Le confessioni di una figlia del Secolo (1906)/Al Dottor Massimo

Al Dottor Massimo

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A Don Flaminio Al Conte Deputato Riccardo
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AL  DOTTOR  MASSIMO ...


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AL DOTTOR MASSIMO...


Mio buono e caro amico.

Lasciate che ancora una volta io vi chiami così — anzi vi chiami, come voi tanto avete desiderato, ed io v’ho concesso: mio buon Massimo. Voi non le udirete più, queste parole dolci: il nome vostro non vi verrà più dalle mie labbra, sulle quali — un giorno — mi diceste di vederlo palpitare, come una farfalla, sopra la corolla di un fiore....

Ah’... voi siete un poeta... un poeta, che è medico — per uno di quegli strani casi, che si danno nella vita. E per ciò stesso, forse, io vi ho voluto tanto bene — bene di amica, è vero, quasi di sorella; ma vivissimo bene. Voi [p. 202 modifica]avete saputo contentarvene — oh non dopo molte intime ribellioni! — e non avete preteso di più ... Di questo, che è stato per voi sacrificio, e per me alta e pura gioia, io vi ringrazio, ora, con tutta l’anima — poi che non potrò più in niun modo ringraziarvene in appresso.

E pure quel giorno, ch’io vi vidi per la prima volta, mai e poi mai avrei creduto che un così schietto e gentile legame ci avrebbe, nel seguito, uniti. — Voi certo ricordate, ancor meglio di me — poiché quel giorno segnò nella vostra, più che nella mia vita, una data indimenticabile — la bizzarra combinazione. Il caso ha di questi scherzi; la vita è, anzi, tutto un seguito di scherzi del caso. — Andare in una farmacia, per prendervi una dose di fenacetina — e trovarvi, invece, un amatore devotissimo ed un devotissimo amico, non è, forse un capriccio assai strano del caso? Questo è stato per noi, però.

Era una giornata di primavera, ricordate?... La primavera, non so perchè, mi è sempre stata funesta. La mia salute si altera in quelli, che pur [p. 203 modifica]sono cosi mirabili tempi di risurrezione. Sembra, quasi, che la mia non forte compagine vacilli e si esaurisca, nel ribollire di tutte le linfe che in noi, al pari delle piante, son così intima ragione di rigoglio. La primavera è il fermento della vita: le giovinezze ne hanno una ripresa di vigoria, le virilità ne hanno un nuovo risveglio di giovinezza, persino la senilità sembra riafferrare un lampo della virilità tramontata. È un ritorno sul tempo trascorso, è un passo addietro, sul pure così inesorabile cammino della vita. Ma, guai, a chi non ha la resistenza per sostenere il nuovo esplodere di forza! ... Io ho sempre sofferto, in primavera. I miei nervi troppo vibranti sempre — tutto il mio corpo impoverito da un eccessivo, anzi pazzo, sperpero di forze — non sopportano senza crisi questo improvviso e gagliardo tumultuare di elementi.

Quel giorno — rammento — io sentiva il mio cervello scricchiolare, come per la stretta di un cerchio di ferro. Un dolore acuto e frugante mi tormentava le tempie e, volgendo alla nuca, si [p. 204 modifica]impiantava come chiodo alla base del cranio. Grandi colpi martellavano nel mio cervello: le orecchie ne percepivano il fracasso e gli occhi ne avevano dei trabalzi, quasi per un urto reale. Inutilmente aveva passeggiato, cercando distrarmi e domandando alla fresca calma della villa Borghese, la calma dei miei nervi in tumulto. Al ritorno, per il Corso, aveva dovuto entrare in una farmacia e chiedere un calmante.

Voi alzaste gli occhi dal giornale, e guardaste la signora che domandava. Chi sa qual complesso di sensazioni si agitò in voi di un subito, e vi fece venir verso me e parlarmi? ... Sappiamo noi, forse, il perchè della vita stessa?... La vita è così .... un mistero, una forza occulta, un accozzare di eventi, che poi si spiegano, che si mostrano poi, anche logici — ma che in prima sembrano ingiustificati.

Malgrado ogni stupore nostro — noi sensitivi abbiamo queste chiaroveggenze di complicazione, nei fatti che sembrano più semplici — noi, quel giorno, ci parlammo più a lungo e più a dentro [p. 205 modifica]che il caso non giustificasse. Voi domandaste del mio male — voi mi prendeste la mano e cercaste sul polso l’arteria tesa, palpitante. A fondo, negli occhi, mi guardaste, con lo sguardo che indagava dietro gli occhiali. Io guardai a mia volta la vostra fronte, ampia e solcata, ed una tenue piega di amarezza entro la barba.

