue de’ vostri fratelli. Fu sete di ricchezze che vi fece rinunziare ai beni della pace? Rimettete la vostra spada nel fodero; aprite la mano, e appagherò i vostri più avidi desiderj„. Una lega domestica fu il suggello della riconciliazione: venne pattuita, o rimessa fra entrambi i popoli la libertà del commercio; i primi onori della Corte retribuiti, per espressa condizione, e a preferenza degli Ambasciatori de’ nemici e degli stranieri16, ai confederati della Bulgaria: [A. D. 950 ec.] i principi bulgari ottennero il glorioso titolo di Basileus o Imperatore, il che fu argomento d’odio e d’invidia. Ma durata per poco questa buona intelligenza, le due nazioni ripresero l’armi alla morte di Simeone, i cui deboli successori, separatisi fra loro, la propria distruzione operarono. Nel principio dell’undicesimo secolo, Basilio II nato nella porpora, meritò il soprannome di vincitore de’ Bulgari; e un tesoro di quattrocentomila lire sterline (del peso di diecimila libbre d’oro) che ei trovò nella reggia di Licnido, [p. 61 modifica]saziò in qualche modo la sua avarizia. Usò a mente fredda una vendetta raffinata ed atroce contro quindicimila prigionieri, non colpevoli d’altro che di avere difesa la loro patria. Cavati gli occhi a questi infelici, solamente per ogni centinaio d’uomini fatti ciechi, si lasciava un occhio ad uno di essi, perchè potesse scortare gli altri a piedi del vinto loro monarca. Vuolsi che il re de’ Bulgari morisse di terrore, e di angoscia al contemplare un sì miserando spettacolo, per cui agghiadando parimente di spavento tutti i suoi sudditi, scacciati vennero facilmente dal lor paese, e in angusto territorio a vivere confinati. Quelli fra i Capi che a tanta calamità sopravvissero, non altro raccomandarono ai loro figli che pazienza e vendetta.

[A. D. 884] II. Allorchè il folto sciame degli Ungaresi, si mostrò per la prima volta in atto di piombare sull’Europa, nove secoli incirca dopo l’Era cristiana, le nazioni sopraffatte dallo spavento e dalla superstizione, immaginarono essere queste genti il Gog e il Magog della Scrittura, i segnali e i forieri del finimondo17. Poichè la letteratura si è fra essi introdotta, sonosi dati alla ricerca degli antichi monumenti della loro storia con ardore di curiosità pa[p. 62 modifica]triottica veramente degna d’encomj18. Rischiarati dai lumi di una sana critica, non può omai tenergli a bada una vana genealogia che da Attila dagli Unni li fa discendere; bensì dolgonsi dei primi loro archivj periti nella guerra de’ Tartari; in guisa che hanno dimenticato da lungo tempo il significato o vero, o favoloso, delle rustiche loro canzoni; e si vedono costretti a conciliar con fatica gli avanzi di una cronaca informe19 colle particolarità della loro storia pubblicata dall’Imperatore, che ha scritto intorno alla amministrazione e alla geografia del greco Impero20. Magiar era il vero nome degli [p. 63 modifica]Ungaresi, perchè così chiamavansi da sè medesimi, e sotto questo nome conosciuti erano nell’Oriente. I Greci li distinguevano dalle altre tribù della Scizia, col nome particolare di Turchi, siccome usciti da quella gigantesca nazione che avea conquistata e governata tutta la estensione di paese situata fra il Volga e la Cina. La popolazione stanziatasi nella Pannonia avea corrispondenza di commercio, o di amicizia coi Turchi che soggiornavano ad oriente verso i confini della Persia; erano scorsi tre secoli e mezzo dopo la migrazione di queste genti, allorchè i missionarj del Re di Ungheria scopersero in riva al Volga, e riconobbero la patria de’ loro antenati. Ivi accolti vennero da’ selvaggi idolatri che il nome di Ungaresi ancor mantenevano, conversarono con essi usando del loro idioma, e rammentando una tradizione ad essi rimasta della partenza di una mano di loro compatriotti ch’essi riguardavano da lungo tempo perduti, udirono con sorpresa la maravigliosa storia del nuovo loro reame, e della nuova religione che aveano abbracciata. I vincoli di sangue aggiunsero ardore allo zelo del proselitismo. Uno fra i più grandi principi della colonia ungarese d’Europa, meditò il disegno generoso, ma inutile, di trapiantare ne’ deserti della Pannonia quella banda di Ungaresi Tartari21. Questi vennero scacciati dalla patria de’ lor maggiori, e spinti ver l’occidente dalla guerra, dal capriccio di alcune bande, e dalla forza superiore di più lontane tribù che, uscite dal fondo dell’Asia, si impadronivano a mano a mano de’ paesi che lungo [p. 64 modifica]il cammino trovavano. La ragione, o il caso condusse questi Ungaresi verso i confini dell’Impero romano; e giusta il loro stile, si fermarono alle rive de’ grandi fiumi, per lo che sonosi scoperte ne’ dintorni di Mosca, e di Kiovia, e nel territorio della Moldavia, le vestigia del soggiorno lor momentaneo22. In tai lunghe e variate peregrinazioni non sempre veniva lor fatto il sottrarsi alla dominazione del più forte; la mescolanza di una progenie straniera o migliorò, o viziò la purezza del loro sangue; molte tribù di Chazari, o per forza, o volontariamente, agli antichi loro vassalli si collegarono, introducendo fra essi l’uso di un secondo idioma; e la fama che aveano di valore, ottenne a questi il posto più onorevole nell’ordine della battaglia. Le truppe dei Turchi e de’ lor confederati, formavano sette divisioni militari di pari forza: ciascuna delle quali comprendeva trentamila ottocento cinquantasette guerrieri: talchè calcolando le donne, i fanciulli, e i servi, colla proporzione ordinaria, il numero di questi migrati si troverà essere asceso almeno ad un milione. Sette Vevodi o Capi ereditarj conduceano gli affari pubblici; ma le discordie, e la debolezza della loro amministrazione fecero comprendere la necessità del governo più semplice e vigoroso di un solo. Lo scettro ricusato dal modesto Lebedias, ai natali e al merito di Almo, e di Arpad figlio di Almo fu conceduto; e il popolo giurò di obbedire [p. 65 modifica]al suo principe, questi di consultare la felicità e la gloria del suo popolo; e l’autorità del supremo Kan de’ Cazari un tale patto formò.

Le accennate particolarità potrebbero bastare, se l’acume de’ moderni dotti non avesse aperto ai nostri sguardi un nuovo e più vasto campo di cognizioni sulla storia degli antichi popoli. La lingua degli Ungaresi che si distingue sola, e come lingua a parte fra i dialetti schiavoni, ha un’affinità sensibile ed intrinseca cogl’idiomi della schiatta finnica23, popolo selvaggio che più non conosciamo oggi giorno, e che occupava altre volte le regioni settentrionali dell’Asia, e dell’Europa. La loro primitiva denominazione di Ugri, o Igur, trovasi sul confine Occidentale della Cina24; alcuni monumenti tartari provano la migrazione di questi popoli sulle rive dell’Irtish25; un nome e un idioma somigliante rinvenivasi nelle parti australi della Sibe[p. 66 modifica]ria26, e gli avanzi delle finniche tribù rimangono a più distanze sparsi sopra una grande estensione, che incominciando dalla sorgente dell’Oby, va a terminarsi alle coste della Lapponia27. Gli Ungaresi, e i Lapponi usciti d’una medesima origine, offrirebbero un segnalato esempio de’ poderosi effetti del clima, che fra i discendenti di uno stesso padre pone tanta opposizione, qual la veggiamo tra gli avventurieri che oggidì s’inebbriano col vino delle rive del Danubio, e i miseri fuggiaschi, sepolti in mezzo alle nevi del Circolo polare. Le armi, e la libertà furono mai sempre le passioni dominanti, ma troppo spesso infelici degli Ungaresi, cui la Natura e forza di corpo, e vigor d’animo compartì28. L’eccessivo freddo ha impicciolita la statura de’ Lapponi, e addiacciate, per così dire, le facoltà loro intellettuali. Fra tutti i figli degli uomini, le solo tribù artiche ignorano che sia guerra, e non mai versaro[p. 67 modifica]no sangue umano: fortunata ignoranza, se la loro vita tranquilla fosse un effetto della ragione e della virtù29!

L’autore della Tattica30, l’Imperatore Leone, nota che tutte le orde della Scizia si rassomigliavano nella lor vita pastorale, e militare; che tutte usavano dei medesimi modi di sussistenza, e di eguali strumenti di distruzione; ma aggiugne che le due nazioni de’ Bulgari e degli Ungaresi, erano superiori alle altre, e si conformavano scambievolmente per certe miglioranze, benchè imperfette, che aveano portate nella loro disciplina, e nel loro governo: [A. D. 900 ec.] affinità che è stata a Leone un motivo di confondere i suoi amici, e i suoi nemici in una [p. 68 modifica]medesima descrizione, cui accrescono vivacità alcuni tratti da esso tolti agli autori contemporanei. Eccetto le prodezze, e la gloria militare, cotesti Barbari giudicavano vile, e degno di sprezzo, tutto quanto gli altri uomini estimano: la violenza naturale del loro animo acquistava forza dall’orgoglio di trovarsi in molti, e da un sentimento ingenito di libertà. Aveano tende di cuoio: coprivansi di pellicce: si tagliavano i capelli, e si faceano ferite sul volto; lentamente parlavano; operavano prontamente: violavano con impudenza i Trattati, e, non meno di tutti gli altri Barbari, troppo ignoranti per sentire l’importanza della verità, erano poi troppo orgogliosi per negare, o palliare le trasgressioni che, contro gli obblighi più solenni, a sè medesimi permetteano. Alcuni hanno lodata la costoro semplicità; ma in sostanza si asteneano da un lusso che non conoscevano; ansiosi però d’impadronirsi di tutto quanto fermava il lor guardo; insaziabili ne’ lor desiderj, e forniti della sola industria che alla rapina e al ladroneccio appartiene. Questa dipintura di una nazione di pastori, racchiude tutto quanto potrebbe dirsi più partitamente ed estesamente sui costumi, il Governo, il modo di guerreggiare di tutti i popoli allo stesso grado di civiltà pervenuti. Aggiugnerò che gli Ungaresi doveano alla pesca e alla caccia una parte di lor sussistenza, e che, essendo stato osservato che coltivavano di rado la terra, da ciò stesso può inferirsi che ne’ loro nuovi possedimenti abbiano tentata qualche lieve ed informe esperienza di coltivazione. Nelle loro migrazioni, e forse nelle loro spedizioni guerriere, scorgeasi al retroguardo dell’esercito un nugolo spaventoso di polvere, solle[p. 69 modifica]vata dalle migliaia di pecore e di buoi, che manteneano fra essi una salubre, e costante copia di latte, e di nudrimento animale. Le prime cure del Generale all’abbondanza de’ foraggi volgeansi, e quando le mandrie eran sicure del loro pascolo, que’ coraggiosi guerrieri non sentivano più nè pericolo, nè fatica. La confusione de’ loro campi, ove, sopra un vasto spazio di terreno, sparsi stavano indistintamente gli uomini e il bestiame, gli avrebbe di leggieri avventurati a notturne sorprese, se non avesse guardati i dintorni del campo medesimo la loro cavalleria leggiera, che sempre per esplorare e impedire l’avvicinar del nemico in continuo moto si stava. Dopo avere fatte alcune esperienze sugli usi militari de’ Romani, ammisero fra i proprj attrezzi di guerra la spada, e la lancia, l’elmo del soldato, e l’armadura del cavallo; ma l’arco usato nella Tartaria fu sempre l’arma lor principale. I loro figli e schiavi venivano addestrati fin da’ primi anni al tiro delle frecce, e al governo de’ cavalli; forniti di braccio vigoroso, e d’occhio sicuro, in mezzo a rapidissima corsa sapeano volgersi addietro, ed empir l’aere d’un nembo di dardi. Nè meno formidabili in una battaglia ordinata, o in un agguato, mostravansi terribili, se fuggivano dal nemico, terribili se lo inseguivano. Le prime linee serbavano un’apparenza di ordine; ma spinte avanti dall’impeto delle linee posteriori, scagliavansi con impazienza sull’inimico. Dopo averlo messo in rotta, lo inseguivano a capo chino, e a sciolte briglie, mandando orribili grida: se eglino stessi prendevan la fuga in un istante di terrore o vero, o simulato, l’ardor delle truppe che credeansi vincitrici, venia represso e punito dalle [p. 70 modifica]subitanee fazioni che sapeano essi intraprendere, in mezzo anche ad una corsa la più rapida e disordinata. Portarono l’abuso della vittoria a tale eccesso, che ne rimase attonita l’Europa, ancor dolente degli aspri colpi ricevuti dai Danesi, e dai Saracini; rare volte chiedean quartiere, più rare volte lo concedeano: entrambi i sessi venivano accusati di avere un animo inaccessibile alla pietà: credeasi bevessero il sangue, e divorassero il cuore de’ vinti, racconto popolare al quale conciliava credenza la loro propensione al mangiar carni crude. Non quindi gli Ungaresi ignoravano affatto que’ principi di umanità e di giustizia che la natura indistintamente a tutti gli uomini inspira. Aveano leggi, e punizioni instituite contra i delitti pubblici e privati: il furto, più seducente di tutti i delitti in un campo aperto, ove ogni cosa sotto la tutela della confidenza pubblica posavasi, veniva anche castigato come il più pericoloso; oltrechè trovavansi fra que’ Barbari molti individui, ne’ quali le naturali virtù, più delle leggi contribuivano a dirozzare i loro costumi, e che provandone tutte le affezioni, i doveri della vita sociale adempievano.

