Le principali gesta di Don Chisciotte descritte

Bartolommeo Gamba

Indice:Alcune operette di Bartolommeo Gamba bassanese.djvu Letteratura Le principali gesta di Don Chisciotte descritte Intestazione 23 febbraio 2023 25% Da definire

Questo testo fa parte della raccolta Alcune operette di Bartolommeo Gamba bassanese


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le più dignitose geste

di

don chiscotte

descritte

per la invenzione delle figure

eseguite poi dal signor

francesco novelli

veneziano.

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Nel pubblicare la mia Traduzione dallo spagnuolo del D. Chisciotte di Michele Cervantes, impressa in Venezia 1818, volumi otto in 8, l'ho fregiata di 32 figure disegnate ed incise all'acqua forte dal valente artista Francesco Novello, al quale ho descritti i soggetti prescelti dietro l’esame di tutta l'opera. Siccome queste descrizioni dar possono una adeguata idea di tutto il romanzo, così si di esse, come delle più fresche prove dei rami ho formato anche un Libro a parte, di cui furono impressi cento soli esemplari in carta velina colorata. Ora può contentarsi il lettore di aver sott'occhio il solo mio scritto, ed osservare che niuna prodezza del gran Cavaliere errante venne allora da me trascurata, né con fredda indifferenza narrata.

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Don Chisciotte armato esce in campagna.


Adattasi in testa una cartacea celata, imbracciata la targa, ed armato di rugginosa lancia, don Chisciotte è pronto a dare cominciamento alle sue prodezze, e cavalcando Ronzinante, bestia elle aveva più malanni indosso del cavallo di Gonnella, esce por la prima volta in campagna.

Dalla fisonomia dell’eroe appariscono le intrepide risoluzioni che gli occupano l’animo per dare principio a luminosi assalti, per vendicare ingiurie, per togliere dal mondo ingiustizie, per difendere deboli, per raddrizzare torti, per correggere abusi, per soddisfare debiti, e per rendersi in fine l’idolo della ammirabile ed unica Dulcinea del Toboso, che dovea essere la sua fiamma e il suo sole. In questa chimerica divinità egli aveva trasformata una fresca contadinotta, nativa della sua terra e chiamata Alonza Lorenzo. [p. 242 modifica]

Don Chisciotte creato Cavaliere dall'Oste.


Giunto don Chisciotte ad una osteria, che nel suo sconvolto cervello giudicò essere fortezza, dopo molte pazzie e dopo avere fatta la veglia delle armi durante la notte, impegnò il governatore della fortezza, o sia l'oste, ad armarlo cavaliere.

L’oste, conosciuto l’umore del supplichevole, diede di piglio ad un libro in cui stavano registrate le somministrazioni di paglia e di fieno che faceva ai vetturali, ed obbligando un fanciullo a tenere in mano una candela accesa, impose a don Chisciotte di mettersi ginocchione. Fingendo allora di leggere nel suo manuale, l’oste brontolò sotto voce, poi alzò la mano, diede al nuovo cavaliere un grande scappellotto, e colla sua medesima spada una piattonata.

Stavano presenti al nuovo ceremoniale due donne di mal odore, l'una figlia di un mugnajo, l’altra di un ciabattino; e questa seconda cinse a don Chisciotte la spada, e gli disse: Dio faccia che la Signoria vostra riesca il più fortunato de’ cavalieri, e che Vossignoria abbia gloria in ogni cimento. [p. 243 modifica]

Primo combattimento coi Mulini a vento.


Una delle prime e più celebri prodezze del grande don Chisciotte è stata quella di investire un mulino a vento, giudicando egli di battersi contro un esercito di giganti. Dato degli sproni al suo Ronzinante, ed invocata la protezione della sua Dulcinéa, perché non gli venisse meno di assistenza e favore, passò all’ardua tenzone. Sancio Panza si mise a sclamare: Guardi bene la Signoria vostro che quelli non sono altramente giganti, ma mulini a vento, e quelle che paiono braccia sono gli aspi che, rivoltati dal vento, fanno girare la macina del mulino. Don Chisciotte rispose a Sancio: Ben si conosce che non ti intendi, o Sancio, di avventure: quelli sono giganti: e se tu hai paura scostati mettiti in orazione. Disse, e volò all'assalto; ma urtando colla lancia in un aspo fu rivoltato con tanta furia, che non solo andò la lancia in pezzi, ma stramazzarono il cavallo e il cavaliere. [p. 244 modifica]

Sancio Panza sbalzato colla coperta.


Tanto il valoroso don Chisciotte quanto il paziente scudiere innumerevoli travagli sofferto aveano in altra osteria, che pure si era il cavaliere errante incaparbito nel giudicare castello. Dopo ch’egli ebbe la testa mezza fracassata da una lucerna che gli sbattè indosso il bargello, e dopoché dovette recere quasi gl’intestini in virtù di un balsamo, che più fatale ancora era riuscito al povero Sancio, deliberò don Chisciotte di partire senza voler pagare all’oste l’alloggio per non contravvenire agli ordini della errante cavalleria. Indispettitosi l'oste, arrestò Sancio, e consegnatolo a quattro battilane di Segovia, questi lo misero sopra un copertojo da letto, e lo resero volatore a suo mal grado, abbassandolo e sbalzandolo in alto come se fosse stato cagnuolino. don Chisciotte, udito il romore, tornò verso l’osteria, e trovato chiuso l’ingresso potè scoprire dalla muraglia del cortile il mal governo che si faceva del suo sciamannato scudiere. Non sapendo come vendicarlo scagliava mille villanie e viluperj e minacce contro la gente burlona, la quale per altro non lasciò così presto di divertirsi alle spese del padrone e dello scudiere. [p. 245 modifica]

Il famoso Elmo di Mambrino.