Che cosa vedeste voi di me, del mio profondo essere, a traverso la lente delle mie pupille — e che cosa sentiste di me, a traverso il palpitare veemente dell’arteria? Vedeste, forse, l’agitazione dell’anima irrequieta — sentiste, forse, l’ardore del sangue indomabile? ... Non so: ma, calmo„ mi ordinaste subito una dose di fenacetina ... „ con caffeina, per sostenere il cuore ... „ aggiungeste — voi l’avevate sentito debole, Massimo? disperatamente debole come il piccolo cuore di un bimbo che singhiozza? ... — e diceste:

— Se permette, signora, verrò domani a sentire l’effetto della mia ordinazione ....

Io esitai, alquanto. Avevamo già un antico medico di casa .... Ma voi comprendeste, e sorrideste. [p. 206 modifica]— Son qui di passaggio ... in breve vacanza .. Esercito fuori di Roma ...

Ancora imbarazzata, risposi vagamente che il mio soffrire non era molto ... che il domani sarei stata guarita ....

— Non credo — affermaste — C'è un po' di esaurimento generale ....

Non sapendo qual cosa obiettare più, vi ringraziai e vi detti il mio indirizzo....

Ed uscii dalla farmacia alquanto sollevata — e per virtù del rimedio e per virtù, forse, del vostro sguardo che era stato significativo come un aiuto.

Il domani voi veniste alla mia casa ... E dal domani ebbe principio, per voi quell'amore tanto grande, da saper vivere di sé stesso, senza elemosina di alimento ... per me quella viva amicizia, quel sentimento sereno, ma profondo, che ancor oggi mi allieta e mi turba in pari tempo con lo sgomento del dolore ch'io sono per arrecarvi.

Dolore, sì; non meraviglia, forse. Voi [p. 207 modifica]piangerete, povero amico, quando, leggendo questa mia lettera, vi dovrete persuadere ch’io non son morta di alcun male, oltre la malattia della mia volontà — ma, a traverso il pianto, l’intelligenza vostra dirà che la catastrofe non le giunge nuova. Ed, infatti, voi che conoscete la mia vita — e conoscete la mia anima ed il mio impasto fisico — non dovrete stupire se, poste in contrasto di una esistenza inconciliabile, le mie facoltà psichiche non hanno saputo resistere, ed hanno trascinato nel disastro le energie della mia materia.

Per quanto voi siate la scienza ed io sia l’ignoranza — anzi il soggetto — pure abbastanza spassionatezza di giudizio mi resta per vedere, oggi, in questo estremo esame della mia vita ch’io sono stata, forse, una morbosamente dotata. L’affettività grande del mio cuore è stata di troppo superiore, a quanto l’equilibrio di un sano organismo richiederebbe. Quella insanità passionale, che mi ha posseduta sempre, e di cui non ho mai potuto — e neppure ho voluto — disfarmi, benché per essa ancor più intricate si [p. 208 modifica]facessero le difficoltà della mia esistenza, non è stata, certo, normale. E tanto più ha essa mancato di normalità, in quanto, anziché fondarsi sopra un genuino eccedere del senso, la sua ragion d’essere principalissima è riseduta nelle mille tortuosità della mia psiche, troppo complicata per essere sana. Benché abbia amato tante volte — ed ogni volta sempre con diverso aspetto e grado — pure io non sono stata una donna sensuale. Sono stata piuttosto una sensualmente sentimentale, o una intellettualmente sensuale — come vi parrà meglio dire.

Aggiungerò, anzi, che, mentre non avrei, forse, saputo completamente prescindere dal senso in un amore, pure esso non è mai stato il movente della mia ricerca della passione. Tutto ciò che colpiva la mia sensibilità affettiva, o la mia intelligenza, aveva per me infinite attrattive più forti, più quasi, invincibili, di ciò che poteva eventualmente attrarre il solo mio senso — e, pur nonostante, la bellezza fisica dell’uomo è stata sempre la prima a colpirmi, come elemento [p. 209 modifica]necessario di amore. Questa soggezione al fascino della bellezza doveva muovere, del resto, da ragioni puramente estetiche ed intellettuali, poiché, in ogni caso, il mio cervello è sempre stato il primo ad amare. Che se poi il contagio si diffuse al cervelletto, ciò non fu per mia volontà — ma, senza dubbio, per un risultato sano — l’unico — di premesse morbose.

