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dell'impero romano cap. lvi | 179 |
niosa fuga i brigantini leggieri de’ Greci si spersero: più ostinata lotta sostennero le nove Fortezze mobili de’ Veneziani; sette mandate a fondo, e due cadute finalmente in potere dell’inimico; duemila cinquecento prigionieri la pietà del vincitore indarno implorarono, e la figlia di Alessio fa ascendere a tredicimila uomini il numero de’ Greci, o confederati, che in tale occasione morti rimasero. L’altezza d’ingegno avea tenuto luogo di esperienza a Guiscardo. In ognuna delle sere successive alle azioni, dopo avere sonato a ritratta, esaminava tranquillamente le cagioni della sconfitta, e immaginava nuovi stratagemmi che alla sua debolezza supplissero, e i vantaggi del Greco rendessero vani. Le fazioni marittime il verno sospese: col ritorno di primavera pensò nuovamente ad impadronirsi di Costantinopoli; ma in vece di attraversare i colli dell’Epiro, si trasferì nella Grecia, e nelle città dell’Arcipelago, le cui spoglie un maggior premio alle sue fatiche offerivano; oltrechè, in un tal campo i suoi eserciti di terra e di mare poterono più vigorosamente, e con migliore speranza di buon successo, accordarsi; ma tai disegni turbò un morbo contagioso che si diffuse per tutto il campo normanno nell’isola di Cefalonia, e del quale lo stesso Roberto fu vittima. Egli spirò
de’ Normanni, e dimentica le due sconfitte anteriori, che Anna Comnena però non dimentica (l. VI, p. 159, 160, 161); anzi a sua volta, ella inventa, o esagera una quarta battaglia ove i Veneziani sono vendicati delle perdite sofferte, e del loro zelo ricompensati. I Veneziani non la pensavano così, poichè rimossero il loro Doge, propter excidium stoli. (Dandolo in Chron., Muratori, Script. rerum italicarum, tom. XII, pag. 249).