Dopo la strepitosa ventura delle Gualchiere, che causò spavento e percosse al povero Sancio, si avvenne Don Chisciotte in barbiere che cavalcava un asino bigio, e che per ripararsi dalla pioggia si era coperta la testa col suo bacino di ottone. Il nostro eroe lo giudicò cavaliere che marciasse su cavallo leardo con in testa il famosissimo elmo d’oro di Mambrino. Andò in furia ad incontrarlo con la sua lancia, ed il barbiere credendosi sopraffatto da qualche fantasima, si lasciò cadere dall'asino e si mise a fuggire abbandonando e bestia e bacino. Don Chisciotte comandò tosto a Sancio che raccogliesse l’elmo, e così l'elmo-bacino passò in mano del padrone, il quale se lo ripose sopra il capo, e girandolo attorno, e cercando la visiera, e non trovandola, disse: Certo che il Pagano per cui si fabbricò la prima volta questa famosa celata dovea avere testa grandissima; e il peggio si è che ne manca la metà! Sancio Panza non potea più contenersi dal ridere, ma ristette, avendo avute per lo passato troppo amare prove del furioso temperamento del suo padrone. [p. 246 modifica]

Liberazione dei galeotti incatenati.


Passava per le campagne scortato da guardie un branco di galeotti che pei loro misfatti erano stati condannati a servire per forza il re sulle galere. Don Chisciotte, vedutili appena, disse: Io mi trovo in debito di eseguire gli obblighi di mia professione col disfare le forze e le violenze: e, udita la causa delle disgrazie di quegli sciaurati, soggiunse alle loro guardie: Signore guardie, nulla hanno commesso queste povere genti contro di voi; e intimò loro che fossero tosto liberati dai ceppi. Una guardia gli rispose: Vada Vossignoria in buon'ora per la sua strada, e si raddrizzi il bacino che ha in testa, né stia cercando il quinto piede nel gatto. S’indispettì il cavaliere per si arrogante risposta, investì ed atterrò la guardia con un colpo di lancia. I galeotti, profittando di sì inatteso evento, cominciarono a sciogliersi dalle catene, e Sancio accorse per lo primo alla liberazione di Gines di Passamonte, ch’era più scellerato di ogni altro. Fu costui incaricato da Don Chisciotte di recarsi al Toboso per dare conto di tanta prodezza a Dulcinéa, ma l’assassino [p. 247 modifica]

rifiutò l’ambasceria. Ciò diede origine a nuova zuffa, in cui Don Chisciotte e Sancio rimasero derubati e malconci.

Cardenio calpesta Don Chisciotte e Sancio.


Uno sventurato, di nome cavaliere Cardenio, tutto lacero e più che mezzo impazzito per amore, volle narrare le sue sventure a Don Chisciotte, che incontrò in Sierra-Morena, ma a patto che questi non interrompesse mai il filo della dolente istoria. Così seguì sino al punto in cui Cardenio nominò il famoso libro di cavalleria scritto da Amadigi di Gaula. A questo nome Don Chisciotte si scosse, si oppose, confutò Cardenio, e i due cavalieri si riscaldarono il sangue, uno per offendere e l’altro per difendere il gran maestro Elisabatte, imputato di avere commesso concubinato colla regina Madassima. Nel bollore della zuffa Don Chisciotte si trovò salutato da una sassata nel petto che lo fece stramazzare. Sancio voleva proteggere il suo padrone, ma Cardenio con un pugno se lo gittò ai piedi, e montatovi addosso gli ammnaccò aspramente le costole. Un capraio era accorso per difesa di Sancio, ma Cardenio, dopo ch’ebbe troppo bene macinati e pesti quei due, fuggì via e tornò a nascondersi nella foresta. [p. 248 modifica]

Penitenza di don Chisciotte in Sierra-Morena.


Per esercitarsi don Chisciotte nei patimenti, e riescire più degno della sua amatissima Dulcinéa, ritirossi nelle spelonche di Sierra-Morena, di dove scrisse alla sua bella una lettera, incaricando Sancio di esserne portatore. Sancio, ch’era stato derubato del suo asino, ottenne a prestito Ronzinante, su cui cavalcò con un mazzo di ginestre in mano le quali erasi addossato di spargere per la strada, come segnali del sentiero al suo ritorno fra quelle catapecchie dove restava frattanto il padrone a far penitenza. Prima di partire volle esser testimonio di una almeno delle pazzie che don Chisciotte era intenzionato di fare: Attendi, o Sancio, disse allora il padrone, che in un momento te la farò vedere. E calatesi frettolosamente le brache, e rimasto ignudo come sua madre lo aveva fatto, dié due sgambettate, e fece due capriole colle gambe all'aria, scoprendo cose che per non tornare a vederle, Sancio volse presto le redini a Ronzinante, e andò pe’ fatti suoi. [p. 249 modifica]

Dorotéa genuflessa avanti a don Chisciotte.