Le bande turche, dopo avere lungo tempo errato, poste ora in fuga, or vittoriose, si avvicinarono alle frontiere comuni dell’Impero franco, e del greco. Le prime loro conquiste, e i primi paesi ove posero stabil dimora, si estesero lungo le rive del Danubio, al di sopra di Vienna, al di sotto di Belgrado, [A. D. 889] e oltre ai limiti della romana Pannonia, ossia del moderno regno dell’Ungheria31. Su questo vasto e fer[p. 71 modifica]tile territorio stanziavano i Moravi, tribù di Schiavoni che gli Ungaresi scacciarono, confinandoli entro il ricinto di piccolo territorio. L’Impero di Carlomagno estendeasi, almen di nome, sino ai confini della Transilvania. Ma estinta la linea legittima di questo Monarca, i duchi della Moravia non prestarono oltre obbedienza e tributo ai sovrani della Francia Orientale. Il bastardo Arnolfo si lasciò guidare dal risentimento a chiedere il soccorso de’ Turchi, i quali si gettarono a precipizio entro lo steccato che l’imprudenza loro disserrò: onde giustamente questo sovrano della Germania ebbe rimprovero di avere traditi gli interessi della società civile ed ecclesiastica de’ Cristiani. Finchè visse Arnolfo, la gratitudine, o il timore tennero in freno gli Ungaresi: ma durante la fanciullezza di Lodovico, figlio e successore di Arnolfo, scopersero ed invasero la Baviera: e tale era la lor prestezza, affatto scitica, che in un sol giorno portavano via, e consumavano lo spoglio di un territorio di cinquanta miglia di circonferenza. Alla battaglia di Haubsburgo, i Cristiani conservarono la superiorità sino all’ora settima della giornata: ma finalmente sorpresi rimasero, e vinti da una simulata fuga della turca cavalleria. L’incendio si dilatò sulle province della Baviera, della Svevia e della Franconia, e gli Ungaresi32, costrin[p. 72 modifica]gendo i più possenti fra i baroni ad ammaestrare nella guerra i proprj vassalli, e ad affortificare le loro castella, divennero la cagion principale dell’anarchia. A questa epoca disastrosa viene assegnata l’origine delle città murate: non v’era lontananza che guarentisse assai da un nemico, il quale, pressochè nel medesimo istante, il monastero di S. Gallo nella Svizzera, e la città di Brema, situata sulle coste dell’Oceano settentrionale, inceneriva. L’Impero, ossia il reame dell’Alemagna, rimase per più di trent’anni soggetto alla umiliazione del tributo, ed ogni resistenza cedè alla minaccia fattasi dagli Ungaresi di condurre schiavi i fanciulli e le donne, e di trucidare tutti i maschi che oltrepassassero i dieci anni. Nè posso, nè bramo seguir queste genti al di là del Reno: accennerò soltanto, maravigliandone, che le province meridionali della Francia sentirono esse pur la burrasca, e che l’avvicinare di questi formidabili stranieri spaventò la Spagna dietro a’ suoi Pirenei33. La vicinanza dell’Italia avea eccitate le prime correrie di costoro: nondimeno dal lor campo della Brenta videro con una spezie di terrore la forza e la popolazione apparenti della contrada recentemente scoperta per essi; e la permissione di ritirarsi sollecitarono. Ma il Re d’Italia ne ributtò con orgoglio l’inchiesta; ostinatezza e temerità che a ventimila [p. 73 modifica]Cristiani costarono la vita. Di tutte le città dell’Occidente, Pavia, residenza del Governo, era la più celebre pel suo splendore, e in questa fama Roma stessa non la vincea che per le possedute reliquie de’ Santi Appostoli. [A. D. 924] Gli Ungaresi comparvero, e Pavia andò tutta in fiamme: incenerirono quarantatre chiese, trucidarono gli abitanti, nè risparmiarono che circa dugento miserabili, i quali, giusta le vaghe esagerazioni de’ contemporanei, pagarono il proprio riscatto con alcune staia d’oro e d’argento, tratte dalle fumanti rovine della lor patria. Intanto che gli Ungaresi partivano ogni anno dal piè dell’Alpi per far saccheggi ne’ dintorni di Roma e di Capua, le Chiese non per anco tocche dal ferro de’ Barbari, rintronavano di questa lamentevole litania. „Salvateci, e liberateci dai dardi degli Ungaresi„; ma i Santi furono sordi, o rimasero inesorabili, e il torrente barbarico agli estremi confini della Calabria sol si fermò34. I vincitori acconsentirono a negoziar pel ri[p. 74 modifica]scatto di ciascun individuo italiano, e dieci staia di argento vennero nel campo turco versate; ma la falsità è l’arma che suol naturalmente opporsi alla violenza, e i ladri, così nel numero de’ contribuenti, come nel titolo de’ metalli, si trovarono delusi. Dalla parte d’oriente, gli Ungaresi ebbero a combattere a forze eguali, e con dubbioso successo, i Bulgari, ai quali la loro religione non permetteva il collegarsi co’ Pagani, e che, per la lor situazione servivano di antemurale all’Impero di Bisanzio; ma questo antemurale fu rovesciato; [A. D. 924] e l’Imperatore di Costantinopoli vide sventolarsi dinanzi agli occhi le bandiere de’ Turchi, mentre uno de’ più audaci fra lor guerrieri, ardiva colla sua azza da guerra percotere la Porta d’Oro. L’astuzia e i tesori de’ Greci tennero lontano l’assalto; nondimeno gli Ungaresi, di avere assoggettati a tributo il valore della Bulgaria, e la maestà de’ Cesari35, poteron vantarsi. Le fazioni di questa stagione campale furono tanto rapide ed estese, che fanno parere maggiori ai nostri occhi la forza e il numero de’ Turchi; ma tanto più è degno di lode il loro [p. 75 modifica]coraggio, perchè un corpo di trecento o quattrocento uomini a cavallo intraprese e sovente mandò a termine le sue corse sino alle porte di Tessalonica, e di Costantinopoli. Epoca disastrosa dei secoli nono e decimo, in cui l’Europa si vide assalita in una volta da Settentrione, da Oriente, e da Mezzogiorno; molte contrade della medesima vennero a vicenda devastate dai Normanni, dagli Ungaresi e dai Saracini, e Omero avrebbe potuto paragonare questi selvaggi nemici a due lioni che ruggiscono sullo sbranato corpo di un cervo36.

[A. D. 934] L’Alemagna e la Cristianità andarono debitrici di lor salvezza a due Principi Sassoni, Enrico l’Uccellatore, e Ottone il Grande, che in due memorabili battaglie, fiaccarono per sempre la possanza degli Ungaresi37. Il prode Enrico che giacea infermo, allora quando intese la notizia della invasione, dimenticando il suo debole stato, si pose a capo delle soldatesche, perchè l’animo suo conservava intero il proprio vigore; e il buon successo alle provvisioni che egli diè corrispose. „Miei colleghi, egli diceva ai soldati nella mattina della pugna, ognun di voi stia fer[p. 76 modifica]mo sulla sua linea: i vostri scudi ricevano le prime frecce de’ Pagani, e prima che costoro vengano ad una seconda scarica, colle lancie in resta correte rapidamente sovr’essi„. I soldati obbedirono, e furono vincitori. In un secolo d’ignoranza, Enrico ricorse alle Belle Arti per far perpetuo il suo nome, e le dipinture istoriche del castello di Merseburgo, ci hanno trasmesse le sue geste, o almeno quegli atti della sua vita che meglio fanno scorgere l’indole di un tanto monarca38. Venti anni dopo, i figli de’ Turchi caduti sotto i colpi di Enrico, invasero gli Stati del figlio del vincitore, e giusta i calcoli più moderati, il costoro esercito a centomila uomini a cavallo sommava. Sollecitati dalle fazioni dell’Impero Alemanno, e, profittando de’ passi che loro vennero aperti dai traditori, spintisi oltre il Reno e la Mosa, penetrarono sin nel cuor della Fiandra. Ma il vigore e la prudenza di Ottone la congiura dispersero. [A. D. 955] I Principi del Corpo germanico avendo compreso, come, non rimanendo fedeli gli uni agli altri, perderebbero inevitabilmente la loro religione, e la loro patria, le forze di tutta la nazione sulla pianura di [p. 77 modifica]Augusta assembraronsi. Marciò questo esercito, e combattè distribuito in otto legioni, proporzionate al numero delle province e delle tribù. Le tre prime erano composte di Bavaresi, di Franconj la quarta; la quinta di Sassoni comandati dal lor monarca in persona: la sesta e la settima di Svevi; l’ottava di mille Boemi che militavano al retroguardo. I soccorsi della superstizione, che in siffatte congiunture possono aversi per onorevoli, e salutari39, a quelli della disciplina e del valore si collegarono. Venne prescritto ai soldati purificarsi con un digiuno; il campo ringorgava di reliquie di Santi, e di martiri: e l’eroe cristiano cignendo la spada di Costantino, e armato dell’invincibile lancia di Carlomagno, fece sventolare la bandiera di S. Maurizio, prefetto della legione tebana. Ma soprattutto affidavasi alla santa lancia40, la punta della quale era stata fatta coi chiodi della vera Croce, lancia che il padre di Enrico avea tolta al Re di Borgogna minacciandolo di guerra, e presentandolo di una provincia. Credeasi che gli Ungaresi assalirebbero di fronte; ma questi, valicato segretamente il Lech, fiume della Baviera che mette foce al Danubio, intrapresero di fianco [p. 78 modifica]l’esercito cristiano, ne devastarono le bagaglie, e portarono confusione fra le legioni della Boemia e della Svevia. I Franconj riordinarono la battaglia; il loro Duca, il valoroso Corrado, fu ferito da una freccia nel momento che ritirato erasi del campo della pugna per gustar breve riposo. I Sassoni sotto gli occhi del loro Re combatterono, e tal vittoria ottennero, che per difficoltà superate, e per le conseguenze che ebbe, ogni trionfo de’ due trascorsi secoli oltrepassò. Gli Ungaresi perdettero ancora più gente nella fuga che nel durare dell’azione, perchè trovavansi rinserrati fra mezzo ai fiumi della Baviera, nè le passate lor crudeltà lasciavano ad essi alcuna speranza di ottenere misericordia. Tre Principi ungaresi caduti nelle mani de’ vincitori vennero appiccati a Ratisbona, gli altri prigionieri o strozzati, o privi di qualche lor membro; que’ fuggitivi che osarono tornarsene fra i loro compatriotti, il rimanente di loro vita nella povertà, e nel disonore41 condussero. Però un tale disastro depresse il coraggio, e l’orgoglio di questi Pagani, che munirono di fosse e di baluardi i passi più accessibili dell’Ungheria. [A. D. 972] L’avversità inspirò loro sentimenti di moderazione e di pace: i devastatori dell’Occidente si rassegnarono a vita sedentaria, e un saggio Principe insegnò alla futura generazione quai vantaggi ella potesse ritrarre dall’agricoltura, e dal commercio delle produzioni di quel fertilissimo suolo. La schiatta primitiva, il sangue turco, o finnico si mescolò con quello di nuove colonie d’origine scitica o schiavona42: [p. 79 modifica]migliaia di prigionieri robusti, e industriosi vennero colà trasportati da tutte le contrade europee43. Geisa, dopo essersi stretto in nozze con una principessa di Baviera, concedè dignità, e dominj ai Nobili della Alemagna44. Il figlio di Geisa assunse il titolo di Re, e la dinastia di Arpad diede leggi all’Ungheria per tre secoli. Ma non abbagliati dallo splendor del diadema que’ Barbari, nati liberi, accadde che il popolo facesse valere il suo diritto di scegliere, di rimovere e di castigare il servo ereditario dello Stato. [p. 80 modifica]

