Le confessioni di una figlia del Secolo (1906)/Al Conte Deputato Riccardo

Al Conte Deputato Riccardo

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Al Dottor Massimo A Tristano
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Al conte deputato  RICCARDO ...


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Al Conte Deputato RICCARDO...
Riccardo,


Veramente io non so se faccio bene a scrivervi. Quest’ora della mia vita non è lieta, né semplice — e, se io ho tutta la lucidità di volere, non ho forse tutta la volontà di curarmi se le mie azioni son per arrecare altrui noia, o dolore. Ma, poiché molto mi dispiacerebbe che voi, udendo la mia morte, poteste credere — vantarvi, o dolervi — di avervi avuto una qualsiasi parte d’influenza, io voglio scrivervi mentre la vita mi dà ancora un attimo di forza, per dirvi che voi siete perfettamente estraneo alla mia risoluzione.

Malgrado questo, però, io non son certa troppo del sentimento, che vi sorgerà nell’animo alla notizia. Voi mi avete voluto bene, mi avete anzi amata .... più amata, forse, di quanto vi abbia mai [p. 234 modifica]permesso amare la vostra superficiale affettività ed il vostro indiscutibile egoismo. Tale poca affettività e tal molto egoismo, del resto, non vi hanno impedito mai di esser buono e compiacente — sia pure che il merito ne ridondi alla cura di evitare a voi stesso la noia di far dei malcontenti, di veder dei volti afflitti, di udir dei rimproveri fastidiosi.

Penso, dunque, che quando mi udrete morta voi non potrete salvarvi da un senso di dolore e di rimpianto, per me finita — e per voi che, nella mia fine, vedrete meglio che non nel vostro andare, quanto rapidamente, anzi fulmineamente, la vita passi, e passi la giovinezza, e passino, le gioie — le altrui e le proprie. Così che un grande rammarico, un’amarezza di delusione, una nostalgia di passato vi frugheranno l’anima, quando udrete che questa donna che voi iniziaste alla passione, da cui coglieste tanta freschezza di sentimento e tanta vergine inesperienza di sensazione; che questa donna, che vi amò tanto e che pur voi amaste stranamente troppo, al vostro [p. 235 modifica]saggio programma di mondano — se ne è andata, così, lacrimevolmente, come un fuscello nel torrente del nulla ....

Oh! so bene che insieme a questi sentimenti, di un dolore se non altro riflesso, voi proverete anche il fastidio di vedervi frastornato nella vostra abituale quietudine, tutta fatta di sapienti calcoli e di buona filosofia scettica. Io vengo, forse, a gittare una pietruzza nel placido laghetto della vostra vita, al quale avete avuto sempre l’arte abilissima di dar corona di fiori, e manto di ninfee, e voli di farfalle; né dubito che questa mia lettera — la quale certo vi troverà intento a scioglier qualche complicata questione politica, o ad imbastire qualche graziosa avventura — vi darà la noia delle cose intempestive, agitatrici sempre, anche quando son liete.

Ma che cosa farci, caro Riccardo? ... Come vi ho detto già, quest’ora della mia vita non è serena, né semplice, e, per quanto grande sia stata sempre la mia cura di non entrare nella vostra vita, se non per quelle vie, che a voi piacevano, [p. 236 modifica]e per quanto completo sia stato il mio scrupolo di non riuscirvi mai d’impaccio, o di noia, io non ho, ora, né la volontà, né la possibilità forse, di dar troppa importanza alle vostre impressioni. Per una volta tanto, lasciate anche a me il diritto di essere un poco egoista: sarà la prima ed anche l’ultima volta che mi accadrà di far così buon tesoro del vostro insegnamento — e voi avrete pazienza, non è vero? e mi ascolterete, con quella completa cavalleria, con la quale vi ponete al servizio delle signore, che hanno la fortuna d’interessarvi.