Ma anche in questo sano risultato, quanta complessità contradditoria! ... Nel mentre la seduzione del piacere mi attraeva, io sentiva che il piacere stesso mi ripugnava, irresistibilmente. Avrei voluto, per un miracolo di abilità e di potenzialità cerebrale, provarlo tale, ed anzi maggiore, senza ricorrere alla sua materialità — per quanto sapientemente varia e raffinata. Non potete credere, caro dottore — perchè io ora parlo al medico, non all’amico — quante tribolazioni, fisiche e psicologiche, mi abbia dato questo bizzarro aggrovigliare di esigenze, e quante volte io mi sia scervellata per trovare — e mi sia adirata per l’inutilità dei miei sforzi — questo sistema. [p. 210 modifica]questo ripiego, anche, che mi dasse lo scopo seducente, indipendentemente dai mezzi spiacevoli!...

Nella mutabilità stessa dei miei amori — sulla quale predominante influenza ha sempre avuto la irrequietezza del mio spirito, la eccessiva incontentabilità intellettuale nel giudicare . la realtà figurativa dell’uomo idealizzato — si è sempre congiunta questa ribellione del senso, verso la imposizione di quelle leggi fisiologiche, che sentivo in me stessa imprescindibili, e dalle quali avrei voluto, al tempo medesimo, sottrarmi.

Le mie predilezioni — schiettamente morbose — erano tutte per un piacere ideale e materiale, che mi venisse, senza deviazioni, in diritta linea, da una supereccitazione intellettuale — ampia ed ardentissima. Ciò non essendo, ciò non potendo essere — io ne ho provato senza tregua uno scontento, una ribellione tanto più acuta, ch’io ho dovuto confessare a me stessa la mia incapacità di appagarmi di un amore, che mi avesse dato, o l’uno, o l’altro, dei piaceri. Entrambi io li voleva, ecco... ma così, no!... [p. 211 modifica]

Un tanto arruffio di sentire, non è stato per rendere la mia vita quieta — come potete ben credere — Forse, se mi fossi maritata di buon’ora, con un uomo di età proporzionata, e se avessi avuto dei figli — il mio essere, spirito e corpo, si sarebbe orientato verso il suo polo. La maternità ha questo grande risultato: di placare il senso della femmina. Una donna, che ha avuto due o tre figli, è già paga in tutte le sue aspirazioni ed in tutti i suoi desideri. Le sofferenze e le fatiche della maternità l’hanno disgustata, quasi del tutto, della materialità dell’amore — mentre le preoccupazioni e le cure della figliuolanza la distraggono dalle idealità dell’amore. Le viscere sono stanche e il cuore è pieno — null’altro ella vuole oltre esser madre.

Invece io ho avuto la disgrazia di maritarmi a trent’anni — e la lunga attesa, la lunga preparazione non hanno, certo, servito ad attenuare quelle possibili morbosità, che erano già insite nella mia psiche. Quando mi sposai, la pressione di tutto il mio essere era giunta all’ultimo grado... ma colui. [p. 212 modifica]che il destino mi riserbava come ... valvola di sicurezza, non era, ahimè, capace di tanto ... Egli seppe, piuttosto, acuire a mille doppi la mia eccessiva vitalità ... senza riuscire a placarla. Che cosa poteva conseguirne, oltre la successione delle conseguenze logiche? ... Così io mi trovai irrimediabilmente corrotta, e pervertito ne fu il mio senso morale ed anche il mio senso fisico.

Allora perdutamente mi buttai, alla ricerca di quel quid — passione, idealità, sensualità — di quel non so che cosa, di cui sentiva, come una follia, tumultuare in me il desiderio. Le ribellioni morali e le stanchezze materiali — i dolori, i disgusti, le delusioni di questo mio orgasmo, ebbero ragione dell’ultimo residuo di normalità, che ancora mi restava....