III. Nel nono secolo, all’occasione di un’ambasceria che Teofilo, Imperator d’Oriente inviò all’Imperator d’Occidente, Luigi, figlio di Carlomagno, il nome di Russi45, cominciò per la prima volta ad essere conosciuto in Europa; perchè i Greci erano accompagnati dagli Ambasciatori del gran Duca o Sciagan o czar de’ Russi. [A. D. 839] Questi ambasciatori, nel trasferirsi a Costantinopoli, aveano dovuto toccare il territorio di molte popolazioni nemiche al lor paese, e speravano sottrarsi ai pericoli di cui li minacciava il tornare addietro, coll’ottenere dal francese Monarca i modi a fine di restituirsi in patria per mare. Un attento esame fece scoprire l’origine di costoro: discendevano dalla schiatta degli Svevi, e de’ Normanni, il cui nome erasi già fatto odioso e formidabile ai Francesi; laonde, nè a torto, si paventò, che questi ambasciatori russi fossero altrettanti esploratori, sotto colore d’amicizia colà venuti. Gli Inviati greci partirono, ma altrettanto non si permise ai Russi, perchè Luigi volea nuovi schiarimenti, prima di risolversi ad attenersi per riguardo loro o alle leggi della ospitalità, o a quelle della prudenza, giusta quanto l’interesse di entrambi gli Imperi avrebbe indica[p. 81 modifica]to46. Gli Annali moscoviti e la storia generale del Nort provano con molte dilucidazioni questa origine scandinava del popolo, o almeno de’ Principi, della Russia47. I Normanni, per sì lungo tempo sepolti in una impenetrabile oscurità, furono d’improvviso infiammati dallo spirito delle avventure così marittime, come terrestri. Le vaste regioni, e, a quanto è stato detto, popolosissime, della Danimarca, della Svezia, e della Norvegia, abbondavano di Capi independenti, e di forsennati venturieri, che incresciosi degli ozj della pace, fra le angosce della morte sol sorrideano. I giovani Scandinavi altra professione non avendo che il corseggiare, in questa unicamente po[p. 82 modifica]nevano la loro gloria e la loro virtù. Stanchi di un clima addiacciato, e d’un paese fra stretti limiti chiuso, brandivano l’armi all’uscir d’un banchetto, suonavano il corno, salivano sui lor navigli, e trascorreano tutte le rive, che di bottino, o di miglior soggiorno li lusingavano. Primo teatro delle loro imprese marittime fu il mar Baltico; e col nome di Varagi o Varangi48, o Corsari, approdando alla costa orientale, oscura dimora delle tribù finniche, e schiavone, ricevettero dai Russi del lago Ladoga un tributo di pelli di scoiattoli bianchi. Superiori ai nativi e per maestria nelle armi, e per disciplina, e per celebrità, timore e rispetto a quelli ispiravano: e quando portarono la guerra fra i Selvaggi dimoranti nelle parti più interne di que’ paesi, i Varangi non dissentirono dal combattere con loro, come collegati, e ausiliari, e fosse per elezione de’ Russi, o per conquista, pervennero a poco a poco a dominar sopra un popolo che in istato erano di proteggere. Per praticata tirannide si fecero poi discacciare, e pel valore che li rendea necessarj, richiamati furono di bel nuovo. [A. D. 862] Intanto che Ruric, Capo scandinavo, divenne fondatore di una dinastia che più di settecento anni regnò, i fratelli di Ruric ne dilatarono la possanza: solleciti di secondarlo i suoi compagni d’armi, ne imitarono anche la usurpazione nelle province australi della Russia; e le diverse loro conquiste, consolidate, giusta l’uso, dalla guerra e dagli as[p. 83 modifica]sassinj, in una possente Monarchia per ultimo si congiunsero.

I discendenti di Ruric vennero lungo tempo riguardati come stranieri e conquistatori. Governando eglino colle armi de’ Varangi, presentavano di dominj e di sudditi i fidi lor capitani, e nuovi venturieri venendo dalle coste del Baltico, aumentavano ad essi il numero de’ partigiani49. Ma poichè la dominazione de’ Capi scandinavi ebbe acquistata stabilità, essi alle famiglie russe s’imparentavano; ne assunsero la religione e la lingua; e Valadimiro I ebbe la gloria di liberare da mercenarj stranieri la patria. Costoro lo avean posto sul trono; ma le ricchezze del Principe, non bastando alle loro pretensioni, egli giunse accortamente a persuaderli a cercarsi un padrone, non più grato di lui, ma più dovizioso, e di veleggiare alle greche rive, ove il loro valore troverebbe compenso, non di pelli di scoiattolo, ma d’oro e di seta. In questo mezzo, il Principe russo avvertiva l’Imperator di Bisanzo di disperdere qua e là, di tenere in faccende, di ricompensare, ed anche frenare questi impetuosi figli del Settentrione. Gli Autori greci contemporanei descrivono questo arrivo dei Varangi; da essi sotto questo nome additati, e ne danno a conoscere l’indole. Il fatto è che ogni giorno si acquistarono maggiore stima e [p. 84 modifica]confidenza, e raccolti a Costantinopoli, ebbero ivi l’incarico della guardia del palagio; accresciuti di poi da una banda numerosa di loro compatriotti, gli abitanti di Thule; denominazione di paese generale e vaga, che in tal circostanza alla Inghilterra si riferisce. Erano pertanto i nuovi Varangi una colonia di Inglesi e Danesi al normanno giogo sottrattisi. La consuetudine del migrare e del corseggiare avea riuniti i diversi popoli della terra: questi esuli, ben ricevuti alla Corte di Bisanzo, ivi conservarono, sino agli ultimi anni dell’Impero, una lealtà immune da taccia, e l’uso delle lingue inglese e danese. Armato l’omero della loro larga azza da guerra a due tagli, accompagnavano l’Imperatore al tempio, al senato e all’Ippodromo; alla fedele loro guardia ei doveva la tranquillità de’ suoi sonni e de’ suoi conviti; fra le lor mani, sicure del pari e coraggiose, le chiavi del palagio, dell’erario e della Capitale si stavano50.

Nel decimo secolo le geografiche cognizioni che si aveano sulla Scizia erano assai più estese di quelle degli Antichi; e la monarchia dei Russi tiene una im[p. 85 modifica]sede nel ragguaglio offertone da Costantino sulle diverse portante nazioni del globo51. Il figlio di Ruric dominava la vasta provincia di Wolodimir o Moscovia, e se i Russi da questo lato aveano per impedimento ad estendersi di più le orde orientali, verso occidente il loro Impero fino al mar Baltico e alla Prussia si dilatava. Verso tramontana, oltrepassava il sessantesimo grado di latitudine di quelle regioni iperboree che la nostra immaginazione ha empiute di mostri, o di una notte eterna coperte. Dalla parte di ostro seguivano il corso del Boristene fino in vicinanza all’Eussino. Le tribù dimoranti, o errabonde in questa vasta contrada, allo stesso vincitore obbedivano, e a poco a poco una medesima nazione formarono. La lingua russa attuale non è che un dialetto della schiavona; ma nel decimo secolo, questi due idiomi erano ben distinti l’uno dall’altro, e poichè lo schiavone ha prevalso ne’ climi australi, v’è luogo a credere che i Russi boreali, soggiogati sulle prime dal General de’ Varangi, alla schiatta finnica appartenessero. Le migrazioni, le unioni, o le separazioni [p. 86 modifica]delle tribù erranti, hanno cambiato continuamente il quadro mobile del deserto della Scizia; pur trovansi nella carta più antica della Russia tai luoghi che non hanno mai cambiato di nome. Novogorod52, e Kiovia53, le due Capitali, fin dai primi tempi della Monarchia hanno esistenza. Novogorod però non veniva ancora intitolata la Grande; non per anche erasi confederata colla Lega anseatica, che le ricchezze e i principj della libertà ha diffusi in Europa. Kiovia non superbiva ancora de’ suoi trecento tempj, di quella innumerevole popolazione, di quel grado di magnificenza e splendore, onde la paragonavano a Costantinopoli coloro che non aveano mai veduta la residenza de’ Cesari. Le due città non erano sulle prime che campi, o fiere, soli ritrovi che s’avessero i Barbari per concertarsi sulle bisogne della guerra, o [p. 87 modifica]del commercio. Pure queste assemblee annunziano alcuni progressi nella civiltà. Venne tratta dalle province del Mezzogiorno una razza di animali, gli animali cornuti; e lo spirito di commercio, per terra e per mare, si dilatò dal Baltico all’Eussino, dalla foce dell’Oder al porto di Costantinopoli. Sotto il regno del Paganesimo e della barbarie, i Normanni aveano arricchita la città schiavona di Giulino, dalle loro cure ridotta a ricettacolo di commercio54. Da questo porto situato alla foce dell’Oder, i corsari e i mercatanti giugnevano in quarantatre giorni alle coste orientali del Baltico. Quivi le popolazioni più rimote si mescolavano fra loro, e i boschi sacri della Curlandia vedeansi, narrano, ornati dell’oro della Grecia, e della Spagna55. Una comunicazione fa[p. 88 modifica]cile, fra Novogorod e il mare, venne scoperta: durante la state attraversavansi un golfo, un lago, un fiume navigabile: nel verno la superficie solida di una immensa pianura di diaccio offeriva ai viaggiatori il cammino. Dai dintorni di questa città, i Russi calavansi per li fiumi che vanno a cader nel Boristene; le loro navicelle formate di un solo albero portavano schiavi d’ogni età; pellicce d’ogni specie, il mele delle loro api, le pelli de’ loro animali, e tutte le derrate del Settentrione, condotte venivano, e raccolte trovavansi ne’ magazzini di Kiovia. Il mese di giugno era per ordinario il tempo in cui la navigatrice carovana partivasi. Il legno di quelle navicelle serviva indi a fabbricar remi, e tavole per battelli più ampj, e di maggiore durata; e questi nuovi navigli scendeano senza ostacolo giù pel Boristene, fino a sette o tredici catene di roccie, che, opponendosi al letto del fiume, ne mandano precipitando le acque. Se di minor conto erano queste cateratte, bastava l’alleggerire i battelli; ma le più rilevanti essi non potevano superare; i navicellai allora vedeansi costretti a trasportare per terra le barche e gli schiavi, e durante questo penoso viaggio di sei miglia, stavano in continuo pericolo di essere assaliti dai malandrini del deserto56. Alla prima isola che [p. 89 modifica]al di sotto delle cateratte, i Russi celebravano con una festa la buona sorte che dal rischio gli avea campati; ad una seconda isola più vicina alla foce del fiume, risarcivano i battelli per metterli in istato di ricominciare più lunga e più perigliosa corsa che aspettavali sul mar Nero. Costeggiando in appresso, raggiugneano senza fatica la bocca del Danubio; e se il vento li favoriva in trentasei o quaranta ore approdavano alle rive della Natolia, d’onde a Costantinopoli si trasferivano. Di ritorno nella Russia, vi portavano un abbondante carico di biade, vini, olj, lavori della Grecia e aromi dell’India. Alcuni de’ loro compatriotti si stanziavano nella Capitale e nelle province dell’Impero greco, e la persona, i beni e i privilegi del mercatante russo dai negoziati fra le due nazioni veniano guarentiti57.