Oh voi siete buono, Riccardo. Sia pure la vostra una bontà negativa, essa, nella pratica della vita, non è meno lodevole e non torna essa di minor i vantaggio a coloro che vi amano, e che ripongono nelle vostre mani un lembo della loro esistenza. Voi siete buono, Riccardo ... Voi siete stato l’amante che mi ha fatto meno soffrire e, non fosse che per ciò, io sento in me il desiderio di ringraziarvene con tutto il cuore ora, mentre schiacciata da dolori di ogni specie io son ridotta a morire. [p. 237 modifica]

Da voi io non ho avuto se non dolcezze — e fiori, e ninnoli, e bomboni, e baci, che mi facevano travedere il paradiso. Siete l’amante più squisito che io abbia avuto: da vero uomo di spirito voi mi avete circondata di graziosita e di eleganza: le vostre lettere erano dei geniali capolavori di fiamme e di dolcezze, ed i nostri convegni erano meraviglie di buon gusto e di raffinatezza. Non mai una nota stridula, non mai un rimprovero, sia pur anco sentimentale, non mai qualcuna di quelle stonature, che pur non mancano agli amori più passionali. Delle carezze senza fine, delle colazioni succolenti, delle rose sul letto, dello champagne fra ... un atto e l’altro, degli ardori senza volgarità e senza monotonia ... In verità, Riccardo, voi siete stato l’amante splendido di raffinatezza. — Ed io, di voi, ho serbato sempre il migliore, il più sereno ed anche il più profondo ricordo.

Di questa profondità, però, voi non avete merito. — Se, anziché giungere primo, voi foste giunto terzo, nella mia vita di donna, che cerca [p. 238 modifica]la passione, voi non avreste lasciato in me orma molto sensibile. Tutto quanto mi daste — e che pure mi fu cosi dolce — non uscì mai dai limiti circoscritti dell'amore di un uomo di mondo e di spirito, che sa cogliere l'ora matura, e sa sapientemente morderla e sapientemente gustarla, dopo averla svestita di ogni scabrosità di buccia. Ma voi giungeste primo — voi aveste la quasi verginità del mio corpo e l'assoluta verginità della mia anima: tutte le primizie di me voi aveste — onde, malgrado la intrinseca superficialità del nostro legame, esso non si è meno approfondito nel mio ricordo ed io non lo sento meno rivivere in me, come una bianca cicatrice dolente.

Di questo ricordo io non ne evocherei, ora, le fasi, se da ciò non dovesse venirmene un'ultima luce ed un'ultima dolcezza. Permettete, Riccardo: è l'unica noia, di che voi potrete accusarmi dal giorno, oramai lontano, del nostro primo incontro. Voi dovete perdonarmela e pensare che, tanto, io non ve ne darò altra, più mai ! ... [p. 239 modifica]


Come, non appena giunta a Roma, dopo il mio matrimonio — io conoscessi vostra cugina, non so neppur più. Fu, certo, uno di quegli incontri casuali di mondo, che ogni giorno accadono, e da cui poi, in vario modo, la nostra vita dipende. — E come voi, conte e deputato, abbiate una cugina così modestamente borghese — non so neppure. Ciò che ha importanza, nella vita, non è il fatto — è l’accozzo dei fatti: isolatamente essi non significano nulla più di un fenomeno trascurabile.

II certo è ch’io conobbi Matilde, la vostra cugina, in Roma, e che, subito, una inesplicabile simpatia ci unì. Io ero nuova alla città, quasi alla vita. Per lunghi anni un piccolo paesucolo era stato il limite massimo della mia esistenza — ma, per quanto tal sorte dovesse riuscire funesta e alla mia intelligenza ed al mio gusto, ed a quel certo istinto di aristocratica [p. 240 modifica]raffinatezza, che è stato sempre una delle più indeclinabili tendenze del mio spirito — io era uscita dalla prova senza troppo danno, ed, anzi, con il vantaggio di una tale arsione di vita e di godimento, congiunta ad una così agreste ingenuità dei modi, onde attutirla, che non mancava di fascino.

Vostra cugina, invece, era una ormai vecchia esperiente, non fine, non complicata: fors’anco, invece, un po’ rozzamente semplice, ma pratica della vita, e della vita della città — sempre in moto per mille faccende: le compere, il teatro, le toilettes. La simpatia, che ci unì, fu molto fatta di ciò: la mia inesperienza che domandava consigli, e la sua esperienza, che si piaceva di darne — così ch’io era spesso in sua casa, amichevolmente. Il vostro ritratto lo vidi un giorno troneggiare nel suo salotto — ed ella mi spiegò subito, con abbondanza, ogni particolarità dell’essere vostro. Non si ha, borghese, un cugino così nobile e così in alta situazione, senza sentirsi quasi investiti da un riflesso della sua gloria. Voi, nella [p. 241 modifica]famiglia di Matilde, rappresentavate il parente, di cui si mena vanto come di un castello avito o come di un capolavoro proprio; Matilde, iniziato l’argomento di voi, si mostrava inesauribile di spiegazioni, e di commenti, e di punti ammirativi.