Era Dorotéa una scaltra giovane di contado, per istrane vicende di amore passata a rifuggirsi in Sierra-Morena, dove trovato aveva Cardenio, l’amico di Fernando suo amante, e, oltre ad esso, il curato ed il barbiere, celebri e fidi amici di don Chisciotte di cui erano in traccia. Venne pregata Dorotéa che tentasse ogni via per istrascinare seco l’eroe della cavalleria, ed ella, indossatasi ricca e maestosa zimarra, finse di essere la regina Micomicone, erede del gran regno Micomicone, che venisse a ritrovare don Chisciotte perché egli disfacesse il torto che le era stato fatto da un brutto gigantaccio della Guinea. Ella dunque, scoperto appena l'eroe, smontò dalla sua mula, si mise ginocchioni dinanzi a lui e si raccomandò colle lagrime agli occhi al valore del suo intrepido braccio. La vosta grande bellezza, le disse don Chisciotte, si alzi, che io le concederò il favore che dimanderà. Il barbiere stava intanto egli pure ginocchiono a canto di Dorotéa, e per non essere rioconosciuto portava una finta barba attaccata al mento, e fatta della coda di un bue che por caso trovato aveva nell'osteria. [p. 250 modifica]

Il Ritrovamento dell'Asino.


Quando lo scellerato assassino Gines di Passamonte ottenne di essere sciolto dalle catene, attese le temerarie prodezze di don Chisciotte, non solo salutato aveva a sassate il proprio liberatore, ma eziandio derubato il povero scudiere Sancio Panza del suo carissimo asino. Dopo varie e strane vicende Pines, travestito da zingano, giunse in Sierra-Morena e si abbattè nei nostri eroi. Appena che Sancio lo vide e riconobbe esclamò: Ah Ginesuccio ladrone, rendimi la mia gioia, lasciami la mia vita, non impegnarmi in cimenti, abbandona il mio asino, fuggi, briccone, e restituisci la roba che non è tua. Gines, vedendo che non era allora opportuno il restarsene, smontò presto dalla bestia e sparì via in un baleno. Sancio volò d’appresso al suo asino, lo carezzò, lo abbracciò strettamente, e gli disse: Come stai ben mio, asino degli occhi miei, compagno mio? E non saziavasi mai di baciarlo e di ribaciarlo come se stato fosse persona grandemente sua amica. [p. 251 modifica]

La Carità di Sancio Ponza.


Tra le prime prodezze di don Chisciotte, quando venne creato cavaliere errante, una fu quella di disciogliere certo garzonotto di nome Andrea, che il suo padrone avea legato ad una quercia, e ehe batteva siccome reo di ladronecci. Il giovane, dopo molto tempo, trovò per azzardo don Chisciotte e gli abbracciò tosto le ginocchia come a suo liberatore. L’eroe narrò allora colle frange a Dorotéa e a’ suoi compagni le prodezze usate a favore del medesimo; ma questi, più veritiero, soggiunse che don Chisciotte non aveva fatto che irritare di più il suo padrone che lo avea poi per vendetta reso un s. Bartolommeo scorticato. Replicò don Chisciotte che sarebbe volato a fare le sue vendette, ma Dorotéa lo scongiurò perché ciò rimettesse al ritorno dal regno di Micomicone. Andrea confinossi a chiedere qualche limosina per cavarsi la fame, e don Chisciotte faceva il sordo, ma si mosse Sancio a compassione, e, cavali di saccoccia pane e cacio, e datili al garzone, gli disse: Piglia, fratello Andrea, questa porzione di pane e di cacio, che ti regalo. Dio sa quanto [p. 252 modifica]

mi avrà a costare! perché tu devi sapere, o amico, che noi altri scudieri di cavalieri erranti andiamo tutti soggetti a molta fame e a molti malanni.

Combattimento di don Chiscotte con alcuni otri di vino.


Don Chisciotte si era talmente fitta in testa la pugna che dovea intraprendere col gigante nemico della regina Micomicona, che trovandosi addormentato all'osteria, e immaginandosi di essere già impegnato nel combattimento, balzò fuori del letto farneticando. Cogli occhi chiusi, colla camicia che sul davanti gli arrivava alle cosce, e sul di dietro era ancora di due dita più corta, tenendo ravvolta sul braccio sinistro la coperta del letto (quella stessa che Sancio aveva giuste ragioni di odiare) stava colla spada sfoderata tirando colpi a diritto e a rovescio. Nel suo riscaldo trapassò alcuni otri di vino ch’erano nello stanzone, il quale divenne un lago. Accorso Sancio, giudicò tosto che fosse il sangue del gigante ammazzato dal suo padrone, ma l'oste vide che così non andava la cosa, e ch’era realmente il suo vino. Invelenitosi, arrestò il [p. 253 modifica]

braccio a Don Chisciotte e lo caricò di tanti sorgozzoni, che se Cardenio e il curato non fossero sopraggiunti, potea di buon senno e per sempre avere fine la guerra coll'eccidio del cavaliere errante.