Ma non andò guari che si abusò, convertendola a danno dell’uman genere, di una comunicazione apertasi col fine di vantaggiarlo. In un intervallo di cento [p. 90 modifica]novanta anni i Russi tentarono per quattro volte di saccheggiare i tesori di Costantinopoli: e benchè queste spedizioni navali non ottenessero tutte un eguale successo, i motivi e i fini ne erano sempre stati i medesimi, e i modi dell’imprenderle eguali58. I maravigliosi racconti de’ mercatanti russi che aveano veduta la magnificenza e assaporato il lusso della città dei Cesari, alcuni saggi di queste ricchezze che essi portavano in patria, destarono la cupidigia de’ lor selvaggi concittadini. Incominciarono questi ad invidiare quelle beneficenze che la natura ricusava al lor clima, e a vagheggiare que’ lavori dell’arte che, nè attesa la lor dappocaggine poteano imitare, nè attesa la lor povertà, procacciarsi. I Principi varangi innalzarono bandiera di corsari, e trassero i migliori loro marinai dalle nazioni che abitavano le isole settentrionali dell’Oceano59. Abbiam veduta nel trascorso secolo una immagine di tale armamento nelle flotte de’ Cosacchi che uscirono fuori del Boristene per correre i mari colle intenzioni medesime60. Il [p. 91 modifica]nome greco monoxyla, barca di un solo pezzo, ben addiccasi alla chiglia de’ lor navigli, che era un lungo tronco di faggio o di betulla incavato; e su questa leggiera e stretta base, continuata col mezzo di assi, lunghe fino a sessanta piedi, si alzavano gli orli della navicella, alti in circa dodici piedi. Privi di ponte questi navigli aveano due governali, ed un albero, e movendosi col ministero di remi e di vele, portavano fra i quaranta e i settanta uomini, forniti delle armi necessarie, e provveduti di acqua dolce, e di pesce salato. Nella prima loro spedizione, i Russi non adoperarono più di dugento di questi battelli; ma quando tutte le forze di lor nazione spiegavano, poteano condurre e mille, e mille dugento navigli sotto le mura di Costantinopoli. La loro flotta non era per nulla inferiore a quella di Agamennone; i Greci spaventati la supponeano, dieci, o quindici volte, più forte e più numerosa. Con qualche previdenza e vigore, non sarebbe stato difficile agli Imperatori il chiudere con una flotta la foce del Boristene. Ma, mercè alla loro indolenza, le coste della Natolia furono in preda a’ corsari, che più non s’incontravano da sei secoli sul Ponto Eussino; e sintanto che la Capitale fu rispettata, i disastri di una remota provincia sfuggirono all’attenzione de’ Principi e degli Storici. Finalmente poi la procella, che devastata avea le rive del Fasi e di Trebisonda, scoppiò sul bosforo Tracio, stretto di quindici miglia, ove un avversario più abile avrebbe potuto arrestare e distruggere l’informe naviglio de’ Russi. Nella prima loro intrapresa condotti dai Principi di Kiovia61, [p. 92 modifica]non trovarono ostacolo alla loro navigazione, e mentre l’Imperatore Michele, figlio di Teofilo, era lontano, occuparono il porto di Costantinopoli. Il ridetto principe, dopo avere affrontati mille pericoli, pervenne finalmente a sbarcare alla scala del palagio, trasferitosi tosto ad una chiesa consacrata a Maria Vergine62. Per consiglio del Patriarca fu tolta da quel Santuario una reliquia preziosa, l’abito della stessa Madonna; e tuffatolo indi nel mare venne divotamente attribuita alla protezione della madre di Dio una tempesta che, giunta a proposito, persuase ai Russi la ritirata63. Il silenzio de’ Greci fa nascere dubbj sulla verità o certamente sull’importanza del secondo tentativo operato da Oleg, tutore dei figli di Ruric64. [p. 93 modifica]Una sbarra ben affortificata e guernita di soldati, a que’ giorni, il Bosforo difendea: i Russi superarono un tale ostacolo, come a ciò erano soliti, trascinando le loro barche al di sopra dell’istmo, e le Cronache nazionali parlano di questo semplicissimo espediente, come se la flotta russa, protetta da un vento favorevole, avesse navigato per terra. Igor, figlio di Ruric, comandante della terza spedizione, avea scelto un momento di debolezza e d’impaccio pe’ Greci, allorchè le armate navali stavano difendendo l’Impero dai Saracini; ma ove non manca il coraggio, rare volte mancano i modi della difesa. Vennero arditamente lanciate contro il nemico quindici galee disordinate ed infrante; ed invece di una sola bocca di fuoco greco che collocar solevasi sulla prora, furono abbondantemente provveduti di questa fiamma e i fianchi e le poppe di tutti quindici i navigli. Abili erano gli artefici, propizio l’aere. Migliaia di Russi che preferirono l’annegarsi al cader vittima dell’incendio, si gettarono in mare: tutti quelli che alle coste della Tracia si ripararono, vennero inumanamente trucidati dai soldati e dai contadini. Nullameno, un terzo di naviglio russo si sottrasse alla distruzione, guadagnando le basse acque, e nel successivo anno Igor si apparecchiò a vendicare la ricevuta sconfitta65. Dopo una lunga pace, Jaroslao [p. 94 modifica]pronipote di Igor, avendo tentata una quarta invasione, il fuoco greco rispinse nuovamente all’ingresso del Bosforo una flotta che il figlio di Iaroslao comandava. Ma l’antiguardo de’ Greci dato essendosi ad inseguire senza cautela i fuggitivi, fu preso in mezzo da una moltitudine di barche russe; forse in quel punto il fuoco greco mancò di alimento; e ventiquattro imperiali galee, vennero quali prese, quali mandate a fondo, quali in altra guisa distrutte66.

Più spesso colle negoziazioni che colle armi l’Impero greco cercava sottrarsi ai pericoli, o ai disastri del guerreggiare coi Russi. E per vero, in queste marittime ostilità stava contro i Greci ogni svantaggio. Doveano battersi con un popolo feroce, di cui non era stile il conceder quartiere, povero sì che speranza di bottino non offeriva; e affidato per le sue ritratte ad inaccessibili asili, che ogni speranza di vendetta al vincitore toglievano. Laonde, fosse orgoglio, o debolezza, prevalse una opinione che il continuarsi a cimentare con questi Barbari, non potea far crescere, nè sminuire di gloria l’Impero. Costoro posero sulle prime partiti immoderati, e non ammissibili, qual si era quello di pretendere tre libbre d’oro per ogni soldato o marinaio della loro flotta. La gioventù russa ostinavasi nella brama delle conquiste, mentre i saggi vegliardi raccomandavano loro la moderazione. „Contentatevi, essi diceano, [p. 95 modifica]delle grandiose offerte di Cesare. Non è egli meglio ottenere senza combattere l’oro, l’argento, i drappi di seta e tutto quanto è scopo dei nostri desiderj? Siam noi sicuri della vittoria? Possiamo noi conchiudere un trattato col mare? Noi non camminiamo per terra, ma galleggiamo sull’abisso delle acque, e la morte ai capi di ognun di noi sovrasta egualmente„67. La ricordanza di queste artiche flotte che dal Cerchio polare pareano scendere, profonda impressione di terrore lasciò nella Capitale degli Imperatori. Il volgo di tutte le classi assicurava, e credea, che una statua equestre, posta sulla piazza del Tauro, predicesse, con misteriosa iscrizione, dover finalmente venir giorno, in cui i Russi diventerebbero padroni di Costantinopoli68. Son pochi anni che una squadra russa, in vece di uscir del Boristene, ha fatto il giro d’Europa: abbiam veduta la Capitale degli Ottomani, minacciata da grandi e forti vascelli di linea, de’ quali un solo, e per l’abilità de’ suoi marinaj, e per la forza delle sue terribili artiglierie, avrebbe bastato a mandare a fondo, o disperdere cento navigli simili a quelli che gli antenati de’ Russi adopravano: onde i Turchi hanno ogni ragion di temere che la generazione presente, non veda compirsi una tal profezia; profezia che si [p. 96 modifica]toglie dalle ordinarie perchè lo stile non ne è equivoco, nè può esserne rivocata in dubbio la data.

[A. D. 555-673] Men formidabili per terra che sul mare, erano i Russi; soliti quasi sempre a combattere a piedi, avvi motivo per credere che le irregolari loro legioni sieno state sovente rovesciate, e dalla cavalleria delle orde scitiche poste in rotta; ma le nascenti loro città, comunque in uno stato di imperfezione si ritrovassero, offerivano asilo ai sudditi, ostacolo tremendo al nemico. La monarchia di Kiovia, sintanto che non venne smembrata, a tutto il Settentrione diè legge; e Swatoslao69 figlio d’Igor, figlio di Oleck, figlio di Ruric, le nazioni poste tra il Volga e il Danubio, ora rispinse, or debellò; perchè le fatiche di una vita militare e selvaggia, in questo principe il vigore dello spirito e dell’animo fortificarono. Vestito di una pelle d’orso, sul terreno ignudo per lo più coricavasi, e guanciale ad esso era una sella; nel nudrirsi di cibi semplici e grossolani agli eroi di Omero non la cedea70, e tai cibi erano per lo più carne di cavallo arrostita, o sugli ardenti carboni abbrustolata. La consuetudine della guerra ad[p. 97 modifica]destrava e istruiva il suo esercito, ed è credibile che non fosse permesso a quelle soldatesche lo sfoggiare d’un lusso ignoto al loro generale. Un’ambasceria venutagli per parte dell’imperatore Niceforo indusse Swatoslao ad intraprendere la conquista della Bulgaria, intanto che un donativo di millecinquecento libbre d’oro servivagli alle spese già fatte, o che per quella spedizione far si dovevano. Imbarcati sessantamila de’ suoi che, usciti dalla foce del Boristene a quella del Danubio volser le vele, alle coste della Mesia approdò, ove dopo sanguinosa battaglia le spade russe sulle frecce della cavalleria de’ Bulgari ebber trionfo. Il Re vinto scese nel sepolcro; i figli di lui caddero in potere del vincitore; e i nortici guerrieri, sino alle falde dell’Emo, i suoi Stati devastarono o saccheggiarono. Il principe varangio, anzichè abbandonar la sua preda e mantenere le date promesse, più propenso a maggiormente innoltrarsi che a retrocedere si mostrava; onde se il buon successo avesse coronato il fine della sua impresa, già nel decimo secolo la residenza dell’Impero russo sarebbe stata sotto un clima più temperato e più fertile trasferita. Swatoslao divisò godere de’ moltiplici vantaggi che ben sentiva essere al suo nuovo stato inerenti, potendo già, sia col commercio, sia colla rapina, attrarre a sè le diverse produzioni di tutta la Terra. Una facile navigazione gli arrecava le pellicce, la cera e l’idromele della Russia. Di cavalli e delle spoglie d’Occidente l’Ungheria lo forniva, la Grecia abbondava d’oro, d’argento, e di tutti quegli arredi di lusso, de’ quali, in sua povertà, disdegnoso ostentavasi il vincitore. Numerose bande di Patzinaciti, di Cozari, e di Turchi accorreano da ogni lato [p. 98 modifica]sotto le bandiere di un principe vittorioso. In questo mezzo, l’ambasciatore di Niceforo, tradendo il suo padrone, vestì la porpora, e promise ai nuovi confederati dell’Impero di spartirsene seco loro i tesori. Il principe russo continuò intanto la militare sua corsa dalle rive del Danubio sino ad Adrianopoli; e quando intimato vennegli di sgomberare la provincia romana, diede una disdegnosa risposta aggiugnendo che la stessa Costantinopoli dovea fra poco aspettarsi l’arrivo del suo nemico e padrone.