Mostrandomi il vostro ritratto, ella non mancò di circondarvi di raggi, come se foste un sole. Tutte le vostre finezze di ricco e di nobile, e le vostre imprese di uomo politico, e le vostre avventure di bel giovane scapolo — tutte le vostre cravatte e molte, certo, delle vostre amanti, passarono nel caleidoscopio. Io, da buona provinciale appena dirozzata, l’ascoltavo stupita e non senza turbamento — e, confrontando il ritratto vostro alla narrazione di Matilde, io mi persuadeva che, realmente, voi dovevate essere cosi: nobilissimo ed attraentissimo, superiore ad ogni altro uomo creato.

Voi vi mostravate, in verità, assai bello. Alta la fronte, l’occhio largo e penetrante, forte naso aquilino, bocca di un sorriso lievemente ironico [p. 242 modifica]sotto i baffi tirati in alto e nella breve barba a punta. La vita stretta nello stiffelius, l’altissimo colletto ed una ciocca di giacinti all'occhiello, completavano il quadro di una seduzione, se si vuole un po’ eccessiva, quasi voluta, ma non perciò meno irresistibile.

Subito, io restai soggiogata da quella vostra aria di bel conquistatore — a cui, del resto, le minute descrizioni di Matilde toglievano ogni ombra di volgarità. Eravate bello, e conte, e deputato. Eravate un viveur, pieno di spirito e di eleganza: che cosa occorreva di più, per entrare, diritto come un dardo, entro l’anima e dentro il sangue di una donna, che, dal suo recente matrimonio non aveva avuto se non nausee e delusioni, che, dalla sua giovinezza, nulla aveva avuto, oltre il dolore di sogni sempre vani e sempre invano rinnovati?...

Senza lotta, naturalmente, io fui vostra — dunque. Troppa sete io aveva di quel liquore di ebrezza, troppa ansia tormentava il mio rigoglio di femmina e di donna — ansia di passione, [p. 243 modifica]ansia di dedizione e di follia e di rivincita! ... A trent’anni io m’era ancora a desiderare, così come l’aveva desiderato fanciulla, il bel cavaliere, che mi avrebbe còlta e mi avrebbe portata alle labbra, per bere dal mio profumo di giovinezza, l’intera voluttà della vita. Donna, ormai nella più fiorente espansione, io m’era ancora ad agognare la delizia del sole — satura di energia, io voleva, io anzi aveva bisogno di baci, come di una rugiada, che mi dasse freschezza e ristoro — pervasa di poesia, la mia anima singhiozzava l’appello disperato alla divina feHcità e al divinissimo amore.

Nulla di tutto ciò mi aveva dato, fino allora, il mio solitario passato di fanciulla; nulla di ciò, io sapeva ormai, mi avrebbe dato mai più il mio fallito avvenire di donna, a meno di una ribellione, che mi gettasse incontro a tutti i decreti divini ed umani.

Questa ribellione ruggiva in me, come una fiera. La mia ignoranza della vita era più apparente che reale: dietro il tenue velo, che aveva [p. 244 modifica]coperto i miei occhi sulla pratica della vita, io aveva sempre avuto intuiti oculatissimi e svegli sulla sostanza della vita stessa. Il velo era tenue, ed il matrimonio l’aveva già lacerato. Nell’ora, che suonava la sollevazione di tutti i miei istinti, di tutte le mie esigenze, dirò anzi, di tutti i miei diritti conculcati, Matilde mi mostrò il vostro ritratto e mi parlò di voi.