Don Chisciotte legato ad una finestra.


La figliuola el asrva dell'oste, sapendo che durante la notte Don Chisciotte stavasi nel cortile dell'osteria per la veglia delle armi, come se fosse in un castello, si avvisarono di fargli nuova burla. Lo invitarono ad essere loro cortese di uno sguardo amoroso, ma poi, attesa la sua ripugnanza per la fedeltà giurata a Dulcinéa, si contentarono di poter almeno toccare delle sue belle mani. Ve la porgo, ammirate la tessitura dei nervi, l'aggregato dei muscoli, la capacità delle vene, e possiate giudicare, delle gagliardia del braccio cui sta attaccata. La serva, senza perdere tempo, gli cinse la mano alla ferriata col capestro dell'asino di Sancio. Rimase l'eroe legato sulla sella del suo Ronzinante. Era nell'affannoso pensiere, che se la bestia gli fosse un po' giuzzata [p. 254 modifica]

di sotto, sarebbesi rimasto penzolone, quando vennero nel cortile altri passeggieri, ed avendo una loro cavalla fiutato Ronzinante, questo non istette alle mosse, e causò acuti spasimi al povero cavaliere che urlava come toro. Alle sue grida arrivò l'oste atterrito, e la serva andò di nascosto a scioglierlo dal capestro.


Riconciliazione di Sancio con Don Chisciotte.


Con temerarie espressioni erasi Sancio permesso d’intaccare alcun poco l’onore di Dorotéa, quella supposta regina Micomicona che godeva della protezione di don Chisciotte. Sdegnato questi, proruppe in veementi imprecazioni, e tali che ne rimase atterrito il suo povero scudiere. II curato ed il barbiere, don Fernando e la medesima Dorotéa si fecero intercessori per ricondurre Sancio al grembo della buona grazia del suo padrone, e questi permise finalmente che Sancio ginocchione e con estrema umiltà gli baciasse la mano. Rappacificatosi dunque, così gli disse: Ora finirai di convincerti, Sancio figliuolo, ch'è verità quello che altre volte ti ho detto, cioè che le cose tutte che passano in questo castello sono cose d’incantesimi. Rispose San[p. 255 modifica]

cio: Così crederò, eccettuato sempre l'affare dello sbalzamento della coperta ch'è succeduto per le vie ordinarie. Di questo affare dello sbalzamento della coperta si è saputo il netto sin dal preambolo di questa memorabile istoria.


Don Chisciotte cavato fuori dalla gabbia.


Il curato e il barbiere, che pur voleano ricondurre don Chisciotte al suo paese per tentare la guarigione del suo cervello, si determinarono di legarlo, mentre dormiva, e di rinchiuderlo in una gabbia tirata da buoi. Contro la opinione di Sancio giudicò don Chisciotte che ciò avvenisse per incantesimo, e andava tra sé dicendo: Non posso intendere come io abbia a vedermi ingabbiato e strascinato, ma chi sa che la cavalleria e gl'incanti dei nostri tempi non abbiano preso piega diversa da quelli degli antichi! Durante il viaggio si affacciò un canonico di Toledo, che di molte cose letterarie e politiche tenne discorso con l'ingabbiato cavaliere. Sancio andava di quando in quando insinuando al suo signore, ch'egli era vittima di una cospirazione, adducendogli per prova che se fosse [p. 256 modifica]

incantato non si sentirebbe mai naturali bisogni. Disprezzava don Chisciotte queste lezioni, ma capì finalmente che se non lo mettevano un po’ in libertà non avrebbe potuto far a meno di mandare cattivo odore. Allora il curato fece raddolcire il rigore della prigione, e colla guarentigia del canonico e di Sancio permise che don Chisciotte uscisse fuori dalla gabbia per iscaricarsi del superfluo all’aria aperta.


Combattimento dei Battuti con don Chisciotte.


Stava don Chisciotte tuttavia sprigionato dalla gabbia quando una compagnia di disciplinali, o Battuti, passò non lontano dalla campagna dov’egli si trovava, portando processionalmente una santa immagine della Madonna per intercedere da Iddio la pioggia sulle arse campagne. Immaginò il nostro eroe che si offerisse a lui occasione di nuove venture, e montò tosto sul suo Ronzinante per volar a liberare la credula da lui addolorata signora. I Battuti lo giudicarono pazzo, ma eccitati alla zuffa. inviperirono fortemente, ed uno di loro, che era tra i portatori della barella, lasciando il poso ai compagni, gli andò [p. 257 modifica]

all’incontro e inalberò la forcina, la quale però con un colpo solo dato da don Chisciotte rimase scavezzata. Il Battuto col tronco che gli restò in mano, e già fuori di sé, cominciò a bastonare fieramente il cavaliere errante, il quale stramazzò senza potere più muovere né piedi, né mani. Riavutosi un poco, fu aiutato da Sancio a rimettersi nella gabbia incantata, e venne allora sdraiato sopra un fascio di fieno, e a questo modo in capo a sei giorni tornò di bel mezzodì nella sua terra nativa.