[A. D. 970-973] Niceforo non era più in istato di riparare ai danni che egli medesimo all’Impero avea procacciati, allorchè il trono e la moglie di lui vennero nelle mani di Giovanni Zimiscè, che sotto piccola statura il coraggio e la mente di un eroe nascondea71. La prima vittoria riportata dai Luogo-tenenti di Zimiscè, tolse ai Russi i loro confederati stranieri, ventimila de’ quali furono o uccisi, o trascinati alla ribellione, o costretti per ultimo al partito di abbandonar le bandiere. Già libera era la Tracia; ma settantamila Barbari rimanevano sotto l’armi, e le legioni che erano state richiamate dalle nuove conquiste della Sorìa, si accigneano, giunta la primavera, a correre sotto gli stendardi di un principe guerriero, che l’amico e il vendicatore de’ Bulgari si [p. 99 modifica]chiariva. Avendo il nemico lasciate scoperte le gole del monte Emo, gli Imperiali le occuparono tostamente. L’antiguardo romano era fatto dagli Immortali, superbo nome assuntosi ad imitazion de’ Persiani; l’Imperatore conducea un corpo di diecimila cinquecento fantacini; e il rimanente delle sue forze, le bagaglie e le macchine da guerra con lentezza e cautela venivano appresso. Per sua prima impresa, Zimiscè ridusse in due giorni Marcianopoli o Peristlaba72. Scalate ne furono a suon di tromba le mura, e mentre ottomila cinquecento Russi venivano passati a fil di spada, i figli del principe di Bulgaria liberati da carcere ignominioso, furono insigniti del titolo vano di Re. Dopo queste moltiplicate sconfitte, Swatoslao si ritrasse nel ben munito campo di Dristra in riva al Danubio, fin dove perseguillo un nemico abile nel valersi a vicenda, e secondo l’uopo, della celerità e della lentezza. Intanto che le bizantine galee risalivano il fiume, le truppe compieano le loro fazioni di circonvallazione; onde il principe russo, che teneasi riparato dietro le fortificazioni del suo campo e della città, rimase d’ogni intorno avvolto, assalito, e condotto ad ulti[p. 100 modifica]ma stremità. Per molte azioni valorose, per molte disperate sortite si segnalarono i Russi, e sol dopo un assedio di sessantacinque giorni, Swatoslao cedè alla fortuna, ottenendo tale capitolazione che valse a dimostrare la prudenza del vincitore, e quanto questi apprezzasse la prodezza, e temesse la disperazione di un guerriero, il cui animo domar non poteasi. Con solenni giuramenti che sapeano d’imprecazione, il Gran Duca della Russia obbligossi a mettere da un lato tutti i divisamenti concetti contra l’Impero, al qual patto ottenne la permissione di rivedere i suoi Stati. Dovette inoltre convenire, perchè la libertà al commercio e alla navigazione venisse restituita; si concedè una misura di biada ad ognuno de’ suoi soldati, nella qual circostanza il numero di ventiduemila misure distribuite nel campo, diè a divedere quanti soldati perduti aveva il duce russo, e quanti ancora gliene rimanevano. Dopo un disastroso viaggio i Russi raggiunsero la foce del Boristene; ma privi di vettovaglie e da avversa stagione tribolati, passarono il verno sul diaccio, e prima di potersi rimettere in cammino, Swatoslao fu sorpreso, ed oppresso dalle confinanti tribù, colle quali i Greci avevano avuta l’accortezza di intavolare utili corrispondenze73. Ben altro di Zimiscè fu il ritorno, che venne accolto nella sua Capitale come l’antica Roma, Camillo e Mario, suoi liberatori, accogliea; il devoto Imperatore però dando laude della sua vittoria alla Madre di Dio, l’Immagine [p. 101 modifica]della Madonna che si tenea il bambino fra le braccia, venne collocata sul carro trionfale cui gravavano le spoglie dell’inimico, e decoravano i reali arredi della bulgara monarchia. Mentre l’Imperatore facea il suo ingresso a cavallo, ornato di diadema la fronte, e portandosi fra le mani una corona d’alloro, Costantinopoli era ammirata di dover celebrare le virtù guerriere di cotest’uomo74.

[A. D. 864] Fozio, patriarca dì Costantinopoli, nel quale l’ambizione pareggiava la brama del sapere, si congratula colla Chiesa greca, e con sè medesimo, di avere convertiti i Russi75. Egli avea di fatto indotti questi uomini truci e sanguinolenti a riconoscere Gesù Cristo per loro Dio, i missionarj Cristiani per loro maestri, e i Romani per loro amici e fratelli. Ma fu di breve durata questo trionfo: non era difficile, che cedendo alla varietà degli avvenimenti collegatisi alle successive loro imprese, alcuni duci russi acconsentissero a ricevere l’acqua del Battesimo: potea un vescovo greco sotto nome di metropolitano ammini[p. 102 modifica]strare, nella Cattedrale di Kiovia, i Sacramenti ad alcune congregazioni composte di schiavi e di nativi del paese; ma la semenza del Vangelo sopra ingrato suolo cadea: considerabile fu il numero degli apostati, scarsissimo quello de’ convertiti. Il battesimo di Olga contrassegna la vera epoca del cristianesimo introdottosi nella Russia76. Una donna, forse delle ultime classi della società, che come Olga, avea saputo vendicare la morte di Igor suo marito, e dello scettro del medesimo impadronirsi, non potea mancare di quell’operoso vigore atto ad inspirar temenza ne’ popoli barbari e ad indurli a sommessione. [A. D. 955] Ella scelse un momento di pace generale interna ed esterna de’ suoi Stati per trasferirsi da Kiovia a Costantinopoli, ove la ricevè nel suo palagio l’Imperatore Costantino Porfirogeneta, che ha descritto egli medesimo minutamente tutto il cerimoniale di questo ricevimento: fin quanto il rispetto dovuto alla porpora lo permettea, vennero regolati gli ufizj dell’etichetta, i titoli, i saluti, i conviti, i donativi in modo che potesse chiamarsene soddisfatta la vanità della principessa straniera77. Al fonte bat[p. 103 modifica]tesimale ella assunse il nome venerato fra i Greci dell’imperatrice Elena: e a quanto apparisce la conversione di lei fu preceduta da quella di suo zio, di due interpreti, di sedici matrone, di diciotto donne di minor conto, di ventidue servi o ministri, e di quarantadue mercatanti, in che stavasi il suo corteggio. Di ritorno a Kiovia e a Novogorod, rimase ferma nella nuova sua religione; ma infruttuosi furono gli sforzi della medesima per propagare l’Evangelo, e fosse ostinatezza, o indifferenza, la sua famiglia e il suo popolo si mantennero fedeli alle divinità de’ loro antenati. Swatoslao, figlio di Olga, temè il disprezzo e la derisione de’ suoi coetanei, e Valadimiro pronipote della ridetta regina, diedesi con tutto l’ardore proprio della giovinezza alla cura di moltiplicare e illustrare i monumenti dell’antica religione de’ Russi. Con umani sagrifizj continuavano tuttavia i popoli del Nort a voler placare le feroci loro divinità, e nella scelta della vittima, il cittadino preferivasi allo straniero, il cristiano all’idolatra; un padre che avesse voluto ritogliere il proprio figlio al coltello de’ Sacerdoti, periva insieme con esso, vittima del furore di quella fanatica moltitudine. Ciò nullameno le lezioni e l’esempio della pietosa Olga, aveano fatta impressione segreta, ma profonda sugli animi del giovine principe, e d’una parte di popolo; i missionarj greci continuavano a predicare, a disputare fra loro, e a battezzar convertiti, intanto che gli ambasciatori e i negozianti russi che dimoravano a Costantinopoli, raffrontavano la truce loro idolatria col più allettevole culto dei Greci. Ammirata aveano la chiesa di S. Sofia, le animate tele, ove effigiate vedeansi le vite de’ Santi [p. 104 modifica]e de’ Martiri, le ricchezze dell’altare, la molta quantità dei preti, e i magnifici loro apparati, la pompa e il buon ordine delle cerimonie; edificati da quegli armoniosi cantici, dopo de’ quali un silenzio religioso veniva, si lasciarono persuadere facilmente che un coro d’Angeli scendesse ogni giorno dal Cielo per unirsi alla divozion de’ fedeli78; ma l’eccitamento più forte alla conversione di Valadimiro si fu la brama di congiungersi in nozze ad una donna romana. [A. D. 988] Il Pontefice cristiano gli amministrò il battesimo, e il matrimonio ad un tempo, nella città di Cherson, città che Valadimiro restituì all’imperatore Basilio, fratel di sua moglie. Questa città avea le porte di bronzo che vennero, dicesi, trasportate a Novogorod e poste dinanzi alla chiesa qual monumento del trionfo e della fede di Valadimiro79. Ad un cenno di questo sovrano, Perrun, il Dio del tuono, da lui medesimo adorato sì lungo tempo, atterrato venne e trascinato nel fango; l’informe statua della divinità fu posta in pezzi a colpi di maz[p. 105 modifica]za da dodici robusti Barbari, che la gettarono indi con indignazione nel Boristene. Un editto di Valadimiro avendo chiariti nemici di Dio e del principe, e minacciato di trattarli siccome tali, tutti coloro che ricuserebbero il battesimo, i fiumi della Russia ricevettero migliaia di sudditi che alla sacra cerimonia prestaronsi, gareggianti in riconoscere la verità, e l’eccellenza di una dottrina dal gran Duca, e da’ suoi Boiardi abbracciata. La generazione successiva vide sparire ogni avanzo di paganesimo; ma i due fratelli di Valadimiro essendo morti senza avere ricevuto questo segno caratteristico del Cristianesimo, ne vennero disotterrate le ossa e purificate con un battesimo postumo ed irregolare.

[A. D. 800-1100] Ne’ secoli nono, decimo e undecimo dell’Era cristiana, il regno dell’Evangelo e della Chiesa, si estese sulla Bulgaria, l’Ungheria, la Boemia, la Sassonia, la Danimarca, la Norvegia, la Svezia, la Polonia e la Russia80; e rinovatisi i trionfi dell’appostolico zelo in questa età di ferro del Cristianesimo, le contrade settentrionali e orientali dell’Europa, si sottomisero ad una religione, la quale più nella parte teoretica, che nella pratica dal culto degli idoli differiva81. Una lodevole ambizione conduceva i mo[p. 106 modifica]dell’Alemagna e della Grecia per mezzo alle tende e alle capanne naci dei Barbari. La povertà, la fatica, i pericoli furono il retaggio di questi primi missionarj della Fede: armati di operoso e paziente coraggio, le loro intenzioni erano pure, e degne di stima: nè miglior ricompensa poteano aspettarsi fuor della testimonianza della loro coscienza e della venerazione di un grato popolo. Ma gli orgogliosi e ricchi prelati de’ tempi posteriori, il frutto di queste missioni raccolsero. Volontarie furono le prime conversioni, nè i missionarj aveano altr’armi, che la santità de’ costumi, e l’eloquenza de’ loro discorsi: per via di miracoli e di visioni combatteano le favole domestiche dei Pagani: e a meglio sedurre i governanti ne lusingavano la vanità, e agli interessi dei medesimi davano opera. I Capi delle nazioni, ai quali i titoli di re e di santi largivansi82, credevano opera legittima e pia il sottomettere alla Fede cattolica i loro sudditi e i lor vicini. La costa del Baltico, dall’Holstein sino al golfo di Finlandia, a nome e sotto la bandiera della Croce fu invasa: la conversione della Lituania operata nel secolo decimoquarto al regno [p. 107 modifica]della idolatria pose termine. Un riguardo di verità e buona fede ne costrigne a confessare che la conversione del Nort, molti vantaggi agli antichi e ai nuovi cristiani produsse. Se i precetti del Vangelo, che raccomandano la carità e la pace, non poterono estinguere il furor della guerra connaturale alla specie umana, e se l’ambizione dei principi cattolici ha nondimeno rinovate in tutti i secoli le calamità che a questo flagello si uniscono, almeno l’avere ammessi i Barbari nel seno della civile ed ecclesiastica società, liberò l’Europa dai devastamenti che per mare e per terra operavansi dai Normanni, dagli Ungaresi e dai Russi, e appresero questi a rispettare il sangue umano, e divennero coltivatori83. Aggiugnendosi la prevalenza del clero ad istituir leggi e a consolidare il buon ordine, i popoli selvaggi conobbero gli elementi delle Arti e delle Scienze. Mossi da una saggia pietà i Principi russi, ebbero l’intendimento di chiamare al proprio servigio i più abili fra i Greci, affinchè abbellissero la città, e ne ammaestrassero gli abitanti. Vidersi, benchè informemente, imitati e copiati nelle chiese di Kiovia e di Novogorod la cupola e i quadri di S. Sofia; gli scritti dei [p. 108 modifica]Padri vennero tradotti in lingua schiavona, e trecento nobili giovani si trovarono sollecitati, o costretti a frequentare le lezioni del collegio di Jaroslao. Parrebbe, che quanto ai progressi nelle cognizioni, i Russi avessero dovuto ottenere grandi vantaggi dagli speciali vincoli per cui stretti erano alla Chiesa e allo Stato di Costantinopoli, che in que’ tempi, nè a torto, dell’ignoranza de’ Latini rideansi. Ma la nazione greca vivea nella schiavitù, isolata, e in uno stato di rapido scadimento: dopo la caduta di Kiovia, la navigazione del Boristene fu trascurata; e intanto che i Sovrani della città di Volodimir e di Mosca si trovavano disgiunti dal mare e dal rimanente della Cristianità, i Tartari fecero soffrire a quella Monarchia divisa in parti il vergognoso giogo della barbarie84. I regni degli Schiavoni e degli Scandinavi, convertiti dai missionarj latini, trovavansi per vero dire sottomessi alla giurisdizione spirituale e alle pretensioni temporali de’ Papi85. Ma avendo abbracciata la stessa lingua e lo stesso culto di Roma, assunsero lo spirito libero e generoso della Repubblica europea, e a poco a poco dalla luce del sapere che splendè in Occidente, anch’essi furono rischiarati.