La vostra bellezza mi cattivò, la vostra fama mi conquise. Neil’esuberanza del sentimento e della vitalità, di cui riboccava il mio essere, e nell’impeto delle proteste, che ribollivano in me, io non diedi campo al ragionamento — neppure, quasi, al libero arbitrio. Si può, forse, con sillogismi scongiurare il levar del sole? .... Si può, forse, con libertà di scelta pretendere che esso sia di un colore, piuttosto che di un altro? .... Il sole è d’oro e si leva quando le leggi, che reggono il mondo, lo conducono all’orizzonte. Voi eravate tale, quale eravate, e sorgevate nel mio cielo, quando i comandi del fato lo avevano imposto. E però voi splendeste di tutti i fulgori ed io vi adorai. [p. 245 modifica]ciecamente sommessa alla fatalità del vostro imperio.

Ripensando a quel passato, non so invero spiegarmi troppo la bizzarra perseveranza, quasi l’ostinazione di Matilde nel tentativo di avvicinarci. Che cosa pensava ella? anzi, che cosa vedeva? ...

Voi eravate assente da Roma, nel vostro Abruzzo lontano. La Camera era chiusa: ma già, come io sapeva di voi, voi sapevate di me — meno, oh molto meno, ma sempre più di quanto non fosse logicamente supponibile. Ed è certo — non me lo confessaste, poi? — che l’ignoto di questa donna, di cui vostra cugina vi vantava con tanto fraterno disinteresse, lo spirito ardente e strano, la figura simpatica, e fors’anco la inclinazione misteriosa verso voi, dovè, più di una volta, stuzzicare la vostra curiosità e guidare il vostro desiderio di ricercatore del nuovo.

La Camera si riaprì, alfine, ed un giorno, in cui tremante nella sensazione che voi eravate là, [p. 246 modifica]io penetrava nel salotto dell’amica Matilde, voi sorgeste dinanzi a me, come la più meravigliosa realtà, dopo il meravigliosissimo sogno. Un gelo mi investì — nell’onda del sangue che affluiva al cuore e ne arrestava quasi ogni palpito.

Pallida e muta, restai dritta a guardarvi, senza esitazione, senza vergogna, senza neppure creanza. Dritta a guardarvi, curiosa, stupita e tremante, restai abbastanza per richiamare sotto i vostri baffi rialzati un sottil riso di scherno. In verità, non mai, nella vostra già piena vita di uomo e di conquistatore, dovevate aver assistito ad uno spettacolo, più divertente e più commovente insieme: la ingenua e passionata ammirazione di una bimba un po’ selvaggia, a traverso la forma di una donna fiorente di trent’anni. Egli è che, neppur mai, a voi si era presentato un viluppo più inestricabile di incognite di quello, che io mi era allora: e voi lo doveste intuire subito — non comprendere a fondo, forse — se non vi spiacque, anzi vi allettò, la prospettiva di metter entro quel viluppo le mani, e frugarvi, e trarne fuori quell’e[p. 247 modifica]elemento, che a voi, espertissimo di femmine, dasse il doppio piacere del nuovo nel sentimento e dell’inedito nella voluttà.

Ma, per quanto preparata, anzi matura, a subire la vostra lussureggiante seduzione — seduzione di spirito e di forma, di nobiltà e di fama — seduzione, sopra ogni altra irresistibile, della passione che, scendendo da voi mi avviluppava come in un’onda di vivissima luce — io non mi abbandonai subito. Tutta la mia vita precedente mi schiacciava, è vero, con la sua imposizione; tutte le costrizioni dell’anima e della giovinezza, lottanti contro tutte le idealità ed i desiderj, mi eccitavano fino alla follìa; le recenti lacrimevoli delusioni del mio matrimonio mi empivano di ira e di una spaventevole smania di rivincita. Ma, caro Riccardo, non si ha invano appreso, o dai libri o dai pulpiti, quelle massime morali che, all’atto pratico, ed al raziocinio, si saranno magari mostrate inutili e sciocche, ma che non si sono perciò meno abbarbicate nel convincimento; non si è invano udito tuonare l’opinione pubblica, [p. 248 modifica]contro gli errori femminili, per non tremare, esitante, sulla soglia che, dalla vita sociale e morale quale si crede debba essere, mette nella vita morale e sociale qual'è.

Invano, dunque, oltre la soglia mi richiamava il bagliore di quella gran cupola dorata, sotto cui — voi troneggiavate come un iddio; invano le vostre braccia e le vostre labbra mi si mostravano, come i più sacri misteri ed i riti più dolci di quella religione .... Io esitava, io tremava, io lottava, con la coscienza più retta di adoprarmi per la mia salvazione.