Ed io, ora, esausta in tutto il mio essere, incapace di sopportare la tortura di sentirmi impari all'ultimo — e forse l'unico vero — trionfo della mia passionalità — ora, mi uccido. [p. 213 modifica]Voi, caro Massimo, che, malgrado tutto, mi avete amata tanto — scienziato e poeta — sapete, per prova, quanto singolare attrattiva da me si partisse, come un fluido, ad avvincere coloro che mi circondavano. Questo, che è uno dei più atroci doni e dei più splendidi, di cui natura possa gratificare una donna, non è stato senza gravare sull’indirizzo e sulle conseguenze della mia vita.

Che cosa io m’abbia avuto, in coscienza non so. La mia bellezza non è stata, poi, eccessiva — né grande è stata l’arte del richiamo, in cui il nostro sesso è così eccellente. Fra le donne, io sono stata delle meno civette — forse perchè non ho mai avuto bisogno di ricorrere a tale risorsa abbastanza disperata. Mi son sempre contentata di essere io — vale a dire di mostrarmi in tutta la sincerità, con i miei pregi ed i miei difetti: capricciosa di rado, bizzarra a volte, romantica poco, nervosa spesso, viva e spontanea e trascinante sempre. [p. 214 modifica]

Con quali parole mi rispondeste, voi, quand’io vi domandai, quel giorno, a bruciapelo, che cosa di me vi fosse piaciuto tanto, da rimanere conquiso? Con queste, press’a poco — che erano di medico e di ammiratore:

„ Voi siete squisitamente malata e però possedete il fascino della morbosità, cosi possente su noi, figli dell'oggi. Siete squisitamente camaleontica — e però, in tutta la vostra mutabilità, voi presentate così diverse faccie e così diversi atteggiamenti, che l’uomo, che ha la ventura di entrare nel cerchio magico della vostra influenza, non può non sentirsene turbato... Voi vi insinuate nel pensiero e nei sensi: voi sapete far vostro l'uomo ed il maschio ... Il vostro motto potrebb’essere quello dei signori di Crèquy: “Qui s'y frotte, s'y pique ...”

Ah!... povero Massimo... se voi aveste potuto immaginare ciò che mi agitava, quel giorno, mentre rispondevate così alla mia strana domanda!... Io usciva appena da una di quelle prove, dinanzi alle quali ancora non so che cosa salvi una donna [p. 215 modifica]— se la frigidità innata, se l’acquisita onestà, se lo scetticismo, se la mancanza di spirito, se un certo grado di ferocia — se la più grande e propria e genuina stupidità.

Vi incontrai per la via — ricordate?... Da alcuni giorni eravate a Roma — fedele quirita, malgrado l’obbligo della lontananza. Fu in piazza Venezia, mi pare ... Io era agitata, torva, nervosa ... ogni mia parola era una saetta, ed ogni mio gesto uno scatto. Vi salutai, vi strinsi la mano — tanto tanto contenta di avervi incontrato — ma indiscutibilmente lontana le cento miglia da voi. Vi domandai varie cose, sbadatamente e febbrilmente ... Vi risposi che sì ... che sì, che stavo bene — e che ero di ottimo umore.

Voi mi guardaste sorpreso, quasi un po’ inquieto, e dietro le lenti la vostra fronte si corrugò.

— Che avete, amica? ... — diceste. — Voi non istate bene ...

Risi fra i denti, e sembrò l’arrotare di una lama. [p. 216 modifica]— Non star bene! ... Ma se vi dico che sto benone! ...

— Non mi sembra ... — insisteste — Siete nervosissima ... se vedeste i vostri occhi !... Schizzano fiamme ....

Scrollai le spalle, scrollai la testa, mi agitai tutta, protestando che vi prendevate giuoco di me.

— I miei occhi! ... — esclamai, ridendo — Ma se son la più placida, la più innocua cosa che esista! ....

E vi parlai volubilmente della stagione, di ciò che dovevo fare, di ciò che avreste fatto voi ... Poi, d’un tratto, vi posai quella domanda... — ed avutane la risposta, ispirata a tanta graziosa cavalleria di ammiratore — vi lasciai in asso ad una qualunque cantonata.

Per solito, quando la fortuna mi concedeva di avervi a Roma in tempo di crisi, io vi confessava i miei guai, vi rivelava le miserie della mia anima ed i malanni della mia salute — medico ed amico. E voi — tenero e paziente sempre ai colpi, ch’io inferiva, così, al vostro cuore — mi [p. 217 modifica]porgevate l’aiuto del vostro conforto, della vostra scienza, del vostro affetto.