Visita di Sansone Carrasco a don Chisciotte.


Era già trascorso qualche tempo senzachè don Chisciotte potesse escire di casa sua, quando il baccelliere Sansone Carrasco, uomo amico delle burle, volpe fina e di scaltrito giudizio, venne a visitarlo nella convalescenza, e col consiglio del curato e del barbiere lo persuaso ad entrare di nuovo in campagna per cercare venture che sempre più assicurassero la immortalità del suo nome, già divulgato nelle bocche di tutti. É dunque veri gli disse don Chisciotte, che corre per lo mondo la mia istoria scritta da autore arabo o moro [p. 258 modifica]

che sia? Tanto è vero, rispose Sansone, che porto opinione che sin al dì d’oggi sieno già alle stampe più di diecimila volumi di questo libro, tenuto tra le mani dai fanciulli, letto dai giovani, gustato dagli adulti e lodato dai vecchi. Sancio Panza, che stava ritto accanto al suo padrone, dimandò allora se la istoria parlasse anche di lui, e Sansone replicò: Nulla ha ommesso l'autore moro: racconta ogni cosa con fedeltà, con esattezza; né dimentica neppure le capriole fatte dal buon Sancio sulla coperta da letto. Soggiunse Sancio: io non ho fatto capriole sulla coperta, ma per aria, e furono più del bisogno.


Sancio e don Chisciotte ai piedi di Dulcinéa.


Nella sua terza partenza di casa don Chisciotte si rivolse tosto alla grande città del Toboso per trovare occasione di ammirare la sua Dulcinea. Incaricò Sancio di andare prima a vederla nel suo palagio, e di chiederle la benedizione, ma a Sancio rimordeva la coscienza per le tante bugie che altre volte aveva infilzate per ingannare il suo padrone, non sapendo egli veramente se nemmeno Dulcinea esistesse nel mondo. Ora, determinatosi [p. 259 modifica]

di continuare nella menzogna, vide tre contadine a cavallo di tre giumenti, e riferì al suo padrone che una di esse era Dulcinea trasformata per incantesimo in rozza villana. Don Chisciotte prestò fede al suo scudiere, e volarono ambedue a gittarsele ginocchioni dinanzi. Sancio si fece prima a parlare, e così cominciò: O regina e principessa e duchessa della bellezza ricevete nella vostra grazia questo povero cavaliere prigioniero: io sono il suo scudiere Sancio Panza Pan, ed egli è l'afflitto cavaliere don Chisciotte della Mancia. La contadina, infastiditasi, disse alla sua bestia: Arri in là, ed ai personaggi genuflessi: Lasciateci andare per la nostra strada che vi troverete più contenti.


Conferenza col Cavaliere del Bosco.


Ronzinante e l’asino di Sancio stavano una notte pascolando senza sella e senza bardella, quando a frastornare U quiete dei loro padroni giunsero al buio due incogniti. L'uno era Sansone Carrasco, trasvestito da Cavaliere dal Bosco, l'altro un compare di Sancio, mascheratosi con grande naso posticcio. Al romore inteso, disse don Chisciotte a Sancio: [p. 260 modifica]

Fratello Sancio, vogliamo avere una nuova ventura. — Dio ce la mandi buona, rispose Sancio. Il Cavaliere del Bosco cominciò a cantare il tenore delle sue amorose pene, e sentendosi avvicinare don Chisciotte disse con sonora, ma cortese voce: Chi è là? che gente è qui? siete voi fra i contenti o fra i miseri? Fra gl'infelici, rispose don Chisciotte. — Dunque venite a me, replicò l'incognito, e in me troverete l'affanno e la tribolazione in persona. Vari ragionamenti seguirono allora tra i due cavalieri e i due scudieri, e finalmente questi ultimi, bene pasciuti e mezzo briachi, si addormentarono. I cavalieri non la finirono in bene, perché, aizzatisi per precedenza di bellezza nelle loro dive, vollero battersi, e restò atterrato il Cavaliere dal Bosco, essendo stato assalito da don Chisciotte primaché egli si fosse ben messo sulla difesa.


Combattimento coi Leoni.


Una delle più strepitose venture di don Chisciotte è stata quella del combattimento coi leoni, per cui chiamossi poi il Cavaliere dei Leoni. Avanzavasi un carro, che trasportava due leoni ingabbiati, dono del generale [p. 261 modifica]

di Orano al re di Spagna. Vedutili da don Chisciotte, volle egli battersi, ed al custode del carro disse con arroganza: Aprì quella gabbia, o io t’inchiodo sul carro con questa lancia. Sancio allora fuggiva, ed il custode spalancò a dirittura una delle due gabbie. Comparve il leone in ispaventevole aspetto, si rivoltolò per la gabbia, distese le zanne, si stirò sbavigliò, e buttando fuori due palmi di lingua si sfregò gli occhi e si lavò il muso. don Chisciotte guatavalo, bramando che ormai saltasse giù dal carro, ma il leone, più prudente che furioso, voltò le spalle, presentò a don Chisciotte le parti deretane, e si rimise in gabbia. Chiudi la gabbia, disse allora don Chisciotte al custode, e farai autentica testimonianza di tutto quanto mi hai veduto operare, e come volontario egli si rimise in gabbia, e la finì col mettersi a dormire.