E, forse, non mai io sarei stata vostra, né d’altri, se un giorno, tremendo nella memoria come una ferita vergognosa, io non avessi sentito, vive e tangibili, la mia anima e le mie viscere sollevarsi, ed esalare in grida folli tutta la loro ribellione. Che cosa era accaduto? ... Io non ricordo neppur più l’incidente. Forse una piccola cosa, forse un piccolo urto imponderabile. Ma esso veniva a colmare la misura, ormai esuberante, della pazienza, e darmi l’ultima spinta verso la [p. 249 modifica]protesta attiva — due moti, che mi distaccavano per sempre dalla legalità e mi mettevano, senza rimedio, entro la via spinosa del contrabbando coniugale.

Ah!... gli uomini..., i mariti non vogliono pensare alla responsabilità dei propri atti, nelle azioni delle proprie mogli! La considerazione di aver influito, in qualche modo, sulle più pazze e più deplorevoli azioni della donna, di cui dovevano essere, non soltanto padroni, ma salvaguardia, è infinitamente estranea alla loro coscienza. Non dicono essi, a scusa delle loro gelosie, a volte ripugnanti, tanto sono ingiustificate, che l'uomo è bracconiere e che la donna è la selvaggina, sempre appostata?... Se ciò è, dunque, perchè il marito non si fa, non con la prepotenza, vana sempre, ma con la cura, con la tenerezza, con l’oculatezza delicata e vigilante, la guardia forestale del suo proprio possesso?... E se la donna è nervosa, ed avventata, ed isterica, perchè non cerca egli di non urtarla, di non ferirla, di non suscitare quelle deficenze psichiche e farle divenire efficenze? [p. 250 modifica]

Ma no. L’uomo, il marito, crede aver sciolto ogni obbligo con se stesso e riempito ogni do- vere verso la società, quando non ha chanteuses al suo bilancio, quando non ha quello di ladro fra i suoi documenti, quando non usa maneggiare il bastone fra i suoi argomenti persuasivi. All’infuori di ciò, tutto il resto non lo riguarda — e se la moglie piange sulle speranze mal riposte e sugli ideali smarriti, e se la moglie, oltre il pane, anela a qualcos’altro, che non sieno percosse, o altra specie di ingiuria grave, allora la donna è la nevrotica, è l’isterica, è — peggio — la baldracca larvata, toccata in calamità ad un perfetto galantuomo, il quale avrà anche, come liquidazione ultima, il diritto di fracassarle la testa.

Ma dove siamo rimasti? Ah sì .... al momento in cui io, in un’impeto di rivolta, mi abbandonava a voi. Perdonate, Riccardo, se ho dimenticato che parlavo ad uno squisito causeur, ad uno [p. 251 modifica]dei più spiritosi sfioratori di quistioni, e mi sono lasciata andare ad un ardore oratorio, che avrà potuto parervi, per lo meno, intempestivo. Non son io presso a morire? ... O dunque? ... A che prò recriminare, a che prò arrampicare sullo specchio del passato? ... Tanto, ciò che è stato è stato, e se io ho avuto la sfortuna, od il torto, di rimanere sconfitta, malgrado tutti i miei belli slanci di sdegno, segno è che le mie proteste mancavano del merito primo: quello di essere udite e di saper raccogliere proseliti.

Riprendiamo, dunque, la narrazione. Voi, caro Riccardo, non volete dalle donne, né diatribe né teorie, perchè, sì le une che le altre, violente od aride, non hanno virtù di abbellire di un sorriso quelle labbra, che voi amate tanto sorridenti e protese verso le vostre, nella ghiottoneria di un bacio di dolcezza.

Riprendiamo, dunque. L’episodio, per quanto postumo, non é privo di fascino e quel giorno è segnato con troppo dorato asterisco, nel romanzo delle rispettive nostre esistenze, perché [p. 252 modifica]anche ora, e a malgrado deirombra di cui io lo avvolgo, esso non sfavilli di tutte le sue luci entro l’essere nostro.