Ma quel giorno non volli dirvi nulla del mio bizzarro eccitamento. Perchè? ... Io credo, veramente, che — più grande del timore di ferirvi ancora — mi trattenesse il timore di ferire me stessa con il confronto che, subito, mi si sarebbe presentato alla mente, fra voi e la persona che era causa della mia commozione. Voi certo, caro Massimo, avete sempre occupato nel mio cuore un posto elettissimo — che l’altro era ben lungi dall’occupare ed anche dalla possibilità di occupar mai. Ma è indubitato che io, in quel momento, soggiaceva ad un fenomeno così singolare, così, quasi, all’infuori della logica, ch’io — ve lo confesso, ora — sarei stata capace di provare un senso di ripugnanza al pensiero che voi mi amavate, e che io sopportava il vostro amore — mentre alcuni minuti prima io aveva avvito a portata di mano, ed aveva sdegnato qualcuno e qualcosa che, nel mio strano vaneggiamento, mi parevano incomparabilmente superiori a voi ed al vostro amore. [p. 218 modifica]

Tacqui, dunque — e non volli, né seppi far altro se non tormentarvi col mistero di un contegno che, ai vostri occhi, doveva essere abbastanza rivelatore. Troppo mi sentiva irritata e sconvolta. Non vedeva l’ora di essere sola e di sprofondarmi nel mio cantuccio fedele — sapete, la poltrona dietro il paravento, accanto alla finestra donde si vede il parco della villa patrizia... — per riandare il singolare episodio, e riviverlo ancora un po’ col cervello e co’ nervi sovreccitati.

A dir vero il fatto mi sembra abbastanza insignificante, adesso. Ed anche allora esso mancava, per lo meno, di novità. Quante volte non mi era accaduta la medesima cosa: un uomo, subitamente preso, che non sa tacere, che non sa fingere, che domanda subito e subito implora.... qualcosa, anche piccola, ma che sia di me!... Conoscete L... il celebre scultore?... Mi convenne troncar l’amicizia. E il piccolo B...? Poco mancò che non dovessi ricorrere ai miei più materni scappellotti. E l’amico P... sapete, quel brillante P...? [p. 219 modifica]

Fui costretta a metterlo alla porta. Una cosa veramente da ridere... non perchè mancasse di sincerità — quegli uomini erano fin troppo sinceri, in quel momento! — ma perchè aveva un aspetto, curioso, come di un fenomeno ipnotico, come un giuoco di magnetizzatore...

Non so perchè, quel giorno, il fatto, non nuovo, mi aveva turbata singolarmente. Mi era recata a casa di una vecchia signora conoscente, per un affare d’urgenza. Ella non era in casa, ma doveva tornare in breve: l’aspettai quindi nel suo salotto. A tenermi compagnia venne un suo figliuolo, che avevo visto poche volte, bellissimo giovane bruno, dagli occhi splendidi e dalla bocca meravigliosa. Quietissima e indifferentissima, lontana un’infinita di leghe dal pensiero di far uso della minima civetteria, mi misi a parlare del più e del meno, con un tal disinteresse di parer spiritosa, ch’io penso di esser parsa straordinariamente insulsa. Il divano era lungo: eravamo seduti ai due capi opposti ... Come accadde? ... Chi lo sa! ... Dieci minuti dopo io scendeva a precipizio le scale, ridendo come una pazza ... [p. 220 modifica]

Ma sul portone mi fermai di botto. Perchè rideva?.. Perchè fuggiva? ... Ah! ... maledetta creatura di contraddizione! ... Perchè rideva, se tutta l’anima mia tremava commossa? ... Perchè fuggiva se, in tutta me, io sentiva che nulla mi sarebbe’ tornato più dolce del rimanere? ... Naturalmente io non poteva sognarmi di rifar le scale e di ridomandare quelle labbra, che avevo rifiutato con tanto sciocca precipitazione, e ridomandar quell’attimo, dinanzi alla prospettiva del quale io era scoppiata in tanto sciocchissime risa! ... Uscii dunque dal portone — ma fremente d’ira contro me, prima, contro la signora ed il suo figliuolo, poi ... quel figliuolo, che, ora — troppo tardi! ... — rivedeva bellissimo ... quell’uomo, che, con tanto nuovo e spontaneo ardore, mi aveva offerta la sua giovinezza ... così ... a me, che me ne stava tanto tranquillamente seduta sopra un divano! ...