Finta morte del pastore Basilio.


Nella loro peregrinazione, don Chisciotte e Sancio passarono in un contado dove certo Camaccio, ricco paesano, apprestavasi a son[p. 262 modifica]

tuose nozze con Chilteria, giovane ch’era stata prima amata da un pastore di nome Basilio. Potè Sancio in questo incontro godere della cuccagna che si faceva, e fra le altre gozzoviglie si mise a schiumare una caldaia per guastare il digiuno con due paperi e tre galline. Basilio intanto volò a sturbare le nozze, e giunto davanti agli sposi ficcò una lancia in terra e finse di ammazzarsi. Volarono a soccorrerlo gli amici, e don Chisciotte principalmente. Il pastore, come se fosse giunto agii estremi, chiese a Chilteria che gli desse almeno la mano di sposa per farlo morire contento; e Camaccio non si oppose. Appena impalmati Basilio e Chiltera, il primo sbalzò in piedi e gittò via la lancia con cui si era apparentemente ferito, don Chisciotte prese allora le difese di Basilio, gli ottenne il perdono da Camaccio e partì. Sancio seguitò gli sposi, ma con dolore, perché avrebbe voluto difendere Camaccio, lasciando il quale, pareagli di lasciare le pignatta di Egitto. Egli tenne poi per lungo tempo fitta in memoria la schiuma della pignatta, formala, come si è detto, di due paperi e tre galline. [p. 263 modifica]

Don Chisciotte nella grotta di Montesino.


La grotta, detta di Montesino, era famosa siccome quella che giudicavasi officina d’incantesimi. don Chisciotte volle visitarla, e vi si calò giù legato da funi, vi restò per mezz’ora, e poi trattone fuori, si mise a narrare le maravigliose e impossibili cose che immaginò di avervi vedute. Cominciò dal dire, che apertisi due portoni, vide venerabile vecchio colla testa coperta da berrettino nero alla milanese, e con barba bianchissima che gli arrivava al di sotto della cintura, il quale così proruppe: È molto tempo, o valoroso cavaliere don Chisciotte della Mancia, che noi, i quali tra queste solitudini viviamo incantati, attendiamo di vederti perché abbia notizia il mondo per mezzo tuo di quanto qua si, rinserra. Tu sei il primo che mi visita la mercé del tuo invincibile cuore e del meraviglioso tuo braccio. Seguimi, signor carissimo, che mostrarti io voglio le stupende cose nascoste in questo trasparente castello, di cui io sono il custode e la principale guardia, essendo io quel Montesino medesimo dal quale la grotta ha preso il nome. E qui seguitò [p. 264 modifica]

don Chisciotte a raccontare cose, che Sancio, uomo di goffa mente, ma di retta coscienza, non poteva menargli buone.


La ventura del Burattinaio.


Era già don Chisciotte incamminato per Saragozza quando trovò in un’osteria maestro Pietro burattinaio, che girava l’Aragona mostrando al naturale la istoria di Melisendra liberata da don Gaiféro, e portando con sé uno scimmiotto ch’era un portento. Nel passatempo apprestato per la sera medesima dell'arrivo di don Chisciotte, maestro Pietro nello spiegare la istoria andava dicendo: Osservino di grazia le signorie loro quanta e quanto bella cavalleria esce dalla città, e va ad inseguire i due amanti: ho gran paura che sieno raggiunti e che sieno fatti tornare in corte strascinali a coda di cavallo. Pareva a don Chisciotte di vedere i combattenti, di udire il calpestio dei cavalli; e per prestare aiuto ai fuggitivi si rizzò all'improvviso, e disse: Non consentirò mai che si facciano superchierie ad un amante e cavaliere come fu don Gaiféro: fermatevi, date indietro, malnata canaglia, non lo inseguite, né sieno tocchi [p. 265 modifica]

quei poveri innamorati, ché altrimenti io vi disfido a particolare tenzone. Detto fatto: sguainò la spada, diluviò coltellate sopra i fantaccini, e tra tanti colpi tirò tale soprammano, che se maestro Pietro non se ne fosse schernito, avrebbe avuto la testa buttata via netta come se fosse stata di marzapane.


L'Incontro della bella Cacciatrice.


Sancio, quantunque goffo, comprendeva bene che quasi tutte le azioni del suo padrone erano bestialità; tuttavia non gli reggeva il cuore di abbandonarlo. Portandosi un giorno alla caccia certa Duchessa col suo falcone in mano e in compagnia di suo marito, ed essendo stata veduta da don Chisciotte, ordinò tosto al suo scudiere di andare a piedi di lei, e di offrirle gl’interi suoi servigi. Sancio eseguì la commissione, e così ebbe principio il complimento: Bella Signora, quel Cavaliere che si vede là, chiamato il Cavaliere dai Leoni, è il mio padrone, ed io sono uno de' suoi scudieri, e al mio paese mi chiamano Sancio Panza: ora questo Cavaliere dai Leoni, che non ha molto si chiamava il Cavaliere dalla Trista figura, mi manda a [p. 266 modifica]

dirle, che piaccia alla vostra Grandezza concedergli che con suo beneplacito e consentimento venga a mettere in esecuzione il suo desiderio, che ad altro non tende, per quanto egli dice, ed io penso, fuorché alla premura di servire alla vostra incimata Altezzeria ed alla vostra stradiladdirata bellezza. Se vostra Signoria gli concede questa permissione, ne avrà gusto, ed ella ne riporterà mercede e contento.