Sì: io fui, un giorno, di voi. Benché esperto della vita - benché, sazio, quasi, di sensazioni — non fu senza un verace turbamento di tutto l'intimo vostro che mi vedeste cadere appassionata, dimentica, eccitata di ardore e di collera insieme, nelle vostre braccia. Per un momento, anzi, voi ne foste fuorviato: la vostra serena ed amabile impassibilità di amatore emerito, ne provò come il principio di una commozione profonda — ed io vi vidi pallido, vi vidi tremante, come forse altre donne, più belle e più lungamente contese, non ebbero la fortuna di vedervi.

Ah!... di quanta folle ebrezza il vostro turbamento non mi fu cagione!... Voi eravate così alto levato nel mio concetto! La vostra personalità mi pareva cosi alteramente superiore! Tutte le mie predilezioni di aristocratica di sangue, tutte le mie istintive delicatezze di sensitiva, tutte le mie vanità di donna erano così a pieno [p. 253 modifica]solleticate dalla elevata esteriorità della vostra situazione sociale, e dalla intrinseca elevazione del vostro spirito!

Io mi abbandonai, dunque, a voi, adorante ed allucinata, con tutti gli spasimi di una prima colpa, e tutte le delizie di una prima passione, selvaggiamente felice della rivincita e divinamente commossa dell’amore, opulenta di tutti i tesori della giovinezza del corpo e del cuore, vibrante di orgoglio, di tenerezza, di voluttà, di devozione ebra, ebra, ebra!...

Io vedo ancora, come se qui, dinanzi a me, esso spiegasse la seduzione del suo artistico confortevole, il vostro appartamentino di scapolo, ricco e noto. Ogni cosa, in esso, spirava eleganza e mondanità. I mobili erano bassi, morbidi e ricurvi, come braccia tese ad accogliere le membra esauste di carezze; i tappeti eran folti, le finestre velate, i fiori odorosi, nè mancavano i buoni cordiali alle forze e le ottime sigarette di Egitto...

Compresa di riverenza e di ardore io giungeva, un po’ tremante ed un po’ ridente, come una [p. 254 modifica]bimba, ingenua e viziosa, che sa e non sa, che vuole e disvuole, che non domanda se non di esser presa e che cerca cavilli per salvarsi. Voi, al lieve tocco del campanello, socchiudevate la porta, ed io mi rifugiava fra le vostre braccia, impaurita sempre di qualcuno o di qualcosa, che io mi era sognata avere alle calcagna ... e mi stringevate graziosamente e, con un grazioso bacio tutto vellicante della carezza dei baffi, mi dicevate di calmarmi, e mi conducevate a placare i battiti del cuore sopra qualcuna delle vostre poltrone, che profumavano di amore come se ne avessero impregnata ogni piega.

Poi ... poi, con tutta la vostra esperienza grande e tutta la grazia vostra, voi mi insegnavate praticamente l’adulterio ... e le lezioni del maestro erano così ardenti, cosi scintillanti di brio, così gustose di ogni più saporita perversità, ch’io ne rimaneva a dirittura stordita e quasi confusa, sembrandomi che malgrado l’ardore della mia passione e lo zelo, veramente neofita, che io poneva a mostrarvela, voi mi giudicaste un’allieva troppo compassata, o [p. 255 modifica]troppo sciocca, incapace quindi di interessare a lungo la vostra incostante sensualità.

E pure ciò non fu, completamente. Improvvisa, come la folgore, una crisi politica scoppiò, e voi doveste ripartire in fretta per il vostro collegio a curare la rielezione.

Con quale tortura, con quale sgomento io mi destassi dall’ebrezza, che mi accecava, non ve lo dissi, allora. Tremai che voi ne rideste un po’, come di una puerilità di donna innamorata, al di là di quanto è utile, e logico, e piacevole amare. Ma il mio silenzioso dolore, e l’ultimo bacio, che vi offrii con le labbra tremule di pianto frenato, dovettero dirvelo per me e commuovervi. Il fatto è che, malgrado le assorbenti cure, ed i viaggi, ed i discorsi, ed i banchetti che vi prendevano tutte le ore del giorno, ed anche molte di quelle della notte, voi mi scriveste quasi giornalmente, e cosi diffuse lettere, e così piene di tenerezza, quasi nostalgica, ch’io ne provai rinnovati tutte le gioie ed i trionfi dei nostri convegni.