Voi pensate, caro Massimo, se avessi ragione di trovarmi eccitatissima allorché vi incontrai. In verità, se io non vi fossi stata così buona amica, io credo che vi avrei voltato irosamente le spalle, [p. 221 modifica]quando vi vidi venirmi incontro con la vostra buona faccia, i vostri occhiali, e la vostra barba abbastanza grigia! ... Voi, che siete giusto — e che siete tanto paziente! — giudicate se vi trovassi, per lo meno, intempestivo ... mentre dinanzi a me l’altro fantasma seducentissimo ondeggiava ancora! ...

Ma vedete come si diventa noiosi, meticolosi... quando si sta per morire! ... Sembra che gli occhi dell’intelligenza, prima di oscurarsi per sempre, acquistino una facoltà di percezione e di visione straordinaria. E come l’anima, che è piena di ombre e di lacrime, tende ad ingrandire il più tenue raggio di sole, e a dar importanza al più piccolo evento di gioia! Ma s’io vi ho riportato quel fattarello, così poco saliente, così, quasi, abituale per me — è stato per spiegarvi il mio contegno, davvero deplorevole, di quel giorno — nel quale chi sa a quante dolorose fantasticaggini vi doleste poi abbandonare. Ed anche per farvi [p. 222 modifica]conprendere, con un esempio, quanto fatale sia stato a me stessa, quello strano fascino di femmina e di donna, che da me si è partito ad avviluppare gli uomini. Cotal dono, veramente prezioso, è, senza dubbio, sorgente di infinite soddisfazioni d’amor proprio — ma, al tempo stesso, è ragione di errori e di pene senza fine. E l’abisso del continuo spalancato ai piedi: cento volte si eviterà di cadervi — ma dieci volte vi si precipiterà. E questo naturalmente — e specialmente — quando nulla dà aiuto sulla sponda, quando, nel balenare del pericolo, manca un sostegno qualsiasi, a cui aggrapparsi. Ora, voi lo sapete, mio caro amico — voi che siete così schietto ateo — io non sono atea: io sono soltanto, ma nel profondo, pagana. Adoro una quantità di cose e le considero come la sorgente di ogni mio bene. Adoro la vita — e di molte cose, che la vita mi ha dato, io ne ho fatto altrettante divinità, cui ho sacrificato senza posa, con tutto il fervore dell’anima. Questa religione, però, non era tale da potermi arrestare sulla via, così imperiosamente [p. 223 modifica]tracciatami dai fati. La religione della natura è attiva — ed io avrei avuto bisogno, per quello, di una fede, che fosse negativa. Occorreva un comando di astensione — e non un comando di partecipazione. Bisognava ch’io avessi seguito l’insegnamento cattolico, che dice la vita una sofferenza transitoria in una valle di lacrime — e non l’altro pagano, che afferma la vita una missione perenne in un mondo di forza e di gioia.

Voi vedete dunque che, oltre le mie tendenze naturali — e quelle che voi chiamerete “stigmate di degenerazione” — io ho anche avuto, nel bilancio della mia esistenza, il peso di una educazione, che non fu certo la meglio scelta, per dare un indirizzo, più socialmente rigoroso, al mio temperamento fisico e psichico.

Ed ora che mi uccido, io sono ancora — se non perfettamente sana — del tutto coerente. O meglio: non io sono coerente — ma tale è la concatenazione dei fatti. Voi direte forse che, appunto, la mia follia è giunta ad un grado tale, da non soggiacer più ad alcun freno — direte, anzi, che [p. 224 modifica]io sono pazza, ora, addirittura. E sarà. Io, certo, non mi vanto di far cosa savia. Io non mi vanto — oh, povera donna sensitiva! — né mi son mai vantata di alcuna cosa. Agisco secondo il mio cuore parla, e secondo il mio cuore crede, e dice, che la mia ragione imponga. Questa ultima illusione è, forse, un errore da aggiungere agli altri ma non perciò è essa meno sincera.

Nell’ora gravissima, che mi accerchia come una muraglia di ferro, io non ho atteggiamenti da prendere, come non ho della scienza da fare. A me non importa di farmi credere vittima, e di comporre la mia morte, come una scena ben riuscita — come non mi importa di sapere se la scienza darà ragione, o torto, all’ultimo atto della mia volontà. Tutto questo è estraneo a me — infinitamente.

