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dell'impero romano cap. lvi 189

spettabile vetustà di Atene, di Tebe e di Corinto, oppose argine alla rapina, e alla crudeltà de’ vincitori. Niun monumento della devastazione che Atene sofferse, è pervenuto insino a noi. I Latini scalarono le antiche mura, che ricigneano, senza difenderle, le ricchezze di Tebe, e i vincitori si ricordarono sol del Vangelo, per farlo mallevadore del giuramento a cui costrinsero i legittimi proprietarj di non avere sottratto alcun tesoro alla rapacità degl’invasori. All’avvicinar de’ Normanni, la città bassa di Corinto rimase vota d’abitatori; i Greci si ripararono alla rocca, situata sopra un’eminenza, d’onde versava copiose le sue acque la fonte di Pirene, cotanto nota agli amatori dell’antica Letteratura; rocca invincibile, se i vantaggi dell’arte e della natura, la mancanza di valore potessero compensare. Gli assedianti non durarono altra fatica che inerpicarsi sulla collina: il loro generale, maravigliato egli medesimo della sua vittoria, ne manifestò al Cielo la propria gratitudine collo strappar dall’altare una immagine preziosa di S. Teodora, avvocata della Fortezza. La parte più preziosa del bottino si stette in fabbricatori di seta d’entrambi i sessi, che Ruggero nella Sicilia inviò; nella qual circostanza, instituendo confronto tra l’abile industria di quegli artigiani, e la dappocaggine de’ suoi soldati, esclamò essere la rocca e il telaio le sole armi cui trattar sapessero i Greci. Due segnalati avvenimenti questa spedizione marittima contraddistinsero; la liberazione d’un Re di Francia, e l’insulto che a Costantinopoli i navigli Siciliani inferirono. I Greci avendo, contra tutte leggi di religione e d’onore, ritenuto prigioniero Luigi VII di ritorno dalla sua mal augurosa crociata, la flotta normanna lo incontrò, e toltolo