Ah!., quelle lettere vostre, Riccardo!... e quelle [p. 256 modifica]che io, a lungo, smarritamente, vi scriveva, indirizzandole or qua, or là, ove il caso della vostra elezione vi sbalestrava! ... Non mai, io credo, poema epistolare di passione fu più veemente, e più stranamente soggetto alle peripezie della politica militante! ... Nelle mie lettere, certo, dovevano echeggiare dei grandi gridi e dipingersi delle grandi visioni ... dovevano suonare a campane doppie tutti i richiami e tutti i ricordi, perchè voi, malgrado tutto, malgrado anche la vostra abituale serenità di conquistatore, uso alle vittorie sentimentali, ve ne trovaste così eccitato, e così rimescolato, che sempre me ne rimeritaste con altrettante e non meno accese lettere. Ma come io vi amava, in quel tempo, Riccardo ... Come, ancora, io mi affondava cieca ed immemore, entro il dolcissimo vortice della mia passione!...

Così, come nessuno dubitava, voi tornaste alla Camera ad a Roma, più forte ancora e più completamente vittorioso. Io, che aspettava quell’ora [p. 257 modifica]con tutto Io struggimento del mio essere e che, sol nella previsione della sua grandezza passionale, mi sentiva disfare di commozione e di delizia, volai a voi, nel piccolo appartamento, conscio e sonoro ancora dei nostri baci e delle nostre parole deliranti.

In qual modo l'evento si manifestò, fatale ed imperioso ? ... Noi non lo sapemmo mai. Ma, d’un tratto, stretti ancora nelle braccia l’uno dell’altro, con la bocca sulla bocca, noi avemmo la sensazione scottante, come una punta di fuoco entro le carni, che qualcosa ci aveva disgiunti, e che, fra noi pur uniti, era ormai la incolmabilità di un abisso. Ci sciogliemmo, e, scontenti, cercammo reagire. Di nuovo, in un orgasmo che pareva insensato, noi unimmo le nostre vite e volemmo fondere insieme le nostre anime ... Invano! ... Un nuovo occhio, abbacinato sino a quel giorno, si era aperto nella nostra intelligenza, e quell’occhio spalancato guardava lo spettacolo del nostro reciproco errore. La nostra passione era finita, d’un subito, irrimediabilmente! [p. 258 modifica]Perchè, Riccardo?...

Nel seguilo, riprendendo il dominio di me e del mio spirito smarrito nel turbine di una tanta passione, infuriata, prima, nel mio cuore e nei miei sensi, io compresi la ragione della sua fine miserevole, in contrasto del gloriosissimo inizio.

Gli è che voi, leggiadro libatore di baci femminili, non avevate potuto veder senza preoccupazione, senza, quasi, sgomento, la nostra dedizione tourner au collage come voi, amabilmente e francesemente, mi spiegaste poi, quando, cessato l'imperversare, ci ritrovammo, a tesser ciarle nel salotto della cugina Matilde. Cotali vostri argomenti, io, del tutto, approvai — rammento — e vi assicurai, anzi, che, a me pure, una simile prospettiva era parsa stucchevolmente monotona ed, anco, pericolosa; né ebbi vergogna di così parervi, a mia volta, una leggiera ed anche un po’ lurida cacciatrice di maschi.

Ma la verità non la sapeste mai, perchè io preferii quella vergogna, che colpiva me, all’altra che colpiva voi. Che cosa avreste, infatti, [p. 259 modifica]pensato di voi stesso e della vostra raffinatissima arte amatoria, se io vi avessi detto che, l’uno e l’altra, erano stati impari alle mie esigenze? Che cosa avreste pensato, se vi avessi detto che le vostre, così scintillanti parole di amore non avevano saputo trovare la via del mio cuore; che le vostre sapientissime carezze non avevano lasciato su me traccia maggiore dello sfiorare di un’ala?... Che cosa avreste pensato, se io vi avessi rivelato che, dopo lo stordimento della prima ora, dopo l’ebrezza della prima rivincita, dopo l’esaltamento della prima avventura passionale, io non ritrovava in me — ed in voi — nulla di ciò, che io, istintivamente, aveva sempre cercato, perchè sentiva che era alito dei miei polmoni e sangue delle mie vene? ... In verità, voi sareste rimasto assai male, ed avreste trovato, fors’anco con apparenza di ragione, ch’io pretendeva un po’ troppo di più di quanto non mi fosse lecito sperar di trovare ...