Tanto vero, che nessuno sa ch’io muoio per volontà mia — e che, anche dopo la mia morte, pochissime persone lo sapranno. Nessuna idea è in me, dunque, di far del rumore attorno alla mia persona; di richiamare, attorno alla tragedia, gli [p. 225 modifica]sguardi e le ciarle del mondo. Io scomparirò in silenzio — io mi dileguerò, anzi, come un'ombra. Un giorno di stupore, per coloro che mi conoscevano — ed un giorno di pietà, per quei pochi che mi amavano — non un’ora di rimorso per coloro che, direttamente o no, mi conducono alla morte. Si può fare meno rumore di cosi? Si può ridurre a più meschini termini l'apparato di un suicidio? ...

Quanto alla scienza io ne ho, in verità, ben poca da fare. Quale importanza, per uno sconfitto della vita, qual’io mi sono, possono avere le diatribe degli scienziati? ... So bene che il mio caso potrebbe presentare, per essi, i più interessanti fenomeni, sui quali discutere e battagliare a lungo per le dotte gazzette. Ma chi muore, chi è stanco, chi non ha più alcuna speranza, che lo sorregga come un’armatura invincibile — si ride degli scienziati, e della scienza e della rarità dei fenomeni, che le sue proprie azioni presentano — ed anco dalle più orribili degenerazioni, che coloro, scientificamente, gli affibbiano. [p. 226 modifica]

Io domando a voi, Massimo, che cosa può importare a me, che uno psicologo qualunque mi metta nella categoria dei pazzi: anzi, dei peggiori pazzi — quelli che non sanno di esserlo, quelli che, anzi, si piccano di ragionare! ... Io vi giuro, povero amico, che io non me ne curo, proprio, in alcun modo. Vada, dunque, per la pazzia! ... Ciò potrà, tutt’al più, convincermi della bontà della mia risoluzione. Non v’è bisogno d’altri pazzi nel mondo: e meglio è sfollare un poco!

Ciò, che potrebbe stupire un po’ gli psicologi, e trarli un po’ fuori della via della loro imperturbabile sicurezza, è la coscienza limpidissima, che io ho dell’esser mio, quale è ora e quale è stato. Benché ignorante, benché soltanto conscia di quel poco, che gli scienziati stessi hanno buttato qua e là per le gazzette e pei libri — cosiddetti „ popolari „ — pure, in virtù forse della mia intelligenza, conosco abbastanza l’arte di notomizzare una psiche — la mia. Voi avete potuto constatarlo, anche in questa mia lettera — la quale, benché scritta sotto gli spasimi di un male divorante, e nelle strette di una [p. 227 modifica]angoscia di spirito, quale voi potete ben figurare — è abbastanza limpida e calma, e più lunga e dettagliata sarebbe stata se, dinanzi a me, il tempo non corresse con l'ali ai piedi.

Ma io muoio, povero amico, di un veleno, che non dà speranze e non dà tregue. Ogni giorno io ne aumento la dose, ed ogni giorno la devastazione del mio corpo si fa maggiore. Ah! ... se voi vedeste a che cosa è ridotta questa mia forma di donna — che tanto piacque e che voi pure trovaste desiderabile! ... Se voi mi vedeste, ora — amico e medico, cui tutte le esperienze fanno lume — voi comprendereste che ogni intervento, di scienza o di passione, sarebbe impotente a salvarmi. Io sono, o Massimo, disfatta! ...

E non mi domandate, ve ne supplico, in qual modo io mi sia procurata il micidiale strumento della mia liberazione. Voi, che mi volete tanto bene, che mi avete — e mi avrete ancora — nel cuore, come una reliquia, non ve lo perdonereste mai! E pure voi non ne avete colpa. È cosi facile accumulare del veleno in questi tempi di [p. 228 modifica]ricette velenose, per servirsene poi tutto in una volta! ...

E addio, mio buono, mio caro amico. Perdonate, ve ne scongiuro, il dolore ultimo che vi dò — come mi perdonaste l’altro, che vi inferii grandissimo, di non amarvi d’amore. Io so che voi mi ricorderete sempre, e che sarò sempre per voi la donna desiderata. Dolce conforto questo, e che non avrei avuto, ora — morendo — se, viva, io avessi voluto dare a voi l’altro di appartenervi — Un ultimo egoismo questo. Massimo, che voi compatirete, perchè sapete che, nella mia vita, io non ne ho avuti molti. E addio ancora e per sempre!

Viviana.