La Caccia del Cinghiale.


Si apprestò un giorno una grandiosa caccia di cinghiali e di altri animali salvatici, e don Chisciotte e Sancio furono eccitati ad affrontare un cinghiale di smisurata grandezza. Sancio impauritosi, non ne volle punto sapere di battaglie con bestie, anzi abbandonò anche il suo asino per paura, e andò ad arrampicarsi su per una quercia. Salito essendo ai primi rami di questa, se ne squarciò uno, ed egli precipitò giù restando impiccato ad un bronco. Il suo padrone intanto, vedendo che i duchi aveano già trafitto di molle lance il cinghiale, e che era anche assalito dai cani, né stendeva più le zanne, né digrignava più i denti, andò [p. 267 modifica]

ad immergerli nel corpo la sua lancia, e poi volò a spiccare Sancio dalTalbero. Il povero Sancio, ch’era rimasto col vestilo da cacciatore tutto squarciato, ne mostrò le piaghe alla Duchessa che gliene avea fatto dono, e poi le rimproverò la passione ch’ella aveva per la caccia: Non so che gusto vi possa essere, egli le diceva, nell'aspettare il passaggio di una bestia, che se la ti pianta addosso una zanna, uno è spacciato per sempre.


Don Chisciotte e Sancio sul cavallo di legno.


Clavilegno l'aligero era il nomo di un cavallo di legno che reggeasi mediante chiave e bischero postogli sulla fronte, e che si fece credere a Don Chisciotte essere stato il cavallo di cui servivasi la bella Magalona per volare per aria. Vi montarono sopra Don Chisciotte e Sancio cogli occhi bendati per volare essi ancora alla liberazione di altra matrona, nominata Dolorida. Dio ti guidi, valoroso cavaliere, Dio ti accompagni, scudiere intrepido, esclamavano tutti i circostanti; e aggiungevano: Tienti forte, valoroso Sancio, che tu barelli; guarda di non cascare, che la caduta [p. 268 modifica]

sarebbe peggio di quella dell'ardito Garzone che volea guidare il carro del Sole. Si bene ordita erasi questa burla, che si fingeva sino il fischio del vento, mediante i mantici che soffiavano dietro al cavallo, ed il calore della regione del fuoco, mediante stoppe accese ed attaccate ad una canna, le quali si avvicinavano ai bendati occhi dei cavalieri. La ventura ebbe fine coll’appiccare il fuoco alla coda di Clavilegno, il quale, avendo e coda e pancia tutte ripiene di saltarelli e di scoppietti, balzò in aria con fracasso, e fece stramazzare mezzo abbrostiti il cavaliere errante e lo scudiere.

Sancio, già fatto governatore, a tavola.


Dopo mille tribolazioni giunse Sancio ad essere governatore della isola Barattaria in terra ferma, ed ivi trovò allestito sontuoso banchetto. Postosi ingordamente a tavola gli si mise di faccia il dottore Pietro Rezio di Agurio, naturale di Tiratinfuora con bacchetta di balena io mano. Quando Sancio allungava la mano per pigliare un boccone, colui dalla bacchetta toccava il piatto, e gli scalchi lo portavano via. S’indispettì Sancio contro il medico, ma questi gli disse: Io sono [p. 269 modifica]

salariato in questa isola per assistere ai pranzi dei governatori, e per non permettere che mangino di quelle cose che possono essere di pregiudizio alla loro salute. Ma, risposegli Sancio, il proibire che io mangi non è pensare alla mia vita, ma alla mia morte: datemi qua quel piattellone che manda fumo, e che mi pare una olea podrida. Absit, rispose il medico, non vi è piatto di peggiore nutrizione della olea podrida. Sancio perdette la pazienza, e gridò ad alla voce: Esci fuora di qua, dottore, Pietro Rezio di Tiratinfuora, altrimenti piglio questa sedia e ti spacco il cervello.


La Visita alla moglie di Sancio.


La Duchessa protettrice di don Chisciotte e di Sancio mandò un suo scudiere a Giovanna Panza con letterà del marito diventato governatore, e col dono di un vezzo di coralli. Stava Giovanna nel suo casolare filando una matassa di stoppa ed avea la carpetta si corta che lasciava scorgere quasi più che le gambe: non era vecchia gran fatto, ma forte, soda, nerboruta, fatticcia. Alle grida di Sancetta sua figliuola, che avea veduto smon[p. 270 modifica]

tare di cavallo lo scudiere, comparì Giovanna, ed esso scudiere, vistala appena, mise un ginocchio a terra e le disse: Vossignoria è moglie degnissima di governatore arcidegnissimo; ed in prova di questa verità pigli questa lettera e questo regalo. Rispose Giovanna: Eh stia cheto, non dica queste cose, che io non sono palazziera, ma povera contadina, figliuola di un rompilegna e moglie di uno scudiere di cavaliere errante. Ella ricevette però la lettera ed il regalo, e subilo dopo volò in traccia del curato e del barbiere perché leggessero quanto scriveva il marito. Per istrada andava Giovanna con allegria battendo le dita sulla lettera, come se avesse avuto alle mani un cembalo.