Ma, che volete, caro Riccardo, la strana faccenda andò proprio cosi! ... Io voleva un grande [p. 260 modifica]amore, ardente come una lava, delicato come un petalo, sensibile come la corda tesa di un arco. Voleva qualcosa di forte e di eletto, di completo e di sano, che soddisfacesse a tutte le idealità lungamente accarezzate nella mia giovinezza, ed a tutte le realtà, febbrilmente volute nella mia fioritura; io voleva che voi mi daste tutto questo, per potervi dare a mia volta l'intero ricambio. Per voi, io avrei voluto essere la signora dell’intelletto e l’amante del piacere, la gioia del sogno conseguito e la serenità nella certezza del possesso, la confortatrice e l’amica — il passato, il presente e l’avvenire.

Voi non lo comprendeste, o, se ne aveste un fuggevole dubbio, ne provaste il terrore di una sovrapposizione della mia vita alla vostra. Per me, io compresi limpidamente — e non, vi assicuro, senza uno schianto infinito — che voi non eravate l'uomo vale a dire l’incarnazione umana della mia divinità ideale.

Da voi io ho avuto, sì — e ve ne son grata ora, come sempre grata vi fui — delle graziose [p. 261 modifica]e fascinose cose: dei baci squisiti, dei fiori, dei bomboni, dei ninnoli — ho avuto delle colazioni splendide e riconfortanti, allietate di primissimo Moét Chandon e di spiritosissime conversazioni ... Ma non ho avuto l’unica cosa, a cui anelava con tutta la foga di una vitalità compressa e tardi fiorita: la passione vera, grande, travolgente; la sensazione nitida della pienezza reciproca della nostra attrattiva.

Malgrado ciò, non crediate ch’io ve ne abbia serbato rancore mai. Voi siete restato sincero e mi vi siete dato per quale eravate, senza artificio e senza inganno. Di voi, voi mi avete offerto tutto ciò che potevate offrire, ciò, di cui la natura vi aveva abbondevolmente fornito: la vostra bella persona, le vostre robuste facoltà di amatore, lo scintillìo del vostro ingegno, l’eleganza della vostra ricchezza, la vanità del vostro doppio titolo. A tutti questi splendidi doni, voi avete saputo non mai far perdere il cospicuo valore con quelle, non infrequenti e pesantissime miserie, che infestano i più fervidi amori: non siete mai [p. 262 modifica]stato noioso, né esigente, né preoccupato, né avete mai preteso di intromettervi nella mia vita quando, varcata la soglia delle vostre stanze, essa non vi apparteneva più. Questo, so bene, entrava nel vostro programma di amabile viveur che detesta le complicazioni di ogni specie, e faceva parte delle predilezioni del vostro, così geniale ma pur cosi innegabile, egoismo. Checché ne sia, il ricordo di voi é stato sempre inciso in caratteri incancellabili in me: io non vi ho amato più, ma vi ho sempre ricordato con piacere, come si ricorda una giornata di sole e di gioia, brillata nella tristezza e nel nerore di lunghi mesi piovosi.

Ed ora, che sto per morire — stanca, nell’anima e nelle membra, per una ricerca troppo accanita di ciò ch’io pure in voi cercai e che voi non sapeste darmi — io ancora mi ripresento alla vostra memoria, prima di sparire per sempre. Voi, Riccardo, che mi avete amata più di quanto non ve ne supponeste capace, e che avete dovuto comprendere quanto vaste ed inestinguibili fossero le mie facoltà di vita e d’amore — non potrete [p. 263 modifica]salvarvi dalla malinconia di pensare che io non meritava di finire, così. Questa malinconia e la lieve ombra, che essa stenderà sopra il decorso di una giornata vostra — sono dolci al mio cuore, tormentato da tutti i più acuti e laceranti rammarichi.

Di questa ultima dolcezza, effusa dai ricordi, che brillano di un’eterna luce entro l'anima mia — io vi sono grata ancora, o Riccardo. Che la vorte vi conceda sempre di non molto sentire, per non molto soffrire ... com’ io ho sentito e come, per ciò, ne muoio.

Addio, Riccardo.

Viviana.