Note

  1. Il diligentissimo Giovanni Gotthelf Stritter ha compilati, raccolti e tradotti in latino tutti i passi della Storia Bisantina che si riferiscono ai Barbari nelle sue Memoriae populorum, ad Danubium, Pontum-Euxinum, Paludem Maeotidem, Caucasum, mare Caspium, et inde magis ad septentriones incolentium, Pietroburgo, 1771-1779, 4 tomi, o 6 volumi in 4; ma col merito del suo lavoro non ha fatto spiccare il valore di questi indigesti materiali.
  2. V. il capitolo XXXIX della presente opera.
  3. Teofane, p. 296-299, Anastasio, pag. 113; Niceforo, C. P. p. 22, 23. Teofane colloca l’antica Bulgaria sulle rive dell’Atell, o del Volga; ma asserendo egli che questo fiume mette foce nell’Eussino, un errore si grossolano, gli toglie fede anche nel rimanente.
  4. Paolo Diacono (De gestis Langobard., l. V, c. 29, p. 881, 882), Camillo Pellegrino (De ducatu Beneventano, dissert. 7, in scriptores rerum ital., t. V, p. 186, 187), e il Beretti (Chronograph. Ital. medii aevi, p. 273 ec.), conciliano facilmente le apparenti differenze che si ravvisano fra lo Storico Lombardo, e i Greci mentovati nella nota precedente. Questa colonia di Bulgari si stanziò in un cantone deserto del Sannio, ove imparò la lingua latina senza dimenticare la nativa.
  5. Nella disputa di giurisdizione ecclesiastica fra i Patriarchi di Roma e di Costantinopoli, queste province dell’Impero vennero, adoperando il linguaggio del Baronio (Annal. eccles. A. D. 869, n. 75), assegnate al regno de’ Bulgari.
  6. Cedreno (p. 713) indica chiaramente la situazione di Licnido, o Acrida, e il regno di cui questa città era la Capitale. La traslazione dell’Arcivescovato o Patriarcato di Justinianea prima a Licnido e indi a Ternovo, ha portata confusione nell’idee e nelle espressioni de’ Greci. Niceforo Gregoras (l. II, c. 2, p. 14, 15), Thomassin (Discipline de l’Eglise, t. I, l. I, c. 19-23), e un Francese (d’Anville) mostrano di avere sulla geografia del greco Impero assai più precise nozioni (Hist. de l’acad. des inscriptions t. 31).
  7. Calcocondila, atto a profferir giudizio su di tale argomento, afferma l’identità dell’idioma de’ Dalmati, de’ Bosnj, de’ Serviani, de’ Bulgari e de’ Polacchi (De rebus turcicis, l. X, p. 283), e altrove de’ Boemi (l. II, p. 38). Il medesimo autore ha accennato qual fosse l’idioma particolare degli Ungaresi.
  8. V. l’opera di Gian Cristoforo Giordano (De originibus sclavicis; Vienna 1745) in quattro parti, o due vol. in fol.). La Raccolta, e le Ricerche di questo Autore portano schiarimenti sulle antichità della Boemia e de’ paesi circonvicini; ma troppo limitato è il suo disegno, barbaro lo stile, ne è superficiale la critica, e si vede che il Consigliere aulico non si è liberato affatto dalle pregiudicate opinioni d’un Boemo.
  9. Giordano ammette la ben nota e verisimile etimologia di Slava, laus, gloria, termine di uso famigliare ne’ varj dialetti, e che forma la desinenza di chiarissimi nomi (I, pars. I, p. 40: para. IV, 101, 102).
  10. Sembra che tal cambiamento di un nome proprio in un nome appellativo, sia accaduto nel duodecimo secolo presso gli abitanti della Francia orientale, ove i Principi e i Vescovi aveano molti Schiavoni, in istato di cattività, non della schiatta boema, esclama Giordano, ma di quella de’ Sorabi. Indi il termine divenne di un uso generale, passando nelle lingue moderne e persin nello stile degli ultimi autori di Bisanzio (V. i Glossarj greci e latini). La confusione poi del nome σερβλοι Serviani e del latino Servii, anche maggiormente si propagò, ed era più famigliare ai Greci del basso Impero (Costant. Porfir. De administrando imperio, c. 32, p. 99).
  11. L’imperatore Costantino Porfirogeneta, esattissimo allorchè parla degli avvenimenti del suo tempo, ma favoloso oltre ogni dire, quando racconta cose accadute prima di lui, narra diverse particolarità intorno agli Schiavoni della Dalmazia (c. 29-36).
  12. V. la Cronaca anonima del secolo XI, attribuita a Giovanni Sagornin (p. 94-102) e la Cronaca composta nel secolo XIV dal Doge Andrea Dandolo (Script. rerum ital., t. XII, pag. 227-230), i due più antichi monumenti della Storia di Venezia.
  13. Gli Annali di Cedreno e di Zonara parlano, nelle note che a ciò si riferiscono, del primo regno de’ Bulgari. Lo Stritter (Memoriae popolorum, t. II, part. II, p. 441-647) ha raccolti i materiali somministrati dagli Autori bisantini, e il Ducange ha determinata e posta in ordine la serie dei re della Bulgaria (Fam. byzant., p. 305-318).
  14. Simeonem semi-Graecum esse aiebant, eo quod a pueritia Byzantii Demosthenis rhetoricam et Aristotelis syllogismos didicerat (Luitprand, l. III, c. 8). Questo autore dice in altro luogo: Simeon, fortis bellator, Bulgariae praeerat; christianus, sed vicinis Graecis valde inimicus (l. I, c. 2).
  15. – Rigidum fera dextera cornu
    Dum tenet infregit, truncaque a fronte revellit

    Ovidio (Metamorph., IX, 1-100) ha dipinte arditamente le pugne fra i nativi del paese, e gli stranieri, sotto figura del Dio del fiume e dell’eroe.

  16. L’ambasciatore di Ottone sentì fin ribrezzo delle scuse che i Greci fecero a questo re: Cum Christophori filiam Petrus Bulgarorum VASILEUS conjugem duceret, Symphona, id est consonantia, scripto juramento firmata sunt ut omnium gentium apostolis, id est nunciis, penes nos Bulgarorum apostoli praeponantur, honorentur, diligantur (Luitprando, in Legatione, p. 482). V. il Cérémonial di Costantino Porfirogeneta t. I, p. 82; t. II, p. 429, 430-434, 435-443, 444-446, 447, colle Osservazioni del Reiske.
  17. Un vescovo di Virtzburgo sottomise questa opinione al giudizio di un reverendo Abate, che gravemente decise essere Gog e Magog i persecutori spirituali della Chiesa, perchè Gog significa il fasto e l’orgoglio degli eretici, e Magog la conseguenza del fasto, vale a dire la propagazione delle loro Sette. Questi erano nullameno gli uomini che pretesero imprimere rispetto in tutto il genere umano! (Fleury, Hist. eccles., l. XI, p. 594, ec.).
  18. I due Autori ungaresi de’ quali più mi sono giovato, sono Giorgio Pray (Dissertationes ad Annales veterum Hungarorum, etc., Vienna, 1775, in folio), e Stefano Katona (Hist. critica ducum et regum Hungariae stirpis Arpadianae, Pest, 1778-1781, 5 vol. in 8). Il primo comprende un grande intervallo di tempo, sul quale non può spesse volte formare che congetture. Il secondo, per dottrina, sagacità e senno, merita il nome di Storico critico.
  19. Vien dato all’autore di questa cronaca il titolo di notaio del re Bela. Il Katona che lo colloca nel dodicesimo secolo, lo difende contro le accuse del Pray. Sembra che il ridetto Autore di annali, malgrado la sua rozzezza siasi giovato unicamente di alcuni monumenti storici, poichè così si esprime con dignità, Rejectis falsis fabulis rusticorum, et garrulo cantu joculatorum. Queste favole poi vennero raccolte nel secolo XV dal Tutotzio, e abbellite dall’italiano Bonfini (V. il discorso preliminare della Historia critica, Ducum p. 7-133).
  20. V. Costantino (De administrando imperio, c. III, 4-13-38-42). Il Katona con assai d’intelligenza ha riferita la data di quest’opera agli anni 949, 950, 951 (p. 4-70). Lo storico critico (p. 34-107) s’ingegna provare l’esistenza e le geste del Duca Almo, padre di Arpad, cose tacitamente ricusate da Costantino.
  21. Il Pray (Dissert. p. 37-39) riporta, e chiarisce i passi originali de’ missionarj ungaresi, Bonfini ed Enea Silvio.
  22. Vedonsi ne’ deserti posti a libeccio di Astrakan, le rovine di una città detta Madsciar, che attesta essere soggiornate in questi luoghi bande di Ungaresi, o Magyar (Précis de la Géogr. univ., di Malte-Brun, t. I, pag. 353). (Nota dell’edit.)
  23. Il Fischer (Quaestiones petropolitanae, de origine Hungarorum) e il Pray (Dissert. 1, 2, 3, ec.), hanno pubblicate diverse tavole di confronto fra la lingua degli Ungaresi, e i dialetti finnici. L’affinità è grande; ma brevi sono i cataloghi, e le parole che ne’ medesimi si rinvengono, sono state scelte con troppo studio. Leggo poi nel dotto Bayer (Comment. acad. Petropol., t. X, p. 374) che, comunque la lingua degli Ungaresi abbia ammesso un grande numero di voci finniche (innumeras voces), le due lingue differiscono fra loro toto genio et natura.
  24. Nel paese di Turfan che i geografi cinesi chiaramente e partitamente descrivono (Gaubil, Histoire du grand Gengis-Kan, pag. 13; de Guignes, Histoire des Huns, t. II, pag. 31 ec.).
  25. Historia genealog. de’ Tartari, di Abulghazi-Bahadur-Khan (part. II, p. 90-98).
  26. Isbrand Ives (Harris’s Collection of Voyages and Travels, vol. II, p. 920, 921), e Bell (Travels, v. I, p. 174), andando alla Cina, trovarono i Vogulitz ne’ dintorni di Tobolsk. Mettendo i vocaboli alla tortura, come gli etimologisti hanno l’arte di fare, Ugur e Vogul offrono il medesimo nome. Le montagne circonvicine vengono di fatto chiamate Ugriane, e fra tutti i dialetti finnici, il voguliano è quello che si avvicina meglio all’ungarese (Fischer, Disser. I p. 20-30; Pray, Dissert. 2, p. 31-34).
  27. Le otto tribù della schiatta finnica veggonsi descritte nella opera apprezzabilissima del signor Levesque (Hist. des Peuples soumis à la domination de la Russie, t. I, p. 361-561).
  28. Questa pittura degli Ungaresi e de’ Bulgari è tratta principalmente dalla Tattica di Leone (p. 796-801), e dagli Annali latini riportati dal Baronio, dal Pagi, e dal Muratori, A. D. 889 ec.
  29. Buffon (I., t. V, p. 6, in 12). Gustavo Adolfo si accinse, ma senza frutto, ad instituire un reggimento di Lapponi. Il Grozio parlando di queste tribù antiche si esprime: Arma, arcus et pharetra, sed adversus feras (Annal. l. IV, pag. 236). Indi, conformandosi all’esempio di Tacito, procura di colorare con una vernice filosofica la brutale ignoranza di costoro.
  30. Dalle osservazioni di Leone apparisce che il governo dei Turchi era monarchico; e che presso queste genti si usava di rigorose punizioni (Tattica p. 86; απεινεις και βαρειας). Reginone (in Chron., A. D. 889) mette il furto fra i delitti capitali, il che è confermato dal codice originale di S. Stefano (A. D. 1016). Se uno schiavo commettea un delitto, per la prima volta gli venia tagliato il naso obbligandolo a pagar cinque vacche; la seconda volta perdea le orecchie ed era costretto ad un’ammenda simile alla prima; la terza volta veniva punito di morte; quanto all’uomo libero non soggiaceva al supplizio capitale che dopo il quarto delitto, giacchè in pena del primo perdea soltanto la libertà (Katona, Hist. regum hungar., t. I, p. 231, 232).
  31. V. Katena, Hist. ducum Hungar., p. 321-352.
  32. Hungarorum gens, cujus omnes fere nationes expertae saevitiam, etc. Così comincia la prefazione di Luitprando, (l. I, c. 2 ) che assai si diffonde sulle sciagure della sua età (V. l. I, c. 5; l. II, c. 1, 2, 4, 5, 6, 7, l. III, c. 1, ec. l. V, c. 8, 15, in Legat. p. 485). Le tinte di questo Storico sono vivaci, ma fa duopo correggerne la cronologia, seguendo le osservazioni del Pagi, e del Muratori.
  33. Il Katona (Hist. ducum ec. p. 107-499) ha diffusa la luce della critica sui tre regni sanguinosi di Arpad, di Zoltano e di Toxo. Egli ha cercato accuratamente tutto quanto riferivasi ai nativi del paese, e agli stranieri; nondimeno a questi annali di gloria e di devastazione ho aggiunta la distruzione di Brema; fatto storico che l’Autore sembra avere ignorato; così Adamo di Brema (1, 43).
  34. Il Muratori con patriottica accuratezza ha esaminati i pericoli ai quali fu esposta Modena, e i modi che questa città avea per liberarsene. I cittadini supplicarono S. Geminiano loro avvocato a distorre da essi, mediante la sua intercessione, la rabies, il flagellum etc.