La Zuffa di Sancio con don Chisciotte.


Sfumò presto il governo di Sancio, ed al suo padrone si affacciarono nuove venture. Egli si mise in viaggio per Barcellona, ma tenendo sempre dogliosamente fitto nell'animo l’oracolo pronunzialo nella Grotta di Montesino, il quale per lo disincanto di Dulcinéa cosi prescriveva: [p. 271 modifica]

Che Sancio suo scudier tremila diasi Trecento scudisciate in sulle solide Chiappe, scoperte all’aria, e con tal impeto Che si ammacchin, si rompano, sì scuoino. Cinque sole frustale era Sancio ridotto a darsi con fatica, e vedendo il suo padrone che poca cura prendeasi del rimanente, una notte gli slacciò le brache, mentre dormiva all’aria aperta; e stava il cavaliere già in procinto di eseguire i voleri dell’oracolo colle redini di Ronzinante. Sancio si svegliò indispettito dell’abuso di potere del suo padrone, e gli saltò addosso, lo stramazzò a terra, e lo percosse furiosamente. Tornarono poco dopo ad essere gli amici di prima, poiché don Chisciotte riconobbe che aveva avuto torto nel battere Sancio, essendo stata intenzione dell'oracolo che le scudisciale fossero volontarie.


La Disfatta di don Chisciotte


Il Cavaliere dalla bianca Luna (che così chiamavasi Sansone Carrasco in abito mentito) trovandosi al passeggio sulla spiaggia del mare, invitò Don Chisciotte a nuova disfida per provare col valore delle armi che la sua dama era senza paragone più bella di Dul[p. 272 modifica]

cinéa del Toboso. Il difensore di questa accettò tosto la pugna alle dure condizioni volute dall’avversario; e senza suono di tromba o di altra guerresco stromento, volsero ambedue a un punto stesso le briglie ai loro cavalli, ma siccome il destriero del cavaliere dalla Bianca Luna era molto svelto e leggiero, così fu presto sopra al nemico; ed alle corte rovesciò di cavallo don Chisciotte, il quale stramazzò in un col suo Ronzinante. Vinto e debellato, si mise il nostro cavaliere a gridare: Dulcinéa del Toboso è la più bella creatura che viva, ed io il più sventurato cavaliere che cavalchi sulla terra: strignete pure, o cavaliere, la vostra lancia, toglietemi la vita da che mi toglieste l'onore.


La Penitenza, di Sancio Panza.


Se Sancio Panza si fosse date le tremila trecento e tante frustate, profetizzate dal savio Merlino come indispensabili per lo disincanto di Dulcinéa, il suo padrone non sarebbe stato vinto in battaglia. Tornò questi in fatti a dolersene amaramente, e indusse alla fine lo scudiere a compiacerlo mediante il pagamento di 825 reali. Sancio, tocco dall'avarizia, [p. 273 modifica]

si ritirò durante la notte in un bosco per flagellarsi con più libertà, e il suo padrone si mise in un canto a qualche distanza con corona in mano per numerare le frustate con esattezza. Cominciò Sancio a flagellarsi, e don Chisciotte a contare; ma in realtà il volpone di Sancio in vece di battersi le spalle andava battendo gli alberi, e mandava intanto si lunghi gemiti che ad ognuno pareva che l'anima dovesse scappargli fuori. Per vita tua, gli disse don Chisciotte, tenero di cuore, non disertare di più le tue povere carni che questa medicina mi pare troppo crudele.


Ultima volontà e Morte di don Chisciotte.


Le umane cose non possono essere eterne; e la vita di don Chisciotte non avendo alcun particolare privilegio del cielo fu raccorciata dai disgusti, dagli affanni, dai tanti stenti sofferti. Tornato a casa, ammalò gravemente, ma durante la sua malattia potò rimettersi in buon giudizio. Rassegnato cristianamente alla sua ultima ora, volle al suo letto il curato, il notajo, il barbiere, Sansone Carrasco, la nipote, la serva, e Sancio, il quale si mise in un cauto presso al padrone singhiozzando [p. 274 modifica]

e sgorgando un oceano di lagrime. Don Chisciotte dettò il suo testamento: Fui pazzo, disse, ora sono savio: fui don Chisciotte della Mancia, ed ora sono Alonso Chisciano il buono. Raccomandata a Dio l’anima sua, lasciò varj legati, ordinando fra le altre cose che a Sancio non fosse chiesto conto dei danari consegnatigli: e se quando io era pazzo, seguitò a dire, volea dargli il governo di una isola, ora che sono in giudizio gli darei quello di un regno, se lo avessi, perché la strettezza della sua condizione e la sua fedeltà meritano ogni cosa. Lasciò il suo retaggio alla nipote, ma a patto che restasse diseredata se mai avesse voluto maritarsi con uomo il quale si sapesse di certo che avesse in sua vita letti libri di errante cavalleria.