    Nunc te rogamus, licet servi pessimi,
    Ab Ungarorum nos defendas jaculis.

    Il Vescovo edificò mura per la pubblica difesa, non già contra Dominos serenos (Antiq. Italic. med. aevi, t. I, Dissert. 1, p. 21, 22); e la canzone della guardia notturna non è priva di eleganza e di utilità (t. III, Dissert. 40, p. 709). Questo Autore degli Annali d’Italia ha accennata con molta esattezza la sequela delle correrie degli Ungaresi (Annali d’Italia, t. VII, p. 365-367-393-401-437-440; t. VIII, p. 19-41-52 ec.).

  35. Gli annali dell’Ungheria e della Russia suppongono che gli Ungaresi assalissero, assediassero, o per lo meno insultassero Costantinopoli (Pray, Dissert. 10, pag. 239; Katona, Hist. ducum, p. 354-360). Gli Storici di Bisanzio (Leone Grammatico, p. 506; Cedreno t. II, p. 629) quasi concedono un tal fatto; ma il Katona, ed anche il notaio di Bela, lo impugnano, o certamente lo mettono in dubbio, benchè glorioso, alla loro nazione. Degno d’elogi è un tale scetticismo: certamente non poteano nè copiare, nè ammettere le rusticorum fabulae; ma il Katona avrebbe dovuto far caso della testimonianza di Luitprando: Bulgarorum gentem atque GRAECORUM tributariam fecerant (Hist., l. II, c. 4, p. 435).
  36. – λεονθ’ ως δηρινθητην
    Οτ’ ουρεως κορυφεσι περι κταμενης ελαφιοιο

    Αμφω πειναοντε μεγα φρονεοντε μαχεςθον

    Contendeano come due leoni i quali nelle vette di un monte combattono affaticati e animosi per una cerva uccisa.

  37. Il Katona (Hist. ducum, p. 360-368-427-470) discute a lungo tutto quanto a queste due battaglie si riferisce. Luitprando (l. II, c. 8, 9) offre sicurissime testimonianze intorno alla prima, e Witichin (Annal. Saxon. l. III) sulla seconda; ma uno Storico critico non potrà starsi dal far qualche osservazione sulla cornetta d’un guerriero conservata, ivi dicesi, a Jaz-Berin.
  38. Hunc vero triumphum tam laude quam memoria dignum, ad Meresburgum rex in superiori caenaculo domus per ζωγραφιαν, idest, picturam notari, praecepit, adeo ut rem veram potius quam verisimilem videas (Luitprand. l. II, c. 9). Carlomagno avea fatti dipingere argomenti sacri in un altro palagio dell’Alemagna, e il Muratori giustamente osserva: nulla saecula fuere in quibus pictores desiderati fuerint (Antiqu. ital. med. aevi, t. II, Dissert. 24, p. 360, 361). Le pretensioni degli Inglesi all’antichità dell’ignoranza e dell’imperfezione originale, per valermi delle pungenti espressioni del Signor Walpole, hanno una data assai più recente (Anecdotes of Painting, vol. I, p. 2 ec.).
  39. Non è superstizione l’invocare i Santi nelle disgrazie; il Cattolico che gli ammette e crede alla loro intercessione sente, chiamandoli, un conforto alla sua debolezza, e al tristo suo stato; perchè toglierglielo? (Nota di N. N.).
  40. V. Baronio (Annal. Eccles. A. D. 929, n. 2, t. 5), Luitprando (l. IV, c. 12); Sigeberto, e gli Atti di S. Gerardo, testimonj di fede degnissimi, parlano della lancia di Gesù Cristo; ma quanto ho detto delle altre reliquie, non è fondato che su l’opera Gesta Anglorum post Bedam, (l. XI, cap. 8).
  41. Katona (Hist. ducum Hungar. p. 500, ec.).
  42. Fra queste colonie possono distinguersi, 1. i Chazari, o Cabari che si unirono agli Ungaresi. (Costant. De admin. imper. c. 39, 40, p. 108, 109); 2. i Giazigi, i Moravi e i Siculi che gli Ungaresi trovarono sul territorio ove posero domicilio; questi ultimi, forse gli avanzi degli Unni di Attila, ebbero l’incarico di guardare i confini; 3. i Russi, che, come gli Svizzeri oggidì presso i Francesi, diedero il loro nome ai portinai de’ reali palagi; 4. i Bulgari, i Capi de’ quali (A. D. 956) vennero chiamati, cum magna multitudine HISMA-HELITARUM. Che mai alcuni di questi Schiavoni avessero abbracciato l’Islamismo? 5. i Bisseni, e i Cumani, miscuglio di Patzinaciti, di Uzi e di Cazari ec., dilatatisi fino alla parte infima del Danubio. I Re Ungaresi (A. D. 1239) ricevettero e convertirono l’ultima colonia di quarantamila Cumani, e da essi ottennero un nuovo titolo (Pray, Diss. 6, 7, p. 109-173; Katona, Hist. ducum, pag. 95-99, 259-264, 476-479; 483, ec.).
  43. Christiani autem, quorum pars major populi est, qui ex omni parte mundi illuc tracti sunt captivi, ec. Così parlava Piligrino il primo missionario che entrasse nell’Ungheria (A. D. 973). Pars major è molto dire (Hist. ducum, p. 517).
  44. Gli antichi diplomi fanno menzione de’ fideles Teutonici di Geisa; e il Katona colla solita sua abilità è giunto a calcolare con giustezza la forza di queste colonie, cotanto esagerata dall’italiano Ranzani (Hist. crit. ducum, p. 567-681).
  45. Presso i Greci questo nome di nazione è espresso da Ρως, Ros, parola indeclinabile, che ha dato luogo a molte immaginarie etimologie. Ho letta con piacere e vantaggio una dissertazione De origine Russorum (Comment. acad. Petropolitanae, t. VIII, p. 388-436) di Teofilo Sigefredo Bayer, Alemanno pieno di dottrina, che ha consacrate le sue fatiche e la vita al servigio della Russia. Ho profittato parimente di un tratto di Geografia del d’Anville, intitolato; de l’Empire de Russie, son origine et ses accroissemens (Parigi, 1772, in 12).
  46. V. tutto il passo (dignum, dice il Bayer, ut aureis in tabulis figatur) negli Annales Bertiniani Francorum (in Script. ital. Muratori, t. II, part. I, p. 525) A. D. 839, 22 anni prima dell’era di Ruric. Luitprando che viveva nel duodecimo secolo parla (Hist. l. V, cap. 6) de’ Russi e dei Normanni, come di que’ medesimi Aquilonares homines, fattisi soprattutto discernere per la vivacità del lor colorito.
  47. Io non conosco questi Annali che dalla storia della Russia del signor Levesque. Nestore il primo e il migliore fra i compilatori degli Annali russi era monaco a Kiovia, e morì nel principio del duodicesimo secolo. Ma la Cronaca da esso composta è rimasta poco meno che sconosciuta sino al 1767, nel qual tempo è stata pubblicata in 4.° a Pietroburgo. (Levesque, Hist. de Russie, t. I, p. 16; Coxe’s Travels, vol. II, pag. 184)(*)

    (*) Abbiamo ora una traduzione degli Annali di Nestore eseguita dall’erudito Schloetzer che vi ha aggiunte note, preziose massimamente per coloro che di conoscere le antichità russa hanno vaghezza. (Nota dell’Editore)

    .
  48. Theophil. sig. Bayer, De Varagis (Così il Bayer li denomina) in Comment. Acad. Petropolitanae, tom. IV, p. 275-311.
  49. Ciò nullameno, nell’anno 1018, Kiovia e la Russia erano tuttavia difese, ex fugitivorum servorum robore, confluentium et maxime Danorum. Il Bayer, citando (p. 292) la Cronaca di Ditmar, di Merseburgo, fa osservare che gli Alemanni non prestavano servizio nelle truppe straniere.
  50. Il Ducange ha raccolti i passi degli autori originali che hanno scritto dello stato, e della storia de’ Varangi a Costantinopoli (Gloss. med. et infim. graecitatis, sub voce βαραγγοι; med. et infim. latinitatis, sub. voce Vagri. Not. ad Alex. Annae Comnenae, p. 256, 257, 258; Notes sur Villehardouin, p. 296-299). V. ancora le note del Reiske sul Ceremoniale aulae Byzant. di Costantino t. II, p. 149, 150. Sassone il Grammatico assicura che essi parlavano la lingua danese; ma se si crede al Codino si valsero fino al decimoquinto secolo, dell’inglese, come idioma nativo. Πολυχρονιζουσι Βαραγγοι κατα την πατριην γλωσσαν αυτων ητοι Ιγκιληνισι. Perseverano i Varangi nella lingua patria come nell’inglese.
  51. Le nozioni che abbiamo sulla geografia, e sul commercio della Russia vennero pubblicate in quel tempo dall’imperatore Costantino Porfirogeneta (De administrat. imperii, c. 2, p. 55, 56, c. 9, p. 59-61, c. 13, p. 63-67; c. 37, p. 106, c. 42, p. 112, 113), e rischiarate per le cure del Bayer (De geographia Russiae vicinarumque regionam circiter, A. D. 948, in Comment. academ. Petropol., t. IX, p. 367-422, t. X, p. 371-421) col soccorso delle Cronache e delle tradizioni della Russia, della Scandinavia ec.
  52. Il signor Levesque (Histoire de Russie t. I, p. 60), attribuisce ai tempi che il regno di Ruric precedettero questo orgoglioso proverbio: Chi può resistere a Dio, e alla grande Novogorod? Nel corso della sua Storia egli parla frequentemente di questa Repubblica, distrutta poi nell’anno 1475 (tom. II, p. 252-266). Un esatto viaggiatore, Adamo Oleario, descrive (nel 1035) gli avanzi di Novogorod, e la via che tennero per mare e per terra gli ambasciadori di Holstein (tom. I, p. 123-129).
  53. In hac magna civitate, quae est caput regni, plus trecentae Ecclesiae habentur et nundinae octo, populi etiam ignota manus (Eggehardus, ad A. D. 1018, apud Bayer, t. IX, p. 412). Egli cita parimente (t. X, p. 397) le parole dell’Annalista sassone: Cujus (Russiae) metropolis est Chive, aemula sceptri constantinopolitani, quae est clarissimum decus Graeciae. Kiovia, soprattutto nell’undecimo secolo, era conosciuta dai geografi arabi ed alemanni.
  54. In Odorae ostio, qua scythicas alluit paludes, nobilissima civitas, Julinum, celeberrimam Barbaris, et Graecis qui sunt in circuitu, praestans stationem, est sane maxima omnium quas Europa claudit vivitatum (Adamo di Brema, Hist. eccles., p. 19); stravagante esagerazione anche nel labbro di uno scrittore dell’undicesimo secolo. L’Anderson (Hist. Deduction of Commerce) ha trattato accuratamente tutto quanto al commercio del Baltico e alla Lega anseatica si appartiene: su di tale argomento non conosco, nelle lingue almeno che ci sono famigliari, alcun’altra opera così compiuta.
  55. Stando alle nozioni somministrate da Adamo di Brema (De situ Daniae, p. 58) l’antica Curlandia per un tratto di otto giornate prolungavasi sulla costa; e Pietro il Teutoburgico (p. 68, A. D. 1326) assegna Memel, qual frontiera comune alla Russia, alla Curlandia e alla Prussia. Aurum ibi plurimum (dice Adamo) divinis, auguribus atque necromanticis omnes domus sunt plenae... a toto orbe ibi responsa petuntur, maxime ab Hispanis (forsan ZUPANIS, id est regulis Lettoviae) et Graecis. Davasi ai Russi il nome di Greci, anche prima della loro conversione; conversione imperfetta assai, se conservarono l’uso di consultare gli stregoni della Curlandia. (Bayer, t. X, p. 378-402 ec. Grotius Prolegomen. ad Hist. goth., p. 99).
  56. Costantino accenna solamente sette cateratte delle quali indica i nomi in lingua russa e schiavona. Ma tredici ne addita il signor di Beauplan, ingegnere francese, che avea esaminato il corso e la navigazione del Dnieper e del Boristene. (V. la sua descrizione De Lucrania, Rouen 1660, picciolo in 4). Sfortunatamente la carta che accompagna quest’opera non trovasi unita all’esemplare che io ne posseggo.
  57. Nestore, (presso Levesque, Hist. de Russie; t. I, p. 78-80). I Russi, vi si dice, si trasferivano dal Dnieper o dal Boristene nella Bulgaria Nera, nella Chozaria e nella Siria. Nella Siria! e come, e in qual tempo, e in qual porto? Invece di Συρια Siria non potrebbe egli leggersi Σκανια Scania (De administ. imper., c. 42, p. 113)? Il cambiamento è leggiero. La situazione della Scania, posta fra la Chozaria e il Lazico spiegherebbe il tutto, tanto più che questo nome adoperavasi anche nell’undicesimo secolo (Cedrenus, tom. II, pag. 770).
  58. Le guerre accadute ne’ secoli nono, decimo e undecimo fra i Russi ed i Greci, vengono raccontate negli Annali di Bisanzio, e soprattutto dal Zonara e da Cedreno; e le diverse testimonianze di questi scrittori trovansi unite nella Russica dello Stritter (t. II, part. II, p. 939-1044).
  59. Προσεταιρισαμενος δε και συμμαχικον ου ολιγον αρο των κατοικουντων εν ταις προσαρκτιοις του Οκεανου νησοις εθων. Trasferendo anche non pochi commilitoni dalle genti che abitavano nelle isole settentrionali dell’Oceano. (Cedren., in Compend., p. 758).
  60. V. Beauplan (Description de l’Ukraine, pag. 54-61). I racconti di questo autore sono vivaci, esatte le sue descrizioni; ed, eccetto l’armi da fuoco, quanto egli accenna de’ moderni Cosacchi può perfettamente agli antichi Russi applicarsi.
  61. Abbiamo a dolerci che il Bayer non abbia pubblicato che una dissertazione De Russorum prima expeditione Constantinopolitana (Comment. acad. Petrop. t. VI, p. 365-391). Dopo avere fatto sparire alcune cronologiche difficoltà, ei porta l’epoca di una tale spedizione agli anni 864, o 865, la qual data avrebbe dovuto dileguare i dubbj, e render meno ardue le difficoltà che si trovano sul principio della storia del sig. Levesque.
  62. Nel tempo che Fozio scrivea la sua lettera circolare sulla conversione de’ Russi, il miracolo non era per anco maturo. Egli rimprovera alla nazione, εις ωμοθητα και μιαιφονιαν παντας δευτερους ταττομενον che educava tutti gli ultimi alla crudeltà e alla strage.
  63. Leone il Grammatico, p. 463, 464; Constantini, continuator, in script, post. Theophaneum, pag. 121, 122; Simeon Logothet., p. 445, 446; Georg. Monach., p. 535, 536; Cedrenus, t. II, p. 551; Zonara, t. II, p. 162.
  64. V. Nestore e Nicone nella Histoire de Russie, del signor Levesque (t. I, p. 74-80); il Katona (Hist. Ducum, p. 75-79) usa de’ suoi privilegi per non ammettere una tal vittoria de’ Russi, che toglierebbe splendore all’assedio di Kiovia operato dagli Ungaresi.
  65. Leone il Grammatico, pag. 506, 507: Incert. Contin. p. 263, 264; Simeon Logothet, p. 490, 491; Georg. Monach, p. 588, 589; Cedrenus, t. II, p. 629; Zonara, t. II. p. 190, 191; e Luitprando (l. V, c. 6), che descrivendo le cose narrategli dal suocero suo, allora ambasciatore a Costantinopoli, corresse le esagerazioni della vanità de’ Greci.
  66. Non posso citare a tale proposito che Cedreno (t. II, p. 758, 759) e Zonara (t. II, p. 253, 254); ma le testimonianze di questi Scrittori divengono più sicure e meritevoli di fede, a proporzione del loro avvicinarsi ai tempi ne’ quali vissero.
  67. Nestore presso Levesque, Hist. de Russie, t. I, p. 87.
  68. Questa statua di bronzo veniva da Antiochia, e i Latini la fusero. Supponeasi rappresentasse Giosuè o Bellorofonte. Bizzarra alternativa! V. Niceta Coniate; (p. 413, 414); Codino (De Originibus, C. P. p. 24); e l’Autore anonimo De Antiquitate C. P. (Banduri, Imp. orient. t. I, 17, 18) che vivea verso l’anno 1100. Essi attestano che credeasi alla profezia; non rileva il restante.
  69. Il signor Levesque (Hist. de Russie, t. I, p. 94-107) ha composto, seguendo le Cronache russe, un epilogo della vita di Swatoslao, o Sviatosla, o finalmente Sphendosthlabus.
  70. Somiglianza che scopresi con grande chiarezza nel nono libro dell’Iliade (205, 221), e nelle descrizioni della cucina di Achille. Un poeta che al dì d’oggi tal dipintura offerisse in una Epopea, il suo lavoro deturperebbe, nè si renderebbe grato ai lettori; ma i versi greci sono armoniosi; le espressioni di una lingua morta, rare volte, ignobili o troppo famigliari ne sembrano; oltrechè ventisette secoli trascorsi dai giorni di Omero aggiungono ai nostri occhi vezzo alle antiche costumanze.
  71. Il singolare epiteto di Zimiscè dalla armena lingua deriva. I Greci traducevano la parola ζιμισκες giovandosi dell’altra μουζακιζες o μοιρακιζης. Il significato dell’una e dell’altra espressione essendomi ignoto egualmente, mi sarà lecito il chiedere come nella commedia: Di grazia quale è l’interprete di voi due? Ma dal modo della loro composizione sembra che corrispondano ad adolescentulus (Leone Diacono, l. IV, MS., ap. Ducange, Gloss. graec., p. 1570).
  72. In lingua Schiavona, Peristhlaba, equivaleva a grande o illustre città, μεγαλη και ουσα και λεγομενη, la quale è veramente, e vien nomata grande, dice Anna Comnena (Alexiade, l. VII, p. 194). Della sua situazione posta fra il monte Emo e la parte inferior del Danubio, potrebbe dirsi che essa occupasse il luogo, o almeno all’incirca il luogo di Marcianopoli. Non troviamo difficoltà nel determinare la giacitura di Durostolo o Dristra che agevolmente si riconosce (Comment. Acad. Petropol. t. IX, p. 415, 416; d’Anville, Geogr. anc. t. I, p. 307-311).
  73. Il libro De administratione imperii spiega, soprattutto ne’ sette primi capitoli, la condotta politica tenutasi da’ Greci verso i Barbari e specialmente coi Patzinaciti.
  74. Nel racconto di una tale guerra, Leone il Diacono (presso il Pagi, Critica, t. II, A. D. 968-973) è più autentico, e porta maggiori particolarità di Cedreno (t. II, p. 660-683) e di Zonara (t. II, p. 205-214). Questi declamatori hanno fatto ascendere a trecento ottomila, e trecento trentamila uomini il numero delle truppe russe, calcolato con maggior moderazione e verisimiglianza dai contemporanei.
  75. Phot. epist. 2, n. 35, pag. 58 ediz. Montacut. Questo dotto editore non avrebbe dovuto confondere il grido di guerra de’ Bulgari colle due parole το Ρως il Ros, le quali non vogliono dir altro che nazione russa; nè Fozio, uom di senno, dovea accusare gli idolatri schiavoni της Σλληνικης και αθειου δοξης, di greca ed atea fede. Essi non erano nè Greci nè Atei.
  76. Le notizie più compiute che abbiansi su la religione degli Slavi e la conversion della Russia, son quelle offerteci dal Signor Levesque nella sua Hist. de Russie, da esso dedotta, così dalle antiche Cronache, come dalle osservazioni che su queste i moderni hanno fatte, (t. I, p. 35, 54, 59-92, 93, 113-121, 124-129, 148, 149 ec.).
  77. V. il Cerem. aulae byzant., t. II, c. 15, p. 343-345, ove Olga o Elga vien nominata Αρχοντισσα Ρωσιας, Principe della Rosia. I Greci, per indicare la sovrana delle Russie adopravano il titolo di un magistrato di Atene terminato in desinenza femminina, la qual cosa avrebbe stranamente sonato all’orecchio di Demostene.
  78. V. un frammento anonimo pubblicato dal Banduri (Imper. or. t. II, p. 112, 113. De conversione Russorum).
  79. L’Erbestein (apud Pagi, t. IV, pag. 56) narra, che Valadimiro fu battezzato e maritato a Cherson o Corsun. Novogorod conserva anche ai dì nostri tale tradizione, e le porte delle quali parlato abbiamo nel testo. Nondimeno un viaggiatore ed osservatore esatto pretende venute da Magdeburgo queste porte di bronzo, (Coxe’s, Travels into Russia ec., v. I, p. 452) e cita un’iscrizione che par fatta per dimostrare tale assunto. I leggitori non debbono confondere questa Cherson, città della Tauride, o della Crimea, con una città del medesimo nome, stata fabbricata alla foce del Boristene, e di recente illustrata da un parlamento che vi hanno tenuto Caterina II e l’Imperatore Giuseppe.
  80. V. Il testo latino o la versione inglese dell’eccellente Storia della Chiesa del Mosheim, al primo capitolo, ossia alla prima Sezione intorno ai secoli nono, decimo e undecimo.
  81. Non solo la religione cristiana differiva, e differisce nella teoria dall’antico culto degli idoli, come già abbiamo altrove mostrato, ma anche nella pratica; in questo culto, per esempio, v’erano i sacerdoti particolari di Giove, di Marte, di Cerere; nel culto cristiano non ci sono che i sacerdoti, o ministri di Dio; gli altri oggetti del culto cristiano non hanno sacerdoti proprj: quanto poi a questi oggetti, cioè alla teoria del culto delle imagini, ripetiamo ciò che ne abbiamo detto in una nota al vol. IX. (Nota di N. N.).
  82. Nel 1000, gli ambasciadori di S. Stefano ricevettero da Papa Silvestro il titolo di Re d’Ungheria, e il donativo d’un diadema che era lavoro di artisti greci. Doveva esserne presentato il Duca di Polonia, ma i Polacchi, per lor confessione medesima, erano troppo barbari, e immeritevoli quindi di una corona angelica ed appostolica. (Katona, Hist. crit. regum stirpis Arpadianae, t. I, p. 1-20).
  83. Si ascoltino i cantici trionfali di Adamo di Brema (A. D. 1080) che hanno un fondo di verità: Ecce illa ferocissima Danorum, etc. natio ..... jamdudum novit in Dei laudibus alleluia resonare .... Ecce populus ille piraticus ... suis nunc finibus contentus est. Ecce patria, horribilis semper, inaccessa propter cultum idolorum ... praedicatores veritatis ubique certatim admittit, etc. (De situ Daniae, etc., p. 40, 41, ediz. Elzevir); opera ove scorgesi una pittura originale e dilettevole del Nort dell’Europa, e della introduzione del Cristianesimo in questa parte del Mondo.
  84. I grandi principi abbandonarono nel 1156 la residenza di Kiovia, smantellata indi dai Tartari nel 1240. Mosca divenne nel secolo XIV la sede dell’Impero. V. il primo e secondo volume della Hist. de Russie, del signor Levesque, e i Viaggi di Coxe nel Nort, t. I, p. 241.
  85. Gli ambasciatori di S. Stefano aveano adoperate le rispettose espressioni di regnum oblatum, debitam obedientiam, etc. che Gregorio VII alla lettera interpretò; onde gli Ungaresi sonosi trovati impacciati fra la santità del Papa e l’independenza della Corona (Katona, Hist. critica, tom. I, p. 20-25, t. II, p. 304, 346, 360 ec.)